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Salari, non armi!
I SINDACATI BRITANNICI PROVANO A CAMBIARE IL LORO RAPPORTO COL COMMERCIO DI ARMI. IL DIBATTITO AL TRADES UNION CONGRESS [POLLY SMYTHE] “Non sono qui per difendere le armi”, ha affermato il delegato di Unite Andrew Holland durante un dibattito sulla spesa militare al congresso sindacale di quest’anno. “Sono qui per difendere i posti di lavoro”. L’idea che il sostegno dei sindacati ai lavoratori possa essere nettamente separato dal loro sostegno a ciò che i lavoratori producono – in particolare nel caso dei lavoratori dell’industria della difesa e dei combustibili fossili – ha una lunga storia nel sindacalismo. Allo stesso tempo, la vita dei membri non si limita al posto di lavoro. Di fronte alla catastrofe climatica e alla proliferazione delle guerre, la tensione tra il lavoratore e il suo lavoro – settoriale e generale – sta diventando sempre più insostenibile per il movimento sindacale. Tale tensione è giunta al culmine questa settimana al Trades Union Congress (TUC) di Brighton, dove i rappresentanti di 48 sindacati hanno esaminato una mozione su “salari, non armi” che chiedeva al congresso di “dare priorità alla campagna per gli investimenti pubblici nel settore pubblico britannico, decimato dall’austerità” rispetto all’aumento della spesa per la difesa, in rottura con la precedente politica del TUC. La mozione sosteneva che l’aumento della spesa per la difesa non è un gioco a somma zero, ma che “una spesa sempre più elevata per gli armamenti comporterà inevitabilmente meno fondi per l’istruzione, la sanità, i consigli comunali e la transizione ecologica”. Dopo un raro momento di disaccordo in una conferenza altrimenti pubblicamente cortese, una stretta maggioranza dei delegati del TUC ha appoggiato la mozione, ribaltando la politica del TUC che si impegnava a promuovere una campagna per aumentare la spesa per la difesa. Un movimento frazionato Jo Grady, segretaria generale dell’University and College Union (UCU), ha presentato la mozione. “Non è sufficiente per noi dire che il lavoro viene prima di tutto”, ha detto al congresso. “Non quando il risultato di quei posti di lavoro è che altrove si scatena l’inferno. Dobbiamo avere ambizioni più elevate”. La mozione è stata sostenuta dal National Education Union (NEU), dal sindacato dei dipendenti pubblici PCS, dal Communication Workers Union (CWU), dal sindacato delle arti e dello spettacolo Equity, dal National Union of Rail, Maritime and Transport Workers (RMT) e dal National Union of Transport Workers (NTW). La mozione è stata sostenuta dal National Education Union (NEU), dal sindacato dei dipendenti pubblici PCS, dal Communication Workers Union (CWU), dal sindacato delle arti e dello spettacolo Equity, dal National Union of Rail, Maritime and Transport Workers (RMT) e dal Fire Brigades Union (FBU). Hanno votato contro la mozione Unite, GMB e Prospect, tutti con membri nel settore della difesa, probabilmente preoccupati che qualsiasi calo nel sostegno alla spesa per gli armamenti possa portare i membri a lasciare il sindacato per unirsi a un altro. Mike Clancy, segretario generale di Prospect, ha affermato che “la divisione … è al centro della mozione dell’UCU”. “Negli ultimi giorni abbiamo sentito molto parlare di solidarietà”, ha aggiunto Clancy. “Mi sembra che questo non valga per i lavoratori della difesa. La realtà è che nel mondo si verificano eventi terribili: l’aggressione russa in Ucraina, il disastro umanitario in Palestina. Ciò non significa che i lavoratori della difesa non diano un contributo fondamentale e non facciano parte del bene pubblico. Se questa [mozione] verrà approvata, i media diranno che il congresso [del TUC] non sostiene i lavoratori della difesa. Che la solidarietà è un concetto selettivo. Che i lavoratori della difesa siano motivo di imbarazzo per il movimento sindacale”. Tony Kearns, vice segretario generale senior del CWU, ha condannato l’eufemismo di Clancy riguardo al “disastro umanitario in Palestina”: “Non è un disastro umanitario”, ha detto al congresso. “È un genocidio sostenuto da questo governo, che usa i lavoratori britannici per pilotare aerei e uccidere uomini, donne e bambini innocenti. Chiamiamolo con il suo nome. Non venite qui con parole ipocrite”. Cambiamenti di posizione. Negli ultimi anni il movimento sindacale ha faticato a tracciare una linea chiara nel suo approccio alla spesa per la difesa. Nel 2017, il TUC ha approvato una mozione che si impegna a promuovere la riconversione della difesa, in cui i lavoratori passano dal lavoro militare a impieghi alternativi qualificati. Ma cinque anni dopo, i sindacati hanno votato per “condannare” il ‘declino’ dell’industria della difesa britannica e per promuovere un “aumento immediato” della spesa per la difesa, una mossa che Grady ha recentemente definito “aver messo [il movimento sindacale] dalla parte sbagliata della storia”. Tuttavia, dal 2022 sono cambiate molte cose che mettono in discussione il sostegno del movimento sindacale alla difesa, tra cui il genocidio di Israele a Gaza, che i lavoratori di tutto il mondo hanno cercato di contrastare. A esercitare pressione dalla direzione opposta è il crescente sostegno alla spesa per la difesa da parte del partito laburista, al quale il movimento sindacale è strettamente legato. Parlando all’inizio di giugno in un cantiere navale della BAE che costruisce navi da guerra, Keir Starmer ha presentato una nuova revisione della difesa che trasformerebbe la Gran Bretagna in una una “nazione pronta alla battaglia e corazzata”. Ha annunciato che ora saranno spesi miliardi – il più grande aumento della spesa per la difesa dalla fine della guerra fredda – in