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Il precariato Rai in mobilitazione per un giusto contratto
Ad ascoltarlo, sembra il gioco dei vasi comunicanti, ma invece dell’acqua ci sono persone in carne e ossa, con vite, competenze, esperienza, legittime aspirazioni, e comunque, alla fine un vuoto rimane. È la storia delle e degli oltre 300 precarie e precari che lavorano da anni con partita IVA nei programmi storici della Rai, da Report, Presa diretta o Chi l’ha visto?, fino a Elisir, o Agorà, solo per citarne alcune. In poche parole, le sedi Rai dei telegiornali regionali più periferici non hanno abbastanza personale, e questo è il primo vuoto. Il 5 giugno l’azienda ha siglato con i sindacati Usigrai e Unirai, e quindi senza indire un concorso pubblico (un canale previsto dalla legge), un accordo per riempire questo vuoto con le precarie e i precari che lavorano nelle trasmissioni a Roma, anche se questo accordo stabilizzerebbe solo un terzo di questo precariato romano. Non è comunque stata data indicazione dall’azienda su come le 300 persone precarie che lavorano nelle trasmissioni Rai nella capitale, che quindi danno a tutti gli effetti vita ai palinsesti, verranno sostituite. L’effetto, se non si dà una risposta concreta, è l’indebolimento di trasmissioni che fanno l’informazione nel Paese, soprattutto per quanto riguarda i programmi di inchiesta giornalistica, oltre all’allontanamento delle lavoratrici e dei lavoratori dalle trasmissioni in cui lavorano da anni. Le precarie e i precari Rai sono ormai in mobilitazione da quasi due mesi, e hanno già dato vita ad alcune proteste a Roma e a Napoli. Chiedono all’azienda di essere stabilizzate e stabilizzati con un contratto giornalistico che riconosca a pieno il lavoro che svolgono, senza dover trasferirsi. Una battaglia appena iniziata, che potrebbe entrare in connessione con altre mobilitazioni simili legate al mondo della cultura. L’intervista a Giulia Presutti, giornalista del Coordinamento programmi Rai per il giusto contratto COM’ERA LA SITUAZIONE LAVORATIVA PRIMA DELLA FIRMA DELL’ACCORDO DEL 5 GIUGNO, QUALI ERANO LE CONDIZIONI CONTRATTUALI DA CUI PARTIVATE?  Noi siamo tutte giornaliste professioniste e tutti giornalisti professionisti, quindi abbiamo superato l’esame da giornalista, ma non abbiamo il contratto giornalistico, abbiamo dei contratti a partita IVA di 11 mesi. Allo scadere del contratto ci interrompiamo per un mese, e in teoria il contratto riparte se la trasmissione in cui tu lavori ha di nuovo bisogno di te. Nel mio caso è dal 2018 che ho contratti con la Rai. Questi contratti a partita IVA di 11 mesi possono avere le seguenti voci: autrice/autore testi, regista, filmaker, presentatrice/presentatore, esperta/esperto generico. Sono delle diciture che vengono messe su questi contratti, applicati però a persone, che in molti casi, come nel mio caso, hanno il tesserino da giornalista e che nelle trasmissioni in cui lavorano svolgono mansioni giornalistiche. E quindi tu hai 11 mesi di lavoro, poi ti fermi un mese e poi ricominci. Poi ci sono i programmisti multimediali che invece sono dipendenti Rai, con una varietà di mansioni, ma che in molti casi sono professioniste e professionisti e svolgono mansioni giornalistiche. Quello che noi chiedevamo era di essere riconosciute e riconosciuti per il titolo e la professione che svolgiamo, perché facciamo il lavoro accanto a persone che hanno il contratto giornalistico e che fanno lo stesso identico lavoro nostro. Quindi c’è la o il mio collega che siede vicino a me ed è contrattualizzato correttamente. Io invece ho questo contratto a partita IVA, ma facciamo lo stesso lavoro. E INVECE CHE COSA PREVEDE L’ACCORDO SIGLATO DAI SINDACATI USIGRAI E UNIRAI? L’accordo prevede che per avere il riconoscimento di questo contratto giornalistico, che noi aspettavamo da anni, bisogna partecipare a una selezione interna alla fine della quale, se superata, 120 persone potranno andare con questo regolare contratto giornalistico nelle sedi dei telegiornali regionale. Quindi, in sostanza, lasciare le trasmissioni dove lavoriamo per andare, in virtù di quel contratto lì, nelle sedi regionali, ma solo in quelle più periferiche. Questo accordo prevede una selezione, quindi in realtà questi 120 posti comunque non coprono il bacino costituito dalle figure come la mia, perché siamo circa 300. Ci sono anche 7 posti che l’azienda si riserva di assegnare ai primi e più meritevoli su Roma, ma sono solo 7. C’è questo elemento, cioè io ti do il contratto, ma devi lasciare quello che stai facendo, devi lasciare la tua vita privata e devi allontanarti. Questo provoca anche un altro effetto che è quello di sguarnire le redazioni nelle quali lavoriamo. Perché per esempio a Report siamo 16, a Presa diretta ci sono circa 10 persone, a Mi manda Rai Tre ci sono circa 10 e così via. A La vita in diretta sono 25 persone. Tutte risorse precarie o il cui contratto non rispecchia la loro professione da giornalista. Tutte figure che possono accedere a questa selezione e che quindi se la superano vanno via. Noi facciamo le trasmissioni quotidianamente, siamo nell’organico di queste trasmissioni, come dicevo nel mio caso è dal 2018 che mi viene rinnovato il contratto. MA QUINDI LE REDAZIONI, PER COPRIRE QUESTE MANCANZE CHE SI VERRANNO A CREARE, POTREBBERO ASSUMERE NUOVE RISORSE PRECARIE? Noi non abbiamo capito come saremmo sostituite e sostituiti. Se mandarci nelle sedi regionali è la soluzione al precariato in Rai significa veramente sguarnire le redazioni, se si pensa di non sostituirci. Se invece verremo sostituite e sostituiti con nuove partite IVA, si creeranno altre figure precarie. Perché mentre noi dovremmo andare a coprire i buchi nelle regioni, non viene fatto un concorso o una selezione per stabilizzare dentro alle direzioni dell’Approfondimento e del Day time. Mi spiego meglio. [Dal 2015, ndr] le trasmissioni Rai ricadono sotto a due direzioni di genere: l’Approfondimento e il Day time. Per esempio La vita in diretta, Uno Mattina, sono Daytime. Report, Presa diretta e Agorà sono Approfondimento. Non c’è più la direzione di Rai 1, Rai 2 e Rai 3. Esistono i tre canali, ma non c’è più una direzione per ogni canale, con il direttore di un determinato canale. C’è la direzione dell’Approfondimento e c’è la direzione Day time, con dentro con tutte queste trasmissioni che vanno in onda sui vari canali. Quindi, siccome non c’è in previsione una selezione [un concorso, ndr] per assumere dentro a queste direzioni [Approfondimento e Day time, ndr], non si è capito come verremo sostituite e sostituiti quando verremo inviate e inviati ai telegiornali regionali, perché l’unico modo per sostituirci sarebbe stipulare altri contratti precari, senza appunto risolvere il problema del precariato in Rai. L’assunzione in Rai può essere fatta per selezione pubblica, tanto che l’Usigrai ha chiesto fortemente e ha anche ottenuto dentro a questo accordo che venisse preso l’impegno da parte dell’azienda a fare un concorso pubblico, che però da quello che ho capito sarà sempre relativo a coprire i posti vacanti nelle sedi regionali. Oppure prevede che l’azienda possa fare degli accordi coi sindacati, sempre per le assunzioni. In questo caso siamo nella seconda situazione. QUALE SARÀ LA CONSEGUENZA DI QUESTO ACCORDO PER LE REDAZIONI DELLE TRASMISSIONI RAI? L’esito sarà l’indebolimento delle trasmissioni che sono innanzitutto di grande successo, quindi non si capisce perché creare un problema a trasmissioni, come Report, che fanno ascolti a doppia cifra e che quindi sono molto apprezzate e producono valore aggiunto per l’azienda. Quello che noi abbiamo denunciato è il fatto che con questo accordo viene penalizzato il giornalismo d’inchiesta e l’approfondimento, ma a pagarne il prezzo sarà la qualità dell’informazione all’interno delle reti Rai, perché l’accordo è mirato a coprire i vuoti di organico nei telegiornali regionali, come se il giornalismo venisse fatto solo nei telegiornali. Ma si dimentica di sancire il principio che anche nelle reti si fa giornalismo. E nelle reti che cosa ci sta? Ci sono le trasmissioni storiche, quelle che hanno fatto la storia del servizio pubblico, quelle