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Laboratorio "Giocare o essere giocati" al Festival Interferenze Costruttive
Domenica 5 ottobre condurremo il laboratorio di Pedagogia Hacker "Giocare o essere giocati" all'interno del Festival Interferenze Costruttive a Roma. 3-4-5 ottobre 2025: prima edizione del festival culturale di Radio Onda Rossa "Interferenze Costruttive" presso il CSOA La Torre, a via Bertero 13, Roma. Nell'ambito del festival, domenica 5 ottobre dalle 16.30 alle 18.30 condurremo il laboratorio di Pedagogia Hacker "Giocare o essere giocati". GIOCARE O ESSERE GIOCATI? Molti videogiochi catturano la nostra attenzione al punto da creare forme di abitudine e assuefazione costruite magistralmente sulle vulnerabilità comuni a tutti gli umani. In maniera analoga siamo chiamati a partecipare e a contribuire instancabilmente alle “comunità” digitali, costruite seguendo tecniche di gamificazione. Su Instagram, TikTok, Facebook, ogni esperienza di interazione sociale si trasforma in una complicata gara, con un sacco di punti e classifiche, livelli e campioni. Conosciamo per esperienza diretta le regole di questi “giochi”: se ci comportiamo bene, otteniamo molti “like”, strike, notifiche, cioè caramelle sintetiche per i nostri cervelli (sotto forma di dopamina); se siamo scarsi rimaniamo a bocca asciutta. Di certo, “vincere” non è mai abbastanza: dobbiamo sempre lavorare di più, perché il “gioco” non finisce mai… Durante questo laboratorio analizzeremo le interfacce dei social media per osservare come ci fanno sentire, ragioneremo sulla differenza tra social media e social network. Metteremo le mani in pasta per scoprire strumenti FLOSS progettati per fare rete a partire dai desideri di comunità reali. Per conoscere il programma delle tre giornate visitare il sito di radio onda rossa.
A Siracusa e Catania grande solidarietà degli attivisti. Diario di bordo dalla Global Sumud Flotilla
Ieri, 11 settembre, c’è stata una sorta di prova generale di navigazione molto più coreografica e impattante dal punto di vista emotivo rispetto alle uscite di allenamento dei giorni scorsi, prima della grande traversata: diverse barche hanno lasciato il porto di Augusta per andare a salutare poco più a sud, a Siracusa, la folla di attivisti e solidali con la flottiglia, che sta raccogliendo ogni giorno che passa sempre più adesioni, oltre al sostegno economico e organizzativo. Varie associazioni di Catania per esempio si adoperano per dare supporto sia sul piano tecnico e logistico per l’acquisto in città di materiali e pezzi di ricambio per le barche, sia per il vitto, che rimane sempre un elemento fondamentale durante giornate di lavoro duro, sotto il sole, o al caldo soffocante e umido tipico degli interni delle barche. Le barche a vela hanno sfilato, una a una, di fronte le “sorelle” ormeggiate in porto, salutate da gioiosi canti e suoni di trombe che hanno echeggiato accompagnando le bandiere della Palestina issate in alto sulle sartie.  C’erano poi sulle fiancate delle barche anche diversi striscioni delle varie associazioni e movimenti di tutto il mondo, solidali col popolo palestinese. Molto atipica è stata la presenza degli attivisti malesi e soprattutto delle giovani donne, coperte di tutto punto, con i loro vestiti tradizionali che i velisti non sono generalmente abituati a vedere indossati a bordo. Le barche sono stracariche non solo per alcuni pacchi di circa 20 kg l’uno con gli aiuti  alimentari destinati soprattutto ai bambini di Gaza, ma anche per le numerose taniche di gasolio sulle fiancate, utili a portarle a destinazione. L’entusiasmo è altissimo e cova sempre sotto la cenere, pronto a infiammarsi nel momento in cui la barca accanto molla gli ormeggi e prende il largo, mostrando orgogliosamente la bandiera palestinese e le varie scritte e disegni sulle murate,  che ricordano come il popolo palestinese sogni dal ’48 una terra che ritorni libera dal fiume al mare. Stefano Bertoldi
La Flotilla dell’umanità è in viaggio sotto un cielo stellato; le stelle, però, sono droni
Partita da Barcellona per Gaza, la Global Sumud Flotilla affronta sorveglianza militare, minacce e sostegno internazionale . Il 2 settembre, le prime barche della Global Sumud Flotilla erano partite da meno di 48 ore da Barcellona, quando, intorno alle 22:30 ora italiana, mentre navigavano a circa novant miglia nautiche dall’isola di Minorca, sono state intercettate da tre droni. Ma cos’è la Global Sumud Flotilla? È un’azione civica, nata dal basso, nell’ambito del Movimento Globale a Gaza, composta da circa cinquanta imbarcazioni civili, con a bordo attivisti provenienti da quarantaquattro paesi del mondo. L’obiettivo è creare un corridoio umanitario per Gaza, sotto assedio israeliano da mesi. Sulla flottiglia è puntata l’attenzione di quella parte di mondo che riconosce i diritti umani e il valore della vita; purtroppo, però, non soltanto di quella. La presenza dei droni sulla flottiglia è stata comunicata dall’attivista Thiago Avìla attraverso una diretta lanciata sul profilo Instagram del movimento @globalmovementtogaza. Thiago è ormai un volto noto per chi segue la causa palestinese: climattivista e militante per i diritti umani, è stato protagonista di una precedente spedizione della Freedom Flotilla, membro dell’equipaggio della barca Madleen, bloccata illegalmente dall’IDF, sempre attraverso droni e quadcopters (quadricotteri militari). Nella diretta, Thiago ha evidenziato, mettendo in allerta il resto dell’equipaggio, che i droni potevano essere lì per una ricognizione di sorveglianza ordinaria dell’autorità marittima competente su quelle acque; oppure per un attacco militare. A chi non abbia seguito attentamente gli ultimi sviluppi dell’invasione di Gaza potrebbe sembrare un’affermazione forte. Invece, la seconda ipotesi è molto plausibile. Infatti, come chi scrive sottolineava poco prima, all’enorme e commovente solidarietà che è giunta da ogni parte del globo (è notizia recente che anche Emergency sosterrà la flotta e affiancherà le imbarcazioni con natanti di supporto logistico e medico), si sono contrapposte le dichiarazioni del governo israeliano: sul Jerusalem Post di tre giorni fa, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, annunciava che stava per presentare un piano al governo secondo cui «tutti gli attivisti arrestati saranno trattenuti in detenzione prolungata, a differenza della precedente prassi, nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, utilizzate per detenere i terroristi in condizioni rigorose tipicamente riservate ai prigionieri di sicurezza. Non permetteremo a chi sostiene il terrorismo di vivere nell’agiatezza». Tale piano è stato considerato illegittimo da vari giuristi esperti di diritto internazionale. La relatrice speciale Onu per i territori palestinesi, Francesca Albanese, ha definito l’azione della Global Sumud Flotilla «pienamente conforme al diritto internazionale». Secondo Albanese, «ogni tentativo di fermare o intercettare le imbarcazioni nelle acque internazionali costituirebbe una violazione della libertà di navigazione sancita dal diritto marittimo». È questo il clima in cui naviga oggi la flotta per Gaza, la flotta dell’umanità. Ma torniamo ai droni, ai quadricotteri. Tutti e tutte ne abbiamo sentito parlare. Vengono usati come regalo per i bambini al compleanno, dai fotografi per i matrimoni, dalla protezione civile per la prevenzione degli incendi. Eppure, facendo una ricerca su AI Overviews, leggiamo che sono “piccoli aerei a pilotaggio remoto, utilizzati per ricognizione, sorveglianza e attacchi mirati, che offrono una maggiore protezione delle forze armate grazie alla fornitura di dati in tempo reale e riducendo la necessità per i soldati di accedere ad aree pericolose. Dotati di sensori e telecamere avanzati, questi droni possono operare di giorno e di notte e alcuni modelli sono dotati di funzionalità sull’intelligenza artificiale per l’edge computing e la navigazione avanzata. Le loro dimensioni ridotte e laità rapida di impiego li rendono ideale per le unità di fanteria, sebbene la loro proliferazione, in particolare nei conflitti come quello di Gaza, abbia sollevato anche significative preoccupazioni etiche riguardo all’impatto sulla popolazione civile e al potenziale uso improprio”. Non bisogna essere esperti di ingegneria aerospaziale per capire, quindi, che i droni sono l’esempio perfetto delle tecnologie dual use, cioè di quell’insieme di dispositivi e sistemi operativi che, nati per scopo pacifico, sono oggi largamente utilizzati nelle attività belliche. Un tema che solo di recente è giunto alla ribalta della cronaca, soprattutto per l’uso che se ne sta facendo in Palestina. Che la questione sia delicata lo dimostra il fatto che l’unica base giuridica che prova a disciplinare la materia sia il Regolamento (UE) 821/2021, attraverso cui le produzioni di questi dispositivi vengono supervisionate dall’Unione Europea. I primi droni, però, da ciò che ci dicono le fonti, sono stati impiegati già nel XX secolo, in particolare dagli Inglesi nella Prima guerra mondiale. Non è un po’ tardi arrivare, solo nel 2021, all’adozione di un regolamento europeo per questa materia? Sì, lo è: se, nel secolo scorso, a Sarajevo, durante l’assedio, per sparare alla popolazione civile in mezzo alle strade venivano assoldati mercenari che si posizionavano sui tetti dei palazzi o sulle colline circostanti, nel terzo millennio il cecchinaggio avviene attraverso la tecnologia. Le testimonianze su come l’IDF usi i droni contro la popolazione civile non si contano più, da parte della stampa, dei medici, dei sanitari. La robotizzazione della sparatoria aumenta esponenzialmente la distanza tra la bocca e la vittima e, quindi, trasporta l’atto omicida verso una derivazione di disumanizzazione che non ha precedente. Così, il lavoro delle bombe intelligenti viene coadiuvato perfettamente dai droni killer. La Global Sumud Flotilla, flotta dell’umanità, naviga verso la spiaggia di Gaza che, ricordiamolo sempre, rispetto all’Italia è soltanto dall’altra parte del Mediterraneo; come per i Gazawi, anche per gli attivisti della Sumud il pericolo può arrivare dall’alto, silenzioso e imprevedibile, sotto forma di una piccola lucina nel cielo, che però non è una stella. Non c’è protezione dai droni, per i civili