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Riarmo e propaganda. In gita al Villaggio Esercito di Napoli
(disegno di otarebill) Venerdì 15 novembre, rotonda Diaz, le dieci del mattino circa. Da lontano si può vedere un caccia che taglia il cielo alle spalle di Castel Sant’Elmo, mettendo in fuga i gabbiani. Sono a Villaggio Esercito, un’iniziativa promossa dall’esercito italiano, patrocinata dal comune di Napoli e dalla regione Campania. Per la celebrazione dei suoi duemila e cinquecento anni, la città ha scelto di raccontare la propria storia con diciassettemila metri quadri di potenza militare: un parco tematico della difesa dove il soft power si mimetizza nella fiera promozionale. «Buongiorno a tutti! Siamo in diretta su Radio Esercito da una Napoli che ci accoglie sempre calorosamente, vero Benito?», apre uno dei radio conduttori.   «Assolutamente, guarda quanta gente! Ricordiamo gli appuntamenti della mattinata…». In realtà, solo pochi e sparuti avventori si accostano alla quindicina di stand, ben distanziati uno dall’altro. L’area è delimitata da due grandi porte gonfiabili su cui si legge “ESERCITO ITALIANO”. Tra gli avventori c’è qualche scolaresca elementare e superiore. Le giacche di generali, ammiragli e colonnelli sono tutte una gara di coccarde, medagliette e gradi militari. Per l’inaugurazione sono presenti l’assessore alla legalità ed ex prefetto Antonio De Iesu, il generale di corpo d’armata Gianpaolo Mirra ed il viceministro degli affari esteri Edmondo Cirielli. Quest’ultimo, impegnatissimo a stringere mani, è in corsa per la presidenza regionale a capo della coalizione di centrodestra, con la lista civica “Moderati e Riformisti”. Qualcuno si ricorderà di lui per il tentativo di istaurare un “principato di Salerno”, altri per la lunga militanza in Alleanza Nazionale e poi in Fratelli d’Italia, o ancora per le polemiche suscitate da alcune sue dichiarazioni in odore di apologia di fascismo (Cirielli ha sostenuto che “il tratto distintivo più profondo [del fascismo] era uno spirito di libertà straordinario”). Ad eccezione della rappresentanza istituzionale, le persone si muovono con circospezione negli spazi allestiti. C’è un’aria tesa, forzosamente bonaria. Gli stand presentano i modelli più aggiornati di macchine da guerra, robot, i droni più disparati. Mi raccontano che lo Strix‑DF può operare come “occhi volanti”: può identificare obiettivi, sorvegliare aree sensibili, controllare movimenti e inviare dati. Il Raven DDL è un micro‑UAV tattico progettato per fornire sorveglianza ravvicinata e in tempo reale alle unità sul terreno. Ci sono poi i cosiddetti droni “anti-contagio” CBRN, velivoli senza pilota progettati per monitorare e campionare minacce chimiche, biologiche e nucleari in aree contaminate. Nella rotonda intanto sfilano i pachidermici veicoli tattici blindati (VTMM) “Orso” e “Lince”. Il messaggio è chiaro: la “difesa” si espone al grande pubblico. Un investimento di immagine in cui la celebrazione civica si confonde con una fiera campionaria del business bellico. Secondo il Documento Programmatico Pluriennale il bilancio della Difesa per il 2025 è di circa 35,5 miliardi di euro. Alcune stime che considerano anche le spese “in chiave NATO” (Borsa Italiana/Radiocor/ TGCOM) arrivano a 45,3 miliardi per lo stesso anno, comprendenti armamenti, ammodernamenti e investimenti strutturali per le Forze Armate. In tutto, l’incidenza delle spese militari sul Pil italiano raggiunge l’1,5 per cento, non così distante in fondo dal 3,9 investito in istruzione (la media Ocse per quest’ultima voce è di 4,7).  