La cella dell’avvocatoQuando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia.
Arrestavano gli avvocati o li costringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi
della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza
antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la
“banda armata” di cui erano accusati di far parte i loro assistiti. Gabriele
Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per
titolo “La cella dell’avvocato”
di Edoardo Todaro da Carmilla
“ Anni di piombo “ è questa la definizione che va per la maggiore nel definire
un periodo importantissimo nella storia del conflitto sociale e politico, quello
che si è prodotto negli anni ‘70. In questo paese, in quel periodo si è
sviluppato un movimento che non ha avuto paragoni in altri paesi occidentali.
Tanti i motivi sul perché in Italia si sia sviluppato tale percorso, certo non è
questo l’ambito. La liberazione dal nazifascismo sta subendo, da molti anni a
questa parte, un percorso di omologazione tra vinti e vincitori. Do you remember
Violante e le ragioni dei vinti? La morte non fa distinzioni, di fronte ad essa
siamo tutti uguali.
Questo in estrema sintesi, il percorso intrapreso in questi anni per arrivare ad
una riscrittura della storia, per arrivare alla famosa memoria condivisa. Tutti
uguali nella liberazione? Equiparare liberatori ed oppressori se si parla della
lotta di liberazione avvenuta nel ’45. Rimuovere e silenziare se si parla degli
anni’70; cosa sono stati gli “ anni ’70 “ in questo paese? Un conflitto sociale
politico/sindacale/sociale si è manifestato e come è stato possibile che in
una” democrazia compiuta “ si verificasse un possibile “ assalto al cielo “ che
potesse rimettere in discussione rapporti di forza consolidati a favore del
potere capitalistico, messa in discussione concretizzatisi con “ il mettere
paura “.
I protagonisti di quell’esperienza, spesso e volentieri finiti ad espiare il
proprio essere soggetti di una rottura epocale nelle patrie galere, devono
restare in silenzio, non farsi portatori del raccontare la propria esperienza ,
del proprio vissuto. Come si diceva un tempo “ a futura memoria “, a monito per
le nuove generazioni che si affacciano nell’essere protagoniste della messa in
discussione dello stato di cose presenti. Se prendi in considerazione che il tuo
impegno politico, la tua appartenenza al conflitto sociale in atto possa
esprimersi anche in forme incompatibili con l’ordine costituito, sappi che ti
teniamo sotto controllo, anzi che se pensi di farla frana, ti raggiungeremo
anche a distanza di decenni e te la faremo pagare, perché il potere non
dimentica. . Che sia capitato una volta? Ci può stare. Ma che non si ripeta
mai! Abbandono queste considerazioni, sicuramente ci sarà occasione per
tornarci, per dire alcune cose rispetto a “ La cella dell’avvocato “.
Gabriele Fuga, l’avvocato Gabriele Fuga, ci riporta ad un qualcosa di molto
importante, un qualcosa che deve essere conosciuto. Per tantissimi anni il
conflitto sociale aveva assunto tali dimensioni di scontro e di massa, che
rispondere alla repressione rientrava nei compiti di tutti nessuno escluso.
Certo c’era anche una nutrita schiera di legali che si prestavano a sostenere
coloro che venivano colpiti dai provvedimenti repressivi, ma il farvi ricorso
era, per così dire, una modalità tutta interna alle “ dinamiche di movimento “.
Ad un certo punto, la repressione ha accentuato il suo agire ed il movimento ha
attenuato la sua forza d’urto, anche su questo ritorneremo, e l’aspetto della
difesa legale ha assunto proporzioni considerate, prima, importanti ma
secondarie. Prima, se un operaio veniva licenziato, rivolgersi ad un legale era
ovvio; impugnare il licenziamento un percorso da praticare ma sapendo che il
rientro in fabbrica poteva avvenire non tanto grazie non solo a sentenze
favorevoli ma soprattutto alla solidarietà dei propri compagni che ti
riaccompagnavano in azienda portato a spalla. Quindi riprendendo il filo
lasciato qualche riga sopra, Gabriele Fuga rappresenta una figura emblematica
all’interno di un effetto a catena: avvocato/imputato; imputato/avvocato e così
all’infinito,infatti ad esempio lui sarà difensore di Spazzali e poi dovrà
trovarsi un difensore. Numerosi i nomi che hanno segnato quel periodo da
Spazzali, arrestato, ad Arnaldi, suicidatosi per evitare l’arresto dovuto al
pentito di turno, perché il numero di chi fa dichiarazioni infamanti si
accentua.. La sua vicenda riporta alla luce, appunto, la figura del pentito, in
questo caso Paghera, un detenuto comune politicizzato in carcere, addirittura
l’assistito che diviene accusatore. Avvocati soprattutto, ma non solo, che si
ritrovano attorno a una realtà fondamentali per la solidarietà che riuscì ad
esprimere concretamente: “SOCCORSO ROSSO” ed il “Comitato Internazionale per la
Difesa dei Detenuti Politici”.
L’accusa per l’avvocato Seguso/Fuga è quella usuale per coloro che svolgevano
quell’attività: partecipazione a banda armata ed associazione sovversiva, anello
di collegamento tra il difeso ed i “ complici “ fuori; accusa che farà sì che
nessuno un domani accetterà di farsi difendere da loro, questo è quel succede ai
compagni/avvocati, le idee sotto processo. Fuga che mantiene il proprio ruolo
anche nella fase detentiva con consulenze, ovviamente gratuite, in carcere
perché la sua professione deve essere un aiuto a coloro che in vari modi si
pongono contro lo stato, ma anche per le guardie che sono al servizio dello
stato. Fuga a San Vittore che diviene un inquilino a tempo indeterminato, tra
l’incriminazione per appartenere ad Azione Rivoluzionaria e poi a Prima Linea.
Carcere a confronto ieri/oggi: la descrizione delle celle d’isolamento; del
rancio; del bugliolo; del sovraffollamento sempre presente; la sveglia; la
perquisizione della cella; la corrispondenza in entrata ed uscita sottoposta a
controllo; le domandine per qualunque cosa a cui poter accedere; l’autoerotismo;
il consumo di playgil; ma sicuramente la solidarietà su tutto, quella
solidarietà elemento importante in una comunità chiusa come il carcere, ed a
quell’epoca, le discussioni politiche. Il tutto per dire che il carcere è uno
zoo umano e l’aspettativa è riposta verso la decorrenza termini.
Un viaggio attraverso i carceri italiani da Volterra, con la rivolta,a Porto
Azzurro dove si sta quasi bene, ai carceri della Toscana come Pisa molto simile
al Sud America. Fuga sottoposto ad un processo, macchina del fango, costruito
sulla credibilità di due pentiti. Su tutta questa vicenda avrà importanza
particolar il rapporto con Mario Dalmaviva, uno dei tanti imputati/condannati
della cosiddetta operazione 7 aprile, il quale metterà al servizio di Fuga le
sue vignette, che di satirico avranno ben poco, se non il mettere in discussione
il pianeta carcere. Possiamo dire che l’esperienza di Fuga, e tanti altri, ha
lasciato il segno a tal punto che sono numerosi gli avvocati che mettono le
proprie conoscenze e capacità al servizio di chi è colpito dai provvedimenti
repressivi, anche se l’auspicio, è che finalmente potremmo assistere di nuovo ad
un movimento conflittuale che sostiene i propri compagni.
Gabriele Fuga, La cella dell’avvocato, Edizioni Colibrì; pp. 316; € 17
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