disarmati di Gaza come per gli equipaggi delle imbarcazioni. Forse, però, i nostri occhi possono farsi luce, diventare fari. Tenerli aperti su Gaza e sulla flottiglia può essere una missione, per chi crede che questo massacro vada fermato. La difesa del diritto alla vita dei Gazawi e della permanenza dignitosa sulla loro terra è difesa del diritto internazionale e, quindi, delle nostre stesse esistenze. Ogni cosa è connessa. Da terra, si può e si deve costruire una flotta, che attraversi tutti i paesi e che faccia pressione sui governi, come un’azione internazionalista tra i popoli, a protezione delle barche. È quello che sta facendo il GMTG in tantissime città. Seguiamola, quest’onda, portiamo i nostri corpi nelle piazze e rispondiamo numerosi alla chiamata per le flotte di terra che ci sarà il 4 settembre. Sulle pagine del GMTG ci sono tutti gli appuntamenti: a Napoli, ci vediamo alle 18:00 in Largo Berlinguer. Sosteniamo la Global Sumud Flotilla Fonti Jerusalem Post, 30 agosto 2025 – http://link https://www.jpost.com/israel-news/article-865898 La Repubblica, 1 settembre 2025 Redazione Napoli
La Global Sumud Flotilla partirà per Gaza con attivisti provenienti da oltre 44 Paesi
Una massiccia flottiglia civile si sta preparando a salpare verso la Striscia di Gaza in un coraggioso tentativo di rompere l’assedio israeliano. Gli organizzatori affermano che questa sarà la più grande spedizione coordinata verso Gaza dall’inizio del blocco nel 2007. Decine di imbarcazioni lasceranno i porti di tutto il mondo alla fine di agosto. La prima flotta partirà dalla Spagna il 31 agosto. Un’altra seguirà dalla Tunisia il 4 settembre. Un convoglio del Sud-Est asiatico, guidato dalla Malesia, prenderà il largo il 23. La campagna, nota come Global Sumud Flotilla, include attivisti provenienti da oltre 44 Paesi. Tra i partecipanti, delegazioni provenienti da Stati Uniti, Brasile, Malesia, Sri Lanka e Italia. A bordo ci saranno medici, avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani. In una conferenza stampa a Tunisi, gli organizzatori hanno affermato che la flottiglia mira a contrastare il genocidio a Gaza e il silenzio della comunità internazionale. “Quest’estate, decine di imbarcazioni, grandi e piccole, salperanno dai porti di tutto il mondo, convergendo su Gaza nella più grande flottiglia civile del suo genere nella storia”, ha dichiarato l’organizzatrice Haifa Mansouri. L’iniziativa riunisce quattro iniziative globali: la Maghreb Sumud Flotilla, la Freedom Flotilla Coalition, il Global Movement to Gaza e Sumud Nusantara. Il loro obiettivo comune, ha spiegato Mansouri, è “rompere il blocco illegale di Gaza via mare, stabilire un corridoio umanitario e contrastare il genocidio in corso contro il popolo palestinese”. Seif Abu Keshk, un altro organizzatore, ha affermato che oltre 6.000 persone si sono già registrate per unirsi ai convogli. “I partecipanti riceveranno un addestramento nei punti di partenza”, ha aggiunto. “Eventi di solidarietà e accampamenti sono previsti lungo il percorso”. Gli organizzatori hanno avvertito Israele di non intercettare la flottiglia. Qualsiasi tentativo di fermarla in acque internazionali, affermano, costituirebbe pirateria ai sensi del diritto internazionale. L’annuncio della flottiglia arriva pochi giorni dopo che le forze navali israeliane hanno intercettato l’Handala, una nave umanitaria diretta a Gaza, il 26 luglio. La nave si trovava a circa 70 miglia nautiche da Gaza quando è stata costretta ad attraccare nel porto israeliano di Ashdod. A giugno la Madleen era arrivata a meno di 110 miglia prima di essere fermata. Dal 7 ottobre 2023, Israele ha perpetrato un genocidio a Gaza. Quasi 61.000 palestinesi sono stati uccisi, quasi la metà dei quali donne e bambini. Case, ospedali e interi quartieri sono stati ridotti in macerie. Gaza è ora sull’orlo della carestia, con gli aiuti bloccati e le infrastrutture distrutte. Nonostante le proteste globali, gli attacchi israeliani continuano. I governi non sono intervenuti. La Global Sumud Flotilla spera di rompere questo silenzio. Quds News Network Redazione Italia
Antonio La Piccirella, attivista della Freedom Flotilla: “Denunciamo Israele per averci sequestrato”
Il silenzio omertoso e complice sul genocidio dei palestinesi deve essere sconfitto con parole di verità, ma anche con il coraggio di un gesto nonviolento, come ha fatto Antonio La Piccirella imbarcandosi sulla nave Handala della Freedom Flotilla per rompere il muro dell’indifferenza e il blocco agli aiuti umanitari. I 21 attivisti che erano a bordo della nave Handala sono finalmente liberi. Israele non aveva nessun motivo legale per detenere l’equipaggio internazionale dell’Handala, come ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla: “Non si tratta di una questione di giurisdizione interna israeliana. Si tratta di cittadini stranieri che operano secondo il diritto internazionale in acque internazionali. La loro detenzione è stata arbitraria, illegale”. Lo scopo della Freedom Flotilla è quello di rompere il blocco illegale agli aiuti umanitari, ma soprattutto quello di aprire una breccia nel muro spietato dell’indifferenza e