Gran parte di questi fondi è destinata all’acquisto dei caccia F‑35 della statunitense Lockheed Martin, partner di Leonardo Spa, che sponsorizza l’evento. È una flotta di novanta aerei, per un costo complessivo tra i quattordici e i sedici miliardi di euro, la cui manutenzione e operatività nel tempo impegnerà ulteriori risorse. Il vero boom riguarda però i droni: circa seicentosettanta milioni di euro per gli MQ-9B Sky Guardian, anche detti “Mietitori”, e oltre settecento per i Piaggio Hammerhead. Cifre che evidenziano una scelta politica di campo, con implicazioni concrete per la collettività in termini di gestione della spesa pubblica. All’improvviso, un cane robot verde militare fa capolino sull’asfalto della rotonda, alle sue spalle c’è la banda che scandisce le prime note di una fanfara. Mi avvicino a due insegnanti che accompagnano una classe delle superiori, chiedo perché abbiano scelto quest’iniziativa per una gita scolastica: «È stata una scelta della dirigente», mi risponde con scoramento una di loro, l’altra fa spallucce. Per attraversare il piazzale passo accanto a un gigantesco elicottero nero, l’A129 “Mangusta”, col mitragliatore puntato. Alle sue spalle due militari mettono gli elmetti a quattro studentesse per visitare un anticarro. Una passante fuma una sigaretta, affacciata sullo spicchio di spiaggia antistante alla rotonda. L’aria è  quella di una calda mattinata autunnale, tre signori prendono il sole, mentre una donna fa il bagno. I tre mettono un po’ di musica da una radiolina, i gabbiani sono in acqua. Mi avvicino al banchetto del reclutamento dove presenziano le accademie militari locali e nazionali. La marescialla illustra le differenti modalità di ingaggio, mette l’accento sulla semplicità e l’accessibilità dei percorsi occupazionali a tutti i livelli, “con o senza laurea”. Mi mostra i due chat-bot dal sito dell’esercito, si chiamano Atena ed Ettore e mi possono aiutare nelle procedure e con la modulistica. Una ventina di bambini col berretto giallo delle gite si avvicina. Io invece mi allontano dal centro della fiera, schivando un paio di piccoli automi a quattro ruote, che scorrazzano sul cemento. Il cane robot balla impacciato sulle note di O’ Surdato ‘Nnammurato cantata da Massimo Ranieri e passata da Radio Esercito. (edoardo benassai)
Bagnoli, Coppa America e colmata. Dal disastro politico a quello ambientale
(archivio disegni napoli monitor) Gli articoli sulla “questione Bagnoli” pubblicati da Monitor nei suoi vent’anni di attività editoriale hanno dovuto necessariamente addentrarsi in diversi ambiti di analisi: le trasformazioni urbane (quelle pianificate e quelle spontanee), l’indecente spreco di risorse pubbliche (si parla di circa novecento milioni di euro), le carriere di amministratori e politici che da lì sono partite o lì si sono fermate (Bassolino, Fico, de Magistris), le condizioni di vita degli abitanti, i fenomeni sociali come la gentrificazione e la turistificazione del quartiere, l’intersezione di tutte queste questioni tra loro, e persino con i recenti accadimenti generati dalla incapacità (o non volontà) nel gestire fenomeni naturali come la crisi bradisismica.  Difficilmente per nostra attitudine, e perché crediamo ci siano altri luoghi e persone più titolate a farlo, abbiamo ritenuto di pubblicare articoli che entravano nel dettaglio dei contenuti scientifici, che pure, in relazione alla mancata o parziale bonifica del sito ex industriale, nonché al futuro sviluppo dell’area, hanno una certa importanza. Quando l’abbiamo fatto è stato sempre in un’ottica divulgativa, provando a semplificare le questioni senza azzerarne le complessità, utilizzando un linguaggio e uno stile comprensibile.  