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Non mi prenderete per stanchezza
Siamo sempre stanchi. Per l’eccessivo carico di lavoro, per la ripetitività della mansione svolta, per l’ostilità dell’ambiente lavorativo, perché consapevoli d’essere inutili rotelle di un ingranaggio che potrebbe stritolarci in qualsiasi momento. E se ci avessero narcotizzati per impedire il nostro risveglio? di Marco Sommariva da Carmilla L’8 giugno 1976 fu ucciso Francesco Coco, il […]
Un genocidio annunciato
“Un genocidio annunciato”, di Chris Hedges, giornalista e scrittore statunitense, che per ben 7 anni ha seguito quanto accadeva in Palestina, tra l’altro direttamente a Gaza, subisce la censura e la cancellazione di iniziative previste in qualunque parte del mondo, visto che ha “l’arroganza” di descrivere quanto l’occupazione israeliana sta facendo. di Edoardo Todaro da […]
Un genocidio annunciato di Chris Hedges
Se leggi questo libro, ti rendi conto di non avere tra le mani solo qualcosa scritto da Hedges, e già non sarebbe poco. Chris Hedges, giornalista e scrittore statunitense, che per ben 7 anni ha seguito quanto accadeva in Palestina, … Leggi tutto L'articolo Un genocidio annunciato di Chris Hedges sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Un’altra memoria di Lorenzo Guadagnucci
Salgo a Sant’Anna e quasi vorrei scappare, tanto indegno mi sento in questo luogo, che pure mi è caro. Che c’entrano “ La canzone del Piave”, una canzone di guerra della Prima guerra mondiale e i caccia militari del Quarto … Leggi tutto L'articolo Un’altra memoria di Lorenzo Guadagnucci sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
La cella dell’avvocato
Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o li costringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui erano accusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato” di Edoardo Todaro da Carmilla “ Anni di piombo “ è questa la definizione che va per la maggiore nel definire un periodo importantissimo nella storia del conflitto sociale e politico, quello che si è prodotto negli anni ‘70. In questo paese, in quel periodo si è sviluppato un movimento che non ha avuto paragoni in altri paesi occidentali. Tanti i motivi sul perché in Italia si sia sviluppato tale percorso, certo non è questo l’ambito.  La liberazione dal nazifascismo sta subendo, da molti anni a questa parte, un percorso di omologazione tra vinti e vincitori. Do you remember Violante e le ragioni dei vinti? La morte non fa distinzioni, di fronte ad essa siamo tutti uguali. Questo in estrema sintesi, il percorso intrapreso in questi anni per arrivare ad una riscrittura della storia, per arrivare alla famosa memoria condivisa. Tutti uguali nella liberazione? Equiparare liberatori ed oppressori se si parla della lotta di liberazione avvenuta nel ’45. Rimuovere e silenziare se si parla degli anni’70; cosa sono stati gli “ anni ’70 “ in questo paese? Un conflitto sociale politico/sindacale/sociale si è manifestato e  come è stato possibile che in una”  democrazia compiuta “ si verificasse un possibile “ assalto al cielo “ che potesse rimettere in discussione  rapporti di forza consolidati a favore del potere capitalistico, messa in discussione concretizzatisi con “ il mettere paura “. I protagonisti di quell’esperienza, spesso e volentieri finiti ad espiare il proprio essere soggetti di una rottura epocale nelle patrie galere, devono restare in silenzio, non farsi portatori del raccontare la propria esperienza , del proprio vissuto. Come si diceva un tempo “ a futura memoria “, a monito per le nuove generazioni che si affacciano nell’essere protagoniste della messa in discussione dello stato di cose presenti. Se prendi in considerazione che il tuo impegno politico, la tua appartenenza al conflitto sociale in atto possa esprimersi anche in forme incompatibili con l’ordine costituito, sappi che ti teniamo sotto controllo, anzi che se pensi di farla frana, ti raggiungeremo anche a distanza di decenni e te la faremo pagare, perché il potere non dimentica. .  