armi. Il segretario generale di Unite, Sharon Graham, ha accolto con favore l’annuncio di Starmer definendolo “fondamentale per la nostra difesa futura”. Graham, il cui programma è stato quello di allontanare il sindacato dalle pressioni su Westminster e ‘ritornare’ al “core business” della tutela dei posti di lavoro, ha affermato che si impegnerà per garantire che il Labour mantenga la sua promessa di “tradurre la spesa per la difesa in crescita britannica, posti di lavoro britannici, competenze britanniche, innovazione britannica”. Anche il più conservatore GMB ha accolto con favore l’aumento promesso della spesa per la difesa, definendolo “una potente forza interna per la crescita e il livellamento delle nostre regioni e nazioni”. Si possono ricostruire le industrie, ma non le vite. Questo è stato il contesto in cui si è svolto il dibattito di martedì sul tema “salari, non armi”. Grady ha affermato che il rifiuto del Labour di finanziare i servizi pubblici mentre finanzia una massiccia espansione militare è “un programma anti-lavoratori. È un attacco diretto ai nostri interessi, alla nostra classe, alle nostre comunità e al nostro movimento”. Sottolineando che il suo stesso sindacato aveva membri impiegati nella ricerca per l’industria degli armamenti, ha affermato che “non tollererà che il movimento venga rimproverato per i posti di lavoro che andranno persi senza alcun riferimento alle vite che si stanno perdendo in questo momento. Si possono ricostruire le industrie… ma non si possono recuperare le vite distrutte da queste armi”. Anche Ian Clarke, un lavoratore della Rolls-Royce, si è espresso contro la mozione, affermando: ” “La difesa offre lavoro qualificato, salari dignitosi e sostiene comunità operaie come Plymouth, Barrow, Clydeside e Belfast”. Questa argomentazione – secondo cui i lavori nel settore della difesa garantiscono occupazione sicura in aree che altrimenti sarebbero state duramente colpite dalla deindustrializzazione – è stata ripresa da Andrew Holland di Unite, che ha sottolineato il “numero record” di apprendisti nell’industria militare. I dibattiti sulle implicazioni della produzione militare si sono svolti internamente ai sindacati. A luglio, Unite ha votato alla sua conferenza politica a sostegno delle campagne guidate dai lavoratori per boicottare la movimentazione di merci israeliane, nonché delle campagne per il disinvestimento dalle aziende israeliane. Il voto ha fatto seguito a un dibattito interno al sindacato sulla sua posizione nei confronti della Palestina, con Graham che lo scorso marzo ha inviato una lettera al personale e agli organizzatori del sindacato in cui affermava che “non c’è alcuna contraddizione nel fatto che un sindacato mantenga una posizione di solidarietà con i lavoratori palestinesi, rifiutando al contempo di sostenere campagne che prendono di mira i luoghi di lavoro dei nostri membri senza il loro sostegno”. E continuava: “La ‘prima rivendicazione’ tra le nostre priorità è sempre la protezione e la promozione degli interessi dei nostri membri sul posto di lavoro”. In assenza di una più ampia strategia industriale da parte del governo – come dimostrano le chiusure caotiche di Port Talbot, dello stabilimento Vauxhall di Luton e di Grangemouth – e in assenza di un piano chiaro per una transizione equa, i sindacati sono desiderosi di sostenere la produzione militare. In assenza di una strategia industriale governativa più ampia – come dimostrano le chiusure caotiche di Port Talbot, dello stabilimento Vauxhall di Luton e di Grangemouth – e in assenza di un piano chiaro per una transizione equa, i sindacati sono desiderosi di mantenere i posti di lavoro sindacalizzati rimasti, compresi quelli nel settore della difesa. “Senza dubbio, alla vigilia della sua abolizione”, ha scritto Grady sul Morning Star, “anche il sindacato dei boia ha condannato la fine della pena capitale”. Polly Smythe è corrispondente del movimento sindacale per Novara Media. The post Salari, non armi! first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Salari, non armi! sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Nestlé ti fa bere microplastiche
IN FRANCIA, LA MULTINAZIONALE È UN CASO EMBLEMATICO DI DEGRADO AMBIENTALE E RISCHIO SANITARIO La plastica non inquina solo i fondali oceanici, ma contamina anche le acque vendute con l’etichetta “minerali naturali”. La causa? Le bottiglie di plastica accumulate in modo selvaggio e abbandonate da Nestlé, vicino ai propri pozzi di trivellazione, hanno inquinato il suolo e le acque circostanti. Un’indagine condotta dall’Ufficio francese per la biodiversità (OFB), resa pubblica da Mediapart, ha rivelato una grave contaminazione ambientale causata da Nestlé nei pressi dei suoi impianti di imbottigliamento nei Vosgi, dove vengono prodotte le acque minerali Hépar e Contrex. Le bottiglie di plastica abbandonate vicino ai pozzi hanno rilasciato microplastiche in concentrazioni fino a 3.000 volte superiori ai livelli normalmente rilevati nelle falde acquifere. Dal 2016 al 2024, oltre 400.000 m³ di rifiuti, tra plastica, vetro e amianto, sono stati stoccati illegalmente. La discarica di Contrexéville, soprannominata “il vulcano”, contiene l’equivalente di 66 piscine olimpioniche di plastica interrata. Nestlé sarà processata a novembre per abbandono illecito di rifiuti e degrado ambientale sostanziale, con la procura che denuncia il “cinismo” dell’azienda, la quale avrebbe avuto i mezzi per intervenire già nel 2015 ma ha scelto di ignorare il problema. Durante un’audizione parlamentare del 2021, la presidente di Nestlé France ha ammesso che l’azienda era a conoscenza delle discariche già dal 2014, ma ha informato lo Stato solo sette anni dopo. Invece di bonificare, Nestlé ha affidato analisi ai propri esperti, ignorando i risultati: i campioni di suolo e acqua mostrano contaminazioni da microplastiche fino a 9 milioni di volte superiori rispetto alla Senna, e concentrazioni di metalli pesanti dieci volte oltre i limiti OMS. Le microplastiche rilevate non provengono dalle bottiglie, ma dai pozzi stessi, contaminati dalle discariche abusive. Una nota interna di Nestlé del 2022 riconosce il rischio “reputazionale e finanziario” e l’impatto sulla qualità delle acque. Gli investigatori sospettano anche l’uso di trattamenti vietati come la microfiltrazione per mascherare l’inquinamento. Il direttore del sito ha attribuito la presenza di alcune microplastiche al “nastro adesivo dei sigilli”, ma gli agenti dell’OFB sottolineano che quei materiali sono tipici dei sistemi di filtrazione vietati. Negli ultimi cinque anni, la comunità scientifica ha intensificato gli studi sull’impatto delle microplastiche sulla salute umana. La svolta è arrivata con la scoperta di microplastiche nelle feci e nel sangue umano, seguita da rilevazioni anche nell’apparato digerente e nel cervello. Secondo Mathilde Body-Malapel, immunotossicologa dell’Università di Lille e dell’Inserm, queste particelle possono alterare il sistema immunitario, aumentare il rischio cardiovascolare e provocare danni al fegato e all’intestino, come dimostrato in studi condotti sui topi. Le ricerche hanno evidenziato effetti tossici di diversi tipi di microplastiche, tra cui polietilene, PVC e polipropilene, materiali comunemente usati negli imballaggi. Sebbene la varietà chimica renda complessa l’analisi, emergono correlazioni con patologie tumorali, infiammatorie e immunitarie. Guillaume Duflos, biochimico dell’Anses, conferma che l’acqua in bottiglia presenta livelli di microplastiche superiori rispetto all’acqua del rubinetto. I suoi studi si concentrano su tre ambiti: contaminazione degli alimenti, impatti sulla salute e presenza di additivi pericolosi come ritardanti di fiamma, coloranti e metalli pesanti. La mobilitazione scientifica ha già portato alla standardizzazione di metodi di analisi delle microplastiche nelle acque potabili, con l’obiettivo di stabilire soglie di riferimento per tutelare i consumatori. Tuttavia, la regolamentazione è ancora in fase embrionale, mentre le evidenze sui rischi continuano ad accumularsi. The post Nestlé ti fa bere microplastiche first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Nestlé ti fa bere microplastiche sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Senza crescita, il Canada va dritto verso la crisi
LA GUERRA DOGANALE SCATENATA DA TRUMP MINACCIA UN’ECONOMIA DIPENDENTE DAGLI USA E GIÀ DEBOLE DA ANNI  [ROMARIC GODIN] La nebbia. I canadesi che lunedì 28 aprile si recheranno alle urne per rinnovare il parlamento federale dovranno fare la loro scelta senza alcuna certezza sul futuro della loro economia. Tanto che la banca centrale del Paese, la Bank of Canada (BoC), nella sua ultima conferenza stampa del 16 aprile ha dovuto ammettere di non poter vedere molto nel futuro: “L’incertezza nelle politiche commerciali sta rendendo difficile la pianificazione per le famiglie, le imprese e i governi”, ha dichiarato. “Dare ai canadesi un falso senso di precisione sarebbe certamente un disservizio”, ha aggiunto il governatore della BoC Tiff Macklem: ‘Ciò che accade all’economia canadese e all’inflazione dipende in modo critico dalla politica commerciale degli Stati Uniti, che rimane altamente imprevedibile’. La BoC ha quindi pubblicato due scenari per i prossimi anni, agli estremi opposti dello spettro. Il primo, con un livello minimo per le tariffe, vede la crescita indebolirsi all’1,6% alla fine del 2027 (il suo livello alla fine del 2024). Il secondo si basa sulle massime restrizioni al commercio con gli Stati Uniti e porterebbe a una “significativa recessione”. Il futuro si trova senza dubbio tra questi due limiti. In altre parole, non sarà certo roseo. Questo è abbastanza logico. L’economia canadese è fortemente intrecciata con quella del suo vicino meridionale. Nel 2024, le aziende canadesi hanno esportato negli Stati Uniti ben 577 miliardi di dollari canadesi (circa 366,3 miliardi di euro), mentre le importazioni da questo Paese hanno totalizzato 484,6 miliardi di dollari canadesi (circa 307,7 miliardi di euro). Lo scorso anno, il mercato statunitense ha rappresentato il 75,9% delle esportazioni e il 62,2% delle importazioni. Per un Paese le cui esportazioni rappresentano il 30,5% del PIL e 0,7 punti di crescita, le relazioni commerciali con gli Stati Uniti sono fondamentali. UNO “SHOCK SENZA PRECEDENTI” Da quando Donald Trump è salito al potere il 20 gennaio, il Canada è nel suo mirino. Il motivo è semplice. Il padrone di casa della Casa Bianca è ossessionato dai deficit commerciali del suo Paese, che è determinato a ridurre drasticamente. Nel 2024, gli Stati Uniti avranno un deficit commerciale con il Canada in termini di manufatti pari a 63,3 miliardi di dollari (circa 55,7 miliardi di euro). Anche se, includendo i servizi, questo deficit si riduce a 51 miliardi di dollari, l’amministrazione Trump vede in questa situazione uno “squilibrio” che intende correggere con le tariffe. Dal 4 marzo, i prodotti canadesi che non rientrano nell’USMCA, il successore dell’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA) dal 2020, sono soggetti a una tariffa del 25% all’ingresso negli Stati Uniti. L’acciaio e l’alluminio (circa il 6,7% delle esportazioni canadesi negli Stati Uniti) sono stati tassati rispettivamente del 50% e del 35%. I prodotti energetici, invece, sono soggetti a una sovrattassa di solo il 10%. Nel 2024, questi prodotti, in particolare il petrolio, rappresenteranno 176,2 miliardi di dollari canadesi (circa 111,8 miliardi di euro) di esportazioni verso gli Stati Uniti, pari al 32% del totale. Il Canada ha risposto imponendo tasse sui prodotti statunitensi. In altre parole, la relazione economica interdipendente tra i due Paesi è stata gravemente danneggiata. E, logicamente, l’intero modello economico canadese è a rischio. Naturalmente, le tariffe non fermano il commercio. Ma a parte il petrolio e il gas, i prodotti canadesi sono simili a quelli americani. A differenza dei prodotti messicani, che possono sempre contare su un vantaggio in termini di costo del lavoro, i prodotti canadesi sono particolarmente sensibili alla concorrenza statunitense. Con un dazio doganale del 25%, sono abbondantemente rimpiazzabili. Anche trovare nuovi sbocchi per le aziende canadesi sarà probabilmente difficile, dato che la crescita rimane debole. Certo, il Canada ha recentemente firmato un accordo di libero scambio con l’Unione Europea, il famoso Ceta, ma l’UE è una zona praticamente in stagnazione ed è aperta anche ai concorrenti del Canada. Ecco perché Tiff Macklem descrive la crisi commerciale con gli Stati Uniti come uno “shock senza precedenti in oltre cento anni”. UN’ECONOMIA IN RIPRESA Questo shock è arrivato in un momento particolarmente negativo per il Canada, che sta lottando per uscire da un lungo periodo di stagnazione. Nel 2024, la crescita del PIL ha subito una leggera accelerazione, raggiungendo l’1,6% (dopo l’1,2% del 2023), trainata dai servizi, in particolare dal commercio al dettaglio e dalla ristorazione. Ma questi livelli di crescita rimangono bassi per un Paese un tempo abituato a competere con i tassi di crescita degli Stati Uniti, compresi tra il 2,5% e il 3%. Se confrontiamo l’evoluzione del PIL canadese e statunitense dal 2008, vediamo che le due curve si sovrappongono fino alla crisi sanitaria, quando divergono nettamente a favore degli Stati Uniti, la cui crescita è di 6,7 punti superiore a quella canadese nell’intero periodo. La situazione è resa ancora più critica dal fatto che, dalla metà degli anni ’90, la crescita non è più riuscita a tenere il passo con la dinamica demografica del Paese. In breve, il PIL pro capite sta diminuendo. Nel 2024 il calo sarà dell’1,4%, dopo una diminuzione dell’1,3% nel 2023. La crescita canadese, dunque, è illusoria. In realtà negli ultimi due anni il Paese s’è impoverito. Secondo la Banca Mondiale, nel 2023 il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto e in dollari costanti sarà inferiore al livello del 2018. Tra il 2014 e il 2023, questo indicatore sarà aumentato solo dell’1,8%. In altre parole, nell’ultimo decennio il Paese è passato dalla stagnazione alla recessione. Nel 2014, questo stesso PIL pro capite rappresentava il 78,2% del suo equivalente statunitense. Nel 2023, questo rapporto è sceso ad appena il 67,5%. Come si spiega questa flessione? Sebbene il Canada abbia il nono PIL nominale più grande al mondo (ma il sedicesimo in termini di parità di potere d’acquisto), è un Paese altamente non industrializzato. Solo il 9% del PIL proviene dal settore manifatturiero. La maggior parte della crescita proviene dai consumi delle famiglie: tra il 2007 e il 2019, secondo Statistics Canada, hanno rappresentato il 74,5% della crescita del Paese. Per molto tempo è stato il mercato immobiliare a sostenere la crescita. Tra il 2000 e il 2007, gli investimenti residenziali sono passati dal 5,93% al 7,9% del PIL. Dopo la crisi del 2008, gestita dall’attuale primo ministro Mark Carney in qualità di governatore della Banca d’Italia, la crescita del settore immobiliare ha subito un lieve rallentamento, ma è rimasta centrale. E anche se la quota delle esportazioni sul PIL è diminuita di 7 punti percentuali nell’ultimo quarto di secolo, il settore petrolifero rimane una componente importante dell’economia canadese. Essendo un’economia fortemente orientata ai servizi, il Canada è fortemente dipendente dal commercio estero. Il consumismo richiede di fatto massicce importazioni, soprattutto dagli Stati Uniti. Queste importazioni sono coperte dalle esportazioni, in particolare di petrolio. Ma dopo la crisi sanitaria, l’economia canadese ha subito un forte rallentamento, sotto un doppio colpo: l’inflazione e la fine della bolla immobiliare. Tra il 2019 e il 2024, gli investimenti residenziali sottrarranno 8,3 miliardi di dollari canadesi (circa 5,2 miliardi di euro) alla crescita del Paese. Questo è l’impatto dell’aumento dei tassi di interesse sui prezzi, che sono diventati astronomici. Certo, gli investimenti in prodotti tecnologici sono aumentati notevolmente, del 27% in questi cinque anni, ma non sono sufficienti, mentre gli investimenti produttivi complessivi sono diminuiti. È questo rallentamento del settore immobiliare e l’assenza di uno stimolo in stile Biden a spiegare il divario tra l’economia canadese e quella statunitense negli ultimi cinque anni. Allo stesso tempo, i consumi delle famiglie hanno continuato a crescere (+1,8% nel 2023 e +2,4% nel 2024), trainati soprattutto dai servizi e in particolare dalle spese vincolate (sanità, istruzione, affitti, assicurazioni). Questo fenomeno è già stato osservato negli Stati Uniti e si riflette nell’insoddisfazione dei consumatori in un contesto di inflazione. Secondo i dati di Statistics Canada, tra il 2020 e il 2024, i salari saranno aumentati leggermente meno rapidamente dei prezzi in generale: +17,1% per i salari e +17,45% per i prezzi. Il tenore di vita è quindi rimasto stabile, mentre alcune voci di spesa abituali, come l’abitazione (+24%), hanno subito un forte aumento. Il tutto in un contesto in cui la crescita non tiene il passo con l’aumento della