È per questo che pubblichiamo oggi quest’articolo scritto da Benedetto De Vivo e Maurizio Manno (rispettivamente professori ordinari di geochimica ambientale e di medicina del lavoro) già comparso ieri su Anteprima24. Ci pare importante, pur nel suo registro scientifico, per la capacità di spiegare quanto sta succedendo in queste settimane a Bagnoli, e come il disastro politico in atto (la modifica di leggi che imponevano il ripristino della morfologia della costa a uso balneare, la mancata rimozione della colmata a mare, la pericolosa “velocizzazione” di alcuni interventi per permettere lo svolgimento della Coppa America di vela) possa contribuire a creare un disastro ambientale se possibile ancora maggiore di quello già esistente sul territorio. *     *     * Sul tema della bonifica di Bagnoli, anche alla luce delle recenti informazioni comunicate dal sindaco Manfredi in consiglio comunale (24 settembre 2025), abbiamo discusso in un capitolo di carattere tecnico-scientifico su libro internazionale in pubblicazione da Elsevier (De Vivo et al., 2026, in stampa). Ovviamente non spetta a noi entrare nel merito di decisioni di carattere politico, e tantomeno in quelle, a esse collegate, di carattere economico. Ci focalizziamo, invece, nella sintesi che segue, solo sugli aspetti tecnico-scientifici della vicenda in corso, in particolare sulle metodiche più sicure ed efficaci da utilizzare per la bonifica e sui potenziali rischi per la salute dei cittadini che si potrebbero determinare a seguito di scelte tecnico-scientifiche non ottimali circa la metodica da utilizzare. In precedenti nostri interventi sono state illustrate le due migliori tecnologie oggi disponibili a livello internazionale. Quella del desorbimento termico in-situ (Istd) e quella ex-situ (Estd), tecniche che operano sostanzialmente allo stesso modo: entrambe riscaldando i contaminanti organici fino a quando non si volatilizzano, separandosi così dal suolo (per una descrizione esaustiva di Istd e Estd rimandiamo a: Baker & Kuhlman, 2002; Khan et al., 2004; The United States Environmental Agency, 2017; Zhao et al., 2019; Xu & Sun, 2021; De Vivo, 2024b; 2025a, b). Nel sopracitato consiglio comunale, il prof. Manfredi, ha dichiarato che la necessità tecnica impone la non rimozione della colmata (in violazione della legge n.582 del 18 novembre 1996, che ne avrebbe invece imposto la rimozione, con relativa ricostruzione della spiaggia pubblica). Si tratta di una decisione politica, non tecnica. La colmata potrebbe in realtà essere facilmente rimossa (come previsto dalla legge) dopo aver eliminato ipa, pcb e idrocarburi totali con trattamento di desorbimento termico in-situ (Istd) e utilizzando poi i terreni bonificati per la copertura delle aree interne. Se, d’altra parte, decisioni politiche dovessero imporre che la colmata non debba venir rimossa, sia le aree interne che i sedimenti marini antistanti la colmata potrebbero anch’essi essere  bonificati utilizzando l’Istd. In ogni caso, sulla base delle dichiarazioni del sindaco, sembra che non verrà effettuata alcuna bonifica nell’area della colmata, ma solo la messa in sicurezza, coprendola con una platea impermeabile su cui è prevista la costruzione di strutture necessarie per l’America’s Cup. Sembra quindi che la bonifica della colmata stessa verrà effettuata dopo la fine dell’America’s Cup. Questa scelta appare tuttavia incomprensibile. Se la decisione di mettere in sicurezza l’area della colmata è stata già presa, perché non fare un intervento definitivo? Successivamente all’impermeabilizzazione permanente della sua superficie (prevista attualmente solo come misura temporanea) e poi all’”isolamento-tombamento” dell’intera area, sarebbe infatti possibile costruire sul lato mare una barriera fisica permanente (palancole) per impedire la migrazione in mare e, quindi, nei sedimenti marini, degli inquinanti organici presenti. Una volta “tombata” la colmata, i sedimenti marini potrebbero essere bonificati mediante Istd, una tecnica già utilizzata a questo scopo in Danimarca. Per quanto riguarda in particolare la tecnica di bonifica da utilizzare, sembra tuttavia che sia già stata programmata l’Estd (non siamo a conoscenza delle stime dei costi) per tutti i suoli di Bagnoli. Una società internazionale, specializzata in tecnologia di Istd e Estd, ha indicato un costo totale approssimativo, per la tecnologia Istd, di circa centoventi milioni di euro: sessanta per l’area della colmata e sessanta per i sedimenti marini a fronte della colmata. Per i suoli a monte e per sedimenti marini più a largo della colmata fino al golfo di Pozzuoli sempre con Istd, si potrebbe fare solo una valutazione, prendendo a riferimento, i costi indicati per la superficie dell’area della colmata. Pensiamo sia, in questa fase, un esercizio inutile. CONSIDERAZIONI SU RISCHIO TOSSICOLOGICO E SANITARIO PER I RESIDENTI L’area di Bagnoli, su cui si pianifica di procedere con Estd (e non con Istd) e per cui è prevista una massiccia movimentazione di terreni pesantemente inquinati da ipa e ocb, è adiacente al mare del golfo di Pozzuoli. È facilmente prevedibile, che ipa e pcb, attualmente relegati nei suoli e nei sedimenti marini, se mobilizzati in area prospiciente il mare, possano diffondervisi. Gli ipa, combinandosi con il cloro (Cl), producono dei derivati, gli ipa clorurati, che sono più tossici dei composti d’origine. In particolari condizioni (combustione incompleta) possono formarsi diossine, sostanze notoriamente cancerogene-mutagene. Inoltre, gli stessi ipa e pcb, se si combinano con lo stagno (Sn) o il mercurio (Hg), formano sostanze altamente tossiche: rispettivamente il dibutil- e tributil-Sn e il metil-Hg. Lo stagno, un elemento di per sé dotato di bassa tossicità, è sempre presente nelle rocce del vulcanismo napoletano, unitamente al berillio (Be) e al tallio (Tl), mentre il mercurio è più legato a processi di idrotermalismo (è il caso dei Campi Flegrei). Circa vent’anni fa uno degli autori di questa nota (B. De Vivo), ha riscontrato nei sedimenti marini antistanti i cantieri navali di Castellammare la presenza di dibutil- e tributil-Sn (lo stagno è presente nelle rocce vulcaniche sia del Vesuvio che dei Campi Flegrei). Gli effetti tossici per l’uomo conseguenti l’inquinamento marino è un’eventualità ben documentata in letteratura. Ricordiamo un caso classico, negli anni Cinquanta e Sessanta, di grave inquinamento ambientale prodotto dalla combinazione di composti organici con mercurio, nella Baia di Minimata, Giappone. L’inquinamento, di origine industriale, provocò la malattia di Minamata, scoperta per la prima volta nel 1956, determinò gravi intossicazioni negli abitanti e fece incrementare notevolmente l’incidenza di decessi per cancro nella popolazione della baia (Timothy, 2001). Fu causata dal rilascio, dal 1932 al 1968, di metilmercurio nelle acque reflue da parte dell’industria chimica Chisso Corporation. Il metil-Hg, altamente tossico e cancerogeno, si accumulò nei molluschi, nei crostacei e nei pesci della baia, entrando nella catena alimentare e causando così l’avvelenamento degli abitanti del luogo, inclusi numerosi decessi. Si intervenne sulle sorgenti dei composti organici, chiudendo l’industria chimica Chisso Corporation e vietando del tutto la pesca nella baia di Minamata. I danni ambientali e sulla salute della popolazione sono persistiti per decenni e continuano ancora oggi ad avere effetti, anche sociali, sulle comunità locali. La rilevanza di queste considerazioni rispetto ai programmi di bonifica del sito di Bagnoli, pur oggettivamente distanti, nello spazio e nel tempo rispetto al contesto di specie, risiede nel fatto, oggi consolidato, che il patrimonio di conoscenze tossicologiche acquisite dai disastri ambientali pregressi fanno parte del bagaglio di informazioni utili e necessarie per conseguire scelte lungimiranti e prudenti, oltre che rispettose della legge. La valutazione del rischio sanitario per la popolazione