Che sia capitato una volta? Ci può stare. Ma che non si ripeta mai! Abbandono queste considerazioni, sicuramente ci sarà occasione per tornarci, per dire alcune cose rispetto a “ La cella dell’avvocato “. Gabriele Fuga, l’avvocato Gabriele Fuga, ci riporta ad un qualcosa di molto importante, un qualcosa che deve essere conosciuto. Per tantissimi anni il conflitto sociale aveva assunto tali dimensioni di scontro e di massa, che rispondere alla repressione rientrava nei compiti di tutti nessuno escluso. Certo c’era anche una nutrita schiera di legali che si prestavano a sostenere coloro che venivano colpiti dai provvedimenti repressivi, ma il farvi ricorso era, per così dire, una modalità tutta interna alle “ dinamiche di movimento “. Ad un certo punto, la repressione ha accentuato il suo agire ed il movimento ha attenuato la sua forza d’urto, anche su questo ritorneremo, e l’aspetto della difesa legale ha assunto proporzioni considerate, prima, importanti ma secondarie.  Prima, se un operaio veniva licenziato, rivolgersi ad un legale era ovvio; impugnare il licenziamento un percorso  da praticare ma sapendo che il rientro in fabbrica poteva avvenire non tanto grazie non solo a sentenze favorevoli ma soprattutto alla solidarietà dei propri compagni che ti riaccompagnavano in azienda portato a spalla. Quindi riprendendo il filo lasciato qualche riga sopra, Gabriele Fuga rappresenta una figura emblematica all’interno di un effetto a  catena: avvocato/imputato; imputato/avvocato e così all’infinito,infatti ad esempio lui sarà difensore di Spazzali e poi dovrà trovarsi un difensore. Numerosi i nomi che hanno segnato quel periodo da Spazzali, arrestato,  ad Arnaldi, suicidatosi per evitare l’arresto dovuto al pentito di turno, perché il numero di chi fa dichiarazioni infamanti si accentua.. La sua vicenda riporta alla luce, appunto, la figura del pentito, in questo caso Paghera, un detenuto comune politicizzato in carcere, addirittura l’assistito che diviene accusatore. Avvocati soprattutto, ma non solo, che si ritrovano attorno a una realtà fondamentali per la solidarietà che riuscì ad esprimere concretamente: “SOCCORSO ROSSO” ed il “Comitato Internazionale per la Difesa dei Detenuti Politici”. L’accusa per l’avvocato Seguso/Fuga è quella usuale per coloro che svolgevano quell’attività: partecipazione a banda armata ed associazione sovversiva, anello di collegamento tra il difeso ed i “ complici “ fuori; accusa che farà sì che nessuno un domani accetterà di farsi difendere da loro, questo è quel succede ai compagni/avvocati, le idee sotto processo. Fuga che mantiene il proprio ruolo anche nella fase detentiva con consulenze, ovviamente gratuite, in carcere perché la sua professione deve essere un aiuto a coloro che in vari modi si pongono contro lo stato, ma anche per le guardie che sono al servizio dello stato. Fuga a San Vittore che diviene un inquilino a tempo indeterminato, tra l’incriminazione per appartenere ad Azione Rivoluzionaria e poi a Prima Linea. Carcere a confronto ieri/oggi: la descrizione delle celle d’isolamento; del rancio; del bugliolo; del sovraffollamento sempre presente; la sveglia; la perquisizione della cella; la corrispondenza in entrata ed uscita sottoposta a controllo; le domandine per qualunque cosa a cui poter accedere; l’autoerotismo; il consumo di playgil; ma sicuramente la solidarietà su tutto, quella solidarietà elemento importante in una comunità chiusa come il carcere, ed a quell’epoca, le discussioni politiche. Il tutto per dire che il carcere è uno zoo umano e l’aspettativa è riposta verso la decorrenza termini. Un viaggio attraverso i carceri italiani da Volterra, con la rivolta,a Porto Azzurro dove si sta quasi bene, ai carceri della Toscana come Pisa molto simile al Sud America. Fuga sottoposto ad un processo, macchina del fango, costruito sulla credibilità di due pentiti. Su tutta questa vicenda avrà importanza particolar il rapporto con Mario Dalmaviva, uno dei tanti imputati/condannati della cosiddetta operazione 7 aprile, il quale metterà al servizio di Fuga le sue vignette, che di satirico avranno ben poco, se non il mettere in discussione il pianeta  carcere. Possiamo dire che l’esperienza di Fuga, e tanti altri, ha lasciato il segno a tal punto che sono numerosi gli avvocati che mettono le proprie conoscenze e capacità al servizio di chi è colpito dai provvedimenti repressivi, anche se l’auspicio, è che finalmente potremmo assistere di nuovo ad un movimento conflittuale che sostiene i propri compagni. Gabriele Fuga, La cella dell’avvocato, Edizioni Colibrì; pp. 316;  € 17   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
Dal papà supereroe al gemello digitale
Chi non vorrebbe che esistesse un papà supereroe che veglia su di sé ogni minuto, chi non vorrebbe che esistesse un gemello digitale, digital twin, con cui scambiare dati e informazioni? In questo articolo accenniamo ad un percorso che va … Leggi tutto L'articolo Dal papà supereroe al gemello digitale sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