popolazione. UN MODELLO DA RIDEFINIRE Insomma, la continuità dei consumi non è sinonimo di benessere e solo pochi mesi fa Justin Trudeau, primo ministro dal 2015, e il suo partito erano diventati molto impopolari per questo motivo. Sono gli attacchi di Donald Trump che hanno permesso al Partito Liberale di rimontare nell’opinione pubblica, mentre i Conservatori sono identificati come favorevoli al presidente americano. Nel giugno 2024, con il rallentamento dell’inflazione, la Banca del Canada ha iniziato un ciclo di tagli dei tassi. Il suo tasso di riferimento è sceso dal 5% al 2,75% nel febbraio 2025. Questo allentamento monetario spiega gran parte della ripresa alla fine del 2024. Ma ora la BoC non sa più cosa fare. Continuare a tagliare i tassi sosterrebbe la domanda a fronte del calo delle esportazioni, ma questa domanda implicherebbe un aumento delle importazioni statunitensi, rese più costose dalle tariffe di ritorsione del Canada. Il rischio di un ritorno dell’inflazione sarebbe quindi reale. Ma se la Banca d’Inghilterra dovesse alzare i tassi per contrastare l’inflazione, non si vede come il Paese possa evitare la recessione, anche se i settori di esportazione saranno in difficoltà. Il 16 aprile, Tiff Macklem ha quindi deciso di non fare nulla e di lasciare i tassi invariati. La sfida per il prossimo governo sarà quella di definire un nuovo modello economico. Più facile a dirsi che a farsi, senza dubbio. Soprattutto perché le piattaforme economiche dei due partiti principali, il Partito Liberale (uscente) e il Partito Conservatore, non sembrano davvero all’altezza della sfida. I conservatori criticano la dipendenza dei liberali dagli Stati Uniti, ma hanno contribuito a crearla e non hanno una strategia alternativa. I liberali, da parte loro, difendono una posizione ferma contro Washington e parlano di legami più stretti con l’Europa. Ma gli elementi concreti di questo sviluppo rimangono poco chiari. L’approccio dei politici canadesi è quello di trovare un modo per convincere gli Stati Uniti a ripristinare lo status quo ante. Un esito improbabile, che nemmeno la Banca d’Italia prevede. Già indebolita, l’economia canadese si trova ora ad affrontare una grave crisi. The post Senza crescita, il Canada va dritto verso la crisi first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Senza crescita, il Canada va dritto verso la crisi sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Roma, Soprintendenza e associazioni chiedono di piantarla col cemento
LE NORME TECNICHE DI ATTUAZIONE DEL PRG SONO UN REGALO AI PALAZZINARI, SOPRINTENDENTE E SOCIETÀ CIVILE LE BOCCIANO. GUALTIERI TIRA DRITTO Anche la Soprintendenza Speciale di Roma boccia le norme tecniche di attuazione del PRGC di Roma Capitale. Una bocciatura che arriva in simultanea con quella pronunciata da numerose associazioni (tra cui Arci Roma) e comitati in una conferenza stampa al Campidoglio. Dai cinema all’edilizia verticale, dalla dismissione degli edifici abbandonati agli accorpamenti fra unità edilizie che rischiano di “alterare irreversibilmente la struttura della città storica”: tredici pagine firmate dalla soprintendente speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma, Daniela Porro, che sono arrivate sui tavoli del Campidoglio. Il fascicolo riguarda la “trasmissione valutazioni preliminari e prescrizioni” per la “delibera di adozione della variante alle norme tecniche di attuazione (Nta) del piano regolatore generale (Prg)” della Capitale e mette in evidenza diversi punti critici rispetto alla delibera 169 dell’Assemblea Capitolina dello scorso 11 dicembre, sottolineando criticità e avanzando alcune richieste di modifica. Non senza un richiamo all’etichetta istituzionale, con riferimento all’esclusione della soprintendenza da un procedimento in cui appaiono norme “espresse in modo astratto”, che implicano il rischio di “ambiguità nell’applicazione, contrarie al principio di trasparenza”. Nel dossier si avverte che la trasformazione del tessuto “sembra essere affidata all’iniziativa dei singoli” e “sembra volersi delineare un nuovo sviluppo della città che fino ad oggi era assegnato ad una progettualità coordinata e pianificata”. Particolare attenzione nel documento sul tema dei cinema della Capitale, da tempo nell’occhio del ciclone anche per le polemiche innescate da una proposta di legge regionale che potrebbe facilitare il cambio di destinazione d’uso di un centinaio di sale: secondo la soprintendenza, infatti, “si pone a serio rischio la loro conservazione come tipologia edilizia – vista la previsione dell’incremento di Sul (la superficie utile lorda, ndr.) fino al 50%, che la norma così modificata permetterebbe e visto anche il cambio di destinazione d’uso secondo le norme di componente – generando in tal modo la concreta possibilità di una perdita di queste architetture tra le quali molte rivestono importante valore culturale”. La soprintendente Porro, inoltre, prende in esame la scelta del Campidoglio di “preferire soluzioni progettuali volte a prediligere lo sviluppo verticale degli edifici”: “Devono essere garantiti – scrivono da piazza dei Cinquecento – sia il non ulteriore consumo di suolo, ma anche e soprattutto le relazioni di visuale e percezione a tutela del paesaggio circostante, non privilegiando lo sviluppo in altezza dei nuovi fabbricati, come invece espresso nelle nuove norme senza una precisa contestualizzazione”. Nelle valutazioni della soprintendenza anche il tema degli “incentivi per il rinnovo edilizio” e gli “edifici abbandonati e degradati”, che vengono così definiti se dismessi da soli tre anni”. Le previsioni dell’assemblea capitolina sono volte “a favorire una sostituzione di interi organismi edilizi, anche con significativo valore storico, con la realizzazione di costruzioni ex-novo, piuttosto che intervenire sulla valorizzazione e riqualificazione e quindi rigenerazione dell’edificato urbano esistente”. “Accorpamenti e frazionamenti tra unità edilizie”, che nel centro urbano “spesso sorgono su strutture archeologiche preesistenti”, potrebbero “alterare irreversibilmente la struttura della città storica, cancellando la complessità della sua stratificazione, a partire da quella archeologica”. Uno dei nodi più critici è l’eliminazione “della valutazione congiunta – negli immobili ancora non soggetti a specifici provvedimenti di tutela ma censiti nella Carta per la Qualità – di Soprintendenza statale e Sovrintendenza comunale, sugli interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria e restauro o risanamento conservativo, limitandolo alla sola ristrutturazione edilizia. Questo declassamento determinerebbe una perdita di tutela su un’ampia parte del patrimonio edilizio che, pur non essendo vincolato dal Codice dei Beni Culturali, rappresenta un elemento di rilevante valore storico-culturale. Una deregolamentazione a tutto favore dell’iperturismo perché va a investire i “contesti di valore storico-documentario, in particolar modo quando si tratta di progetti invasivi e non accorti che implicano consistenti opere di sistemazione insediativa o turistico-ricettiva”. Infatti, nel dossier si sottolinea come “la vocazione di residenzialità andrebbe persa irrimediabilmente” con l’introduzione della “possibilità di cambiamento di destinazione d’uso da funzioni singole a altre funzioni” che “consentirebbe la conversione da residenziali ad alberghiere degli immobili che abbiano il 70% della struttura ad attività di tipo ricettivo extralberghiero”. Per questo la Soprintendenza chiede di istituire “un tavolo tecnico per la necessaria revisione del protocollo d’intesa del 2009” e che venga “modificato il parere che questa soprintendenza rilascia” sul territorio “della Città storica dichiarata Patrimonio dell’Umanità all’interno delle Mura aureliane, da ‘consultivo’ a ‘vincolante’, al fine di garantire un’azione di tutela sul costruito storico più incisiva e volta alla salvaguardia delle valenze storiche, monumentali e paesaggistiche che lo contraddistinguono. Tale parere dovrà essere esteso anche ai cambi di destinazione d’uso e alle ristrutturazioni edilizie che determinano l’accorpamento di diverse unità edilizie”. La soprintendenza chiede quindi che “siano aggiornati” gli “elaborati prescrittivi e gestionali del Prg in collaborazione con questo ufficio, essendo quelli vigenti gravemente carenti e, pertanto, del tutto inadeguati a testimoniare l’eccezionale ricchezza di monumenti antichi e di preesistenze certe nel sottosuolo del Comune di Roma”. Da parte sua il Campidoglio, ritiene opportuno precisare che non c’è nessuna “bocciatura” e «che l’iter di approvazione va dunque avanti come previsto», comunica l’Assessorato all’Urbanistica e alla città dei 15 minuti di Roma Capitale, l’Amministrazione Capitolina «si riserva di analizzare nel merito le osservazioni avanzate dalla Soprintendenza Speciale di Roma, con cui l’Amministrazione da sempre collabora e continuerà a collaborare nel massimo rispetto delle prerogative istituzionali proprie della Soprintendenza ma tutelando e confermando nel contempo le prerogative proprie di Roma Capitale e dell’Assemblea Capitolina, che costituisce l’organo competente a definire le strategie di pianificazione della città, rappresentativo dei cittadini romani, democraticamente eletto e che ha votato a stragrande maggioranza il dispositivo normativo delle Nta». Insomma, Gualtieri tira dritto, come fa con quei settori di cittadinanza attiva che si battono contro progetti devastanti piovuti dal cielo dopo promesse elettorali di tutt’altro tenore. «Questa visione di città disegnata con le modifiche alle NTA, è un’idea che non sembra rispondere neanche a quegli intenti che in fase elettorale il sindaco Gualtieri ha messo nero su bianco proprio nel programma che parlava anche di città verde, sostenibilità, contrasto ai cambiamenti climatici, richiamando alla rete ecologica come al sistema parchi – ha detto Barbara Manara, delegata all’Ambiente di Arci Roma – invece, si nega la partecipazione per sancire in modo inequivocabile lo spostamento di sovranità da chi quei territori li abita a chi li interpreta solo come una ghiotta occasione di guadagno». Anche numerose associazioni e comitati (tra cui Arci Roma, WWF, Italia Nostra, Extinction Rebellion, Fridays, no stadio, Lago Ex Snia, Quarticciolo ribelle ecc…) hanno denunciato, con osservazioni puntuali, come le nuove NTA, presentate come “necessarie alla rigenerazione”, agevolano invece l’attività edilizia e sono in contrasto con le politiche per il clima grazie a «generosi premi volumetrici e incentivi agli imprenditori privati ma non producono benefici per gli spazi pubblici, il verde e i servizi alla cittadinanza. Anzi, è alto e concreto il rischio che la “rigenerazione” non rispetti nemmeno gli standard di verde e servizi fissati dal PRG del 2008 in 22 mq abitante (di cui 9,5 a verde)». Infatti, mentre vengono aggiornate le norme tecniche di attuazione, è rimasto immutato l’articolo 72 del PRG sulla Rete ecologica. La rete ecologica di un Piano Regolatore è un insieme di habitat interconnessi che mira a salvaguardare la biodiversità. È una componente fondamentale del PRG che definisce le regole per le trasformazioni urbane, concepita come uno strumento prescrittivo di “raccordo dinamico” tra le spinte alla trasformazione e la difesa delle biodiversità. Denunciano le associazioni, che alla vigilia della conferenza stampa hanno promosso un mail-bombing che ha coinvolto migliaia di persone, che le aree pubbliche a standard non realizzate e decadute tornano nelle disponibilità edificatorie dei privati, che non c’è verifica dello stato di attuazione del PRG vigente da 20 anni e non è prevista la valutazione dei carichi che risulteranno dal sommarsi di cambi di destinazione d’uso, incentivi, premi, ricostruzioni, monetizzazione degli standard in generale destinata a infrastrutture e non a spazi verdi e servizi o mancanti o resi necessari dall’aumento di popolazione attratta dalle trasformazioni. Inoltre è stabilita la derubricazione a silenzio-assenso dei poteri della Sovrintendenza Capitolina a tutela del patrimonio storico minore. Nell’area centrale dove, con l’unico obbligo di conservare le facciate antiche, accorpamenti, demolizioni e sostituzioni favoriscono gli usi commerciali. L’integrità paesistica dell’Agro è minacciata anche da “usi complementari” all’attività rurale per aziende rilevate in produzione nel 1997, che nel frattempo possono avere cessato l’attività. Paradossale il contrasto con l’ambizioso obiettivo che la stessa Giunta capitolina si è data di raggiungere la neutralità delle emissioni di CO2 nel 2030. Per questo il cartello di soggettività chiede di subordinare l’approvazione delle Norme tecniche all’ottemperanza delle indicazioni di Piano per restituire alla Rete il ruolo di “elemento strutturante” delle scelte urbanistiche, nel senso auspicato dalla Strategia climatica di “spina dorsale dei servizi ecosistemici della città di Roma”.                                 The post Roma, Soprintendenza e associazioni chiedono di piantarla col cemento first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Roma, Soprintendenza e associazioni chiedono di piantarla col cemento sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Russia, la guerra di Putin fa crescere le disuguaglianze
MENTRE SI ARRICCHISCONO I SIGNORI DELLA GUERRA, LA MAGGIORANZA DELLA POPOLAZIONE SI IMPOVERISCE [ESTELLE LEVRESSE] Negli ultimi tre anni, la Russia ha speso ingenti somme per la sua guerra su larga scala in Ucraina. Per attirare volontari al fronte, le autorità hanno fatto esplodere gli stipendi dei soldati a contratto. La paga mensile è fissata a 210.000 rubli (2.200 euro), tre o quattro volte il salario medio, a cui si aggiungono numerosi benefici materiali e sociali e generosi bonus di arruolamento finanziati dalle regioni. Entro il 2025, il bilancio militare russo raggiungerà i 130 miliardi di euro, pari a un terzo del bilancio totale del Paese, con un aumento del 30% rispetto al 2024, che era già un anno record. Mentre la maggior parte di questa somma sarà assorbita dal complesso militare-industriale, altri settori beneficeranno della generosità dello Stato, come l’istruzione, la cultura e la sanità, che saranno tutti reindirizzati verso quella che il Cremlino continua a chiamare la sua “operazione militare speciale”. L’obiettivo è premiare gli “eroi” che combattono in Ucraina, diffondere la propaganda di Stato e incoraggiare il patriottismo per legittimare e continuare il conflitto. Il concorso biennale “borse presidenziali”, che dovrebbe finanziare progetti sociali in vari campi, è una perfetta illustrazione di questa tendenza. Presentata a fine gennaio, l’edizione 2025 ha premiato 239 progetti dedicati al tema dell’anno “Difensore della Patria” su 1.497 finalisti. Tra questi, progetti di propaganda patriottica, programmi di aiuto alle famiglie dei militari e iniziative scolastiche legate alla guerra. La sovvenzione più consistente è stata assegnata a un progetto per la riabilitazione dei soldati feriti dalla Fondazione Memoria delle Generazioni (72 milioni di rubli – 773.000 euro). La stazione radio patriottica Pride, che trasmette da un anno, ha ricevuto 39 milioni di rubli (420.000 euro) per lanciare una serie di format dedicati al “patrimonio storico e culturale” della Russia. Quasi 27 milioni di rubli (291.000 euro) sono stati stanziati per la creazione del museo “Campo di battaglia: Mariupol”. La devastazione della città da parte delle truppe russe tra il febbraio e il maggio 2022, che ha causato la morte di migliaia di civili, è descritta nel progetto come una “liberazione eroica”. NUOVA ÉLITE Questa militarizzazione della società e dell’economia sta avendo un effetto profondo sul Paese, dove le disuguaglianze sociali si stanno ampliando in modo permanente. Mentre alcuni si arricchiscono grazie alla guerra, gran parte della popolazione si impoverisce. Secondo l’economista russo Igor Lipsits, tra i 26 e i 28 milioni di persone hanno visto migliorare la propria situazione finanziaria negli ultimi tre anni. Questo gruppo comprende i soldati e le loro famiglie, nonché i lavoratori del settore degli armamenti, gli operatori sanitari impiegati nelle cliniche militari e nei centri di riabilitazione e tutte le professioni direttamente collegate allo sforzo bellico. “Si tratta di circa il 20% della popolazione russa. Si tratta di un forte sostegno sociale alla continuazione del conflitto”, sottolinea Igor Lipsits, che vive in esilio in Lituania. Vladimir Putin intende capitalizzare questo nuovo gruppo sociale, ritenendo che “tutti coloro che servono la Russia, lavoratori e guerrieri”, costituiranno d’ora in poi la “vera élite”. “Dovranno occupare posizioni di leadership nell’educazione e nella formazione dei giovani, nelle associazioni pubbliche, nelle imprese pubbliche, negli affari, nell’amministrazione statale e municipale, e guidare le regioni, le imprese e, in ultima analisi, i più grandi progetti nazionali”, ha dichiarato il Presidente russo nel suo discorso all’Assemblea federale il 29 febbraio 2024. Sebbene sia improbabile l’avvento di una nuova élite