residente o lavorativa e, quindi, per definizione, potenzialmente esposta, per motivi residenziali e/o occupazionali, all’assorbimento di livelli di contaminanti tossicologicamente rilevanti impone, prima di qualsivoglia decisione operativa, di considerare tutti i possibili scenari di rischio, anche i più improbabili, ancorché possibili. A tal riguardo assumono particolare significato le diverse modalità di esposizione compatibili con le attività residenziali, commerciali e balneari presenti e future sul sito di Bagnoli, ovvero quelle per inalazione, ingestione ed esposizione cutanea. Sia Istd che Estd possono potenzialmente produrre inquinanti atmosferici secondari, come le diossine che si formano durante la distruzione termica dei gas di scarico contenenti molecole organiche come ipa e pcb in presenza di cloro. La tecnologia Estd è più versatile e può trattare contaminanti meno volatili, ma richiede scavi e trasporto del terreno, che comportano un rischio maggiore di inquinamento atmosferico (formazione di diossine, per i cittadini che vivono nelle aree circostanti il sito contaminato se non vengono progettati e implementati adeguati controlli ingegneristici e sanitari). La pratica ingegneristica di bonifica richiede un’attenta pianificazione e giudizio, soprattutto quando si bonificano discariche di rifiuti, come la colmata, situate in prossimità di un’area densamente popolata e adiacenti alla costa. Tale rischio è comunque molto più elevato durante gli scavi e i movimenti del terreno necessari per Estd. Negli ultimi 20 anni, l’Estd è quasi ovunque vietato se i siti da bonificare sono in prossimità di aree urbanizzate. Nel caso di Bagnoli, il sito industriale dismesso è parte integrante della città di Napoli, con l’aggravante di essere localizzato in riva al mare (con conseguente incremento di rischi per la salute umana a seguito di balneazione). Nelle aree urbanizzate viene infatti generalmente privilegiato l’Istd. Per determinare quale opzione sia più conveniente per la colmata, sarebbe necessario sviluppare prima progetti concettuali per ciascuna delle due opzioni, Istd e Estd, ciascuno concepito per raggiungere gli stessi obiettivi di bonifica, garantendo però al contempo adeguati livelli di sicurezza per la salute umana e dell’ambiente durante e dopo la bonifica. Una soluzione assolutamente da non tentare è, comunque, il dragaggio di sedimenti marini, fortemente contaminati da ipa, pcb e pesticidi organoclorurati (Ocp) (Minolfi et al., 2018). Le dichiarazioni del sindaco Manfredi indicano tuttavia che il dragaggio sia già programmato sul fronte della colmata. Il dragaggio di sedimenti marini, fortemente contaminati da ipa, pcb e ocp, causerebbe l’amplificazione del disastro ambientale in tutta la baia di Bagnoli, fino al golfo di Pozzuoli, dove sono registrati comunque elevati superamenti delle soglie limite di legge (Dm 56/09) per ipa totali, 15 congeneri e per pcb totali – con plumes di dispersione immediatamente al largo della colmata che sono da cento volte (nel golfo di Pozzuoli) a mille volte (nella baia di Bagnoli) più elevati, (Minolfi et al., 2018); il rischio è quello di dover vietare del tutto la pesca sia nella baia di Bagnoli che nel golfo di Pozzuoli. Nella baia di Bagnoli, oltre che per ipa e pcb, si registrano poi valori elevati per ventiquattro congeneri di ocp (pesticidi)¹. Sulla phytoremediation, una tecnica sperimentale basata sull’uso di piante per la decontaminazione di suoli inquinati, presentata come una innovazione ma in realtà ben nota nell’esplorazione mineraria da decenni, non c’è molto da dire. Riguarda solo alcuni specifici metalli e con ben precise limitazioni. Non esiste comunque alcuna specie vegetale che possa assorbire tutti i contaminanti, siano essi inorganici o organici. In più, ipa e pcb sono recalcitranti, alias non vanno in soluzione, quindi sono assolutamente non “estraibili” con phytoremediation, e comunque certamente non con piccoli arbusti con radici di pochi centimetri, visto che ipa, pcb, e idrocarburi totali, nel sito di Bagnoli, si trovano fino a cinque metri di profondità (De Vivo, 2025b). Ciò detto, il problema di inquinamento da metalli non esiste a Bagnoli (De Vivo et al., 2021; 2024). I metalli (non esiste chimicamente la categoria dei metalli pesanti!) sono naturali (da sorgenti idrotermali, vedi Lima et al, 2001, 2003) oppure industriali (da loppe e scorie di altoforni). Quelli naturali, da sorgenti termali, non sono bonificabili: si tiene semplicemente conto dei valori background, naturali. Quelli di origine industriale sono invece ossidati, alias non sono bio-disponibili, quindi di scarsa rilevanza per la salute umana (rimandiamo a De Vivo et al., 2026, in stampa). Concludendo, sulla base dell’evidenza disponibile in letteratura e di quella raccolta sul campo, nell’arco ormai di un trentennio dalla dismissione degli impianti industriali a oggi, il desorbimento termico in-situ appare la metodica più indicata per la bonifica o, per meglio dire, ribonifica del sito di Bagnoli (De Vivo et al., 2021), e in particolare dell’area relativa alla colmata. ____________________________ ¹La campionatura e le analisi, da cui sono derivate le mappe di distribuzione in Minolfi et al (2018) furono eseguite fra novembre 2004 e marzo 2005, da Icram/Ispra.
Scampia, una scuola occupata per Gaza (e non solo)
(disegno di francesca ferrara) Oltre il cancello del civico 255 di viale della Resistenza, a Scampia, proprio di fronte al parco dedicato a Ciro Esposito, c’è un edificio grigio e imponente, con appena qualche murales a regalare un po’ di colore. In queste giornate d’ottobre c’è però qualcosa di diverso. Si respirano adrenalina e tensione, e a dar vita al Melissa Bassi sono gli striscioni alle ringhiere, i cartelloni a sostegno della Palestina, le scritte che chiedono giustizia e pace. Nei corridoi della scuola occupata si intrecciano voci, passi, risate e discussioni: ogni angolo sembra trasformato. Agli studenti e alle studentesse è stato ricordato in tutti i modi che stanno facendo “qualcosa di illegale”, ma la determinazione che li guida rende la loro azione più di una semplice protesta. Da decenni in Palestina le bombe distruggono case, ospedali e scuole. I luoghi dell’educazione e dell’istruzione, dove si dovrebbero formare le generazioni del futuro, vengono oggi rasi al suolo, proprio come i sogni di chi li abitava. È anche pensando ai loro coetanei, distanti solo qualche migliaio di chilometri, che nasce la scelta degli studenti di occupare. Per reagire a una ingiustizia, spiegano, e per dire che il diritto all’esistere non è mai scontato. Da quasi quarant’anni nessuno occupava l’istituto. Eppure, dal 27 ottobre al primo novembre, le studentesse e gli studenti si sono riappropriati degli spazi della scuola: assemblee permanenti, turni di vigilanza e per le pulizie; discussioni, mani che si alzavano, voci che si sovrapponevano e trovavano, pian piano, un accordo: «Abbiamo ritenuto doveroso far sentire la nostra voce – dice una delle studentesse protagoniste dell’occupazione – e utilizzare la scuola in modo da farci eco». I muri dell’edificio sono i primi testimoni delle loro intenzioni: striscioni e cartelloni rendono visibile ogni richiesta e ogni denuncia. Su uno, scritto a mano con vernice rossa, si legge: “Per Mimì, Dario e Francesco: giustizia!”, in un richiamo alla carcerazione di tre attivisti che sono stati per tre giorni e tre notti in prigione dopo aver interrotto una fiera a cui partecipava una multinazionale del farmaco israeliana, coinvolta nel genocidio. Sebbene nei talk show e sui giornali si racconti un’altra storia, quella