La breve stagione di Serge Quadruppani
Scrivere a proposito di Serge Quadruppani non è cosa facile, vista la sua capacità di spaziare e cimentarsi in vari generi. Cito due suoi scritti per dare il senso di ciò che ho scritto, il saggio La politica della … Leggi tutto L'articolo La breve stagione di Serge Quadruppani sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Forze dell’ordine, strumenti e pratiche per riflettere
Recensione di «Police abolition. Corso di base sull’abolizione della Polizia», a cura di Italo Di Sabato, coordinatore dell’Osservatorio Repressione, per Momo edizioni di Vincenzo Scalia da il manifesto La recente pubblicazione Police Abolition. Corso di base sull’abolizione della polizia (Momo, pp. 96, euro 13), curata da Italo Di Sabato e Turi Palidda nella sua edizione italiana, con le illustrazioni di Noah Jodice, rappresenta uno strumento utile a riflettere sulla genealogia delle forze dell’ordine, fino a considerare la possibilità di abolirle. L’eterogenesi dei fini costituisce una caratteristica fondante delle interazioni sociali. I conflitti, le trasformazioni, le variabili impreviste, sortiscono a volte l’effetto di deviare verso esiti opposti specifici costrutti sociali, pensati per adempiere ad altre finalità. Il caso della polizia rientra pienamente all’interno di questa dinamica. Istituita per la prima volta a Londra nel 1829, sotto il governo Tory di Robert Peel (da cui il soprannome di bobbies che tuttora contraddistingue i poliziotti inglesi), la polizia metropolitana londinese, il cui modello venne in breve esteso a tutto il paese, rispondeva a scopi specifici. Lo scopo principale era quello di sanare la frattura tra gli strati subalterni della società inglese e lo Stato, che, dopo il massacro di Peterloo del 1829, si era ampliata a dismisura. Inoltre, attraverso un corpo statuale centralizzato, si voleva porre fine alla discrezionalità e all’abuso delle polizie private. IL MODELLO INGLESE, diffusosi rapidamente in tutta Europa e nel mondo, non tardò ad evolversi nella direzione opposta. Il consolidarsi della polizia come istituzione dotata di un proprio spazio, indipendente da ragioni specifiche, si sovrappone all’acuirsi dei conflitti sociali, all’interno dei quali le forze dell’ordine si collocano all’interno della prospettiva del mantenimento e della riproduzione degli equilibri di potere esistenti. La polizia finisce quindi per allontanarsi dalla funzione per la quale era stata pensata, diventando refrattaria ai cambiamenti radicali. A meno che, come avvenne per esempio in Italia negli anni Settanta, non viene essa stessa attraversata da conflittualità profonde. Gli ultimi anni ci consegnano un’istituzione poliziesca identificata e identificatasi come avversaria diretta di migranti, minoranze etniche, lgbtqia+, no global (si pensi a Genova 2001 e al caso di Carlo Giuliani), nonché allergica all’eccentricità degli stili di vita. Nel caso italiano, le tragedie Aldrovandi e Magherini, ne sono un’esemplificazione. Oltreoceano, sulla scia del tragico caso di George Floyd, nasce il movimento «Defund Police», che si prefigge di abolire la polizia e di dirottare le risorse destinate a mantenerla in direzione di politiche sociali inclusive. UN PROGETTO AMBIZIOSO, provocatorio, che, nel contesto USA, si prefigge di invertire la tendenza già indicata da Loic Wacquant, ovvero del passaggio dallo stato sociale a quello penale. Che fa dell’origine relativamente recente delle forze di polizia il suo punto di forza. Un percorso da incoraggiare, anche nell’Italia del Ddl 1660. Ma che pone un interrogativo: sono mature le condizioni per una società senza polizia? Prima della sua istituzione, avevamo le milizie private dei signori e delle corporazioni. Per esempio, in Sicilia, la mafia è nata in questo contesto. Dopo la polizia, cosa ci sarebbe? Pensiamo a un contesto dove la sorveglianza elettronica prende sempre più piede, e il taglio dei fondi prelude, come nel caso inglese, a una polizia predittiva, che sorveglia e reprime sempre le stesse classi pericolose. Senza tralasciare ronde e vigilanze private. Volendo rispondere alla domanda, perciò, potremmo dire: la polizia si può abolire. Ma se si abolisce l’ordine sociale e politico che la sostiene. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp