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La lezione di Genova
Da quasi 60 anni le cariche contro gli operai in una manifestazione con CgilCislUil segnano il superamento di una linea rossa che quasi nessun governo ha osato oltrepassare. L’ultimo episodio rilevante erano state le cariche contro i metalmeccanici della Fiom, a Roma, guidati da Maurizio Landini, il 30 ottobre del […] L'articolo La lezione di Genova su Contropiano.
Donne d’Eritrea al centro del cambiamento
Nei mercati di Asmara e nei villaggi rurali, le donne eritree reggono l’economia familiare tra agricoltura, artigianato e cura domestica. Un progetto di cooperazione internazionale offre formazione e strumenti per trasformare resilienza in autonomia, aprendo nuove opportunità di lavoro dignitoso, inclusione sociale ed empowerment femminile. In Eritrea il lavoro delle donne è molto più di una necessità economica: è un atto quotidiano di resilienza, di costruzione del futuro e di partecipazione silenziosa allo sviluppo del Paese. Nei mercati di Asmara, nei villaggi rurali del Gash Barka e nelle regioni montuose del nord, le donne sono protagoniste della sopravvivenza delle famiglie, combinando la cura dei figli e della casa, con il lavoro nei campi, le attività artigianali di piccolo commercio e l’allevamento di animali. Le testimonianze raccolte restituiscono un quadro complesso: da un lato la fierezza di contribuire al benessere della comunità, dall’altro la consapevolezza delle difficoltà legate alla mancanza di strumenti, di formazione e di accesso a opportunità lavorative, dignitose e stabili. La trasmissione di competenze e l’accesso a percorsi di formazione professionale diventano quindi leve fondamentali per garantire sicurezza alimentare e nuove prospettive occupazionali. Allo stesso tempo, la formazione diventa anche uno strumento di empowerment che rafforza la consapevolezza dei propri diritti e che favorisce una partecipazione più attiva e inclusiva ai processi di cambiamento. Questo concetto diventa ancora più fondamentale per le donne, maggiormente escluse dalle opportunità educative e formative e quindi dal mondo del lavoro, in particolare per coloro che fanno parte del 75% della popolazione del Paese che vive in zone rurali, lontane dalla capitale Asmara. È in questo contesto che si inserisce il progetto di cooperazione internazionale “Miglioramento della sicurezza alimentare e dell’accesso al mercato del lavoro in Eritrea”, promosso da Nexus Emilia Romagna ETS con l’obiettivo di migliorare le condizioni di inclusione socio-economica delle fasce di popolazione più vulnerabili. Attraverso interventi di formazione tecnico-professionale e dotazione di materiali, il progetto intende migliorare la sicurezza alimentare, la consapevolezza e la possibilità di lavoro dignitoso per le persone più vulnerabili e residenti nelle aree rurali del Paese, con un’attenzione particolare a donne, giovani e persone con disabilità. l progetto pone grande enfasi sulla parità di genere e sull’inclusione sociale. La maggioranza dei beneficiari dei corsi di formazione professionale sono donne, in particolare provenienti da piccoli villaggi rurali. Donne con voglia di apprendere e avere alternative per il futuro che non siano solo la cura dei figli e della casa: un desiderio di empowerment economico che va oltre al desiderio di inclusione sociale. Le attività formative pratiche e teoriche sono state pensate per creare prospettive professionali concrete per chi in genere è escluso da tali opportunità. I moduli proposti garantiscono loro l’acquisizione delle competenze necessarie per l’accesso al mondo del lavoro e per raggiungere un’autonomia economica. Una beneficiaria del progetto ha raccontato quanto sia difficile conciliare vita lavorativa e familiare in un contesto che richiede forza, sacrificio e una costante capacità di adattamento. Grazie al corso di formazione in cucina ha trovato lavoro in una mensa dotata di asilo, che le permette di lavorare e contemporaneamente accudire il figlio. Altre beneficiarie, impegnate in attività agricole informali, hanno sottolineato come spesso il loro contributo non venga riconosciuto come “lavoro vero e proprio”, pur rappresentando una parte essenziale del reddito familiare. Una giovane donna, che ha partecipato al corso di formazione in agricoltura, ha trasformato il suo campo in una fonte affidabile di cibo per la sua famiglia e riesce a vendere l’eccedenza al mercato locale; ha raccontato che questo nuovo lavoro le ha permesso non solo di guadagnare un reddito che prima non aveva, ma anche di rivendicare diritti e riconoscimento sociale. Inoltre, la partecipazione al corso le ha permesso di conoscere altre donne, confrontarsi e scambiare idee. Queste testimonianze mettono in luce il cuore della questione: in Eritrea, come in molti altri Paesi del mondo, il lavoro femminile è imprescindibile, ma resta ancora fragile e necessita tutele. Il progetto si inserisce nel percorso intrapreso dall’Eritrea nel 1995 con la ratifica della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) che, pur complesso, sta aprendo nuovi spazi di partecipazione femminile. Uno degli attori principali di questo processo, e partner del progetto, è NCEW (National Confederation of Eritrean Workers), l’organizzazione sindacale nata ufficialmente nel 1994, ma con radici che affondano nella lunga storia del movimento operaio eritreo. La parità di genere è uno degli ambiti fondamentali del lavoro sindacale: NCEW promuove momenti di formazione, sensibilizzazione e iniziative volte a prevenire discriminazioni, molestie e violenze. Attraverso corsi, seminari e programmi di empowerment, l’organizzazione fornisce strumenti concreti alle lavoratrici per accedere a differenti opportunità professionali e, quindi, contribuire attivamente alla vita sociale ed economica del Paese. La parità di genere – insieme ad altri temi cruciali, quali lavoro dignitoso, salute e sicurezza sul lavoro – è stata inoltre al centro della campagna di advocacy, promossa nell’ambito del progetto e portata avanti da NCEW, che ha raggiunto un ampio pubblico attraverso incontri e iniziative comunitarie. Una tematica trasversale a tutto il progetto è la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutte le attività formative prevedono infatti un modulo di base sugli aspetti principali in materia, tra cui la prevenzione di rischi e infortuni. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di un percorso formativo specifico su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La formazione è organizzata da esperti dei sindacati italiani ed è rivolta a persone appartenenti a unità sindacali di base; è prevista anche la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e di toolkit di diversa natura per poter replicare la formazione a cascata nei luoghi di lavoro. L’attenzione alle questioni di genere, alle disabilità e alla sicurezza nei luoghi di lavoro dimostra come l’iniziativa stia andando oltre l’obiettivo immediato della sicurezza alimentare, ponendo le basi per un cambiamento strutturale, in grado di incidere nel lungo periodo sulle dinamiche del mercato del lavoro in Eritrea. In un Paese complesso come l’Eritrea, dove la memoria della lotta per la libertà si intreccia con le sfide dello sviluppo contemporaneo, il lavoro femminile e giovanile diventa non solo un mezzo di sostentamento, ma anche uno strumento di emancipazione e coesione sociale. E proprio qui, nelle storie delle donne e nella capacità di valorizzarne il contributo, si intravede la speranza di un futuro più giusto, stabile e sostenibile. Medeber, Asmara, Eritrea Lavoro, diritti e inclusione Il progetto “Miglioramento della sicurezza alimentare e dell’accesso al mercato del lavoro in Eritrea” (AID 012848/01/0)intende promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro e l’integrazione socio-economica di gruppi vulnerabili, con un’attenzione particolare a donne, giovani e persone con disabilità. Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) – sede di Addis Abeba, è realizzato da Nexus Emilia Romagna ETS con Progetto Sud ETS e ISCOS e il partner locale NCEW, in collaborazione con CGIL, CISL e UIL. Nexus Emilia Romagna ETS Per sostenere Nexus Emilia Romagna ETS Codice Fiscale: 92036270376 Via Marconi 69, 40122 Bologna Tel.: 051 294775 Sito: www.nexusemiliaromagna.org Email: er.nexus@er.cgil.it Iban: IT85 O053 8702 Africa Rivista
A Milano corteo per la Palestina e non solo
E’ il 29 novembre 2025, Giornata Mondiale della Solidarietà col popolo palestinese e mi avvio a piedi da Piazza del Duomo a Piazza XXIV maggio in pieno quartiere Ticinese a Milano; arrivato in corso di Porta Ticinese mi rendo subito conto che la partecipazione al corteo è numerosa proprio come lo sventolio delle bandiere palestinesi ed i cartelli che gridano “Libertà per Marwan Barghouti”, l’unico palestinese veramente temuto dal governo d’Israele e dai capi di Hamas, perché in grado di mettere fine al genocidio in atto a Gaza ed ai crimini dei coloni appoggiati dall’esercito israeliano nei confronti delle famiglie palestinesi in Cisgiordania. Tanti gli striscioni e i cartelli per la liberazione dell’imam Shahin, attualmente prigioniero nel Cpr di Caltanissetta, che rischia di essere consegnato all’Egitto, con il quale il dialogo del nostro Paese continua a essere più che aperto, nonostante i pianti per l’assassinio di Giulio Regeni. Almeno in 15mila sfilano per le strade della città; non mancano numerose sigle dei sindacati di base, che oltre a gridare “Free Palestine” non tacciono sul governo Meloni e sulle condizioni sempre peggiori di lavoro, sulla precarietà, sui morti del lavoro, sulla schiavitù e sullo sfruttamento. Come ai vecchi tempi ricompaiono anche i “volantinatori” e di conseguenza i volantini fronte e retro scritti fitto fitto perché tutto stia su un foglio di carta. (avete letto bene …..di carta!). Uno di questi “piccolino nel formato” titola “Contro il piano di Trump su Gaza e i sacrifici per la guerra, per l’embargo a Israele e per buttare giù il governo Meloni con la piazza!” Su un altro volantino si legge “Contro lo sfruttamento e il riarmo! Per l’unità d’azione dei sindacati e dei lavoratori” ed io non posso che continuare a sperare che i sindacati facciano “pace con il cervello” e comincino a capire che prima dei loro piccoli interessi ci sono quelli degli sfruttati, dei poveri e della gente comune che chiede lavoro e dignità. L’unità d’azione sarebbe già un gran bel segnale! Redazione Milano
Il pessimo contratto dei metalmeccanici rafforza le ragioni dello sciopero generale il 28 novembre
Se si vuole cogliere dal vivo una delle principali ragioni per cui il sistema salariale italiano da anni precipita verso il basso ed è il peggiore tra i paesi più sviluppati, basta guardare al rinnovo del contratto dei metalmeccanici, appena sottoscritto tra FimFiomUilm e Federmeccanica. Negli ultimi anni la perdita […] L'articolo Il pessimo contratto dei metalmeccanici rafforza le ragioni dello sciopero generale il 28 novembre su Contropiano.
Persino Francesco Giavazzi scopre “la questione salariale”
Francesco Giavazzi, economista bocconiano, utraliberista convinto e orgoglioso, nel 2013 ha firmato la prefazione della nuova edizione italiana di Liberi di scegliere, testo classico di Milton Friedman ripubblicato in quell’occasione dall’Istituto Bruno Leoni, think  thank dell’ultraliberismo italiano e, recentemente, anche del negazionismo climatico. Editorialista e  commentatore del Corriere della Sera e de LaVoce.info, Francesco Giavazzi è, […] L'articolo Persino Francesco Giavazzi scopre “la questione salariale” su Contropiano.
EX-ILVA: “PRESENTATO UN PIANO DI CHIUSURA SENZA SOLUZIONI PER I LAVORATORI”. SINDACATI ABBANDONANO IL TAVOLO CON IL GOVERNO
I sindacati Fiom Cgil, Fim-Cisl, Uilm-Uil, Ugl metalmeccanici, Usb e Federmanager hanno abbandonato ieri, martedì 11 novembre 2025, il tavolo di discussione sulla situazione dell’ex-Ilva con il governo, i commissari straordinari di Acciaierie d’Italia e i commissari straordinari del gruppo Ilva al termine di una giornata di discussione dalla quale è emerso che le cassa integrazione, a gennaio 2026, potrebbero arrivare a quota 6.000. “Il piano di decarbonizzazione presentato dal governo è in realtà un piano di chiusura dell’ex-Ilva senza alcuna soluzione per i lavoratori e le loro famiglie”. Così Francesco Rizzo, dell’Usb di Taranto, spiega ai microfoni di Radio Onda d’Urto il motivo della rottura della trattativa da parte delle organizzazioni sindacali. Ascolta o scarica.
