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Antonio La Piccirella, attivista della Freedom Flotilla: “Denunciamo Israele per averci sequestrato”
Il silenzio omertoso e complice sul genocidio dei palestinesi deve essere sconfitto con parole di verità, ma anche con il coraggio di un gesto nonviolento, come ha fatto Antonio La Piccirella imbarcandosi sulla nave Handala della Freedom Flotilla per rompere il muro dell’indifferenza e il blocco agli aiuti umanitari. I 21 attivisti che erano a bordo della nave Handala sono finalmente liberi. Israele non aveva nessun motivo legale per detenere l’equipaggio internazionale dell’Handala, come ha dichiarato Ann Wright, membro del comitato direttivo della Freedom Flotilla: “Non si tratta di una questione di giurisdizione interna israeliana. Si tratta di cittadini stranieri che operano secondo il diritto internazionale in acque internazionali. La loro detenzione è stata arbitraria, illegale”. Lo scopo della Freedom Flotilla è quello di rompere il blocco illegale agli aiuti umanitari, ma soprattutto quello di aprire una breccia nel muro spietato dell’indifferenza e offrire uno spiraglio di speranza contro il genocidio. Antonio La Piccirella è tornato a casa dopo una breve detenzione in Israele e gli ho fatto alcune domande. In sintesi mi ha detto: Israele sta sterminando il popolo palestinese e nessun governo ha fatto abbastanza. Purtroppo molti non fanno niente, ma altri, come l’Italia sono complici. L’1% delle armi usate dagli israeliani per reprimere e massacrare i palestinesi è di origine italiana, prodotto e venduto da Leonardo S.p.A. Questo è uno dei motivi che mi ha spinto a imbarcarmi sull’Handala: volevo scrollarmi di dosso un poco di questa vergogna che sento sulla mia pelle come italiano. Inoltre la frammentazione sociale, l’isolamento, il modo individuale di assorbire tutte le informazioni che ci piovono addosso senza una dimensione collettiva e comunitaria e tanti altri fattori ci fanno sentire degli spettatori impotenti e passivi. Questa percezione di isolamento non è casuale, ma deriva da un sistema tecnologico che, tramite i social e i media, la favorisce e la alimenta. La nostra azione di resistenza civile nonviolenta rompe questa sensazione di impotenza e di isolamento contro i governi complici o indifferenti. Siamo in grado di agire di fronte alle forze della repressione. Partecipando alla missione della Freedom Flotilla mi sono sentito liberato da questa prigione virtuale e in linea con mente, cuore e corpo. Abbiamo fatto un’azione contro tutti i governi che ormai seguono solo logiche disumane in nome del profitto. Abbiamo provato a restituire dignità e coraggio a tante persone. Io mi sono sentito padrone della mia vita. Ci dobbiamo mobilitare per riconquistare la nostra umanità. Ci hanno attaccato di notte in acque internazionali come pirati. La navigazione in mare aperto è un diritto inalienabile. Erano venti militari israeliani armati di mitra con due imbarcazioni. Agiscono nell’oscurità per nascondersi meglio. Hanno distrutto i nostri dispositivi e ci hanno registrato per far vedere che ci offrivano cibo, mentre affamano a morte un popolo intero, ma noi avevamo già iniziato lo sciopero della fame e ci siamo rifiutati di accettare qualsiasi cosa. Durante tutto il tragitto ci hanno costretti a rimanere sdraiati in coperta, sotto la minaccia delle armi. L’ipocrisia si manifesta nel modo più orrendo, ed io l’ho vista da vicino. In Palestina massacrano i giornalisti, perché non tollerano narrazioni diverse dalla loro unica verità. L’Occidente è complice.  Secondo un comunicato di Freedom Flotilla Italia, al momento del rapimento da parte dell’IDF, Christian Smalls, cittadino statunitense e noto attivista sindacale contro Amazon, è stato immobilizzato con la forza e malmenato. Così pure durante gli interrogatori: è stato uno di quelli sottoposti alle peggiori angherie. Tali atti costituiscono un trattamento inumano e degradante, vietato dalla Convenzione ONU contro la tortura (1984). Tutto questo è avvenuto anche grazie al fatto che ambasciata e consolato USA non hanno visitato in carcere i loro connazionali, non li hanno assistiti durante i processi, non li hanno accolti e supportati per il viaggio di ritorno. Numerosi giuristi e organizzazioni per i diritti umani, come Adalah e Al Mezan, hanno già segnalato come l’attacco alla nave Handala si inserisca in un più ampio quadro di impunità e aggressione sistematica nei confronti di iniziative civili e umanitarie che cercano di rompere il blocco su Gaza – un blocco che le Nazioni Unite hanno definito “punizione collettiva” e dunque illegale ai sensi del diritto umanitario internazionale. L’abbordaggio della nave Handala, avvenuto in acque internazionali nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2025, costituisce una violazione dell’articolo 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), che garantisce la libertà di navigazione, e può configurarsi come atto di pirateria ai sensi dell’articolo 101 della stessa convenzione, nonché come violazione del principio di non-intervento. Inoltre, la detenzione forzata degli attivisti – prelevati contro la loro volontà da acque internazionali, trascinati contro la loro volontà in Israele e trattenuti con una falsa accusa di “immigrazione clandestina” – viola il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR, art. 9), che sancisce il diritto alla libertà personale. Le denunce di Mazzeo e La Piccirella potrebbero aprire un precedente importante: azioni giudiziarie internazionali volte a far riconoscere che le azioni dell’esercito israeliano contro attivisti pacifisti costituiscono violazioni gravi del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto del mare e delle convenzioni sui trattamenti dei civili anche in tempo di conflitto. Rayman