che rappresentano la grande tradizione di racconto d’inchiesta, di reportage. Penso a Report, a Presa diretta, a Mi manda Raitre, i marchi storici della Rai, Chi l’ha visto?. Ma anche La vita in diretta che fa informazione, che fa cronaca. Uno Mattina, Elisir, che fa giornalismo scientifico. Le precarie e i precari di queste trasmissioni fanno parte del nostro coordinamento di lotta, perché in tutte queste redazioni lavorano figure professionali precarie e irregolari. E nel momento in cui tu togli le persone a queste trasmissioni, le fai un danno. Quindi la nostra denuncia è che così vengono penalizzati dei contenitori storici che fanno inchiesta, approfondimento e informazione. E che esprimono una tradizione del giornalismo del nostro Paese, il cui valore è innegabile. DI FRONTE ALLE VOSTRE RAGIONI COME RISPONDE L’AZIENDA? Non ha risposto su come pensa di ovviare al problema. Noi abbiamo denunciato questo: siamo persone che hanno competenze specifiche all’interno di quelle trasmissioni. C’è il giornalismo d’inchiesta, ci sono le giornaliste e i giornalisti che fanno esteri, quelle e quelli che fanno giornalismo scientifico, che non è la stessa cosa che farà un telegiornale. Non è meglio né peggio, è solo diverso. C’è la cronaca nera, c’è il racconto del quotidiano. Noi abbiamo chiesto all’azienda di considerare che questo è un patrimonio di professionalità e di competenze sul quale l’azienda stessa ha investito ed è un know-how che non si può disperdere. Ma l’azienda su questo non ha risposto. Cioè l’azienda ha questo problema del vuoto d’organico nelle sedi regionali che deve risolvere e lo sta risolvendo in questa maniera. Nel contratto di servizio, sulla base del quale la Rai prende il canone, è garantito l’organico dei telegiornali regionali, perché la Rai deve stare sui territori e deve raccontare i territori, ma è garantito pure il giornalismo d’inchiesta. La Rai prende il canone anche sulla base di questa voce qui, cioè dal fatto che fa giornalismo d’inchiesta e fare giornalismo d’inchiesta per il servizio pubblico radiotelevisivo è la forma più alta di libertà di espressione, perché tu non hai l’editore, il tuo editore sono le cittadine e i cittadini, le e i contribuenti. Non voglio dire con questo che non si faccia giornalismo d’inchiesta anche da altre parti. Ma deve esistere e deve essere preservato il giornalismo d’inchiesta sotto al cappello del servizio pubblico radiotelevisivo, dove non hai un editore ma soltanto chi paga il canone. Da parte dell’amministrazione dell’azienda c’è stato subito l’interessamento del consigliere Roberto Natale, il quale ha detto che l’accordo sui telegiornali regionali era necessario perché andava tutelato il giornalismo sul territorio, ma che non bisognava svuotare le trasmissioni storiche perché è necessario preservare il patrimonio di competenze che è costituito con queste professionalità. La risposta che ci è quindi arrivata è stata una manifestazione di intenti, ma solo da parte della minoranza del consiglio di amministrazioni della Rai. PENSATE DI CREARE CONVERGENZA CON ALTRI SETTORI CHE STANNO SUBENDO QUESTO STESSO TIPO DI DEFINANZIAMENTO PUBBLICO? Stiamo contattando alcune lotte, come quelle delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, che hanno rivendicazioni simili alle nostre sui contratti, sui fondi, ma anche dal punto di vista della produzione culturale, perché la Rai poi è la prima industria culturale del Paese. Abbiamo iniziato a creare dei contatti anche con il mondo della scuola. E anche con altre giornaliste e altri giornalisti che hanno delle rivendicazioni all’interno di altre aziende, tipo quelli de La 7. Chiaramente stiamo in mobilitazione solo da due mesi, quindi prima di mettere in relazione le lotte dobbiamo strutturare la nostra vertenza per poi connetterci, però questa è una cosa che abbiamo già cominciato a fare. L’immagine di copertina è di Coordinamento programmi RAI per il giusto contratto SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il precariato Rai in mobilitazione per un giusto contratto proviene da DINAMOpress.