Dallo sciopero di tutt3 allo sciopero per tutt3
Nelle ultime settimane, il dibattito pubblico è stato dominato dallo sciopero, inteso come un evento dai molteplici significati. Lo sciopero è stato: spauracchio del Governo, occasione di convergenza per le lotte, ma anche affermazione di “potere” e autonomia per le organizzazioni sindacali. Per quanto mi riguarda, lo sciopero mi coinvolge profondamente per tre motivi che ne definiscono la centralità nel mio percorso di vita: 1. Biografico: essendo figlio di un sindacalista, questa parola è sempre risuonata in casa, e lo sciopero, nella mia fantasia di bambino, era il supremo strumento di difesa contro i “cattivi” (i padroni). 2. Militante: ricordo chiaramente che uno dei primi dibattiti a cui mi approcciai nel 2008, durante il movimento dell’Onda, riguardava la possibilità di generalizzare lo sciopero, chiedendo già allora una convocazione unitaria alla Cgil e ai sindacati di base. 3. Professionale: come giuslavorista che si posiziona esclusivamente dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori (e che si occupa, tra l’altro, del settore legale e contenzioso delle Clap – Camere del Lavoro Autonomo e Precario), l’irruzione dello sciopero come momento costituente di un diritto “partigiano” (ossia contrapposto agli interessi di un’altra parte) è un ossessivo campo di studio e ricerca. > Da sempre, dunque, cerco di trovare un punto di incontro con la potenza dello > sciopero. Punto di incontro che si è concretizzato nelle giornate di lotta del > 22 settembre e, soprattutto, del 3 ottobre 2025. Per centinaia di migliaia di persone, lo sciopero, oltre a essere generale e generalizzato, è stato il primo tentativo riuscito di sciopero sociale e intersezionale — nella definizione data da Angela Davis, in cui a intersecarsi sono le lotte e non le identità. Ciò è avvenuto mediante la pratica concreta (e non la semplice evocazione) della convergenza, come momento di incontro e, allo stesso tempo di moltiplicazione e sintesi di pratiche e parole d’ordine. Le giornate di settembre e ottobre sono state a tutti gli effetti una “irruzione improvvisa in un momento imprevisto” (per fare proprie le parole di Bensaid) in grado di rompere la ciclicità e la liturgia degli scioperi generali degli ultimi tempi. Lo hanno strappato via dal ruolo di mera testimonianza in cui spesso era ricaduto negli ultimi anni, affermandone invece la propria originaria potenza. Hanno re-introdotto nel dibattito pubblico la legittimità dello sciopero “politico” (avversato per anni da politici, addetti ai lavori e settori della magistratura, che ancora oggi puntano a limitarne la forza propulsiva e trasformativa), in cui l’azione non si limita ad agire solo sul piano dell’economico, ma diventa leva di trasformazione sociale, nonché formidabile arma collettiva in grado di assicurare l’emancipazione delle subalterne e dei subalterni, mettendo in discussione il rapporto sociale di sfruttamento che ordina le nostre vite. LA POTENZA DELLO SCIOPERO IN GRADO DI DISARTICOLARE LA LEGGE La forza dirompente di queste mobilitazioni è nata dalla combinazione di rivendicazioni di portata globale e nazionale: * L’opposizione al genocidio e la richiesta di liberazione di Gaza. * La pratica della violazione dell’illegittimo blocco navale imposto dallo stato di Israele (attraverso l’azione della Global Sumud Flottilla) e il blocco dei flussi e delle stazioni. * Le lotte contro il cosiddetto regime di guerra imposto nel nostro Paese, che si manifesta mediante la militarizzazione della società, il controllo sui corpi, la guerra in ottica familista e patriarcale alle soggettività transfemministe lgbtqia+, nella gestione delle risorse per la riconversione bellica, e dallo spostamento delle risorse pubbliche sulle politiche di riarmo a scapito di salari da fame, assenza di welfare e un processo di impoverimento generale della società. Tutte queste ragioni hanno dato vita alla eccezionale piazza del 22 settembre, promossa da alcune organizzazioni sindacali. In quell’occasione, la grande assente è stata la Cgil, la quale, costretta a rimediare a tale sottovalutazione, ha proclamato anch’essa il successivo sciopero generale del 3 ottobre. Questo ha permesso di realizzare il primo sciopero unitario e convergente della storia repubblicana su temi così ampi. Espressioni del sindacalismo conflittuale e di base (Clap, Adl Cobas, Cobas, Sial Cobas) e, ovviamente, Usb hanno proclamato e/o aderito allo sciopero generale unitamente alla Cgil, sfidando anche i veti della Commissione di garanzia. > Si è fatto in modo che questo strumento, sebbene prerogativa delle > organizzazioni sindacali, diventasse davvero esercizio concreto di un diritto > a lottare da parte di lavoratrici e lavoratori, studentesse, studenti, > migranti, di tutte le oppresse e gli oppressi. In quanto scioperi politici, quelli del 22 settembre e 3 ottobre sono stati anche momenti di lotta in grado di disarticolare la cogenza della legge e porre le basi per la (ri)affermazione di diritti. La loro efficacia è risieduta anche nella capacità di bloccare o rendere impraticabile l’attuazione di leggi regressive, come la Legge 146 del 1990 che limita lo sciopero generale nei servizi essenziali, inibendo altresì il potere di precettazione solo minacciato da Salvini, nonché la liberticida Legge “Sicurezza”. Insomma, gli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre hanno determinato una cesura, un prima e dopo da cui da più parti e in più occasioni si è detto di “non voler tornare indietro”. SFUGGIRE ALLA RESTAURAZIONE Tuttavia, il dibattito e lo scontro che si è realizzato subito dopo il 3 ottobre è noto e sta rischiando di cancellare la potenza espressa dalle mobilitazioni contro il Genocidio a Gaza e il regime di guerra in corso. Oggi, infatti, ci troviamo con due date di sciopero generale proclamate: 1. 28 novembre: proclamato dapprima da Cub e Usb contro la Legge di Bilancio, con un piglio “avanguardistico” che ha agito, in maniera dissonante, al di fuori dei meccanismi di organizzazione che hanno permesso la riuscita degli scioperi unitari. Altre realtà sociali (tra cui le stesse Clap, Cobas, Adl Cobas, Sgb, Sial Cobas), singole e singoli, hanno scelto responsabilmente e lucidamente di confluire e costruire il 28 novembre, per mantenere aperto il processo di mobilitazione, cosi come richiesto a gran voce da quel complesso mondo di realtà associative, spazi sociali, singole e singole che si sono ritrovate sotto il nome di “equipaggi di terra”. 2. 12 dicembre: Nonostante gli appelli a confluire e “ripetere il 3 ottobre”, la Cgil ha deciso di convocare uno sciopero generale contro la Legge di Bilancio in questa data, presumibilmente a legge già approvata. > I motivi di tale divaricazione sono vari e, visti dalla prospettiva del > conflitto sociale aperto nel mese di settembre, e tutt’ora attuali, davvero > poco validi e ragionevoli. Indubbiamente, ha ragione il prof. Antonio Di Stasi quando sostiene che molti quadri delle organizzazioni sindacali di base e la Cgil si portano dietro una ferita storica risalente sia alla nascita del sindacalismo di base come scissione “a sinistra”, sia a quanto accaduto nel movimento del ’77 con la cacciata di Lama. Una ferita evidentemente non ancora rimarginata e tramandata. Da questo punto di vista forse aiuterebbe tutte e tutti noi, e soprattutto la possibilità di sviluppo delle lotte in questo paese, liberarci di un pezzo di memoria che evidentemente agisce come un fardello e impedisce l’azione e il cambiamento. Ma c’è dell’altro: il rapporto controverso tra organizzazione sindacale e sciopero. * Le organizzazioni sindacali (dalle più grandi alle più piccole) sono meccanismi complessi, rivolti per costituzione al loro interno (iscritte e iscritti), e la loro azione e rappresentanza riguarda soprattutto quest’ultimi. Di ciò bisogna tener conto quando si valutano le loro scelte. È innegabile che ogni organizzazioni sindacali risponda a una propria legittima autonomia, basata su logiche interne, identità specifiche e percorsi decisionali. * Invece, lo sciopero, la cui convocazione spetta alle organizzazioni sindacali, è in verità di tutte e tutti quelli che vogliono aderire, a prescindere dall’iscrizione. Dunque, la