Abriendo Fronteras a Calais, l’ultima frontiera
La tappa principale dell’annuale carovana nella città simbolo delle frontiere europee. Non ci sono prati a Calais. Ogni fazzoletto di erba è stato coperto con grossi massi bianchi. Neppure i parchi pubblici sono stati risparmiati. Lo hanno fatto per impedire ai migranti di accamparsi. Hanno voluto togliere loro anche lo spazio per sistemare un sacco a pelo e passarci una notte. I sociologi francesi lo chiamano “arredo a vocazione disciplinare“; è di fatto un arredo urbano anti-povero e prolifera in tante città specialmente di frontiera, anche italiane. Calais è l’ultima frontiera per le persone migranti dirette nel Regno Unito. Una frontiera dove la Francia, di fatto, fa da «barriera preventiva», come i Paesi di transito balcanici lo fanno per l’Europa. “I migranti sono relegati e abbandonati in un ghetto, una sorta di tendopoli fatiscente senza il minimo servizio” spiega Damiana Massara, attivista torinese di Carovane Migranti. “Ogni due o tre giorni arriva la polizia e sbaracca tutto: taglia i sacchi a pelo, sequestra i cellulari, rompe tutto quello che si può rompere”. Si stima siano più di 1.800 le persone che sopravvivono in condizioni difficilissime in un’area compresa tra Calais e Dunquerke, in insediamenti informali senza accesso all’acqua, al cibo, all’assistenza sanitaria. Damiana è arrivata a Calais seguendo la Caravana Abriendo Fronteras. Le attiviste e gli attivisti spagnoli sono partiti da Irun l’11 luglio. A Parigi hanno raccolto la delegazione italiana, composta da una quindicina di persone e, dopo una partecipata manifestazione a Place de la Bastille, sono partiti per la Francia settentrionale, sino a raggiungere Calais. Dal 15 al 17 luglio il gruppo di carovanieri ha partecipato a manifestazioni di protesta, momenti di commemorazione delle morti di frontiera, azioni di denuncia e seminari formativi sulla criminalizzazione della solidarietà, sui diritti dei minori e la sorveglianza tecnologica delle frontiere. Come di consueto nei suoi viaggi verso le frontiere d’Europa, Carovane Migranti ha portato i lenzuoli della memoria: lunghi teli bianchi dove vengono ricamati i nomi delle persone migranti uccise dalle frontiere. “A Calais abbiamo aperto un nuovo lenzuolo: il primo nome è stato quello di un migrante morto nel tentativo di attraversare la Manica proprio il giorno del nostro arrivo”, racconta Damiana. Quante persone sono state uccise, non dal mare, ma dalla frontiera tra Francia e Gran Bretagna? L’anno più mortifero è stato il 2024, con 89 morti. Quest’anno siamo a quota 25. Con Carovane sono arrivati a Calais anche tre testimoni di altre frontiere assassine: Laila, la madre, e le sue due giovani figlie, Fatima e Setayesh. Il fratello di Laila, sua moglie e i loro tre figli sono stati uccisi nel naufragio di Cutro. Il corpo di uno dei ragazzi non è ancora stato trovato e Carovane Migranti ha chiesto alla Comunità Europea di attivarsi per recuperare il relitto e poter dare un nome a tutti coloro che sono periti in quella tragedia. Non è solo una questione di rispetto. Senza un corpo su cui piangere, i familiari non possono fare a meno di coltivare dolorose speranze. “A Calais abbiamo toccato con mano le conseguenze di una frontiera. Una frontiera tanto inutile quanto sanguinosa” prosegue Damiana . “Ma abbiamo trovato anche tanta solidarietà. Come quel grande magazzino gestito da un collettivo di associazioni, come Human Rights Observers, dove le attiviste e gli attivisti raccolgono materiale come sacchi a pelo, suppellettili, cellulari usati per rimpiazzare ciò che la polizia distrugge durante gli sgomberi. Poi c’è la Caritas, che ha organizzato un efficiente punto di accoglienza dei migranti, con bagni pubblici e docce, corrente elettrica, consulenza legale e informazioni.” Calais, assieme alle spiagge della Normandia, è un punto di passaggio obbligato per le rotte migratorie. Arrivano dai Paesi subsahariani, da Libia, Siria, Pakistan, Eritrea, Iran, Iraq, Kuwait, soprattutto. Un passaggio costa circa 1.500 euro. Negli ultimi tempi sono giunti anche migranti vietnamiti. “A loro i trafficanti chiedono un prezzo maggiore, perché si dice che siano i più ricchi” spiega l’attivista Marta Peradotto. Un giro d’affari milionario che ormai viaggia online. Il che dimostra quanto sia ridicolo, oltre che criminale, pensare di poter risolvere la questione migratoria alzando muri o ricorrendo a sgomberi o altre brutalità. Gommoni, barche e motori vengono messi all’asta su internet alla luce del sole. Il passaggio a Dover è diventato una merce acquistabile e vendibile online. Discorso diverso per i giubbotti di salvataggio, che sono stati praticamente messi fuori commercio. Non se ne trovano in tutta la città e le persone sono costrette a imbarcarsi anche senza questa minima protezione. E se non è criminale questo…” A Calais è evidente l’ipocrisia delle politiche migratorie europee, che esternalizzano le frontiere, reprimono la solidarietà e bloccano il diritto di migrare. “Di fronte a ciò” ha scritto Abriendo Fronteras “insistiamo sulla necessità urgente di vie legali e sicure, di una protezione reale per chi fugge dalla guerra, dalla miseria o dal saccheggio, e del riconoscimento politico delle reti di sostegno che si prendono cura delle vite che gli Stati violano”. Foto di Carovane Migranti Melting Pot Europa
La Freedom Flotilla salpa di nuovo: la Handala diretta a Gaza
Il 13 luglio la Freedom Flotilla Coalition è salpata da Siracusa con Handala, una nave della società civile diretta a Gaza per sfidare il blocco letale e illegale imposto da Israele. L’imbarcazione ha a bordo aiuti umanitari salvavita e  porta un messaggio di solidarietà da parte di persone di tutto […] L'articolo La Freedom Flotilla salpa di nuovo: la Handala diretta a Gaza su Contropiano.
Riflessioni sul corteo No Rearm a Roma e sull’attivismo oggi in Italia
Due partecipanti alla riuscitissima manifestazione contro il riarmo ieri a Roma hanno accettato di commentare l’evento per Pressenza: Luke Alden, docente, saggista per Znet e attivista di Statunitensi per la Pace e la Giustizia – Roma (storico gruppo di cittadini statunitensi che abitano nella capitale) e Gianni Magini dell’emittente web Allerta Media, per anni attivista per Julian Assange a Londra e poi per i diritti civili qui in Italia nella sua nativa Toscana.  Luke ha postato, con un commento, alcune foto dei due cortei di sabato sul sito della sua associazione: http://peaceandjustice.it/photos/2025-06-21 . Durante la vostra lunga esperienza di attivismo, avrete partecipato a tantissimi cortei per la pace. Sabato ce n’è stato uno grandioso, anzi ci sono stati ben due cortei grandiosi, contro gli incitamenti al riarmo arrivati dalla Commissione Europea e dalla NATO. Voi due avete scelto di partecipare al corteo di Stop Rearm Europe, partito da porta San Paolo e terminato al Colosseo. Qual è stata la vostra impressione di quella manifestazione? LUKE: Mi è piaciuta; l’ho trovata più vivace della maggior parte delle altre, meno aggressiva. Urlare a gran voce quanto si odiano i partiti non servirà a costruire un movimento, non coinvolgerà ampie fasce di pubblico, cosa che alcuni attivisti dimenticano.  Non mi riconosco in nessun partito, ma nel dialogo aperto con tutti. GIANNI:  Io trovo che spaccarsi su temi così importanti potrebbe aiutare il perpetuarsi dell’attuale sistema di potere dedito a guerre e autoritarismo. Poi, riflettendo, credo ci sia da gioire a prescindere, nel vedere molti italiani tornare nelle strade a protestare.  Un dettaglio importante: avrei voluto vedere molti più giovani. C’erano, eccome, ma nell’altro corteo, promosso dalle forze della “sinistra-sinistra” sotto la sigla Disarmiamoli!, che è partito da piazza Vittorio per raggiungere anch’esso la zona del Colosseo, specificamente i Fori Imperiali.  Come mai non hai scelto di partecipare a quella manifestazione? GIANNI: Servono grandi numeri, di unità e compattezza, e quindi di maggiore visibilità e solidità delle richieste. Di conseguenza, ho scelto la piattaforma di Stop Rearm Europe in quanto figlia di un processo che a livello internazionale sta cercando proprio questa unità  senza per forza dover scendere a compromessi al ribasso. LUKE: Sono d’accordo. Dobbiamo indirizzare il nostro attivismo per raggiungere fasce più ampie di pubblico. C’è un abisso gigantesco tra il voto e le proteste. Quello che conta è la partecipazione dal basso, quotidianamente, con l’obiettivo di trovare nuove strategie e adesioni.  Perché ciò che conta davvero, in fondo, è l’attivismo quotidiano. Siamo davvero interessati a trasformare la società o ci interessa solo stare all’opposizione?  Le manifestazioni, dunque, continuano a essere fondamentali, ma allo stesso tempo insufficienti. Anzi, i cinici dicono che le manifestazioni per la pace proprio non servono a nulla e intanto il Potere va avanti lo stesso facendo guerre.  Ad esempio, la mega manifestazione del 15 febbraio 2003 – per dire all’allora Presidente statunitense Bush di non invadere l’Iraq – è stata la più grande manifestazione mondiale anti-guerra di tutti i tempi secondo il Guinness dei primati. Eppure è stata totalmente ignorata da Bush, che ha invaso l’Iraq lo stesso. Cosa dobbiamo concludere?  Vanno fatte comunque le manifestazioni e i cortei per la pace oppure no?  Servono a qualcosa? GIANNI: Già, l’altra notte gli USA hanno attaccato l’Iran. Potrebbe essere facile affermare che le mobilitazioni siano inutili, ma non è così. Innanzitutto, se da decenni non ci fossimo mobilitati su vari fronti, credo che vivremmo già in un mondo molto peggiore dell’attuale. Inoltre, le manifestazioni servono come collante per movimenti e associazioni che aderiscono e per offrire l’opportunità alle persone di confrontarsi dal vivo LUKE: È davvero una domanda, la tua? Anche le persone più ciniche tra la gente comune e chi detiene il potere conoscono bene la risposta: sì che le manifestazioni contano!  I fascisti lo sanno benissimo, dato che le usano per ottenere il potere. Le quattro rivendicazioni del corteo di Stop Rearm Europe sono le seguenti: NO alle guerre, NO al riarmo, NO al genocidio e NO all’autoritarismo.  Guardiamole più da vicino.  “NO alla guerra” significa anche NO alla guerra in Ucraina, quindi stop all’invio delle armi come precisa Disarmiamoli! nella sua piattaforma?  Oppure consideri quella ucraina una “guerra giusta”, da sostenere con le armi, mentre sarebbero da condannare solo, ad esempio, i bombardamenti israeliani a Gaza, in Cisgiordania, Libano, Siria e ora in Iran? GIANNI: Nessuna guerra è giusta. Ti rispondo citando Gino Strada “Nel terzo millennio solo dei cervelli poco sviluppati possono ritenere che la guerra sia uno strumento accettabile.”  Nessuna scusa travestita da “sicurezza” e “legittima difesa” mi convincerà che, per ottenere la pace, dobbiamo armarci fino ai denti. LUKE: Sono d’accordo e credo che quasi nessuno dei partecipanti alla marcia di sabato creda nelle “guerre giuste” o nelle forniture di armi alle parti di un conflitto.  Naturalmente, nel Nord del mondo ci sono molte persone che approvano l’invio di armi all’Ucraina; invece, penso che il modo migliore per aiutare l’Ucraina sia favorire i negoziati. Consideriamo ora la seconda rivendicazione di Stop Rearm Italia: NO al genocidio. Per voi è sufficiente o dobbiamo anche aggiungere, come fa Disarmiamoli! nella sua piattaforma, rompere ogni relazione con Israele, sostenere il movimento BDS e sostenere anche – udite, udite – la resistenza palestinese?  O queste sono delle rivendicazioni troppo estremiste per te? LUKE: Come stavo dicendo, le proteste sono la parte più visibile dell’attivismo, mentre sono le iniziative quotidiane che contano. Tuttavia, le proteste sono ciò che il pubblico vede, quindi dobbiamo stare attenti a ciò che diciamo. In ogni caso, secondo il diritto internazionale, le persone sotto occupazione militare come i palestinesi hanno il diritto legale alla resistenza armata. Nessuno può seriamente contestarlo. GIANNI: Dire “no al genocidio” è chiaramente uno slogan molto generico, scelto per ragioni comunicative. I passi per porre fine al genocidio in corso in Palestina e nei territori occupati, includono assolutamente ogni tipo di azione volta a prendere le distanze da Israele e a interrompere qualsiasi tipo di collaborazione in essere. Sicuramente fai tuo il “NO all’autoritarismo” contenuto nella piattaforma di Stop Rearm Italia, ma condividi anche le rivendicazioni aggiuntive nella piattaforma di Disarmiamoli!…?  Per esempio, l’abrogazione non solo della recentissima Legge sulla Sicurezza, ma anche di tutte le norme anti-sindacali, e ce ne sono tante. O pensi che non bisogna allargare il discorso, sennò rischi  di perdere consensi, non potresti avere in piazza le decine di migliaia di manifestanti di sabato in quanto non tutti sarebbero d’accordo con rivendicazioni che sanno troppo di “sinistra-sinistra”? GIANNI: Dobbiamo fare un passo alla volta, anche se velocemente. Elencare tutte le cose “cattive” da cambiare in aggiunta all’ultimo “DDL sicurezza” non aiuta ad avvicinare la massa alla piazza.  E questo continuo voler marcare il proprio essere più “radicali, veri e puri” da parte di alcuni, contrapposto a quelli che invece fanno solo finta di essere pacifisti e di sinistra ma che in realtà fanno sempre l’opposto di ciò che dicono, è il cancro che da decenni blocca lo sviluppo di una vera sinistra popolare e compatta in Italia. LUKE: Dire NO all’autoritarismo è il modo migliore per raggiungere il pubblico. Chi può essere FAVOREVOLE all’autoritarismo? Lo stesso vale per l’abrogazione delle leggi che limitano la tutela dei lavoratori: chi può essere contrario, se non gli ultrareazionari?  Le proteste del 2003 hanno segnato un gigantesco incremento di coscienza da parte del pubblico, che continua fino ad oggi. Bisogna riconoscere ai promotori della manifestazione Stop Rearm Europe un’enorme dedizione, una grande competenza e tanta chiaroveggenza.  Eppure si tratta di semplici associazioni di volontari, che non hanno i grandi mezzi di cui dispongono i partiti e i sindacati confederali.  Incredibilmente, sono riusciti a chiamare in piazza e a gestire alla perfezione decine di migliaia di cittadini che, davanti alle atrocità delle varie guerre nel mondo, reclamavano un momento in cui poter sfogare il proprio sdegno, la propria rabbia, e la propria commiserazione per i tanti morti. Questa, per te, è una dimostrazione del potere delle lotte dal basso?  Vi incoraggia a continuare a lottare, anche in piccolo? LUKE: Entrambe le manifestazioni sono state organizzate con pochi mezzi, ottenendo un risultato davvero notevole. Devo ammettere che mi aspettavo un numero ancora maggiore di partecipanti, ma ho sottovalutato il caldo e il periodo dell’anno in Italia, quindi in realtà sono abbastanza soddisfatto.  E sì, questo mi spinge a fare di più con la nostra piccola associazione di statunitensi a Roma.  Personalmente, la manifestazione di sabato mi ha spinto a partecipare di più e meglio, sia con i gruppi locali che internazionali di cui faccio parte. GIANNI:  Non so dove tutto ciò porterà, né se raggiungeremo i nostri obiettivi in modo indolore. Ma sono certo che il capitalismo ha fatto il suo tempo, che la gente non si fida più dei media mainstream, e che stiamo quindi per assistere alla più grande lotta di classe della storia moderna. Come qualcuno ha detto: “I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi. Sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli.” Foto di Patrizia Cortellessa e Gigi Sartorelli su Contropiano per corteo Disarmiamoli Foto di Gianni Magini di Alerta Media per corteo Stop Rearm Europe.   Patrick Boylan
Break the siege on Gaza by sea, by land, by air. Freedom Flotilla Coalition, Global March to Gaza e Sumud Caravan uniscono le forze
Le iniziative della Freedom Flotilla Coalition sono svolte all’insegna del motto Break the siege on Gaza (Rompiamo l’assedio di Gaza) e sostenute dai coordinatori delle due mobilitazioni, la Global March to Gaza e la Sumud Caravan, che puntano a convergere al valico di Rafah. Insieme, i gruppi di attivisti dichiarano: «La carovana di Sumud, la Global March to Gaza e la Freedom Flotilla Coalition stanno unendo le forze in un’azione comune, urgente e determinata. Abbiamo costituito un Comitato di coordinamento internazionale per sostenere e rafforzare le iniziative della società civile che, in questo mese di giugno, attraversano frontiere e barriere per portare speranza, solidarietà e resistenza alla popolazione palestinese. Chi non può intervenire fisicamente, può contribuire da casa, diffondendo e condividendo i messaggi di libertà, giustizia sociale e resistenza che derivano dalle azioni in corso». Gli attivisti di 54 nazioni si stanno radunando al Cairo per attraversare il deserto. Purtroppo, come raccontato in questo articolo, molti attivisti arrivati per partecipare alla Global March to Gaza sono stati fermati all’aeroporto del Cairo. Nel frattempo i coordinatori di Freedom Flotilla Coalition stanno intervenendo in ogni sede giudiziaria e diplomatica per ottenere il rilascio incondizionato degli 8 membri dell’equipaggio e passeggeri della Madleen imprigionati nelle carceri di Israele e a cui è stata ingiunta l’espulsione, prevista in esecuzione nelle giornate di oggi, mercoledì 12, e domani, giovedì 13 giugno. Le partenze infatti sono state pianificate prevedendo il trasferimento prima, mercoledì 12, di Rima Hassan e Reva Viard a Parigi, Suayb Ordu e Yasemin Acar a Berlino e Thiago Avila a Madrid e poi, giovedì 13, di Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi in Francia e di Marco van Rennes ad Amsterdam. Ma Yasemin Acar e Thiago Avila, referenti di Freedom Flotilla Coalition e coordinatori della missione della Madleen, nel frattempo separati dai compagni, condotti in altre carceri e sottoposti a un regime detentivo più restrittivo, prima di partire vorrebbero incontrare tutti i membri del gruppo, perciò si sta aspettando la risposta delle autorità israeliane alla loro richiesta. In queste ore la Freedom Flotilla Coalition ha diramato i messaggi scritti da Marco van Rennes, Pascal Maurieras e dal giornalista Yanis Mhamdi e sta cercando di ottenere, anche con il supporto delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie e della autorità giudiziarie internazionali, che a Israele sia imposta la restituzione del carico di cibo e medicinali imbarcato nella nave diretta a Gaza e la revoca dell’ingiunzione, rivolta alle persone che erano a bordo della Madleen, che le bandisce dallo Stato israeliano, impedendo così loro anche di entrare nei territori palestinesi occupati dai coloni e dall’esercito israeliano. La flotta umanitaria che aggrega i volontari impegnati a soccorrere la popolazione di Gaza chiede a tutti di sostenere il suo impegno firmando la lettera Formal Notice Regarding the Civilian Humanitarian Vessel Madleen and the Legal Obligations of the State of Israel Under International Law indirizzata a numerosi funzionari dell’ONU ed esponenti del governo israeliano e l’appello ALL EYES ON DECK – Demand An Independent Investigation into the Attacks on the ‘Conscience’ and an End to Israel’s Blockade of Gaza con cui si propone di raccogliere almeno, possibilmente più di 51˙200 firme. Attualmente è arrivata a 43 mila. Informazioni e adesioni : BREAK THE SIEGE ON GAZA: BY SEA, BY LAND, BY AIR   Maddalena Brunasti
FERMI E DEPORTAZIONI DI ATTIVISTI E ATTIVISTE DELLA GLOBAL MARCH TO GAZA GIUNTI IN EGITTO
Dura repressione delle autorità egiziane contro centinaia di attivisti e attiviste arrivati da tutto il mondo presso l’aeroporto internazionale del Cairo per partecipare alla Global March to Gaza. Convogli di civili e migliaia di persone da tutto il mondo (7mila secondo le ultime stime dell’organizzazione) stanno raggiungendo l’Egitto per marciare insieme verso il valico di Rafah, confine con la Striscia di Gaza, per rompere via terra l’assedio imposto da Israele e portare aiuti umanitari alla popolazione civile ridotta alla fame dalle forze di occupazione israeliane. Presso l’aeroporto internazionale del Cairo, a partire dalla serata di ieri, chiunque arrivasse da scali internazionali – in particolare da Italia ed Europa – è stato fermato, interrogato e in diversi casi rimpatriato. Sono ancora in corso interrogatori e fermi: nonostante gli organizzatori fossero in contatto con la diplomazia egiziana, il Cairo ha mobilitato esercito e polizia per bloccare attivisti e attiviste. A molti di loro sono stati sequestrati passaporti e telefoni e si trovano da ore bloccati all’aeroporto. Diverse persone sono già state rimpatriate in Italia. Altre sono state deportate in Turchia e poi rimpatriate. Ore 9.30 – Il collegamento con Antonietta Chiodo, portavoce italiana della Global March to Gaza. Ascolta o scarica.
Mostra fotografica “Io proteggo la protesta” a Legnano
Dal 14 al 29 giugno 2025 Gallerie Cantoni, via Talisio Tirinnanzi/Corso Sempione, Legnano Amnesty international Italia ha realizzato, con il supporto organizzativo del Comune di Legnano, la mostra fotografica nell’ambito della campagna globale “Proteggo la protesta” lanciata nel 2022 con lo scopo di informare sulle violazioni al diritto di espressione e di libera opinione che avvengono  in tutto il mondo e di sensibilizzare la società civile su quanto sia importante contrastare  la repressione  messa in atto dai  governi e di proteggere attiviste e attivisti che si battono per il rispetto di questo fondamentale diritto umano. Nei pannelli di questa mostra fotografica sono raccolte immagini di proteste pacifiche che hanno avuto luogo in diversi Paesi del mondo. Le cause del dissenso sono diverse, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: solo reclamando i propri diritti è possibile realizzare un cambiamento. La mostra è composta da 18 pannelli in Forex formato 40×60 cm con spessore di 5 mm 1 pannello con un testo introduttivo della mostra 17 pannelli con altrettante opere fotografiche  Le attiviste e gli attivisti del gruppo locale saranno presenti per dare informazioni dettagliate sulle immagini esposte in due appuntamenti – sabato 14 giugno alle ore  11,00  e sabato 21 giugno alle  17.00. Informazioni generali I governi di tutto il mondo si stanno servendo di una serie di misure per sopprimere il dissenso organizzato: leggi e provvedimenti che limitano il diritto di protesta, uso sproporzionato e non necessario della forza, espansione della sorveglianza illegale di massa o mirata, chiusura di Internet e censura online, violenza e stigmatizzazione, criminalizzazione di chi protesta pacificamente. I gruppi marginalizzati e discriminati vanno incontro anche a ulteriori ostacoli. Il diritto internazionale dei diritti umani protegge il diritto di protesta attraverso una serie di norme contenute in vari trattati internazionali e regionali che, complessivamente, assicurano ampie protezioni alle proteste. Anche se il diritto di protesta non è codificato come un diritto a sé nei trattati internazionali, quando le persone prendono parte alle proteste, individualmente o collettivamente, esercitano tutta una serie di diritti tra cui quelli alla libertà d’espressione e alla manifestazione pacifica. Questi diritti devono essere rispettati e garantiti! Con la campagna globale “Proteggo la protesta”, Amnesty International risponde agli attacchi dei governi alle proteste pacifiche, sta dalla parte di chiunque  partecipi a una manifestazione in modo pacifico e fornisce sostegno alle cause dei movimenti sociali che premono per un cambiamento in favore dei diritti umani.     Amnesty International
Attivisti della Madleen arrestati in Israele: 4 rilasciati ed espulsi e 6 detenuti
Alle 14:30 di oggi, martedì 10 giugno, la Freedom Flotilla Coalition ha diffuso la notizia che alcuni membri del gruppo sono stati rilasciati ed espulsi da Israele e altri sono ancora imprigionati nel carcere di Ramla e verranno giudicati da un tribunale israeliano. A tutti i 12 catturati a bordo della Madleen era stata offerta l’opzione di firmare il consenso all’espulsione immediata, o di venire trattenuti in Israele per essere sottoposti al processo in merito all’accusa loro rivolta dalle autorità dello Stato, cioè di essere entrati illegalmente nella sua giurisdizione. Eppure l’imbarcazione battente bandiera inglese che era diretta a Gaza per consegnare un carico di cibo e medicinali è stata assaltata e sequestrata dalla Marina Militare israeliana mentre navigava nelle acque internazionali del Mediterraneo. A testimoniarlo è anche Francesca Albanese, giurista specializzata in diritto internazionale e diritti umani e relatrice all’ONU sulle condizioni dei palestinesi nei “territori occupati”, che proprio mentre la nave veniva assalita stava conversando al telefono con il comandante e ha dettagliatamente riferito dei fatti accaduti sulla Madleen nella dichiarazione video-registrata che la  Freedom Flotilla Coalition ha divulgato su Facebook. Poi la Madleen è stata condotta al porto di Ashdod, dove gli attivisti sono stati arrestati e trasferiti al carcere di Ramla; nella mattinata del 10 giugno le autorità israeliane li hanno informati che sarebbero stati rilasciati non appena avessero accettato l’immediata espulsione. I referenti della Freedom Flotilla Coalition hanno suggerito ai detenuti di