ANALISI CRITICA DEI FATTI ECONOMICI CON ANDREA FUMAGALLI: L’INCONTRO SINDACATI – CONFINDUSTRIA, LE SPESE MILITARI NATO, “NO SPACE FOR BEZOS” E IL RISIKO BANCARIO
Consueto appuntamento del venerdì mattina: l’analisi critica dei fatti economici della settimana con l’economista e collaboratore di Radio Onda d’Urto, Andrea Fumagalli. I temi della puntata di oggi, venerdì 27 giugno: l’incontro sindacati Confindustria, la decisione degli alleati Nato di aumentare al 5% del Pil le spese militari, le proteste del collettivo No space for Bezos alle sue nozze a Venezia e il risiko bancario, stavolta con Monte dei Paschi di Siena. Dopo un anno, riparte il confronto tra Confindustria e sindacati confederali e, stando alle dichiarazioni di tutti i protagonisti, riparte alla grande. Portando con sé anche lo sblocco del contratto dei metalmeccanici: come ha dichiarato il presidente degli industriali Emanuele Orsini. Nelle tre ore di confronto, nella sede confindustriale, Orsini e i tre leader sindacali Maurizio Landini, Daniela Fumarola e Pierpaolo Bombardieri hanno parlato di tutto. Dalla revisione del patto della fabbrica alle politiche industriali, dalla rappresentanza alla sicurezza sul lavoro, passando, anche, per i contratti ancora bloccati, in primo luogo, appunto, quello dei metalmeccanici. Al vertice Nato del 24 e 25 giugno, oltre alle guerre in Ucraina e Medio Oriente, si è parlato e deciso il nuovo budget occidentale per quanto riguarda le spese militari. Gli alleati si sono impegnati ad investire il 5% del Pil annuo in difesa e nelle spese relative alla sicurezza entro il 2035. In Italia si passerebbe dagli attuali 45 miliardi (pari a circa il 2% del Pil) di cui 35 miliardi in difesa e 10 in sicurezza, a 145 miliardi. E ancora: Monte dei Paschi di Siena ha comunicato di aver ricevuto dalla Banca Centrale Europea l’autorizzazione all’acquisizione del controllo diretto di Mediobanca.Che cosa rappresenta questo passaggio? Infine Venezia, con la coalizione No Space for Bezos impegnata a denunciare la svendita di un pezzo intero di città, occupata dalle nozze del patron di Amazon, Jeff Bezos, a Venezia. Una galassia degli attivisti che criticano questo farzoso matrimonio che si oppongono alla mercificazione e alla privatizzazione degli spazi pubblici. Andrea Fumagalli, docente di economia politica all’università di Pavia, nella conversazione di venerdì 27 giugno 2025. Ascolta o scarica  
Indice dei diritti globali CSI 2025: crollano i diritti dei lavoratori nel mondo e l’Italia retrocede
E’ stata pubblicata nei giorni scorsi la dodicesima edizione dell’Indice dei diritti globali della Confederazione Sindacale Internazionale (ITUC), l’unico studio annuale completo a livello mondiale sulle violazioni dei diritti dei lavoratori, libertà che costituiscono la base dello stato di diritto democratico e di condizioni di lavoro eque per tutti. Un Indice che quest’anno rivela una crisi globale grave e in peggioramento per lavoratori e sindacati: nel 2025, le valutazioni medie dei Paesi sono peggiorate in tre regioni del mondo su cinque, con Europa e Americhe che hanno registrato i peggiori punteggi dall’inizio dell’Indice nel 2014. È allarmante che solo sette dei 151 Paesi intervistati abbiano ottenuto la valutazione più alta. I dati mostrano un forte aumento delle violazioni dei diritti fondamentali, tra cui l’accesso alla giustizia, il diritto alla libertà di parola e di riunione e il diritto alla contrattazione collettiva. E’ in atto, certifica l’Indice, un attacco concertato e continuo da parte delle autorità statali e delle aziende che minano la democrazia, i diritti e il benessere dei lavoratori. Sempre più spesso, questo attacco è orchestrato da demagoghi di estrema destra, sostenuti da miliardari determinati a rimodellare il mondo secondo i propri interessi a spese dei lavoratori comuni. Queste le principali evidenze dell’Indice 2025: nel 72% dei Paesi i lavoratori hanno avuto un accesso limitato o nullo alla giustizia, con un forte aumento rispetto al 65% del 2024; sono stati