proclamazione ha ragioni “interne”, legate alle piattaforme varate in seno all’organizzazione, e da questo punto di vista potremmo dire che lo sciopero è di tutt3, ma non è detto che sia per tutt3. > Tuttavia, le ultime settimane lo hanno indicato chiaramente: lo sciopero in > grado di invertire la rotta e togliere certezze agli attori politici ed > economici di questo paese è lo sciopero “per tutt3”. Affinché lo sciopero sia per tutt3, è necessario fare come si è fatto il 3 ottobre: mettere lo sciopero a disposizione, convergere su un’unica data, e agire come moltiplicatori della “potenza” richiesta da molt3 attivist3, sindacalist3, realtà associative e singoli. Far dialogare le ragioni “interne” con quelle esterne è possibile. È possibile che sulla stessa data convergano organizzazioni sindacali differenti con parole d’ordine e pratiche diverse. Serve individuare un minimo comune denominatore fatto di rivendicazioni unificanti, pratiche e linguaggi funzionali allo sviluppo della mobilitazione, misurandosi con una presa di parola che va ben oltre i luoghi di discussione dell’organizzazione, relazionandosi con quelle soggettività che agli scioperi contribuiscono a dare corpo, gambe e anche parola. Nulla vietava, ad esempio, che le piattaforme rivendicative venissero poste in discussione in tavoli di confronto, non solo intersindacali, ma anche in processi ampi coinvolgendo associazioni, realtà sociali, singole e singole al fine di trovare delle questioni unificanti su cui rilanciare la mobilitazione. Continuare a opporsi al genocidio a Gaza, chiedere l’interruzione degli accordi commerciali con lo Stato di Israele interrompere l’esportazione di armi, rivendicare un utilizzo della spesa pubblica per potenziare la sanità, l’istruzione, il welfare a fronte dell’aumento del Pil del 5% per il programma di riarmo, aumentare i salari, rivendicare una tassa patrimoniale, poteva essere quel programma minimo su cui dare sostanza ad una mobilitazione che al momento rischia di arenarsi. Se ciò non è accaduto, è perché le ragioni interne e di natura soggettiva sono prevalse. Si è optato per la costruzione di scioperi di organizzazione e programmatici, scioperi che potremmo definire “ordinari” e in continuità con quelli che ci sono stati prima del 22 settembre 2025. Scioperi che invece di tenere aperti e alimentare spazi di conflitto, si limitano ad affermare se stessi. È forse superfluo (ma non inutile) dirsi come questa scelta, sebbene legittima e utile per il rafforzamento del ruolo dell’organizzazione sindacale, rischia pericolosamente di cancellare l’innovazione, la dirompenza e soprattutto l’efficacia degli scioperi moltitudinari del 22 settembre e 3 ottobre 2025. IL FUTURO NON È SCRITTO… Tuttavia, una strada è stata tracciata e il finale rimane “aperto”. Sappiamo bene che i processi sono meccanismi complessi, fatti di avanzamenti, errori, deviazioni e interruzioni, siamo destinate e destinati a fallire, fallire meglio. Nonostante questa battuta d’arresto, è necessario continuare a lavorare sui meccanismi di convergenza che hanno portato a fare dello sciopero generale, sociale e convergente lo strumento di organizzazione e di lotta in grado di riaprire una stagione di conflitto in questo Paese. Affinché ciò accada è necessario continuare a far si che lo sciopero continui a essere per tutt3. Su questo aspetto, tutte le organizzazioni sindacali che si sono messe a disposizione nelle settimane passate hanno una responsabilità, da cui non possono sfuggire, nei confronti di quelle centinaia di migliaia di persone che hanno attraversato le piazze del 22 settembre e 3 ottobre. Perciò, il 28 novembre, sebbene rischi di essere depotenziato dalle dinamiche sino ad ora descritte, rimane comunque un banco di prova importantissimo per continuare a navigare in acque alte e non arenarsi su logiche che rischiano di chiudere quello che potrebbe essere il prologo di una importante stagione di lotta. La copertina è di Gabriele Campanale SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Dallo sciopero di tutt3 allo sciopero per tutt3 proviene da DINAMOpress.