politica addestrata in trincea, nel frattempo, per la maggior parte dei russi, le condizioni di vita si stanno deteriorando in questo periodo di guerra. I pensionati sono quelli che stanno peggio, con un’impennata dei prezzi dei generi alimentari. Nell’ultimo anno, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti alle stelle: +90% per le patate, +36% per il burro, +48% per le cipolle, +24% per l’agnello, secondo i dati dell’agenzia federale di statistica Rosstat. “I pensionati civili, circa 41-42 milioni di persone, vedono il loro potere d’acquisto crollare, poiché l’indicizzazione delle pensioni non tiene il passo con l’aumento dei prezzi. La loro situazione è particolarmente preoccupante”, avverte il professor Igor Lipsits. Tanto più che diversi studi stimano che l’inflazione reale potrebbe essere doppia rispetto alle cifre ufficiali. BONUS COLOSSALI Di fronte all’impennata dell’inflazione, nel 2023 la Banca centrale russa ha deciso di aumentare il tasso d’interesse di riferimento, che ora ha raggiunto il livello record del 21%. Ciò ha avuto un enorme impatto sul mercato immobiliare e delle costruzioni. “Fino allo scorso luglio, esisteva un programma federale di prestiti immobiliari a tasso agevolato: il tasso era limitato all’8% per l’acquirente e lo Stato pagava la differenza. Ma questo programma è stato interrotto perché troppo costoso”, spiega Igor Lipsits. Da allora, le vendite di case sono diminuite drasticamente. Solo il 5% della popolazione russa può permettersi un mutuo agli attuali tassi di mercato. Preoccupata per un potenziale crollo del mercato edilizio, Valentina Matvienko, avverte la necessità di una moratoria sui fallimenti dei costruttori. Ma alcuni esperti temono che questa misura possa innescare una crisi sistemica nei settori bancario e immobiliare. Inoltre, i colossali bonus pagati ai soldati e alle loro famiglie stanno mettendo a dura prova i bilanci regionali. Secondo un’inchiesta del media indipendente iStories, pubblicata a novembre, in alcune regioni più della metà dell’assistenza sociale è ora destinata ai soldati e alle loro famiglie, riducendo drasticamente l’assistenza ai più vulnerabili. Il territorio di Stavropol dedica l’83% delle prestazioni sociali ai militari, con un bonus di arruolamento di 1,6 milioni di rubli. In Karachayev-Circassia, il 75% dei fondi sociali va ai militari, un importo nove volte superiore al sussidio di disoccupazione. A Kaluga, la percentuale è del 52%, diciassette volte superiore all’aiuto dato ai disabili. Le associazioni che aiutano i senzatetto hanno notato un aumento del numero di persone bisognose negli ultimi anni. “Prima c’erano soprattutto anziani, ma ora ci sono anche giovani famiglie che non trovano più un posto dove vivere, o persone vittime di frodi immobiliari”, dice Olga Bakhtina, che gestisce il rifugio privato Dari Dobro a Ekaterinburg. E la situazione si ripercuote su tutto il Paese. “Nel 2022-2023, i motivi principali per cui si diventerà senzatetto saranno la perdita della possibilità di affittare un alloggio e la perdita del lavoro”, conferma Daniil, membro di Notchlejka, la più antica organizzazione russa di assistenza ai senzatetto, che opera a Mosca e San Pietroburgo. PERICOLI PUBBLICI I bilanci regionali sono ancora più sotto pressione a causa della contrazione delle entrate fiscali nel 2024, con un calo del 7% lo scorso anno, ha annunciato il ministro delle Finanze Anton Silouanov. “Questo porterà le autorità regionali a fare tagli al bilancio: ridurre gli stipendi o licenziare i lavoratori del settore pubblico. Queste cose stanno già iniziando ad accadere”, afferma Igor Lipsits. È il caso della regione industriale di Kemerovo, dove le autorità hanno avviato un massiccio piano di licenziamento dei dipendenti pubblici impiegati negli asili, a causa del calo delle entrate fiscali provenienti dall’industria del carbone. In diverse regioni è in corso anche un programma di ottimizzazione del sistema sanitario. Secondo il quotidiano indipendente The Moscow Times, almeno 160 ospedali pubblici, cliniche, centri medici, dispensari, reparti di maternità e altre strutture sanitarie sono stati chiusi nel 2024, costringendo la popolazione locale a percorrere lunghe distanze per accedere alle cure. Che impatto avranno queste fratture sociali nel medio termine? “È difficile dire dove porterà tutto questo, perché la Russia è un Paese molto poco convenzionale. Le persone che si stanno impoverendo cercheranno di sopravvivere come meglio possono. Probabilmente cercheranno di guadagnare di più nell’ombra per pagare meno tasse. È improbabile che ci siano proteste sociali, ma l’irritazione aumenterà e l’economia sommersa crescerà”, prevede Igor Lipsits. Il conflitto sta portando anche a un aumento della violenza in Russia. I giornali locali riportano regolarmente i turpi crimini commessi al ritorno dal fronte da ex detenuti che erano stati graziati in cambio dell’arruolamento nell’esercito. In una rara critica agli eroi di guerra da parte di un rappresentante ufficiale dello Stato, la deputata della Duma Nina Ostanina ha descritto gli ex detenuti di ritorno dall’Ucraina come “pericoli per la società, invitando le forze dell’ordine a proteggere i cittadini da questi criminali”. Secondo un’indagine del media indipendente Verstka, i casi di violenza domestica che coinvolgono ex combattenti sono quasi raddoppiati nei primi due anni di guerra in Ucraina rispetto al 2020-2021. Le principali vittime sono le donne.     The post Russia, la guerra di Putin fa crescere le disuguaglianze first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Russia, la guerra di Putin fa crescere le disuguaglianze sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.