che alcuni chiamano “guerra” non è mai finita: le ripetute infrazioni del governo sionista al cessate il fuoco continuano a provocare la morte di centinaia di civili palestinesi. «Studiare è un diritto, non un privilegio di pochi», si continua a dire nelle assemblee e nei laboratori dell’occupazione, accomunando le condizioni di chi vive in questi territori e quelle di chi a scuola non può andarci perché gliel’hanno distrutta. Nei sei giorni di occupazione al Melissa Bassi si sono susseguiti incontri con l’Unione degli Studenti di Napoli, con la rete Liberi di Lottare, con realtà del territorio come Chi rom e… chi no! o come il MOSS (Ecomuseo Diffuso di Scampia), oltre che un confronto con Mirella La Magna del Gridas, storica voce del quartiere. Visibile, era, la sua emozione, nel poter parlare a ragazzi e ragazze di Scampia, in un luogo che per anni aveva sperato di vedere vivo e partecipato. Ha parlato con discrezione, ricordando le lotte per ottenere le prime scuole nel quartiere e invitando a non fermarsi, a costruire una rete capace di andare oltre le mura scolastiche. «Non dobbiamo dividere il mondo in buoni e cattivi — ha detto — ma capire le cause, le responsabilità, e restituire qualcosa di ciò che, per caso, abbiamo avuto in più rispetto agli altri». Ogni incontro è diventato occasione per provare a tenere insieme il tema della scuola con quelli del lavoro, della guerra diffusa, dei diritti delle persone. Anche Dario, quando è uscito dal carcere di Poggioreale, è passato per Scampia: una chiacchierata semplice ma intensa, con le ragazze e i ragazzi, per parlare di solidarietà e repressione, e di come sia importante in certi momenti non sentirsi soli. Eppure proprio la scuola, troppo spesso, tende a reprimere invece di accogliere, a uniformare invece di valorizzare le differenze. Molti studenti hanno raccontato la difficoltà, ogni anno, di affrontare le spese per libri, i materiali, i contributi economici cosiddetti “volontari” ma invece sempre più obbligatori, che diventano fonte prima di soggezione e poi di esclusione per molti e molte. «La scuola dovrebbe insegnarci a conoscerci e a capire gli altri, non solo a prepararci al lavoro», ha detto una di loro, facendo riferimento ai Pcto, i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, una volta chiamati “alternanza scuola-lavoro”. L’idea è semplice: far sperimentare agli studenti il mondo del lavoro, integrare l’esperienza pratica a quella teorica. Nella realtà, però, questi percorsi nascondono rischi concreti. In Italia, negli ultimi anni, non sono mancati incidenti durante tirocini e stage: ragazzi e ragazze hanno perso la vita per carenze nella sicurezza. Al tempo stesso, molte scuole sembrano trasformarsi in centri per l’impiego, dove la formazione rischia di ridursi a semplice addestramento al lavoro, senza spazio per la conoscenza. Già nel primo giorno di occupazione, il collettivo della scuola aveva diffuso un comunicato chiaro e diretto, che allarga lo sguardo oltre le mura del Melissa Bassi: un testo che parla di periferie e precarietà, di abbandono scolastico e marginalizzazione, del sapere come frontiera di classe e del silenzio complice degli adulti: “Occupiamo anche per denunciare la condizione materiale e simbolica in cui versa la scuola pubblica, in particolare nelle periferie come Scampia, dove tantə ragazzə sono costrettə al precariato, al lavoro nero e all’abbandono scolastico. Non perché manchi la voglia di studiare, ma perché il carolibri trova rifugio dietro le mura del privilegio”. D’altronde quest’occupazione non nasce dal nulla, è il frutto di un fermento che, da mesi, attraversa un quartiere in cui l’impegno civile e la solidarietà hanno radici profonde. Le tante associazioni e realtà politiche del territorio rivendicano un posizionamento chiaro sul genocidio