Morti sul lavoro, una fiaccolata non basta
Ieri sera, 4 novembre, alcune centinaia di persone, chiamate dalla CGIL, dalla CISL e dalla UIL di Roma e del Lazio, hanno partecipato ad una fiaccolata partita dal Colosseo e arrivata, dopo aver percorso un tratto di Via dei Fori Imperiali, a Largo Matteo Ricci, il luogo del parziale crollo della Torre Medievale dei Conti. La fiaccolata voleva ricordare Octav Stroici, l’operaio rimasto sepolto dalle macerie, estratto in gravissime condizioni dopo oltre undici ore di complesse e intense operazioni di soccorso e successivamente morto in ospedale. In una nota la CGIL, la CISL e la UIL affermano: “E’ un giorno di profondo cordoglio non solo per il mondo del lavoro, ma per tutta la nostra comunità, profondamente ferita da questa tragedia. Octav è morto svolgendo un lavoro gravoso, intenso e pericoloso a 66 anni, un’età in cui non solo si dovrebbe essere dispensati da tali attività, ma in cui si dovrebbe già poter essere in pensione. Ieri, mentre seguivamo con apprensione le operazioni di soccorso, nel nostro Paese altre quattro persone sono morte sul lavoro. Una strage contro la quale serve un’azione decisa da parte delle istituzioni e del sistema delle imprese, per rafforzare e garantire le misure a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Rivolgiamo un sentito ringraziamento a tutte le lavoratrici e i lavoratori coinvolti nelle operazioni di soccorso: con professionalità e dedizione, anche a rischio della propria incolumità, hanno operato senza sosta, offrendo un esempio concreto di come il lavoro debba essere al servizio delle persone, e non fonte di morte e sofferenza. Per Octav e per tutti loro continueremo a batterci affinché il lavoro torni ad essere sinonimo di dignità e sicurezza”. Da parte mia credo che la doverosa mobilitazione di ieri sera sia stata, dal punto di vista della partecipazione, assolutamente inadeguata alla gravità dell’evento.  Il coinvolgimento delle altre categorie dei sindacati confederali è stato minimo ed è completamente mancata la solidarietà e la partecipazione delle sigle dei sindacati di base, che non mi risulta abbiano organizzato iniziative alternative, degli studenti e della associazioni e comitati della “società civile”. Un’occasione persa che chiama in causa tutti coloro che non hanno portato in piazza la propria solidale presenza. A mio parere è indispensabile che tutti i sindacati, confederali e di base, le associazioni democratiche e i partiti di opposizione (giacché quelli di governo nulla fanno se non in negativo a favore delle lavoratrici e dei lavoratori) si siedano ad un tavolo per organizzare una mobilitazione nazionale contro questa continua strage di vite umane, frutto di uno sfruttamento sempre più incontrollato ed espressione del più cinico disprezzo per la vita umana. Questo è del resto il capitalismo ormai sdoganato nelle sue forme più estreme e disumane dal pensiero neoliberista. Mauro Carlo Zanella
BELGIO: SCIOPERO GENERALE CONTRO LE RIFORME DEL GOVERNO. IL MONDO DEL LAVORO DICE NO ALLA “DISTRUZIONE SOCIALE” E BLOCCA BRUXELLES
Oggi, martedì 14 ottobre, è sciopero generale in Belgio. Blocchi e proteste si sono registrati fin dalle prime ore del mattino, con un’adesione e partecipazione altissima, aumentata ulteriormente nel corso del primo pomeriggio in concomitanza della manifestazione nazionale a Bruxelles. Organizzata dalle sigle sindacali di tutti i principali settori economici del Paese, la mobilitazione punta il dito contro le riforme del governo federale guidato da Bart De Wever, in particolare quella delle pensioni, oltre alle modifiche peggiorative al lavoro notturno e alle misure di contenimento dei costi pubblici. “Uno