offrire uno spiraglio di speranza contro il genocidio. Antonio La Piccirella è tornato a casa dopo una breve detenzione in Israele e gli ho fatto alcune domande. In sintesi mi ha detto: Israele sta sterminando il popolo palestinese e nessun governo ha fatto abbastanza. Purtroppo molti non fanno niente, ma altri, come l’Italia sono complici. L’1% delle armi usate dagli israeliani per reprimere e massacrare i palestinesi è di origine italiana, prodotto e venduto da Leonardo S.p.A. Questo è uno dei motivi che mi ha spinto a imbarcarmi sull’Handala: volevo scrollarmi di dosso un poco di questa vergogna che sento sulla mia pelle come italiano. Inoltre la frammentazione sociale, l’isolamento, il modo individuale di assorbire tutte le informazioni che ci piovono addosso senza una dimensione collettiva e comunitaria e tanti altri fattori ci fanno sentire degli spettatori impotenti e passivi. Questa percezione di isolamento non è casuale, ma deriva da un sistema tecnologico che, tramite i social e i media, la favorisce e la alimenta. La nostra azione di resistenza civile nonviolenta rompe questa sensazione di impotenza e di isolamento contro i governi complici o indifferenti. Siamo in grado di agire di fronte alle forze della repressione. Partecipando alla missione della Freedom Flotilla mi sono sentito liberato da questa prigione virtuale e in linea con mente, cuore e corpo. Abbiamo fatto un’azione contro tutti i governi che ormai seguono solo logiche disumane in nome del profitto. Abbiamo provato a restituire dignità e coraggio a tante persone. Io mi sono sentito padrone della mia vita. Ci dobbiamo mobilitare per riconquistare la nostra umanità. Ci hanno attaccato di notte in acque internazionali come pirati. La navigazione in mare aperto è un diritto inalienabile. Erano venti militari israeliani armati di mitra con due imbarcazioni. Agiscono nell’oscurità per nascondersi meglio. Hanno distrutto i nostri dispositivi e ci hanno registrato per far vedere che ci offrivano cibo, mentre affamano a morte un popolo intero, ma noi avevamo già iniziato lo sciopero della fame e ci siamo rifiutati di accettare qualsiasi cosa. Durante tutto il tragitto ci hanno costretti a rimanere sdraiati in coperta, sotto la minaccia delle armi. L’ipocrisia si manifesta nel modo più orrendo, ed io l’ho vista da vicino. In Palestina massacrano i giornalisti, perché non tollerano narrazioni diverse dalla loro unica verità. L’Occidente è complice.  Secondo un comunicato di Freedom Flotilla Italia, al momento del rapimento da parte dell’IDF, Christian Smalls, cittadino statunitense e noto attivista sindacale contro Amazon, è stato immobilizzato con la forza e malmenato. Così pure durante gli interrogatori: è stato uno di quelli sottoposti alle peggiori angherie. Tali atti costituiscono un trattamento inumano e degradante, vietato dalla Convenzione ONU contro la tortura (1984). Tutto questo è avvenuto anche grazie al fatto che ambasciata e consolato USA non hanno visitato in carcere i loro connazionali, non li hanno assistiti durante i processi, non li hanno accolti e supportati per il viaggio di ritorno. Numerosi giuristi e organizzazioni per i diritti umani, come Adalah e Al Mezan, hanno già segnalato come l’attacco alla nave Handala si inserisca in un più ampio quadro di impunità e aggressione sistematica nei confronti di iniziative civili e umanitarie che cercano di rompere il blocco su Gaza – un blocco che le Nazioni Unite hanno definito “punizione collettiva” e dunque illegale ai sensi del diritto umanitario internazionale. L’abbordaggio della nave Handala, avvenuto in acque internazionali nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2025, costituisce una violazione dell’articolo 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), che garantisce la libertà di navigazione, e può configurarsi come atto di pirateria ai sensi dell’articolo 101 della stessa convenzione, nonché come violazione del principio di non-intervento. Inoltre, la detenzione forzata degli attivisti – prelevati contro la loro volontà da acque internazionali, trascinati contro la loro volontà in Israele e trattenuti con una falsa accusa di “immigrazione clandestina” – viola il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR, art. 9), che sancisce il diritto alla libertà personale. Le denunce di Mazzeo e La Piccirella potrebbero aprire un precedente importante: azioni giudiziarie internazionali volte a far riconoscere che le azioni dell’esercito israeliano contro attivisti pacifisti costituiscono violazioni gravi del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto del mare e delle convenzioni sui trattamenti dei civili anche in tempo di conflitto. Rayman
Dossier Milano # 4 | Più conflitti, meno conflitti di interesse – di Lucia Tozzi
“Le mie mani sono pulite” ha detto il sindaco Sala nella seduta del consiglio comunale dove ha sacrificato il suo capro – l’assessore all’urbanistica Tancredi, coinvolto nelle indagini della procura milanese su alcuni (parecchi) progetti di trasformazione urbana. E con questa affermazione ha confermato la sua linea politica sullo sviluppo: privatizzazione feroce dei servizi [...]
Abriendo Fronteras a Calais, l’ultima frontiera
La tappa principale dell’annuale carovana nella città simbolo delle frontiere europee. Non ci sono prati a Calais. Ogni fazzoletto di erba è stato coperto con grossi massi bianchi. Neppure i parchi pubblici sono stati risparmiati. Lo hanno fatto per impedire ai migranti di accamparsi. Hanno voluto togliere loro anche lo spazio per sistemare un sacco a pelo e passarci una notte. I sociologi francesi lo chiamano “arredo a vocazione disciplinare“; è di fatto un arredo urbano anti-povero e prolifera in tante città specialmente di frontiera, anche italiane. Calais è l’ultima frontiera per le persone migranti dirette nel Regno Unito. Una frontiera dove la Francia, di fatto, fa da «barriera preventiva», come i Paesi di transito balcanici lo fanno per l’Europa. “I migranti sono relegati e abbandonati in un ghetto, una sorta di tendopoli fatiscente senza il minimo servizio” spiega Damiana Massara, attivista torinese di Carovane Migranti. “Ogni due o tre giorni arriva la polizia e sbaracca tutto: taglia i sacchi a pelo, sequestra i cellulari, rompe tutto quello che si può rompere”. Si stima siano più di 1.800 le persone che sopravvivono in condizioni difficilissime in un’area compresa tra Calais e Dunquerke, in insediamenti informali senza accesso all’acqua, al cibo, all’assistenza sanitaria. Damiana è arrivata a Calais seguendo la Caravana Abriendo Fronteras. Le attiviste e gli attivisti spagnoli sono partiti da Irun l’11 luglio. A Parigi hanno raccolto la delegazione italiana, composta da una quindicina di persone e, dopo una partecipata manifestazione a Place de la Bastille, sono partiti per la Francia settentrionale, sino a raggiungere Calais. Dal 15 al 17 luglio il gruppo di carovanieri ha partecipato a manifestazioni di protesta, momenti di commemorazione delle morti di frontiera, azioni di denuncia e seminari formativi sulla criminalizzazione della solidarietà, sui diritti dei minori e la sorveglianza tecnologica delle frontiere. Come di consueto nei suoi viaggi verso le frontiere d’Europa, Carovane Migranti ha portato i lenzuoli della memoria: lunghi teli bianchi dove vengono ricamati i nomi delle persone migranti uccise dalle frontiere. “A Calais abbiamo aperto un nuovo lenzuolo: il primo nome è stato quello di un migrante morto nel tentativo di attraversare la Manica proprio il giorno del nostro arrivo”, racconta Damiana. Quante persone sono state uccise, non dal mare, ma dalla frontiera tra Francia e Gran Bretagna? L’anno più mortifero è stato il 2024, con 89 morti. Quest’anno siamo a quota 25. Con Carovane sono arrivati a Calais anche tre testimoni di altre frontiere assassine: Laila, la madre, e le sue due giovani figlie, Fatima e Setayesh. Il fratello di Laila, sua moglie e i loro tre figli sono stati uccisi nel naufragio di Cutro. Il corpo di uno dei ragazzi non è ancora stato trovato e Carovane Migranti ha chiesto alla Comunità Europea di attivarsi per recuperare il relitto e poter dare un nome a tutti coloro che sono periti in quella tragedia. Non è solo una questione di rispetto. Senza un corpo su cui piangere, i familiari non possono fare a meno di coltivare dolorose speranze. “A Calais abbiamo toccato con mano le conseguenze di una frontiera. Una frontiera tanto inutile quanto sanguinosa” prosegue Damiana . “Ma abbiamo trovato anche tanta solidarietà. Come quel grande magazzino gestito da un collettivo di associazioni, come Human Rights Observers, dove le attiviste e gli attivisti raccolgono materiale come sacchi a pelo, suppellettili, cellulari usati per rimpiazzare ciò che la polizia distrugge durante gli sgomberi. Poi c’è la Caritas, che ha organizzato un efficiente punto di accoglienza dei migranti, con bagni pubblici e docce, corrente elettrica, consulenza legale e informazioni.” Calais, assieme alle spiagge della Normandia, è un punto di passaggio obbligato per le rotte migratorie. Arrivano dai Paesi subsahariani, da Libia, Siria, Pakistan, Eritrea, Iran, Iraq, Kuwait, soprattutto. Un passaggio costa circa 1.500 euro. Negli ultimi tempi sono giunti anche migranti vietnamiti. “A loro i trafficanti chiedono un prezzo maggiore, perché si dice che siano i più ricchi” spiega l’attivista Marta Peradotto. Un giro d’affari milionario che ormai viaggia online. Il che dimostra quanto sia ridicolo, oltre che criminale, pensare di poter risolvere la questione migratoria alzando muri o ricorrendo a sgomberi o altre brutalità. Gommoni, barche e motori vengono messi all’asta su internet alla luce del sole. Il passaggio a Dover è diventato una merce acquistabile e vendibile online. Discorso diverso per i giubbotti di salvataggio, che sono stati praticamente messi fuori commercio. Non se ne trovano in tutta la città e le persone sono costrette a imbarcarsi anche senza questa minima protezione. E se non è criminale questo…” A Calais è evidente l’ipocrisia delle politiche migratorie europee, che esternalizzano le frontiere, reprimono la solidarietà e bloccano il diritto di migrare. “Di fronte a ciò” ha scritto Abriendo Fronteras “insistiamo sulla necessità urgente di vie legali e sicure, di una protezione reale per chi fugge dalla guerra, dalla miseria o dal saccheggio, e del riconoscimento politico delle reti di sostegno che si prendono cura delle vite che gli Stati violano”. Foto di Carovane Migranti Melting Pot Europa
La Freedom Flotilla salpa di nuovo: la Handala diretta a Gaza
Il 13 luglio la Freedom Flotilla Coalition è salpata da Siracusa con Handala, una nave della società civile diretta a Gaza per sfidare il blocco letale e illegale imposto da Israele. L’imbarcazione ha a bordo aiuti umanitari salvavita e  porta un messaggio di solidarietà da parte di persone di tutto […] L'articolo La Freedom Flotilla salpa di nuovo: la Handala diretta a Gaza su Contropiano.
Riflessioni sul corteo No Rearm a Roma e sull’attivismo oggi in Italia
Due partecipanti alla riuscitissima manifestazione contro il riarmo ieri a Roma hanno accettato di commentare l’evento per Pressenza: Luke Alden, docente, saggista per Znet e attivista di Statunitensi per la Pace e la Giustizia – Roma (storico gruppo di cittadini statunitensi che abitano nella capitale) e Gianni Magini dell’emittente web Allerta Media, per anni attivista per Julian Assange a Londra e poi per i diritti civili qui in Italia nella sua nativa Toscana.  Luke ha postato, con un commento, alcune foto dei due cortei di sabato sul sito della sua associazione: http://peaceandjustice.it/photos/2025-06-21 . Durante la vostra lunga esperienza di attivismo, avrete partecipato a tantissimi cortei per la pace. Sabato ce n’è stato uno grandioso, anzi ci sono stati ben due cortei grandiosi, contro gli incitamenti al riarmo arrivati dalla Commissione Europea e dalla NATO. Voi due avete scelto di partecipare al corteo di Stop Rearm Europe, partito da porta San Paolo e terminato al Colosseo. Qual è stata la vostra impressione di quella manifestazione? LUKE: Mi è piaciuta; l’ho trovata più vivace della maggior parte delle altre, meno aggressiva. Urlare a gran voce quanto si odiano i partiti non servirà a costruire un movimento, non coinvolgerà ampie fasce di pubblico, cosa che alcuni attivisti dimenticano.  Non mi riconosco in nessun partito, ma nel dialogo aperto con tutti. GIANNI:  Io trovo che spaccarsi su temi così importanti potrebbe aiutare il perpetuarsi dell’attuale sistema di potere dedito a guerre e autoritarismo. Poi, riflettendo, credo ci sia da gioire a prescindere, nel vedere molti italiani tornare nelle strade a protestare.  Un dettaglio importante: avrei voluto vedere molti più giovani. C’erano, eccome, ma nell’altro corteo, promosso dalle forze della “sinistra-sinistra” sotto la sigla Disarmiamoli!, che è partito da piazza Vittorio per raggiungere anch’esso la zona del Colosseo, specificamente i Fori Imperiali.  Come mai non hai scelto di partecipare a quella manifestazione? GIANNI: Servono grandi numeri, di unità e compattezza, e quindi di maggiore visibilità e solidità delle richieste. Di conseguenza, ho scelto la piattaforma di Stop Rearm Europe in quanto figlia di un processo che a livello internazionale sta cercando proprio questa unità  senza per forza dover scendere a compromessi al ribasso. LUKE: Sono d’accordo. Dobbiamo indirizzare il nostro attivismo per raggiungere fasce più ampie di pubblico. C’è un abisso gigantesco tra il voto e le proteste. Quello che conta è la partecipazione dal basso, quotidianamente, con l’obiettivo di trovare nuove strategie e adesioni.  Perché ciò che conta davvero, in fondo, è l’attivismo quotidiano. Siamo davvero interessati a trasformare la società o ci interessa solo stare all’opposizione?  Le manifestazioni, dunque, continuano a essere fondamentali, ma allo stesso tempo insufficienti. Anzi, i cinici dicono che le manifestazioni per la pace proprio non servono a nulla e intanto il Potere va avanti lo stesso facendo guerre.  Ad esempio, la mega manifestazione del 15 febbraio 2003 – per dire all’allora Presidente statunitense Bush di non invadere l’Iraq – è stata la più grande manifestazione mondiale anti-guerra di tutti i tempi secondo il Guinness dei primati. Eppure è stata totalmente ignorata da Bush, che ha invaso l’Iraq lo stesso. Cosa dobbiamo concludere?  Vanno fatte comunque le manifestazioni e i cortei per la pace oppure no?  Servono a qualcosa? GIANNI: Già, l’altra notte gli USA hanno attaccato l’Iran. Potrebbe essere facile affermare che le mobilitazioni siano inutili, ma non è così. Innanzitutto, se da decenni non ci fossimo mobilitati su vari fronti, credo che vivremmo già in un mondo molto peggiore dell’attuale. Inoltre, le manifestazioni servono come collante per movimenti e associazioni che aderiscono e per offrire l’opportunità alle persone di confrontarsi dal vivo LUKE: È davvero una domanda, la tua? Anche le persone più ciniche tra la gente comune e chi detiene il potere conoscono bene la risposta: sì che le manifestazioni contano!  I fascisti lo sanno benissimo, dato che le usano per ottenere il potere. Le quattro rivendicazioni del corteo di Stop Rearm Europe sono le seguenti: NO alle guerre, NO al riarmo, NO al genocidio e NO all’autoritarismo.  Guardiamole più da vicino.  “NO alla guerra” significa anche NO alla guerra in Ucraina, quindi stop all’invio delle armi come precisa Disarmiamoli! nella sua piattaforma?  Oppure consideri quella ucraina una “guerra giusta”, da sostenere con le armi, mentre sarebbero da condannare solo, ad esempio, i bombardamenti israeliani a Gaza, in Cisgiordania, Libano, Siria e ora in Iran? GIANNI: Nessuna guerra è giusta. Ti rispondo citando Gino Strada “Nel terzo millennio solo dei cervelli poco sviluppati possono ritenere che la guerra sia uno strumento accettabile.”  Nessuna scusa travestita da “sicurezza” e “legittima difesa” mi convincerà che, per ottenere la pace, dobbiamo armarci fino ai denti. LUKE: Sono d’accordo e credo che quasi nessuno dei partecipanti alla marcia di sabato creda nelle “guerre giuste” o nelle forniture di armi alle parti di un conflitto.  Naturalmente, nel Nord del mondo ci sono molte persone che approvano l’invio di armi all’Ucraina; invece, penso che il modo migliore per aiutare l’Ucraina sia favorire i negoziati. Consideriamo ora la seconda rivendicazione di Stop Rearm Italia: NO al genocidio. Per voi è sufficiente o dobbiamo anche aggiungere, come fa Disarmiamoli! nella sua piattaforma, rompere ogni relazione con Israele, sostenere il movimento BDS e sostenere anche – udite, udite – la resistenza palestinese?  O queste sono delle rivendicazioni troppo estremiste per te? LUKE: Come stavo dicendo, le proteste sono la parte più visibile dell’attivismo, mentre sono le iniziative quotidiane che contano. Tuttavia, le proteste sono ciò che il pubblico vede, quindi dobbiamo stare attenti a ciò che diciamo. In ogni caso, secondo il diritto internazionale, le persone sotto occupazione militare come i palestinesi hanno il diritto legale alla resistenza armata. Nessuno può seriamente contestarlo. GIANNI: Dire “no al genocidio” è chiaramente uno slogan molto generico, scelto per ragioni comunicative. I passi per porre fine al genocidio in corso in Palestina e nei territori occupati, includono assolutamente ogni tipo di azione volta a prendere le distanze da Israele e a interrompere qualsiasi tipo di collaborazione in essere. Sicuramente fai tuo il “NO all’autoritarismo” contenuto nella piattaforma di Stop Rearm Italia, ma condividi anche le rivendicazioni aggiuntive nella piattaforma di Disarmiamoli!…?  Per esempio, l’abrogazione non solo della recentissima Legge sulla Sicurezza, ma anche di tutte le norme anti-sindacali, e ce ne sono tante. O pensi che non bisogna allargare il discorso, sennò rischi  di perdere consensi, non potresti avere in piazza le decine di migliaia di manifestanti di sabato in quanto non tutti sarebbero d’accordo con rivendicazioni che sanno troppo di “sinistra-sinistra”? GIANNI: Dobbiamo fare un passo alla volta, anche se velocemente. Elencare tutte le cose “cattive” da cambiare in aggiunta all’ultimo “DDL sicurezza” non aiuta ad avvicinare la massa alla piazza.  E questo continuo voler marcare il proprio essere più “radicali, veri e puri” da parte di alcuni, contrapposto a quelli che invece fanno solo finta di essere pacifisti e di sinistra ma che in realtà fanno sempre l’opposto di ciò che dicono, è il cancro che da decenni blocca lo sviluppo di una vera sinistra popolare e compatta in Italia. LUKE: Dire NO all’autoritarismo è il modo migliore per raggiungere il pubblico. Chi può essere FAVOREVOLE all’autoritarismo? Lo stesso vale per l’abrogazione delle leggi che limitano la tutela dei lavoratori: chi può essere contrario, se non gli ultrareazionari?  Le proteste del 2003 hanno segnato un gigantesco incremento di coscienza da parte del pubblico, che continua fino ad oggi. Bisogna riconoscere ai promotori della manifestazione Stop Rearm Europe un’enorme dedizione, una grande competenza e tanta chiaroveggenza.  Eppure si tratta di semplici associazioni di volontari, che non hanno i grandi mezzi di cui dispongono i partiti e i sindacati confederali.  Incredibilmente, sono riusciti a chiamare in piazza e a gestire alla perfezione decine di migliaia di cittadini che, davanti alle atrocità delle varie guerre nel mondo, reclamavano un momento in cui poter sfogare il proprio sdegno, la propria rabbia, e la propria commiserazione per i tanti morti. Questa, per te, è una dimostrazione del potere delle lotte dal basso?  Vi incoraggia a continuare a lottare, anche in piccolo? LUKE: Entrambe le manifestazioni sono state organizzate con pochi mezzi, ottenendo un risultato davvero notevole. Devo ammettere che mi aspettavo un numero ancora maggiore di partecipanti, ma ho sottovalutato il caldo e il periodo dell’anno in Italia, quindi in realtà sono abbastanza soddisfatto.  E sì, questo mi spinge a fare di più con la nostra piccola associazione di statunitensi a Roma.  Personalmente, la manifestazione di sabato mi ha spinto a partecipare di più e meglio, sia con i gruppi locali che internazionali di cui faccio parte. GIANNI:  Non so dove tutto ciò porterà, né se raggiungeremo i nostri obiettivi in modo indolore. Ma sono certo che il capitalismo ha fatto il suo tempo, che la gente non si fida più dei media mainstream, e che stiamo quindi per assistere alla più grande lotta di classe della storia moderna. Come qualcuno ha detto: “I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi. Sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli.” Foto di Patrizia Cortellessa e Gigi Sartorelli su Contropiano per corteo Disarmiamoli Foto di Gianni Magini di Alerta Media per corteo Stop Rearm Europe.   Patrick Boylan
Break the siege on Gaza by sea, by land, by air. Freedom Flotilla Coalition, Global March to Gaza e Sumud Caravan uniscono le forze
Le iniziative della Freedom Flotilla Coalition sono svolte all’insegna del motto Break the siege on Gaza (Rompiamo l’assedio di Gaza) e sostenute dai coordinatori delle due mobilitazioni, la Global March to Gaza e la Sumud Caravan, che puntano a convergere al valico di Rafah. Insieme, i gruppi di attivisti dichiarano: «La carovana di Sumud, la Global March to Gaza e la Freedom Flotilla Coalition stanno unendo le forze in un’azione comune, urgente e determinata. Abbiamo costituito un Comitato di coordinamento internazionale per sostenere e rafforzare le iniziative della società civile che, in questo mese di giugno, attraversano frontiere e barriere per portare speranza, solidarietà e resistenza alla popolazione palestinese. Chi non può intervenire fisicamente, può contribuire da casa, diffondendo e condividendo i messaggi di libertà, giustizia sociale e resistenza che derivano dalle azioni in corso». Gli attivisti di 54 nazioni si stanno radunando al Cairo per attraversare il deserto. Purtroppo, come raccontato in questo articolo, molti attivisti arrivati per partecipare alla Global March to Gaza sono stati fermati all’aeroporto del Cairo. Nel frattempo i coordinatori di Freedom Flotilla Coalition stanno intervenendo in ogni sede giudiziaria e diplomatica per ottenere il rilascio incondizionato degli 8 membri dell’equipaggio e passeggeri della Madleen imprigionati nelle carceri di Israele e a cui è stata ingiunta l’espulsione, prevista in esecuzione nelle giornate di oggi, mercoledì 12, e domani, giovedì 13 giugno. Le partenze infatti sono state pianificate prevedendo il trasferimento prima, mercoledì 12, di Rima Hassan e Reva Viard a Parigi, Suayb Ordu e Yasemin Acar a Berlino e Thiago Avila a Madrid e poi, giovedì 13, di Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi in Francia e di Marco van Rennes ad Amsterdam. Ma Yasemin Acar e Thiago Avila, referenti di Freedom Flotilla Coalition e coordinatori della missione della Madleen, nel frattempo separati dai compagni, condotti in altre carceri e sottoposti a un regime detentivo più restrittivo, prima di partire vorrebbero incontrare tutti i membri del gruppo, perciò si sta aspettando la risposta delle autorità israeliane alla loro richiesta. In queste ore la Freedom Flotilla Coalition ha diramato i messaggi scritti da Marco van Rennes, Pascal Maurieras e dal giornalista Yanis Mhamdi e sta cercando di ottenere, anche con il supporto delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie e della autorità giudiziarie internazionali, che a Israele sia imposta la restituzione del carico di cibo e medicinali imbarcato nella nave diretta a Gaza e la revoca dell’ingiunzione, rivolta alle persone che erano a bordo della Madleen, che le bandisce dallo Stato israeliano, impedendo così loro anche di entrare nei territori palestinesi occupati dai coloni e dall’esercito israeliano. La flotta umanitaria che aggrega i volontari impegnati a soccorrere la popolazione di Gaza chiede a tutti di sostenere il suo impegno firmando la lettera Formal Notice Regarding the Civilian Humanitarian Vessel Madleen and the Legal Obligations of the State of Israel Under International Law indirizzata a numerosi funzionari dell’ONU ed esponenti del governo israeliano e l’appello ALL EYES ON DECK – Demand An Independent Investigation into the Attacks on the ‘Conscience’ and an End to Israel’s Blockade of Gaza con cui si propone di raccogliere almeno, possibilmente più di 51˙200 firme. Attualmente è arrivata a 43 mila. Informazioni e adesioni : BREAK THE SIEGE ON GAZA: BY SEA, BY LAND, BY AIR   Maddalena Brunasti