segnalati attacchi ai diritti alla libertà di parola e di riunione nel 45% dei Paesi, un livello record per l’Indice e un aumento rispetto al 43% del 2024; il diritto di sciopero è stato violato nell’87% dei Paesi, una percentuale invariata rispetto al picco massimo dell’Indice registrato nel 2024, pari a 131 Paesi; il diritto alla registrazione legale dei sindacati è stato ostacolato nel 74% dei Paesi, una percentuale invariata rispetto al 2024 e che rappresenta il livello peggiore dall’inizio dell’indice; il diritto alla contrattazione collettiva è stato limitato nell’80% dei Paesi, rispetto al 79% del 2024; le autorità di 71 Paesi (47%) hanno arrestato e/o incarcerato lavoratori, un miglioramento marginale rispetto al 2024, ma quasi il doppio del tasso registrato nel 2014; in tre Paesi su quattro ai lavoratori è stato negato il diritto alla libertà di associazione e di organizzazione, una situazione invariata rispetto al 2024; i lavoratori hanno subito violenze nel 26% dei Paesi, in calo rispetto al 29% del 2024. Ogni anno, l’ITUC Global Rights Index valuta i Paesi in base al loro rispetto dei diritti collettivi del lavoro e documenta le violazioni dei diritti riconosciuti a livello internazionale da parte di governi e datori di lavoro. Diritti dei lavoratori sotto assedio: nel 2025 la situazione dei Paesi in peggioramento è maggiore di quella dei Paesi in miglioramento. Sono peggiorate le valutazioni di sette Paesi: Argentina, Costa Rica, Georgia, Italia, Mauritania, Niger e Panama. Tre Paesi invece hanno migliorato la loro classifica: Australia , Messico e Oman. Sebbene l’Europa rimanga, in media, la regione meno repressiva per i lavoratori, negli ultimi quattro anni si è registrato un costante peggioramento. Il punteggio medio è sceso a 2,78, il peggior punteggio dall’inizio dell’Indice, per poi scendere nuovamente rispetto al 2,73 del 2024. Ai lavoratori del 52% dei Paesi è stato negato o limitato l’accesso alla giustizia, un balzo in avanti rispetto al 32% del 2024. Quasi tre quarti dei Paesi europei hanno violato il diritto di sciopero e quasi un terzo di essi ha arrestato o trattenuto lavoratori. Più della metà ha negato o limitato l’accesso alla giustizia, con un forte aumento rispetto al 32% del 2024. Il rating della Georgia è peggiorato da 3 a 4, e quello dell’Italia è peggiorato da 1 a 2 a causa delle azioni draconiane dei rispettivi governi volte a minare i diritti dei lavoratori e delle proteste. Le autorità di Belgio, Finlandia e Francia hanno continuato a reprimere i lavoratori in sciopero, mentre i governi di Albania, Ungheria, Moldavia, Montenegro e Regno Unito hanno abusato dei poteri legali ampliando eccessivamente la definizione di “servizi essenziali” per limitare il diritto di sciopero. In Grecia, Ungheria, Serbia, Svizzera e Turchia, le aziende hanno attivamente minato l’attività sindacale a scapito dei dipendenti. Questo clima anti-lavoratore ha visto anche l’emergere di “sindacati gialli” dominati dai datori di lavoro in Armenia, Grecia, Paesi Bassi, Moldavia e Macedonia del Nord. “L’ascesa di partiti e movimenti politici di estrema destra in tutta Europa, si legge nel Report, ha aumentato il rischio di un’ulteriore erosione dei diritti dei lavoratori e dei sindacati. I risultati dell’ITUC Global Rights Index di quest’anno dimostrano ulteriormente che le nostre libertà democratiche sono sotto attacco da parte di un numero sempre più esiguo di persone che controllano una fetta sempre più sproporzionata della torta. Oggi, una frazione minuscola della popolazione mondiale – meno dell’1% – controlla quasi la metà della ricchezza mondiale. Questa concentrazione di potere economico consente a un piccolo gruppo di miliardari di esercitare un’influenza sproporzionata sui processi decisionali globali, compresi i diritti e le tutele del lavoro, che incidono direttamente sulla vita dei lavoratori che sostengono l’economia globale. Questo colpo di stato alla democrazia è spesso orchestrato da politici di estrema destra e dai loro sostenitori