Il Tar dà ragione alla rete contro le zone rosse. Annullata l’ordinanza del prefetto di Napoli
(disegno di cyop&kaf)
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania ha annullato l’ordinanza
del prefetto di Napoli che prorogava il divieto di stazionamento nelle
cosiddette “zone rosse” cittadine, misura ispirata da una direttiva del ministro
Piantedosi dello scorso dicembre. Il Tar ha giudicato “l’esercizio del potere
prefettizio privo dei necessari presupposti, illegittimo e lesivo dei principi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale”. La sentenza dichiara che non vi
era alcuna emergenza eccezionale, né alcuna motivazione nuova a giustificare
l’uso reiterato di poteri prefettizi straordinari. Si tratta di un piccolo
grande colpo alla politica di trasformazione dell’eccezione in prassi, che si è
concretizzato grazie a una rete di attivisti, tecnici, studenti e lavoratori che
si è riunita in città negli ultimi mesi, autorganizzando una mobilitazione
all’interno della quale il piano legale è solo uno dei livelli.
Stella Arena e Andrea Chiappetta, gli avvocati che si sono occupati del ricorso,
spiegano: “Il Tar ha riconosciuto che le ordinanze del prefetto erano
illegittime e violavano principi costituzionali. Dopo mesi di contenzioso, viene
sancito un principio fondamentale: il potere straordinario non può diventare
regola ordinaria. Il diritto non può piegarsi a logiche di emergenza permanente.
La decisione ristabilisce il primato della Costituzione sull’arbitrio
amministrativo”. L’ordinanza del 31 dicembre 2024 prevedeva un divieto di
stazionamento in determinate aree della città di Napoli per soggetti che erano
stati destinatari di una segnalazione all’autorità giudiziaria per un certo tipo
di reato (tra cui spaccio, rissa, occupazione di edifici) o che avevano assunto
atteggiamenti minacciosi o molesti. Il team legale aveva invece denunciato che i
provvedimenti “contingibili e urgenti” che l’articolo 2 dell’ordinanza
consentiva, hanno come presupposto l’esistenza di “situazioni di carattere
eccezionale e imprevisto non suscettibili di essere affrontate con gli strumenti
ordinari previsti dall’ordinamento”. Devono però, in quanto atti extra ordinem,
avere “un’efficacia temporanea e limitata nel tempo e risultare ragionevoli e
proporzionati”.
In ogni caso, il ricorso specifica che anche il provvedimento del dicembre 2024
(e non soltanto la sua proroga) non mira a far fronte a una situazione
eccezionale e imprevista, ma a situazioni ordinarie, stratificate nel tempo o
che si ripropongono ciclicamente; tanto l’ordinanza quanto la sua proroga,
inoltre, non risultano giustificate da “alcuna recrudescenza in forme impreviste
e particolarmente gravi, di fenomeni di degrado o illegalità in relazione alle
cosiddette zone rosse individuate dall’amministrazione”. Viene infine rilevata
l’irragionevolezza nell’individuazione dei soggetti destinatari del divieto: da
un lato, per la scelta stessa dei reati, dall’altro per il fatto che la sola
denuncia, in assenza di una condanna, “non può giustificare una presunzione di
pericolosità sociale”. A ciò si aggiunge infine il carattere di indeterminatezza
delle condotte, censurata per la discrezionalità che concede alla polizia
nell’applicare il divieto e perché viola “i principi di tipicità e
determinatezza che dovrebbero accompagnare il provvedimento amministrativo
allorché vada ad integrare una norma penale”.
La rete di associazioni e collettivi politici ha ribadito che “le libertà
personali non possono essere compresse per ordinanza e che nessuna direttiva
ministeriale può derogare, neanche di fatto, ai principi di uguaglianza,
legalità, presunzione di innocenza e proporzionalità”. (redazione)