I libri sono liberi, ma le opinioni non sempre lo sono
Evidentemente l’Italia ha maturato un problema con i libri. E’ un problema che
ha sempre avuto, ma in questi anni si è acutizzato. Non tanto perchè fanno
discutere per i loro contenuti, ma perchè fa discutere ciò che rappresentano
spesso politicamente. Hanno fatto discutere a partire da chi li ha scritti,
dalle opinioni degli scrittori, o lo hanno fatto a partire dai contenuti del
libro stesso.
Abbiamo anche un problema di schizofrenia con la democrazia, il fascismo,
l’antifascismo, la libertà d’espressione e la censura. Problemi che in questi
anni ritornano periodicamente al centro del dibattito perchè evidentemente non
si sanno gestire. Uso il termine schizofrenia perchè evidentemente ogni anno
diventa sempre più patologico.
Sembra che non si riesca più a distinguere ciò che è fascista da ciò che non lo
è, libertà d’espressione da ciò che non lo è, censura da ciò che non lo è,
democrazia da ciò che non lo è. Tutto questo accompagnato da comportamenti
confusionari: un anno si critica uno scrittore per le sue opinioni e si invita
alla censura; un anno si invita uno scrittore a non presentarsi ad un festival
pur essendo stato invitato; un anno nel silenzio assoluto viene esclusa una casa
editrice dichiaratamente antifascista dal Salone del Libro di Torino senza che
non troppe voci mediatiche si levino in aiuto; un anno alcuni scrittori fanno un
appello in contrarietà alla presenza di una casa editrice dichiaratamente
fascista senza essere ascoltati. Tutto questo sembra un teatro, una commedia
senza trama di cui si intuisce il contenuto e si ignora la conclusione, perchè
la fine è sempre diversa: un misero spettacolo da cui si può indagare la salute
della nostra democrazia. I fatti recenti, dopo l’appello – firmato tra gli altri
da Alessandro Barbero, Anna Foa, Antonio Scurati, Carlo Ginzburg, Giovanni De
Mauro, Christian Raimo e Zerocalcare – per chiedere di escludere dall’evento
“Passaggio al Bosco”, la casa editrice che pubblica scritti di e su Mussolini,
Degrelle, Codreanu e neofascismo, ce lo manifestano senza tante sfumature.
Ciò che mi riporta alla mente sono episodi simili che negli ultimi vent’anni
l’Italia ha vissuto su questo tema.
Nel 2008 il Salone del Libro di Torino dedicò la sua edizione ad Israele “per i
sessanta anni della sua nascita”. Un evento percepito mediaticamente come
festoso ed importante che solo qualcuno seppe contestare. Il Forum Palestina e
altre reti solidali con i palestinesi, organizzarono una efficace campagna di
boicottaggio che aprì un discussione a tutto campo nel mondo della cultura e
della politica. Moltissimi scrittori, palestinesi e non solo, decisero di non
partecipare perchè non aveva senso che una democrazia come l’Italia dedicasse un
evento culturale alla nascita di un Paese nato sulla pulizia etnica da parte di
gruppi d’estrema destra sionisti e la Nakba del 1948 del popolo palestinese, al
quale – già all’epoca – imponeva di vivere in un sistema di apartheid razzista e
coloniale fatto di violenza e soprusi quotidiani e repressione militare
sistematica.
Conclusione: non troppo clamore mediatico e il mondo della cultura italiana
celebrava Israele senza che nessuno si indignasse per la sua storia.
Nel 2011 nel Veneto leghista, l’allora assessore alla cultura della Provincia di
Venezia, Raffaele Speranzon, iniziava una crociata una serie di scrittori
italiani invitando alla censura dei loro testi: “Via quegli autori dalle
biblioteche pubbliche” – disse pubblicamente. La loro colpa era aver firmato nel
2004 un appello per la liberazione e l’indulto a Cesare Battisti, combattente
militante negli anni Settanta nei Proletari Armati per il Comunismo (PAC),
organizzazione italiana della lotta armata di estrema sinistra.
Fu così che si chiedeva che gli “scrittori pro-Battisti” – così vennero chiamati
– venissero messi al bando nelle scuole. “Non chiediamo nessun rogo di libri,
intendiamoci. Semplicemente inviteremo tutte le scuole del Veneto a non
adottare, far leggere o conservare nelle biblioteche i testi diseducativi degli
autori che hanno firmato l’appello a favore di Cesare Battisti”, disse
l’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan, 39 anni di Bassano del
Grappa, fervente cattolica del PDL, con alle spalle una militanza nel Fronte
della Gioventù e un passaggio in An. “Un boicottaggio civile è il minimo che si
possa chiedere davanti ad intellettuali che vorrebbero l’impunità di un
condannato per crimini aberranti”, sbottava annunciando una lettera a tutti i
presidi, mentre nelle biblioteche comunali, nel silenzio generale, stavano
sparendo le opere degli autori politicamente scomodi. Donazzan, nota alle
cronache regionali per aver deciso di donare a tutti gli scolari delle
elementari una copia della Bibbia, dichiarò: “Un autore, un intellettuale,
esiste per quello che scrive. Questo è il suo ruolo nella società. Quella a
favore di Battisti non è stata una petizione popolare. Ci troviamo davanti a un
messaggio aberrante lanciato da intellettuali. A favore di un personaggio che si
è macchiato dei peggiori crimini di sangue. L’unica cosa che possiamo fare è
boicottare i loro libri. Smettere di leggerli. Non accoglierli nelle biblioteche
pubbliche e nelle scuole. (20 gennaio 2011)”. In seguito, a chiederne
ufficialmente la censura nelle scuole, era stato l’assessore regionale con
l’appoggio del presidente della Regione Luca Zaia, che definì la vicenda di
Battisti “abominevole”: “I delinquenti vanno messi in galera, non lasciati
liberi”. Intanto casi di censura leghista, strisciante o esplicita, venivano
denunciati da alcuni bibliotecari veneti. A venire sconsigliati erano
soprattutto i libri di Roberto Saviano. Soddisfatto di aver sollevato “un gran
vespaio”, come lo definì lui, l’assessore provinciale Speranzon disse che “Era
proprio quello che volevo” anche se poi la presidente della Provincia, la
leghista Francesca Zaccariotto, fu costretta a fargli fare marcia indietro.
Riassumendo: dei politici locali decisero che era giusto censurare i libri di
alcuni scrittori ed intellettuali, che non avevano violato nella regola della
nostra fantomatica “democrazia”, solo perchè avevano chiesto in un appello la
liberazione di un guerrigliero politico degli anni Settanta, oltre alla
richiesta di fare pace con la travagliata storia degli Anni di Piombo, di
“assalto al cielo” e di radicalità delle masse. L’azione dei politici leghisti
locali fu sicuramente fascista e antidemocratica che violava il diritto alla
libertà d’espressione e limitava la diffusione di cultura. Questi politici
volevano censurare dei libri sulla base di una loro politicizzazione strumentale
di alcuni fatti passati, fondata sulla loro opinione che volevano trasmutare in
convinzione di massa. Le opinioni, proprio perchè tali, sono sempre di bassa
lega rispetto ai pensieri strutturati e argomentati con cognizione di causa.
Ma la storia non finisce qui. Nel 2019, Wu Ming 4 che avrebbe dovuto presentare
al Salone del Libro di Torino l’antologia di suoi scritti su “J.R.R. Tolkien Il
Fabbro di Oxford” edito da Eterea, decide di annullare la sua presentazione in
quanto al Salone del Libro sarebbe stata presente uno stand Altaforte, di fatto
la casa editrice di CasaPound, organizzazione d’estrema destra occupante di un
palazzo del Ministero dell’Interno che nessuno ha mai sognato di sgomberare. Nei
giorni prima la notizia aveva suscitato molte critiche ed esortazioni a tenere
fuori dalla kermesse una presenza platealmente neofascista. Dello stesso avviso
anche il fumettista ZeroCalcare, che scrisse: “oggettivamente sta roba prima non
sarebbe mai successa. Qua ogni settimana spostiamo un po’ l’asticella del
baratro”. Come ha risposto il Comitato d’indirizzo del Salone? Con un comunicato
che in sostanza dice: “CasaPound non è fuorilegge, dunque può stare al Salone,
basta che paghi”. Non tutti seguirono l’esempio, il saggista Christian Raimo,
dimessosi da consulente del Salone del Libro, decise di esserci lo stesso
“soprattutto per parlare, discutere, ascoltare, e contestare. Ogni spazio
pubblico è un campo di battaglia”. Un’opinione condivisibile, soprattutto se il
motivo era provare coi propri mezzi a non normalizzare quella presenza
inquietante.
Riassumendo: Il Salone del Libro decide di invitare una casa editrice di stampo
neofascista perchè CasaPound non è fuori legge, ma si dimentica di due punti
fondamentali: la Legge Mancino (1993), che punisce l’incitamento all’odio, alla
discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o
religiosi, inclusi gesti e simboli; e la Legge Scelba (1952) che vieta la
ricostituzione del disciolto Partito Fascista e punisce l’apologia del fascismo,
condannando manifestazioni, propaganda e organizzazioni che ne richiamino
principi o metodi, con la Mancino che funge da norma sussidiaria per condotte
meno specificamente fasciste ma discriminatorie. Questo basterebbe per dire che
il neofascismo non è un’opinione tra le altre e che la sua apologia è reato.
Nel 2021, invece, al Salone del Libro di Torino succede qualcosa di estremamente
insolito: l’esclusione della casa editrice udinese Kappa Vu da parte della
Regione Friuli-Venezia Giulia (con la famigerata Mozione 50) dalla
partecipazione al “Salone del libro” di Torino previsto dal 14 al 18 ottobre
2021. La comunicazione è avvenuta non con una comunicazione scritta ma con una
telefonata, non alla casa editrice diretta interessata, ma all’Associazione di
editori di cui Kappa Vu fa parte, con l’avvertimento di esclusione di tutti gli
altri editori appartenenti all’Associazione. Si tratta di un fatto gravissimo un
fatto grave: una decisione avvenuta in base ad un “giudizio di merito” dal punto
di vista politico da parte della Regione Friuli-Venezia Giulia, sulle
pubblicazioni della casa editrice stessa in merito alle esecrabili vicende del
confine orientale e sulle foibe. Non si tratta di una casa editrice qualunque,
ma una casa editrice che pubblica libri su argomenti storici importanti:
l’occupazione fascista della Jugoslavia, l’italianizzazione fascista delle terre
slave, la resistenza antifascista jugoslava, le foibe, le amnesie di Stato
italiane sulle vicende del Confine Orientale, l’antislavismo fascista, i campi
di concentramento fascisti dove vennero rinchiusi e sterminate le popolazioni
slave etc. La politica non potrebbe operare discriminazioni sulla base di
pubblicazioni non ritenute “proprie”. L’Anpi Udine con il coordinatore Dino
Spanghero affermò: “inaccettabile e antidemocratico, una violazione della
libertà di stampa sancita dalla Costituzione”.
Conclusione: evidentemente la Regione Friuli Venezia Giulia ha delle simpatie
revisioniste della storia a tal punto da impedire la presenza di una casa
editrice che, attraverso la ricerca storica, ha dichiarato guerra al
revisionismo storico. Interessante che il Salone del Libro non si sia espresso….
Per concludere, l’art. 21 della nostra Costituzione afferma che “Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo di diffusione”, essendo il pluralismo delle idee e dei
pensieri, e non la censura, patrimonio delle società democratiche. Un conto è
esprimere la propria opinione libera; un conto è imporre forzatamente la propria
opinione pensando che debba essere legge; un conto è dichiararsi fascisti e, in
quanto tale, pretendere di avere voce in capitolo; un conto è accettare che i
fascisti possano essere normalizzati in quanto agenti d’opinione; un conto è
escludere chi la pensa diversamente a prescindere proprio per il suo pensiero;
un conto è esporsi per chiedere democraticamente chiarimenti su fatti
democraticamente inspiegabili come appunto la presenza di case editrici
apertamente schierate
Credo che sia urgente più che mai discutere ampiamente sui temi della libertà di
espressione, dei valori dell’antifascismo e sul fatto che l’apologia di fascismo
sia reato. Un questione che prima o poi si dovrà affrontare se vogliamo
continuare a vivere in un clima pacifico di dialogo.
Lorenzo Poli