sciopero sindacale in piena regola – conferma ai nostri microfoni Germano Mascitelli, compagno del Parti du Travail de Belgique (Partito del Lavoro del Belgio) in collegamento da Bruxelles – che ha visto lavoratrici e lavoratori incrociare le braccia contro le riforme messe in campo da uno delle coalizioni di governo più a destra di sempre.” L’obiettivo è paralizzare il Paese per far pressione su quest’ultima, come già avvenuto a seguito dello sciopero dello scorso aprile. Chiusi per l’intero giorno i due aeroporti gli Bruxelles, bloccata in mattinata la tangenziale interna della Capitale, in cui si sono verificati anche scontri e momenti di tensione con le forze di polizia. Diverse le persone arrestate durante questa giornata di mobilitazione contro quella che i sindacati chiamano la “distruzione sociale portata avanti dall’Arizona”, nome con cui è stata ribattezzata la coalizione di governo, complici i colori dei partiti membri che richiamano quelli della bandiera dell’omonimo Stato degli USA. Abbiamo tracciato i contorni di questa giornata di lotta con Germano Mascitelli, compagno del PTB – Parti du Travail de Belgique (Partito del Lavoro del Belgio) in collegamento da Bruxelles Ascolta o scarica
“NEL MOVIMENTO DELLO SCIOPERO”: A BOLOGNA NUOVA ASSEMBLEA DI RESET AGAINST THE WAR
Reset Against the War – la Rete per lo sciopero sociale transfemminista contro la guerra – si è data appuntamento a Bologna per una nuova giornata di discussione alla luce degli eventi e delle mobilitazioni delle ultime settimane in Italia. Sabato 11 ottobre, a Porta Pratello, per tutta la giornata si sono confrontati collettivi, organizzazioni e realtà sociali, di movimento e sindacali. “Abbiamo lanciato prima dell’estate una giornata di discussione”, scrive la Rete per lo sciopero Sociale Transfemminista contro la guerra – Reset Against the War – “a partire dall’evocazione della parola d’ordine dello sciopero sociale europeo contro la guerra e il riarmo. A distanza di mesi, la giornata si colloca oggi in una fase molto diversa: il movimento dello sciopero contro la guerra si è manifestato in Italia trovando nel rifiuto del genocidio a Gaza il suo innesco. Questo movimento ha mostrato la sua forza con le grandi giornate di blocco del 22 settembre e 3 ottobre e le decine di manifestazioni di massa che hanno attraversato numerose città, non solo in Italia, fino all’immenso corteo del 4 ottobre a Roma. Di fronte a questi eventi e alle possibilità impreviste che aprono, abbiamo ritenuto necessario ripensare il programma dell’11 ottobre. Mettiamo a disposizione la giornata per un momento di discussione/assemblea pubblica e aperta, per ragionare insieme su composizione, impatto e prospettive del movimento contro il genocidio e la guerra”. La plenaria mattutina ha affrontato la questione dello sciopero come prospettiva politica e come processo, alla luce delle giornate del 22 settembre e del 3 ottobre. Dopo gli interventi introduttivi, da segnalare, tra gli altri interventi di movimento, la presa di parola delle realtà sindacali che hanno animato le recenti giornate di sciopero, Cgil, Usb, Cobas, Cub, Clap. Tutti hanno sottolineato il fatto che lo sciopero ha superato tutte le organizzazioni sindacali che lo hanno chiamato, ora si tratta di “dare gambe a questo movimento” e mantenere la sua forza di opposizione sociale al governo Meloni, soprattutto alla luce della “finanziaria di guerra” che l’esecutivo si appresta a varare. Nel pomeriggio, la discussione è ripresa con una nuova assemblea plenaria intitolata “Percorsi di lotta e sciopero sociale europeo contro la guerra”. Da Bologna Elia, della redazione di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica