Il precariato Rai in mobilitazione per un giusto contratto
Ad ascoltarlo, sembra il gioco dei vasi comunicanti, ma invece dell’acqua ci
sono persone in carne e ossa, con vite, competenze, esperienza, legittime
aspirazioni, e comunque, alla fine un vuoto rimane. È la storia delle e degli
oltre 300 precarie e precari che lavorano da anni con partita IVA nei programmi
storici della Rai, da Report, Presa diretta o Chi l’ha visto?, fino a Elisir, o
Agorà, solo per citarne alcune.
In poche parole, le sedi Rai dei telegiornali regionali più periferici non hanno
abbastanza personale, e questo è il primo vuoto. Il 5 giugno l’azienda ha
siglato con i sindacati Usigrai e Unirai, e quindi senza indire un concorso
pubblico (un canale previsto dalla legge), un accordo per riempire questo vuoto
con le precarie e i precari che lavorano nelle trasmissioni a Roma, anche se
questo accordo stabilizzerebbe solo un terzo di questo precariato romano.
Non è comunque stata data indicazione dall’azienda su come le 300 persone
precarie che lavorano nelle trasmissioni Rai nella capitale, che quindi danno a
tutti gli effetti vita ai palinsesti, verranno sostituite. L’effetto, se non si
dà una risposta concreta, è l’indebolimento di trasmissioni che fanno
l’informazione nel Paese, soprattutto per quanto riguarda i programmi di
inchiesta giornalistica, oltre all’allontanamento delle lavoratrici e dei
lavoratori dalle trasmissioni in cui lavorano da anni.
Le precarie e i precari Rai sono ormai in mobilitazione da quasi due mesi, e
hanno già dato vita ad alcune proteste a Roma e a Napoli. Chiedono all’azienda
di essere stabilizzate e stabilizzati con un contratto giornalistico che
riconosca a pieno il lavoro che svolgono, senza dover trasferirsi. Una battaglia
appena iniziata, che potrebbe entrare in connessione con altre mobilitazioni
simili legate al mondo della cultura.
L’intervista a Giulia Presutti, giornalista del Coordinamento programmi Rai per
il giusto contratto
COM’ERA LA SITUAZIONE LAVORATIVA PRIMA DELLA FIRMA DELL’ACCORDO DEL 5 GIUGNO,
QUALI ERANO LE CONDIZIONI CONTRATTUALI DA CUI PARTIVATE?
Noi siamo tutte giornaliste professioniste e tutti giornalisti professionisti,
quindi abbiamo superato l’esame da giornalista, ma non abbiamo il contratto
giornalistico, abbiamo dei contratti a partita IVA di 11 mesi. Allo scadere del
contratto ci interrompiamo per un mese, e in teoria il contratto riparte se la
trasmissione in cui tu lavori ha di nuovo bisogno di te. Nel mio caso è dal 2018
che ho contratti con la Rai.
Questi contratti a partita IVA di 11 mesi possono avere le seguenti voci:
autrice/autore testi, regista, filmaker, presentatrice/presentatore,
esperta/esperto generico. Sono delle diciture che vengono messe su questi
contratti, applicati però a persone, che in molti casi, come nel mio caso, hanno
il tesserino da giornalista e che nelle trasmissioni in cui lavorano svolgono
mansioni giornalistiche. E quindi tu hai 11 mesi di lavoro, poi ti fermi un mese
e poi ricominci.
Poi ci sono i programmisti multimediali che invece sono dipendenti Rai, con una
varietà di mansioni, ma che in molti casi sono professioniste e professionisti e
svolgono mansioni giornalistiche.
Quello che noi chiedevamo era di essere riconosciute e riconosciuti per il
titolo e la professione che svolgiamo, perché facciamo il lavoro accanto a
persone che hanno il contratto giornalistico e che fanno lo stesso identico
lavoro nostro. Quindi c’è la o il mio collega che siede vicino a me ed è
contrattualizzato correttamente. Io invece ho questo contratto a partita IVA, ma
facciamo lo stesso lavoro.
E INVECE CHE COSA PREVEDE L’ACCORDO SIGLATO DAI SINDACATI USIGRAI E UNIRAI?
L’accordo prevede che per avere il riconoscimento di questo contratto
giornalistico, che noi aspettavamo da anni, bisogna partecipare a una selezione
interna alla fine della quale, se superata, 120 persone potranno andare con
questo regolare contratto giornalistico nelle sedi dei telegiornali regionale.
Quindi, in sostanza, lasciare le trasmissioni dove lavoriamo per andare, in
virtù di quel contratto lì, nelle sedi regionali, ma solo in quelle più
periferiche.
Questo accordo prevede una selezione, quindi in realtà questi 120 posti comunque
non coprono il bacino costituito dalle figure come la mia, perché siamo circa
300. Ci sono anche 7 posti che l’azienda si riserva di assegnare ai primi e più
meritevoli su Roma, ma sono solo 7.
C’è questo elemento, cioè io ti do il contratto, ma devi lasciare quello che
stai facendo, devi lasciare la tua vita privata e devi allontanarti.
Questo provoca anche un altro effetto che è quello di sguarnire le redazioni
nelle quali lavoriamo. Perché per esempio a Report siamo 16, a Presa diretta ci
sono circa 10 persone, a Mi manda Rai Tre ci sono circa 10 e così via. A La vita
in diretta sono 25 persone. Tutte risorse precarie o il cui contratto non
rispecchia la loro professione da giornalista. Tutte figure che possono accedere
a questa selezione e che quindi se la superano vanno via.
Noi facciamo le trasmissioni quotidianamente, siamo nell’organico di queste
trasmissioni, come dicevo nel mio caso è dal 2018 che mi viene rinnovato il
contratto.
MA QUINDI LE REDAZIONI, PER COPRIRE QUESTE MANCANZE CHE SI VERRANNO A CREARE,
POTREBBERO ASSUMERE NUOVE RISORSE PRECARIE?
Noi non abbiamo capito come saremmo sostituite e sostituiti. Se mandarci nelle
sedi regionali è la soluzione al precariato in Rai significa veramente sguarnire
le redazioni, se si pensa di non sostituirci. Se invece verremo sostituite e
sostituiti con nuove partite IVA, si creeranno altre figure precarie. Perché
mentre noi dovremmo andare a coprire i buchi nelle regioni, non viene fatto un
concorso o una selezione per stabilizzare dentro alle direzioni
dell’Approfondimento e del Day time.
Mi spiego meglio. [Dal 2015, ndr] le trasmissioni Rai ricadono sotto a due
direzioni di genere: l’Approfondimento e il Day time. Per esempio La vita in
diretta, Uno Mattina, sono Daytime. Report, Presa diretta e Agorà sono
Approfondimento. Non c’è più la direzione di Rai 1, Rai 2 e Rai 3. Esistono i
tre canali, ma non c’è più una direzione per ogni canale, con il direttore di un
determinato canale. C’è la direzione dell’Approfondimento e c’è la direzione Day
time, con dentro con tutte queste trasmissioni che vanno in onda sui vari
canali.
Quindi, siccome non c’è in previsione una selezione [un concorso, ndr] per
assumere dentro a queste direzioni [Approfondimento e Day time, ndr], non si è
capito come verremo sostituite e sostituiti quando verremo inviate e inviati ai
telegiornali regionali, perché l’unico modo per sostituirci sarebbe stipulare
altri contratti precari, senza appunto risolvere il problema del precariato in
Rai.
L’assunzione in Rai può essere fatta per selezione pubblica, tanto che l’Usigrai
ha chiesto fortemente e ha anche ottenuto dentro a questo accordo che venisse
preso l’impegno da parte dell’azienda a fare un concorso pubblico, che però da
quello che ho capito sarà sempre relativo a coprire i posti vacanti nelle sedi
regionali. Oppure prevede che l’azienda possa fare degli accordi coi sindacati,
sempre per le assunzioni. In questo caso siamo nella seconda situazione.
QUALE SARÀ LA CONSEGUENZA DI QUESTO ACCORDO PER LE REDAZIONI DELLE TRASMISSIONI
RAI?
L’esito sarà l’indebolimento delle trasmissioni che sono innanzitutto di grande
successo, quindi non si capisce perché creare un problema a trasmissioni, come
Report, che fanno ascolti a doppia cifra e che quindi sono molto apprezzate e
producono valore aggiunto per l’azienda. Quello che noi abbiamo denunciato è il
fatto che con questo accordo viene penalizzato il giornalismo d’inchiesta e
l’approfondimento, ma a pagarne il prezzo sarà la qualità dell’informazione
all’interno delle reti Rai, perché l’accordo è mirato a coprire i vuoti di
organico nei telegiornali regionali, come se il giornalismo venisse fatto solo
nei telegiornali. Ma si dimentica di sancire il principio che anche nelle reti
si fa giornalismo. E nelle reti che cosa ci sta? Ci sono le trasmissioni
storiche, quelle che hanno fatto la storia del servizio pubblico, quelle che
rappresentano la grande tradizione di racconto d’inchiesta, di reportage.