miliardari non eletti”. Per la CGIL “il nuovo Global Rights Index 2025 della Confederazione Sindacale Internazionale (ITUC) lancia un allarme chiaro e preoccupante: i diritti dei lavoratori sono in caduta libera in tutto il mondo. Particolarmente grave è la situazione in Europa, dove si registra il peggior punteggio dall’inizio del monitoraggio nel 2014. Tra i Paesi protagonisti di un netto arretramento figura l’Italia, che scivola al livello 2, segnalando violazioni ricorrenti dei diritti fondamentali dei lavoratori. L’Italia è un caso emblematico di deriva autoritaria, risultato diretto delle politiche neoliberiste e autoritarie adottate dal governo guidato da Giorgia Meloni, che ha intrapreso un percorso di sistematica repressione delle libertà sindacali e dei diritti collettivi. L’attacco ai sindacati, con una criminalizzazione crescente delle mobilitazioni e una retorica delegittimante verso le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative; il Decreto Sicurezza, adottato bypassando il confronto parlamentare, che limita drasticamente il diritto di manifestare, rendendo sempre più difficile esprimere dissenso sociale in maniera pubblica e pacifica e la precettazione arbitraria del diritto di sciopero, trasformata da strumento di garanzia in un mezzo di repressione, utilizzato contro lavoratori della sanità, dei trasporti e della scuola, compromettono gravemente le libertà democratiche e pongono l’Italia in contrasto con le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, su cui si basa il ranking dell’ITUC.” Qui per approfondire e scaricare l’Indice: https://www.ituc-csi.org/global-rights-index. Giovanni Caprio
L’India va allo sciopero generale il 9 luglio
Lo scorso 20 maggio si è svolto in India uno sciopero nazionale contro le riforme del governo Modi e per il rafforzamento delle misure di protezione sociale in tema di lavoro, promosso dalla piattaforma sindacale Central Trade Union (CTU) – che unisce in un unico cartello diverse sigle (BMS, INTUC, AITUC, CITU, AIUTUC tra tutte) – che ha rilanciato come prossima data della mobilitazione il 9 luglio. Lo sciopero (organizzato ogni anno dall’emanazione delle riforme in questione ma quest’anno apparentemente più partecipato) è stato l’occasione per migliaia di lavoratrici e lavoratori di scendere in piazza nelle principali città e nei maggiori centri industriali del Paese per chiedere il ritiro dei quattro codici del lavoro emanati tra il 2019 e il 2020 dal governo nazionalista di estrema destra guidato dal Primo Ministro Modi (Code on Wages, Industrial Relations Code, Occupational Safety, Health and Working Conditions Code e Social Security Code), giustamente definiti dai sindacati “pro-corporate”, cioè che favoriscono le élite imprenditoriali vicine al BJP a scapito dei lavoratori. Sinteticamente queste riforme, sbandierate da Modi come atto di modernizzazione necessaria per attrarre investimenti e creare posti di lavoro, prevedono la flessibilizzazione dei licenziamenti, l’aumento dell’orario lavorativo, la riduzione delle tutele sulla sicurezza e la limitazione del diritto di sciopero. Per fare solo alcuni esempi più specifici: l’Industrial Relations Code alza da cento a trecento il numero di dipendenti oltre il quale un’azienda deve chiedere permessi governativi per licenziamenti o chiusure, aumentando la precarietà e facilitando i licenziamenti, con conseguenze terribili in termini di povertà in un Paese, com’è l’India, con un debole sistema di protezione sociale. L’Occupational Safety, Health and Working Conditions Code, invece, alza a dodici le ore lavorative giornaliere (quattro di straordinario), che in un Paese con un tasso di sindacalizzazione minimo (solo il 6% di chi lavora è oggi sindacalizzato) e con solo un ispettore del lavoro ogni 10.000 lavoratori aumenta notevolmente il lavoro non retribuito. L’Industrial Relations Code a sua volta introduce requisiti più stringenti per organizzare scioperi (come preavvisi di 14 giorni e maggioranze del 75% dei lavoratori per proclamarli), limitando