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Come scioperare il 22 settembre? Le FAQ verso la mobilitazione
Dopo la partenza della Global Sumud Flotilla e le grandi mobilitazioni che ne sono seguite, diversi Sindacati di base hanno indetto uno sciopero generale in solidarietà con la Palestina, per la fine del genocidio e in supporto alla Global Sumud Flottila per lunedì 22 settembre. In un secondo momento, la CGIL ha convocato un mobilitazione per la giornata del 19 settembre con alcune ore di sciopero solo per alcuni settori industriali e non per la maggior parte dei settori e categorie economiche. E questo sta creando molta confusione nei luoghi di lavoro. > Procediamo con ordine, e cerchiamo di risolvere alcuni dubbi, rispetto allo > sciopero generale del 22 settembre. Prima di tutto, lo sciopero è un diritto costituzionale, garantito dall’art. 40 della nostra Costituzione, “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, e le leggi che lo regolano hanno cercato in molti modi di limitare questo diritto, così come l’attacco padronale e visioni molto corporative della pratica sindacale. Molte, però, sono state le pratiche per rivendicare un pieno diritto di sciopero, a partire dallo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo che negli ultimi dieci anni ha posto il tema di cosa significa scioperare in un economia che si regge sul lavoro precario, in nero, grigio, sottopagato, e sempre più frammentato, e dove ancora il lavoro di cura è riproduttivo non viene considerato come un lavoro. Proviamo a rispondere, quindi, ad alcune domande sullo sciopero. Non sono iscritta/o a nessun sindacato, posso scioperare? Il diritto di sciopero in Italia è libero, non bisogna essere iscritte/i a un sindacato per poter scioperare. Serve l’indizione della giornata di sciopero da parte di un sindacato, cosa che esiste per la giornata del 22 settembre, per tutti i settori pubblici e privati. L’indizione dello sciopero arriva alle aziende direttamente dalla Commisione Garanzia per lo Sciopero. Spesso il datore di lavoro non conosce le regole per l’indizione degli scioperi, non è preparato, e minaccia sanzioni, ma non ti devi preoccupare. Se non ha ricevuto la comunicazione di indizione puoi fargliela inviare, chiedi le informazioni specifiche al/la delegato/a sindacale, o scrivi direttamente ai sindacati di base che hanno indetto lo sciopero per maggiori informazioni sul tuo specifico settore. Ma ricorda che è un tuo diritto scioperare in qualunque luogo di lavoro. Il 22 settembre è sciopero generale, quindi possono scioperare tutti i settori? Lo sciopero è stato indetto per tutti i settori pubblici e privati. Ed è valido praticamente in tutti settori. Nel nostro Paese alcuni settori pubblici sono considerati essenziali (come la sanità, i trasporti) e sono sottoposti a una legislazione specifica (legge 146/1990), questi settori devono rispettare fasce orarie di garanzie e tempi più lunghi per l’indizione. Lo sciopero del 22 è stato indetto garantendo il preavviso previsto dalla legge, e la Commissione di Garanzia ha escluso soltanto alcune categorie e settori, come il trasporto aereo, che comunque sciopera il 26 settembre, oltre ad alcune realtà territoriali.  Se fai parte di un settore essenziale devi seguire le regole del tuo settore, ma è importante che lo sciopero sia valido e indetto. Chiedi le informazioni specifiche al/la delegato/a sindacale, o scrivi direttamente ai sindacati di base che hanno indetto lo sciopero per maggiori informazioni sul tuo specifico settore. Ma ricorda che è un tuo diritto scioperare in qualunque luogo di lavoro. Nel mio posto di lavoro, il delegato sindacale ha detto che non sono rispettati i termini per l’indizione dello sciopero per il 22 settembre, è vero? Lo sciopero del 22 settembre è valido in tutti settori, a parte nel settore dei trasporti aerei, e con alcune specifiche territoriali (qui puoi trovare tutti i dettagli). Per tutti i settori pubblici e privati lo sciopero è valido. In che modo dichiaro al mio datore di lavoro la mia decisione di scioperare? Devo darne notizia scritta? Non sei obbligato/a a comunicare la tua decisione di scioperare al datore di lavoro, né in forma scritta, perché l’astensione dal lavoro è un tuo diritto e non richiede giustificazioni, quindi puoi scegliere se farlo o meno. Puoi essere invitata/o a manifestare la tua intenzione, ma non puoi essere obbligato/o a rispondere, quindi l’adesione allo sciopero anche all’ultimo momento e senza preavviso è legittima. Nella mia scuola non è ancora stata pubblicata la circolare per lo sciopero del 22 settembre, posso scioperare? Le circolari nelle scuole pubbliche, come nelle amministrazioni pubbliche, stanno uscendo in questi giorni. Se non fossero ancora circolate si può sollecitare la segreteria amministrativa perché sia data debita informazione all’utenza e alle famiglie. La presidenza non può obbligare il personale scolastico a dare comunicazione obbligatoria della propria intenzione di scioperare o meno. L’immagine di copertina è di Gabriele Campanale Domande e risposte sono state elaborate e riviste insieme al sindacato di base Clap – Camere del lavoro autonomo e precario SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Come scioperare il 22 settembre? Le FAQ verso la mobilitazione proviene da DINAMOpress.
Nuovo tavolo sulla sicurezza al Ministero del lavoro…e intanto i lavoratori continuano a morire sul lavoro
Nuova tornata del Ministero del Lavoro dei tavoli sulla sicurezza, voluti dal governo assieme alle parti sociali. In cantiere c’è un nuovo decreto, l’ennesimo, che il governo Meloni si appresta a sfornare sul tema della sicurezza sul lavoro: un nuovo provvedimento inutile, fumo negli occhi per dare la sensazione che si provi a fare qualcosa. Cgil, Cisl e Uil si sono presentate al tavolo dopo essersi incontrate sullo stesso tema nella giornata di lunedì con la Confindustria; un incontro che corrisponde ad una intesa previa tra sindacati e padroni prima della riunione odierna con il  governo. L’USB ha fatto notare che i due provvedimenti che da tempo chiediamo, l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro ed il potenziamento degli RLS, rappresenterebbero un cambiamento di passo rilevante  per la tutela della salute-sicurezza nei luoghi di lavoro. Abbiamo ribadito il fatto  che le centinaia di migliaia di Rls,  se avessero le conoscenze-competenze e gli spazi d’azione adeguati, poiché presenti nei singoli luoghi di lavoro, potrebbero agire concretamente per costringere i datori di lavoro ad adottare misure di prevenzione dei rischi  efficaci. Il rafforzamento degli Rls rappresenta un intervento quasi ovvio, da  adottare immediatamente se si vuole agire concretamente su salute e sicurezza del lavoro ; ma le nostre proposte « ovvie » continuano ad essere disattese ed il motivo è chiaro : le misure di prevenzione-protezione hanno dei costi, e manca la volontà di costringere i datori di lavoro a sostenere questi costi. Come Usb non ci limitiamo a chiedere al Governo di adottare misure per rafforzare gli Rls; ma abbiamo adottato da anni un percorso di formazione e supporto dei nostri Rls, percorso che sta producendo effetti concreti per la tutela della salute nei luoghi di lavoro in cui siamo presenti. Unione Sindacale di Base
New York, l’ascesa di Zohran Mamdani tra paura, esclusione e alleanze
La campagna ribelle di Zohran Mamdani mette alla prova la capacità del movimento popolare di resistere ai media mainstream, alla politica delle élite e a un clima di paura artificiale, con i principali sindacati e i rappresentanti progressisti che fungono da contrappeso. In una città da tempo prigioniera dei meccanismi dell’establishment, la storica vittoria di Zohran Mamdani alle primarie per il sindaco di New York, ottenuta nonostante una spesa elettorale nettamente inferiore a quella degli avversari, è un segnale forte: l’insurrezione progressista è arrivata. Ora che le elezioni generali si avvicinano, la domanda è: la coalizione  di Mamdani riuscirà a respingere le forze dell’esclusione mediatica, dell’allarmismo delle élite e del consolidamento centrista? I sindacati si schierano con il Secondo Cerchio Dipinti dalla narrativa abituale come conservatori con una grande influenza, questa volta i sindacati si sono schierati con l’insurrezione. Il più grande sindacato sanitario del Paese, l’1199SEIU United Healthcare Workers East, che a New York ha 200.000 membri, ha formalmente appoggiato Mamdani, citando il suo impegno per l’accessibilità economica, l’edilizia popolare e i servizi pubblici. Nel frattempo, il New York City Central Labor Council (AFL-CIO), che riunisce 300 sindacati locali, lo ha appoggiato alla fine di giugno, elogiando la capacità della sua campagna di mobilitare volontari e di parlare direttamente ai lavoratori . Ampliando ulteriormente la sua base sindacale, il 32BJ SEIU, che inizialmente aveva sostenuto Andrew Cuomo, dopo le primarie è passato pubblicamente a Mamdani. Anche il DC37, il più grande sindacato dei lavoratori della città, si è schierato a suo favore. Questi appoggi non servono solo come capitale politico, ma confermano che la coalizione di Mamdani  comprende tutte le classi e tutti i settori, incarnando il Secondo Cerchio.  Il giornalismo dell’esclusione all’attacco Anche se il potere dei lavoratori sta cambiando, i cani da guardia dei media – il New York Times, la CNN e la Fox – continuano a svolgere il loro ruolo abituale: descrivere Mamdani come un pericoloso radicale non eleggibile. Il Times, ad esempio, lo ha definito “troppo inesperto” e una “versione turbo della sconcertante amministrazione di De Blasio”. Questo è il classico giornalismo dell’esclusione: eliminare le voci dei newyorkesi a favore dei salvatori dell’élite. È un déjà vu: le campagne di Bernie Sanders sono state sistematicamente emarginate – copertura mediatica distorta, tempo di trasmissione negato – anche se la sua base ha dato energia a intere regioni.  Mamdani ora affronta lo stesso atteggiamento dei media mainstream.  L’allarmismo sulla fuga dei ricchi – e la sua smentita Entra in gioco la prossima arma: la paura. I titoli dei giornali metteranno in guardia dalla fuga dei newyorkesi ricchi, dal crollo delle imprese e dall’evaporazione delle basi imponibili sotto un sindaco progressista. Questa narrativa è in sintonia con l’ansia dell’élite, ma ignora due realtà: 1.⁠ ⁠Le città governate da una leadership progressista, come Berlino o Amsterdam, spesso mantengono o aumentano gli investimenti attraverso politiche e pianificazioni infrastrutturali eque. 2.⁠ ⁠La vera resilienza economica deriva dall’inclusione, non dall’esclusione. Le proposte di Mamdani (autobus pubblici, congelamento degli affitti, cooperative alimentari) non sono generatrici di caos, ma ammortizzatori per le famiglie lavoratrici e gli ecosistemi locali. Possiamo introdurre questo concetto come segue: Sì, il piano di Mamdani comporta meno agevolazioni fiscali e più regolamentazione, ma la storia dimostra che le politiche basate sull’equità e la pianificazione non allontanano la ricchezza, ma rafforzano sia le comunità che le imprese. Non si tratta di un esodo, ma di un cambiamento verso una prosperità condivisa. Cronologia delle proiezioni settimana per settimana Ecco uno schema per una cronologia settimana per settimana che si può tradurre in grafici o infografiche: Settimane e sviluppi chiave Da ora a metà settembre (settimane 1-3): Circolano voci sull’incarico di ambasciatore in Arabia Saudita che Trump potrebbe offrire all’attuale sindaco di New York Eric Adams. Il sostegno dei sindacati a Mamdani guadagna terreno. Cuomo si appoggia a figure dell’establishment come Bill Clinton. Metà settembre (settimana 4): I media intensificano le narrazioni allarmistiche: fuga dei ricchi, allarmismo fiscale, panico sulla governance. Fine settembre – inizio ottobre (settimane 5-6): La campagna di Mamdani punta i riflettori sulla coalizione sindacale, rivela la parzialità dei media, confuta i timori economici con fatti e storie. Metà ottobre (settimana 7): Attenzione a potenziali cambiamenti di sostegno, in particolare da parte del senatore democratico Chuck Schumer. Un sostegno che darebbe credibilità a Mamdani in tutti gli schieramenti dell’establishment. Fine ottobre (settimana 8): Ultima ondata di tattiche allarmistiche: storie spaventose su legge e ordine, panico finanziario. Mamdani deve sostenere il messaggio della base. Inizio novembre (settimana delle elezioni): Se il pubblico capisce che si tratta di una messinscena, il Secondo Cerchio potrebbe resistere. Schumer: silenzioso o strategico? Nel nostro ultimo articolo abbiamo sottolineato la posizione cauta di Chuck Schumer. Finora il suo silenzio continua, descritto dalle fonti della campagna come “nessun sostegno immediato”, mentre sono in corso discussioni. Questo vuoto è importante: la voce di Schumer potrebbe influenzare i moderati che cercano legittimità. Senza di essa, quella fascia rimane politicamente orfana. Conclusione: il lungo arco dell’inclusione Questa competizione per la carica di sindaco di New York è ben lungi dall’essere un duello politico a breve termine. È una prova per verificare se la democrazia americana è ancora in grado di intrattenere un’unità e una speranza radicali, o se i nostri poteri istituzionali chiuderanno ancora una volta le porte. Una vittoria di Mamdani convaliderebbe simbolicamente e materialmente il Secondo Cerchio, dimostrando che i lavoratori, i giovani, gli immigrati e i newyorkesi comuni possono strappare il potere alle élite centriste. Anche se fosse sconfitta, la coalizione ribelle ha già smascherato il giornalismo dell’esclusione e gettato le basi per future conquiste. Traduzione dall’inglese di Anna Polo       Partha Banerjee
Francia, la legge di bilancio accende la miccia: il 10 settembre “Bloquons tout”
Un breve resoconto cronologico degli eventi: il 15 luglio il governo del repubblicano Bayrou ha proposto una legge di bilancio sui binari dell’austerità, con tagli sociali che si aggirano intorno ai 44 miliardi di euro: due giorni festivi cancellati, tagli massicci alla sanità, congelamento delle pensioni e la soppressione di […] L'articolo Francia, la legge di bilancio accende la miccia: il 10 settembre “Bloquons tout” su Contropiano.
Noi non lavoriamo per la guerra!
1° settembre Giornata Internazionale di azione dei Sindacati per la Pace: noi non lavoriamo per la guerra Il 1° settembre è la Giornata Internazionale di azione dei sindacati per la Pace. Mai come in questo momento è necessario che in tutto il mondo i lavoratori e le lavoratrici facciano sentire […] L'articolo Noi non lavoriamo per la guerra! su Contropiano.
Il precariato Rai in mobilitazione per un giusto contratto
Ad ascoltarlo, sembra il gioco dei vasi comunicanti, ma invece dell’acqua ci sono persone in carne e ossa, con vite, competenze, esperienza, legittime aspirazioni, e comunque, alla fine un vuoto rimane. È la storia delle e degli oltre 300 precarie e precari che lavorano da anni con partita IVA nei programmi storici della Rai, da Report, Presa diretta o Chi l’ha visto?, fino a Elisir, o Agorà, solo per citarne alcune. In poche parole, le sedi Rai dei telegiornali regionali più periferici non hanno abbastanza personale, e questo è il primo vuoto. Il 5 giugno l’azienda ha siglato con i sindacati Usigrai e Unirai, e quindi senza indire un concorso pubblico (un canale previsto dalla legge), un accordo per riempire questo vuoto con le precarie e i precari che lavorano nelle trasmissioni a Roma, anche se questo accordo stabilizzerebbe solo un terzo di questo precariato romano. Non è comunque stata data indicazione dall’azienda su come le 300 persone precarie che lavorano nelle trasmissioni Rai nella capitale, che quindi danno a tutti gli effetti vita ai palinsesti, verranno sostituite. L’effetto, se non si dà una risposta concreta, è l’indebolimento di trasmissioni che fanno l’informazione nel Paese, soprattutto per quanto riguarda i programmi di inchiesta giornalistica, oltre all’allontanamento delle lavoratrici e dei lavoratori dalle trasmissioni in cui lavorano da anni. Le precarie e i precari Rai sono ormai in mobilitazione da quasi due mesi, e hanno già dato vita ad alcune proteste a Roma e a Napoli. Chiedono all’azienda di essere stabilizzate e stabilizzati con un contratto giornalistico che riconosca a pieno il lavoro che svolgono, senza dover trasferirsi. Una battaglia appena iniziata, che potrebbe entrare in connessione con altre mobilitazioni simili legate al mondo della cultura. L’intervista a Giulia Presutti, giornalista del Coordinamento programmi Rai per il giusto contratto COM’ERA LA SITUAZIONE LAVORATIVA PRIMA DELLA FIRMA DELL’ACCORDO DEL 5 GIUGNO, QUALI ERANO LE CONDIZIONI CONTRATTUALI DA CUI PARTIVATE?  Noi siamo tutte giornaliste professioniste e tutti giornalisti professionisti, quindi abbiamo superato l’esame da giornalista, ma non abbiamo il contratto giornalistico, abbiamo dei contratti a partita IVA di 11 mesi. Allo scadere del contratto ci interrompiamo per un mese, e in teoria il contratto riparte se la trasmissione in cui tu lavori ha di nuovo bisogno di te. Nel mio caso è dal 2018 che ho contratti con la Rai. Questi contratti a partita IVA di 11 mesi possono avere le seguenti voci: autrice/autore testi, regista, filmaker, presentatrice/presentatore, esperta/esperto generico. Sono delle diciture che vengono messe su questi contratti, applicati però a persone, che in molti casi, come nel mio caso, hanno il tesserino da giornalista e che nelle trasmissioni in cui lavorano svolgono mansioni giornalistiche. E quindi tu hai 11 mesi di lavoro, poi ti fermi un mese e poi ricominci. Poi ci sono i programmisti multimediali che invece sono dipendenti Rai, con una varietà di mansioni, ma che in molti casi sono professioniste e professionisti e svolgono mansioni giornalistiche. Quello che noi chiedevamo era di essere riconosciute e riconosciuti per il titolo e la professione che svolgiamo, perché facciamo il lavoro accanto a persone che hanno il contratto giornalistico e che fanno lo stesso identico lavoro nostro. Quindi c’è la o il mio collega che siede vicino a me ed è contrattualizzato correttamente. Io invece ho questo contratto a partita IVA, ma facciamo lo stesso lavoro. E INVECE CHE COSA PREVEDE L’ACCORDO SIGLATO DAI SINDACATI USIGRAI E UNIRAI? L’accordo prevede che per avere il riconoscimento di questo contratto giornalistico, che noi aspettavamo da anni, bisogna partecipare a una selezione interna alla fine della quale, se superata, 120 persone potranno andare con questo regolare contratto giornalistico nelle sedi dei telegiornali regionale. Quindi, in sostanza, lasciare le trasmissioni dove lavoriamo per andare, in virtù di quel contratto lì, nelle sedi regionali, ma solo in quelle più periferiche. Questo accordo prevede una selezione, quindi in realtà questi 120 posti comunque non coprono il bacino costituito dalle figure come la mia, perché siamo circa 300. Ci sono anche 7 posti che l’azienda si riserva di assegnare ai primi e più meritevoli su Roma, ma sono solo 7. C’è questo elemento, cioè io ti do il contratto, ma devi lasciare quello che stai facendo, devi lasciare la tua vita privata e devi allontanarti. Questo provoca anche un altro effetto che è quello di sguarnire le redazioni nelle quali lavoriamo. Perché per esempio a Report siamo 16, a Presa diretta ci sono circa 10 persone, a Mi manda Rai Tre ci sono circa 10 e così via. A La vita in diretta sono 25 persone. Tutte risorse precarie o il cui contratto non rispecchia la loro professione da giornalista. Tutte figure che possono accedere a questa selezione e che quindi se la superano vanno via. Noi facciamo le trasmissioni quotidianamente, siamo nell’organico di queste trasmissioni, come dicevo nel mio caso è dal 2018 che mi viene rinnovato il contratto. MA QUINDI LE REDAZIONI, PER COPRIRE QUESTE MANCANZE CHE SI VERRANNO A CREARE, POTREBBERO ASSUMERE NUOVE RISORSE PRECARIE? Noi non abbiamo capito come saremmo sostituite e sostituiti. Se mandarci nelle sedi regionali è la soluzione al precariato in Rai significa veramente sguarnire le redazioni, se si pensa di non sostituirci. Se invece verremo sostituite e sostituiti con nuove partite IVA, si creeranno altre figure precarie. Perché mentre noi dovremmo andare a coprire i buchi nelle regioni, non viene fatto un concorso o una selezione per stabilizzare dentro alle direzioni dell’Approfondimento e del Day time. Mi spiego meglio. [Dal 2015, ndr] le trasmissioni Rai ricadono sotto a due direzioni di genere: l’Approfondimento e il Day time. Per esempio La vita in diretta, Uno Mattina, sono Daytime. Report, Presa diretta e Agorà sono Approfondimento. Non c’è più la direzione di Rai 1, Rai 2 e Rai 3. Esistono i tre canali, ma non c’è più una direzione per ogni canale, con il direttore di un determinato canale. C’è la direzione dell’Approfondimento e c’è la direzione Day time, con dentro con tutte queste trasmissioni che vanno in onda sui vari canali. Quindi, siccome non c’è in previsione una selezione [un concorso, ndr] per assumere dentro a queste direzioni [Approfondimento e Day time, ndr], non si è capito come verremo sostituite e sostituiti quando verremo inviate e inviati ai telegiornali regionali, perché l’unico modo per sostituirci sarebbe stipulare altri contratti precari, senza appunto risolvere il problema del precariato in Rai. L’assunzione in Rai può essere fatta per selezione pubblica, tanto che l’Usigrai ha chiesto fortemente e ha anche ottenuto dentro a questo accordo che venisse preso l’impegno da parte dell’azienda a fare un concorso pubblico, che però da quello che ho capito sarà sempre relativo a coprire i posti vacanti nelle sedi regionali. Oppure prevede che l’azienda possa fare degli accordi coi sindacati, sempre per le assunzioni. In questo caso siamo nella seconda situazione. QUALE SARÀ LA CONSEGUENZA DI QUESTO ACCORDO PER LE REDAZIONI DELLE TRASMISSIONI RAI? L’esito sarà l’indebolimento delle trasmissioni che sono innanzitutto di grande successo, quindi non si capisce perché creare un problema a trasmissioni, come Report, che fanno ascolti a doppia cifra e che quindi sono molto apprezzate e producono valore aggiunto per l’azienda. Quello che noi abbiamo denunciato è il fatto che con questo accordo viene penalizzato il giornalismo d’inchiesta e l’approfondimento, ma a pagarne il prezzo sarà la qualità dell’informazione all’interno delle reti Rai, perché l’accordo è mirato a coprire i vuoti di organico nei telegiornali regionali, come se il giornalismo venisse fatto solo nei telegiornali. Ma si dimentica di sancire il principio che anche nelle reti si fa giornalismo. E nelle reti che cosa ci sta? Ci sono le trasmissioni storiche, quelle che hanno fatto la storia del servizio pubblico, quelle che rappresentano la grande tradizione di racconto d’inchiesta, di reportage. Penso a Report, a Presa diretta, a Mi manda Raitre, i marchi storici della Rai, Chi l’ha visto?. Ma anche La vita in diretta che fa informazione, che fa cronaca. Uno Mattina, Elisir, che fa giornalismo scientifico. Le precarie e i precari di queste trasmissioni fanno parte del nostro coordinamento di lotta, perché in tutte queste redazioni lavorano figure professionali precarie e irregolari. E nel momento in cui tu togli le persone a queste trasmissioni, le fai un danno. Quindi la nostra denuncia è che così vengono penalizzati dei contenitori storici che fanno inchiesta, approfondimento e informazione. E che esprimono una tradizione del giornalismo del nostro Paese, il cui valore è innegabile. DI FRONTE ALLE VOSTRE RAGIONI COME RISPONDE L’AZIENDA? Non ha risposto su come pensa di ovviare al problema. Noi abbiamo denunciato questo: siamo persone che hanno competenze specifiche all’interno di quelle trasmissioni. C’è il giornalismo d’inchiesta, ci sono le giornaliste e i giornalisti che fanno esteri, quelle e quelli che fanno giornalismo scientifico, che non è la stessa cosa che farà un telegiornale. Non è meglio né peggio, è solo diverso. C’è la cronaca nera, c’è il racconto del quotidiano. Noi abbiamo chiesto all’azienda di considerare che questo è un patrimonio di professionalità e di competenze sul quale l’azienda stessa ha investito ed è un know-how che non si può disperdere. Ma l’azienda su questo non ha risposto. Cioè l’azienda ha questo problema del vuoto d’organico nelle sedi regionali che deve risolvere e lo sta risolvendo in questa maniera. Nel contratto di servizio, sulla base del quale la Rai prende il canone, è garantito l’organico dei telegiornali regionali, perché la Rai deve stare sui territori e deve raccontare i territori, ma è garantito pure il giornalismo d’inchiesta. La Rai prende il canone anche sulla base di questa voce qui, cioè dal fatto che fa giornalismo d’inchiesta e fare giornalismo d’inchiesta per il servizio pubblico radiotelevisivo è la forma più alta di libertà di espressione, perché tu non hai l’editore, il tuo editore sono le cittadine e i cittadini, le e i contribuenti. Non voglio dire con questo che non si faccia giornalismo d’inchiesta anche da altre parti. Ma deve esistere e deve essere preservato il giornalismo d’inchiesta sotto al cappello del servizio pubblico radiotelevisivo, dove non hai un editore ma soltanto chi paga il canone. Da parte dell’amministrazione dell’azienda c’è stato subito l’interessamento del consigliere Roberto Natale, il quale ha detto che l’accordo sui telegiornali regionali era necessario perché andava tutelato il giornalismo sul territorio, ma che non bisognava svuotare le trasmissioni storiche perché è necessario preservare il patrimonio di competenze che è costituito con queste professionalità. La risposta che ci è quindi arrivata è stata una manifestazione di intenti, ma solo da parte della minoranza del consiglio di amministrazioni della Rai. PENSATE DI CREARE CONVERGENZA CON ALTRI SETTORI CHE STANNO SUBENDO QUESTO STESSO TIPO DI DEFINANZIAMENTO PUBBLICO? Stiamo contattando alcune lotte, come quelle delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, che hanno rivendicazioni simili alle nostre sui contratti, sui fondi, ma anche dal punto di vista della produzione culturale, perché la Rai poi è la prima industria culturale del Paese. Abbiamo iniziato a creare dei contatti anche con il mondo della scuola. E anche con altre giornaliste e altri giornalisti che hanno delle rivendicazioni all’interno di altre aziende, tipo quelli de La 7. Chiaramente stiamo in mobilitazione solo da due mesi, quindi prima di mettere in relazione le lotte dobbiamo strutturare la nostra vertenza per poi connetterci, però questa è una cosa che abbiamo già cominciato a fare. L’immagine di copertina è di Coordinamento programmi RAI per il giusto contratto SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il precariato Rai in mobilitazione per un giusto contratto proviene da DINAMOpress.