dei palestinesi, ribadendo che la questione non è iniziata il 7 ottobre, ma nei decenni di occupazione che l’hanno preceduto. A partire da settembre, anche tra la comunità docente è cresciuta la necessità di ribadire la propria posizione: come formatori e formatrici del pensiero critico delle nuove generazioni, in molti hanno sentito il dovere di unirsi in un coordinamento di insegnanti dell’area nord di Napoli, con l’obiettivo di sensibilizzare studenti e studentesse che, in un contesto periferico, spesso non sono pienamente consapevoli di ciò che li circonda. Il coordinamento ha organizzato laboratori, ha aperto spazi di discussione all’interno del quartiere, ha incentivato la partecipazione di studenti e studentesse, pratiche in qualche modo in relazione con ciò che è accaduto dopo qualche tempo a scuola. Lo stesso preside del Melissa Bassi ha scelto di non rispondere con la chiusura, ma con l’ascolto: «L’importante è comunicare – ha spiegato – perché se non comunichi “l’altro” diventa “il nemico”.  L’obiettivo di noi adulti non dev’essere punire, ma capire: costruire un dialogo, anche faticoso, per trasformare il conflitto in un’occasione di crescita». L’occupazione si è conclusa il primo novembre. Nei corridoi sono rimaste domande più che risposte, ma anche la sensazione che la scuola possa ancora essere un luogo di partecipazione e conflitto. Nei giorni seguenti, alcuni docenti hanno raccontato che, tornati in classe, studenti e studentesse hanno chiesto il loro aiuto per capire meglio cosa stesse accadendo in Palestina e nel mondo. Forse la scuola può ancora produrre pensiero, quando viene attraversata collettivamente. (pasquale frattini)
Al fianco del Venezuela, presidi di solidarietà a Milano, Napoli e Roma
Giù le mani dal Venezuela bolivariano e dal Caribe, no all’aggressione statunitense. Su queste parole d’ordine in questi giorni si sono svolte diverse manifestazioni di solidarietà con il paese latinoamericano oggetto da settimane di ripetute minacce di attacco da parte degli USA. Giovedi 6 novembre, mentre la pressione internazionale contro […] L'articolo Al fianco del Venezuela, presidi di solidarietà a Milano, Napoli e Roma su Contropiano.
NAPOLI: OCCUPATA L’AULA NUGNES DEL CONSIGLIO COMUNALE, “RISPETTATE LA MOZIONE CONTRO LA COLLABORAZIONE CON ISRAELE”
Nel corso del pomeriggio di venerdì 31 ottobre è stata occupata dalla rete Napoli con la Palestina l’aula Nugnes del consiglio comunale di Napoli. L’occupazione è stata accompagnata da una lettera che ricorda che lo scorso 2 luglio il consiglio comunale aveva approvato la cancellazione di “ogni collaborazione istituzionale con enti, associazioni e istituzioni israeliane” espressioni del governo, per privilegiare collaborazioni con organizzazioni non governative israeliane attive nel pacifismo.  Nonostante questo, una settimana fa una trentina di manifestanti della Rete Napoli per la Palestina e di Sanitari per Gaza sono stati fortemente repressi mentre contestavano la presenza della multinazionale farmaceutica israeliana Teva alla fiera PharmExpo, patrocinata dal Comune di Napoli e dalla Regione Campania: una repressione che aveva portato all’arresto di tre manifestanti che, dopo aver passato tre giorni in carcere, ora sono sottoposti all’obbligo di firma. Dall’aula occupata abbiamo sentito Eddy di Napoli con la Palestina, per spiegarci tutte le motivazioni. Ascolta o scarica
Un sole nero per quattro lazzari felici
Due giorni funesti per Napoli e in parte per chi scrive. Qui da noi diremmo “E che jurnata ‘e mmerda ca è schiarata!”. Quattro decessi significativi hanno listato a lutto le strade dell’arte e della cultura di Partenope. Quattro personalità diversissime. Quattro voci che mancheranno ad una città che sembra […] L'articolo Un sole nero per quattro lazzari felici su Contropiano.