il numero di sindacati riconosciuti per azienda e centralizzando il potere nelle mani di organizzazioni vicine alle imprese (gli effetti disastrosi di questo codice sono stati evidenti nel 2022, quando un ampio movimento di lavoratori portuali fu represso brutalmente proprio perché non aderiva ai requisiti di legalità dell’Industrial Relations Code). Il Code on Wages, che a parole proclama l’introduzione di un salario minimo nazionale, permette ai singoli Stati di fissare soglie più basse, creando disparità regionali e innescando una corsa al ribasso dei salari per attrarre più investimenti delle aziende (si consideri che il salario minimo medio in India è di circa 178 rupie/giorno (2,15€), insufficiente per sopravvivere nelle città metropolitane). Infine, il Social Security Code esclude i lavoratori informali (circa il 93% della forza lavoro) da schemi universali, legando l’accesso a contributi individuali o ad adesioni volontarie delle aziende e lasciando senza copertura milioni di braccianti agricoli, lavoratori domestici e rider, categorie già molto esposte (oltre al fatto che l’imperante informatizzazione delle domande di welfare di fatto esclude milioni di lavoratrici e lavoratori residenti in aree rurali dall’ottenimento dei benefici della protezione sociale). Tutto ciò si inserisce in un’agenda economica fortemente liberista e centralizzante (i quattro codici trasferiscono competenze dagli stati al governo centrale, riducendo la flessibilità degli stati nel legiferare su temi lavorativi) promossa dal governo a guida BJP dal 2014 in poi, la quale in nome della “modernizzazione” e dello “sviluppo” ha spinto per riforme strutturali che attraggano investimenti stranieri e stimolino la crescita economica riducendo la già debole protezione sociale sul lavoro (si pensi solo che l’India è passata dalla 142ª posizione nel 2014 alla 63ª nel 2020 nella classifica sull’”Ease of Doing Business”, cioè la facilità di fare business, della Banca Mondiale). Nonostante gli altisonanti proclami di creazione di posti di lavoro – in India, dove la domanda di lavoro supera di gran lunga l’offerta (l’età media è 28 anni), la difficoltà a trovare lavoro è un problema sociale di fondamentale importanza – i dati mostrano che gran parte dei nuovi incarichi sono precari o a bassa produttività e la realtà è quella di un Paese sempre più diseguale. Tuttavia, le massicce proteste contro le leggi agricole del 2020 (poi ritirate) già hanno dimostrato la capacità di mobilitazione della società civile e questo è anche l’auspicio per il prossimo 9 luglio. Perché solo l’organizzazione di un fronte unito di massa e la lotta pagano. Redazione Italia
8M2025: INFORMAZIONI UTILI PER SCIOPERARE
L’8 marzo sarà sciopero transfemminista (leggi l’appello). Sarà sciopero dalla produzione e dalla riproduzione, sciopero dai consumi e dai generi. Le forme saranno plurime per estendere la pratica dello sciopero a tutti quei soggetti del lavoro e del non lavoro, del lavoro autonomo, precario, informale, nero, della formazione/lavoro che ne sono normalmente esclusi, a maggior ragione in quanto sabato.  Anche quest’anno, per l’8 marzo Non Una di Meno ha chiesto a tutte le organizzazioni sindacali di convocare lo sciopero generale di 24 ore – dunque in tutti i settori del pubblico impiego e del privato – per garantire a tuttə  lə  lavoratricə  con contratti di lavoro dipendente la possibilità di astenersi dal lavoro produttivo.  A oggi lo sciopero per la giornata dell’8 è stato proclamato da diversi sindacati a livello nazionale e regionale. (qui puoi trovare la Lettera aperta di Non Una di Meno alle sindacaliste e alle delegate e tra i materiali le proclamazioni e qui il vademecum) SCARICA QUI IL VADEMECUM SULLO SCIOPERO 8M2025Download Di seguito le proclamazioni sindacali dello sciopero (IN AGGIORNAMENTO) ADESIONE ADL CLAPDownload PROCLAMAZIONE SLAI COBASDownload PROCLAMAZIONE USB LAVORO PRIVATODownload PROCLAMAZIONE COBAS SETTORE PUBBLICODownload PROCLAMAZIONE COBAS PRIVATODownload ADESIONI CUB SANITÁDownload