ANALISI CRITICA DEI FATTI ECONOMICI CON ANDREA FUMAGALLI: L’INCONTRO SINDACATI – CONFINDUSTRIA, LE SPESE MILITARI NATO, “NO SPACE FOR BEZOS” E IL RISIKO BANCARIO
Consueto appuntamento del venerdì mattina: l’analisi critica dei fatti economici della settimana con l’economista e collaboratore di Radio Onda d’Urto, Andrea Fumagalli. I temi della puntata di oggi, venerdì 27 giugno: l’incontro sindacati Confindustria, la decisione degli alleati Nato di aumentare al 5% del Pil le spese militari, le proteste del collettivo No space for Bezos alle sue nozze a Venezia e il risiko bancario, stavolta con Monte dei Paschi di Siena. Dopo un anno, riparte il confronto tra Confindustria e sindacati confederali e, stando alle dichiarazioni di tutti i protagonisti, riparte alla grande. Portando con sé anche lo sblocco del contratto dei metalmeccanici: come ha dichiarato il presidente degli industriali Emanuele Orsini. Nelle tre ore di confronto, nella sede confindustriale, Orsini e i tre leader sindacali Maurizio Landini, Daniela Fumarola e Pierpaolo Bombardieri hanno parlato di tutto. Dalla revisione del patto della fabbrica alle politiche industriali, dalla rappresentanza alla sicurezza sul lavoro, passando, anche, per i contratti ancora bloccati, in primo luogo, appunto, quello dei metalmeccanici. Al vertice Nato del 24 e 25 giugno, oltre alle guerre in Ucraina e Medio Oriente, si è parlato e deciso il nuovo budget occidentale per quanto riguarda le spese militari. Gli alleati si sono impegnati ad investire il 5% del Pil annuo in difesa e nelle spese relative alla sicurezza entro il 2035. In Italia si passerebbe dagli attuali 45 miliardi (pari a circa il 2% del Pil) di cui 35 miliardi in difesa e 10 in sicurezza, a 145 miliardi. E ancora: Monte dei Paschi di Siena ha comunicato di aver ricevuto dalla Banca Centrale Europea l’autorizzazione all’acquisizione del controllo diretto di Mediobanca.Che cosa rappresenta questo passaggio? Infine Venezia, con la coalizione No Space for Bezos impegnata a denunciare la svendita di un pezzo intero di città, occupata dalle nozze del patron di Amazon, Jeff Bezos, a Venezia. Una galassia degli attivisti che criticano questo farzoso matrimonio che si oppongono alla mercificazione e alla privatizzazione degli spazi pubblici. Andrea Fumagalli, docente di economia politica all’università di Pavia, nella conversazione di venerdì 27 giugno 2025. Ascolta o scarica  
Indice dei diritti globali CSI 2025: crollano i diritti dei lavoratori nel mondo e l’Italia retrocede
E’ stata pubblicata nei giorni scorsi la dodicesima edizione dell’Indice dei diritti globali della Confederazione Sindacale Internazionale (ITUC), l’unico studio annuale completo a livello mondiale sulle violazioni dei diritti dei lavoratori, libertà che costituiscono la base dello stato di diritto democratico e di condizioni di lavoro eque per tutti. Un Indice che quest’anno rivela una crisi globale grave e in peggioramento per lavoratori e sindacati: nel 2025, le valutazioni medie dei Paesi sono peggiorate in tre regioni del mondo su cinque, con Europa e Americhe che hanno registrato i peggiori punteggi dall’inizio dell’Indice nel 2014. È allarmante che solo sette dei 151 Paesi intervistati abbiano ottenuto la valutazione più alta. I dati mostrano un forte aumento delle violazioni dei diritti fondamentali, tra cui l’accesso alla giustizia, il diritto alla libertà di parola e di riunione e il diritto alla contrattazione collettiva. E’ in atto, certifica l’Indice, un attacco concertato e continuo da parte delle autorità statali e delle aziende che minano la democrazia, i diritti e il benessere dei lavoratori. Sempre più spesso, questo attacco è orchestrato da demagoghi di estrema destra, sostenuti da miliardari determinati a rimodellare il mondo secondo i propri interessi a spese dei lavoratori comuni. Queste le principali evidenze dell’Indice 2025: nel 72% dei Paesi i lavoratori hanno avuto un accesso limitato o nullo alla giustizia, con un forte aumento rispetto al 65% del 2024; sono stati segnalati attacchi ai diritti alla libertà di parola e di riunione nel 45% dei Paesi, un livello record per l’Indice e un aumento rispetto al 43% del 2024; il diritto di sciopero è stato violato nell’87% dei Paesi, una percentuale invariata rispetto al picco massimo dell’Indice registrato nel 2024, pari a 131 Paesi; il diritto alla registrazione legale dei sindacati è stato ostacolato nel 74% dei Paesi, una percentuale invariata rispetto al 2024 e che rappresenta il livello peggiore dall’inizio dell’indice; il diritto alla contrattazione collettiva è stato limitato nell’80% dei Paesi, rispetto al 79% del 2024; le autorità di 71 Paesi (47%) hanno arrestato e/o incarcerato lavoratori, un miglioramento marginale rispetto al 2024, ma quasi il doppio del tasso registrato nel 2014; in tre Paesi su quattro ai lavoratori è stato negato il diritto alla libertà di associazione e di organizzazione, una situazione invariata rispetto al 2024; i lavoratori hanno subito violenze nel 26% dei Paesi, in calo rispetto al 29% del 2024. Ogni anno, l’ITUC Global Rights Index valuta i Paesi in base al loro rispetto dei diritti collettivi del lavoro e documenta le violazioni dei diritti riconosciuti a livello internazionale da parte di governi e datori di lavoro. Diritti dei lavoratori sotto assedio: nel 2025 la situazione dei Paesi in peggioramento è maggiore di quella dei Paesi in miglioramento. Sono peggiorate le valutazioni di sette Paesi: Argentina, Costa Rica, Georgia, Italia, Mauritania, Niger e Panama. Tre Paesi invece hanno migliorato la loro classifica: Australia , Messico e Oman. Sebbene l’Europa rimanga, in media, la regione meno repressiva per i lavoratori, negli ultimi quattro anni si è registrato un costante peggioramento. Il punteggio medio è sceso a 2,78, il peggior punteggio dall’inizio dell’Indice, per poi scendere nuovamente rispetto al 2,73 del 2024. Ai lavoratori del 52% dei Paesi è stato negato o limitato l’accesso alla giustizia, un balzo in avanti rispetto al 32% del 2024. Quasi tre quarti dei Paesi europei hanno violato il diritto di sciopero e quasi un terzo di essi ha arrestato o trattenuto lavoratori. Più della metà ha negato o limitato l’accesso alla giustizia, con un forte aumento rispetto al 32% del 2024. Il rating della Georgia è peggiorato da 3 a 4, e quello dell’Italia è peggiorato da 1 a 2 a causa delle azioni draconiane dei rispettivi governi volte a minare i diritti dei lavoratori e delle proteste. Le autorità di Belgio, Finlandia e Francia hanno continuato a reprimere i lavoratori in sciopero, mentre i governi di Albania, Ungheria, Moldavia, Montenegro e Regno Unito hanno abusato dei poteri legali ampliando eccessivamente la definizione di “servizi essenziali” per limitare il diritto di sciopero. In Grecia, Ungheria, Serbia, Svizzera e Turchia, le aziende hanno attivamente minato l’attività sindacale a scapito dei dipendenti. Questo clima anti-lavoratore ha visto anche l’emergere di “sindacati gialli” dominati dai datori di lavoro in Armenia, Grecia, Paesi Bassi, Moldavia e Macedonia del Nord. “L’ascesa di partiti e movimenti politici di estrema destra in tutta Europa, si legge nel Report, ha aumentato il rischio di un’ulteriore erosione dei diritti dei lavoratori e dei sindacati. I risultati dell’ITUC Global Rights Index di quest’anno dimostrano ulteriormente che le nostre libertà democratiche sono sotto attacco da parte di un numero sempre più esiguo di persone che controllano una fetta sempre più sproporzionata della torta. Oggi, una frazione minuscola della popolazione mondiale – meno dell’1% – controlla quasi la metà della ricchezza mondiale. Questa concentrazione di potere economico consente a un piccolo gruppo di miliardari di esercitare un’influenza sproporzionata sui processi decisionali globali, compresi i diritti e le tutele del lavoro, che incidono direttamente sulla vita dei lavoratori che sostengono l’economia globale. Questo colpo di stato alla democrazia è spesso orchestrato da politici di estrema destra e dai loro sostenitori miliardari non eletti”. Per la CGIL “il nuovo Global Rights Index 2025 della Confederazione Sindacale Internazionale (ITUC) lancia un allarme chiaro e preoccupante: i diritti dei lavoratori sono in caduta libera in tutto il mondo. Particolarmente grave è la situazione in Europa, dove si registra il peggior punteggio dall’inizio del monitoraggio nel 2014. Tra i Paesi protagonisti di un netto arretramento figura l’Italia, che scivola al livello 2, segnalando violazioni ricorrenti dei diritti fondamentali dei lavoratori. L’Italia è un caso emblematico di deriva autoritaria, risultato diretto delle politiche neoliberiste e autoritarie adottate dal governo guidato da Giorgia Meloni, che ha intrapreso un percorso di sistematica repressione delle libertà sindacali e dei diritti collettivi. L’attacco ai sindacati, con una criminalizzazione crescente delle mobilitazioni e una retorica delegittimante verso le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative; il Decreto Sicurezza, adottato bypassando il confronto parlamentare, che limita drasticamente il diritto di manifestare, rendendo sempre più difficile esprimere dissenso sociale in maniera pubblica e pacifica e la precettazione arbitraria del diritto di sciopero, trasformata da strumento di garanzia in un mezzo di repressione, utilizzato contro lavoratori della sanità, dei trasporti e della scuola, compromettono gravemente le libertà democratiche e pongono l’Italia in contrasto con le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, su cui si basa il ranking dell’ITUC.” Qui per approfondire e scaricare l’Indice: https://www.ituc-csi.org/global-rights-index. Giovanni Caprio