Penso a Report, a Presa diretta, a Mi manda Raitre, i marchi storici della Rai,
Chi l’ha visto?. Ma anche La vita in diretta che fa informazione, che fa
cronaca. Uno Mattina, Elisir, che fa giornalismo scientifico. Le precarie e i
precari di queste trasmissioni fanno parte del nostro coordinamento di lotta,
perché in tutte queste redazioni lavorano figure professionali precarie e
irregolari. E nel momento in cui tu togli le persone a queste trasmissioni, le
fai un danno. Quindi la nostra denuncia è che così vengono penalizzati dei
contenitori storici che fanno inchiesta, approfondimento e informazione. E che
esprimono una tradizione del giornalismo del nostro Paese, il cui valore è
innegabile.
DI FRONTE ALLE VOSTRE RAGIONI COME RISPONDE L’AZIENDA?
Non ha risposto su come pensa di ovviare al problema. Noi abbiamo denunciato
questo: siamo persone che hanno competenze specifiche all’interno di quelle
trasmissioni. C’è il giornalismo d’inchiesta, ci sono le giornaliste e i
giornalisti che fanno esteri, quelle e quelli che fanno giornalismo scientifico,
che non è la stessa cosa che farà un telegiornale. Non è meglio né peggio, è
solo diverso. C’è la cronaca nera, c’è il racconto del quotidiano.
Noi abbiamo chiesto all’azienda di considerare che questo è un patrimonio di
professionalità e di competenze sul quale l’azienda stessa ha investito ed è un
know-how che non si può disperdere. Ma l’azienda su questo non ha risposto. Cioè
l’azienda ha questo problema del vuoto d’organico nelle sedi regionali che deve
risolvere e lo sta risolvendo in questa maniera.
Nel contratto di servizio, sulla base del quale la Rai prende il canone, è
garantito l’organico dei telegiornali regionali, perché la Rai deve stare sui
territori e deve raccontare i territori, ma è garantito pure il giornalismo
d’inchiesta. La Rai prende il canone anche sulla base di questa voce qui, cioè
dal fatto che fa giornalismo d’inchiesta e fare giornalismo d’inchiesta per il
servizio pubblico radiotelevisivo è la forma più alta di libertà di espressione,
perché tu non hai l’editore, il tuo editore sono le cittadine e i cittadini, le
e i contribuenti. Non voglio dire con questo che non si faccia giornalismo
d’inchiesta anche da altre parti. Ma deve esistere e deve essere preservato il
giornalismo d’inchiesta sotto al cappello del servizio pubblico radiotelevisivo,
dove non hai un editore ma soltanto chi paga il canone.
Da parte dell’amministrazione dell’azienda c’è stato subito l’interessamento del
consigliere Roberto Natale, il quale ha detto che l’accordo sui telegiornali
regionali era necessario perché andava tutelato il giornalismo sul territorio,
ma che non bisognava svuotare le trasmissioni storiche perché è necessario
preservare il patrimonio di competenze che è costituito con queste
professionalità. La risposta che ci è quindi arrivata è stata una manifestazione
di intenti, ma solo da parte della minoranza del consiglio di amministrazioni
della Rai.
PENSATE DI CREARE CONVERGENZA CON ALTRI SETTORI CHE STANNO SUBENDO QUESTO STESSO
TIPO DI DEFINANZIAMENTO PUBBLICO?
Stiamo contattando alcune lotte, come quelle delle lavoratrici e dei lavoratori
dello spettacolo, che hanno rivendicazioni simili alle nostre sui contratti, sui
fondi, ma anche dal punto di vista della produzione culturale, perché la Rai poi
è la prima industria culturale del Paese. Abbiamo iniziato a creare dei contatti
anche con il mondo della scuola. E anche con altre giornaliste e altri
giornalisti che hanno delle rivendicazioni all’interno di altre aziende, tipo
quelli de La 7.
Chiaramente stiamo in mobilitazione solo da due mesi, quindi prima di mettere in
relazione le lotte dobbiamo strutturare la nostra vertenza per poi connetterci,
però questa è una cosa che abbiamo già cominciato a fare.
L’immagine di copertina è di Coordinamento programmi RAI per il giusto contratto
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