acconsentire e, una volta liberati, far sapere all’opinione pubblica cosa era loro accaduto. A seguire le indicazioni della FFC sono stati Omar Faiad, cittadino francese e corrispondente di Al Jazeera, la svedese Greta Thunberg, il francese Baptiste Andre, il turco Suayb Ordu e lo spagnolo Sergio Toribio. «Affermando che la legge israeliana non si applica a loro, che la loro missione era di natura umanitaria e che sia l’intercettazione dell’imbarcazione che la loro detenzione sono illegali, tutti hanno esplicitamente ed espressamente contestato per iscritto l’accusa di ingresso illegale nei confini dello Stato israeliano», ha riferito FFC nel comunicato stampa diramato nel pomeriggio. Invece i francesi Rima Hassan, Pascal Maurieras e Reva Viard, la tedesca Yasemin Acar, il brasiliano Thiago Avila, l’olandese Mark van Rennes e il giornalista francese Yanis Mhamdi hanno preferito non accettare le condizioni offerte dalla polizia israeliana. «I detenuti sono in attesa del processo – spiega il comunicato di FFC. <<Tranne il giornalista, assistito dai legati della casa editrice, il team di avvocati che li rappresenta sosterrà che l’intercettazione e il sequestro della Madleen sono stati illegali e che l’arresto e la detenzione delle persone a bordo sono azioni arbitrarie. Inoltre rivendicherà che tutti i detenuti devono essere rilasciati senza espulsione e che ai rilasciati debba esser permesso tornare sulla Madleen per proseguire a svolgere la loro legittima missione a Gaza. Ma il tribunale in cui verrà discussa la loro causa sicuramente propenderà a ordinare la loro espulsione forzata. Conosciamo bene il sistema giuridico israeliano e sappiamo che funziona principalmente per legittimare e consolidare la colonizzazione, l’occupazione e l’apartheid – dichiara contestualmente FFC, fornendo dati che lo confermano – Secondo Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, al 4 giugno 2025 nelle prigioni israeliane erano detenuti oltre 10˙400 palestinesi, di cui più di 400 bambini e più di 3˙500 trattenuti senza essere stati sottoposti a processo o senza che siano state convalidate le accuse del loro arresto». Oltre a partecipando alle manifestazioni di solidarietà nei confronti degli attivisti che erano a bordo della Madleen e sono imprigionati nelle carceri israeliane, tutti possono aderire alla petizione ALL EYES ON DECK che Freedom Flotilla Coalition promuove dal maggio scorso, dopo l’attacco alla Conscience. Per raggiungere o superare l’obiettivo della raccolta di 51˙200 firme ne mancano ancora duemila circa. Maddalena Brunasti
Incontro e laboratorio di Pedagogia Hacker con CIRCE
Sabato 7 giugno ore 18:00 a Roma per la seconda volta presso lo Spazio Anarchico 19 Luglio per un laboratorio di Pedagogia Hacker. A grande richiesta il 7 giugno torniamo presso lo Spazio Anarchico 19 luglio a Garbatella per parlare delle nostre relazioni con le tecnologie digitali. Durante il primo incontro abbiamo ragionato su come "vivere senza google" esplorando percorsi possibili, strumenti, criticità. In questo secondo incontro abbiamo intenzione di esplorare insieme una tecnologia conviviale, Gancio, sviluppata per offire alle comunità un calendario digitale condiviso e pubblico. Sapevate che a Roma esiste l'istanza Gancio roma.convoca.la? Sei stufa di creare eventi Facebook? Non sai mai dove guardare per sapere cosa fare la sera in città? Vorresti un luogo dove sono raccolti tutti gli eventi che ti potrebbero interessare? Smettiamo di delegare ai tecno broligarchi! Disertiamo le tecnologie del dominio e usciamo dai loro recinti! La pedagogia hacker attraverso un metodo innovativo mette in relazione la tecnologia con i corpi, l'arte e il gioco, in modo partecipato e creativo ci permette di ampliare consapevolezza e libertà. L'obiettivo della pedagogia hacker è di migliorare la nostra relazione con i dispositivi digitali nella vita di tutti i giorni e usare l'apprendimento come piacere e la ricerca come frutto dell'esperienza personale. Possiamo decostruire le relazioni tecniche per riappropriarcene in un senso "conviviale", cioè volto a un benessere collettivo che includa gli stessi dispositivi digitali. Tra i temi trattati: autonomia e infrastrutture, il dark web, abbandonare google e vivere felici, gamificazione, nudge e tanto altro. Al termine dell’incontro aperitivo della casa Gruppo Anarchico C.Cafiero FAI Roma Il laboratorio si tiene presso lo Spazio Anarchico 19 Luglio in via Rocco da Cesinale 16,18 a Garbatella (Metro B), Roma.
La Freedom Flotilla per rompere l’assedio di Gaza sta per salpare dalla Sicilia
Era gremito il piccolo porto di San Giovanni Li Cuti, vecchio borgo marinaro nel cuore di Catania. Centinaia di persone ad affollare la banchina, accorse per accogliere la Freedom Flotilla, l’imbarcazione che salperà oggi – domenica 1 giugno – alla volta di Gaza con l’obiettivo di rompere il blocco israeliano e consegnare aiuti alla popolazione palestinese. I membri della flotta che si alternano al microfono vengono da tutto il mondo: Europa, Brasile, Stati Uniti, Paesi arabi. Tra loro anche l’ambientalista svedese Greta Thunberg e l’attore irlandese Liam Cunningham (il Ser Davos Seaworth della serie Il trono di spade). Parlano in inglese, mentre gli attivisti cittadini traducono alla folla, piena non solo di quei volti che ti aspetti di trovare ai cortei, ma di uomini, donne, anziani e bambini che reggono cartelli in cui esprimono solidarietà ai propri coetanei di Gaza. Una riedizione di quanto accaduto appena una settimana fa, con cinquemila persone in corteo lungo la centrale via Etnea: testimonianza di una città che, come tante altre in Italia e in Europa, non ha più intenzione di assistere inerte di fronte al genocidio. La missione che attende la dozzina di attivisti a bordo della Freedom Flotilla è pericolosa. Non tanto per i sette giorni di navigazione nel Mediterraneo a bordo della piccola imbarcazione a motore, ma per l’elevata probabilità di essere fermati con la forza dall’esercito israeliano. Molti di loro erano a bordo del precedente tentativo di raggiungere Gaza via mare, quando – il 1° maggio 2025 – l’imbarcazione venne raggiunta da un drone israeliano mentre si trovava al largo di Malta e colpita con proiettili che ne incendiarono la prua, mettendola fuori uso. Mentre è ancora vivo il ricordo della Mavi Marmara, la nave di attivisti partita dalla Turchia sempre allo scopo di rompere l’assedio di Gaza, che il 31 maggio 2010 venne assaltata da un reparto speciale dell’esercito israeliano che uccise 10 membri dell’equipaggio e ne ferì altri 60. Una strage che il governo israeliano tentò di giustificare con la presunta presenza a bordo di armi destinate alla lotta armata palestinese, una menzogna smentita da successive indagini delle Nazioni Unite. “Molti pensano che siamo degli eroi, ma non lo siamo. Per vivere oggi a Gaza serve essere eroi” afferma Thiago Avila, attivista brasiliano e tra gli organizzatori della Freedom Flotilla. “Ho una bambina di un anno e penso che non si possa stare a guardare mentre migliaia di bambini a Gaza muoiono sotto le bombe e vivono nel terrore. Noi vogliamo dimostrare che la solidarietà e la coscienza internazionalista sono armi che possono battere l’oppressione”. A portarmi con un piccolo gommone a bordo della nave della Freedom Flotilla, ormeggiata un centinaio di metri oltre gli scogli del porticciolo, è Yazan Eissa, un ragazzo palestinese che è il tuttofare della ciurma. A bordo ci sono altri tre membri dell’equipaggio, rimasti a sorvegliare l’imbarcazione in attesa della partenza. Tra loro il dottor Mohammed Mustafa, che a lavorare come volontario a Gaza c’è già stato e ora prova a tornarci perché “ci sono migliaia di bambini da curare, e quelli che non sono morti sotto le bombe sono completamente traumatizzati e stanno vivendo un inferno che è impossibile da descrivere”. Sul ponte della nave, e anche sottocoperta, tolto lo spazio strettamente necessario per dormire e cucinare, ogni angolo è pieno di viveri da portare a Gaza: succhi di frutta, latte, riso, cibo in scatola, barrette proteiche. Sono state donate da centinaia di cittadini catanesi e di tutto il mondo. Yazan sa benissimo che, se riusciranno ad arrivare a Gaza, basteranno a sfamare solo pochi tra i due milioni di palestinesi allo stremo, ridotti alla fame da mesi di crimini di guerra da parte del governo israeliano che, attraverso il blocco di ogni aiuto umanitario e la distruzione sistematica dei campi agricoli, sta usando la fame come arma per costringere la gente di Gaza ad andarsene dalla propria terra: “Il nostro è un aiuto simbolico, serve innanzitutto a testimoniare alla gente di Gaza che i cittadini del mondo sono con loro”, afferma. E visto dal porto di San Giovanni Li Cuti appare evidente che Yazin abbia ragione. I cittadini sono con loro e sopra i tavoli dei ristoranti ci sono palloncini rossi, neri, verdi e bianchi, i colori che compongono la bandiera palestinese. Mentre i passanti si fermano ad ascoltare e ad applaudire. “Hanno ragione, è ora di fare qualcosa per fermare Israele”, dice ai clienti il ragazzo che lavora al chiosco mentre serve caffè e birre. Tanti chiedono cosa possono fare dei semplici cittadini per fermare tutto questo. “La storia dimostra che l’azione collettiva è il vero motore dei cambiamenti reali”, risponde Thiago dal palco: “Partecipate alle proteste, attuate il boicottaggio verso i marchi complici del genocidio, supportate i gruppi che sabotano le industrie di armi e bloccano il loro trasporto dai porti, informatevi e invitate gli altri a fare lo stesso tra i vostri amici e su internet. Tutte le azioni sono parte della battaglia per fermare Israele. La grande maggioranza dei cittadini in Europa e nel mondo sta con la Palestina. Il problema è che i governi non rispettano la volontà dei cittadini che li hanno eletti, ma se saremo uniti e determinati dovranno farlo”. L'Indipendente