Cremona: celebrazione guerra d’Etiopia con Carabinieri e scolaresche, ma era un’impresa fascista!Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
riteniamo opportuno fare qualche precisazione in merito all’articolo pubblicato
su CremonaOggi il 21 novembre 2025, riferito alla celebrazione in Cattedrale dei
Carabinieri in occasione della Patrona Virgo Fidelis, che ha visto anche la
partecipazione di studenti e studentesse di un Istituto cittadino, l’IIS
Stradivari di Cremona (clicca qui per la notizia).
Nell’articolo, al di là di quanto si possa essere d’accordo sugli eventi che
mettono in risalto le forze armate, e mettendo per un attimo da parte il
doveroso riconoscimento a persone che, nell’adempimento del loro dovere, svolto
in nome dello Stato e della collettività, hanno perso la vita, preme soffermarsi
sulla questione della celebrazione, contestuale alla suddetta cerimonia,
“dell’eroica difesa del caposaldo di Culqualber, un episodio della Guerra
d’Etiopia del 21 novembre 1941, da parte del 1° Battaglione Carabinieri e
Zaptie, nel quale si consumò il sacrificio in una delle ultime battaglie
dell’esercito italiano” (il virgolettato è preso testualmente dall’articolo
pubblicato).
Se si volesse approfondire, si troverebbe tanto materiale che descrive nel
dettaglio le azioni militari volte a difendere il territorio di Etiopia
dall’attacco degli inglesi; lasciamo questa possibilità a chi voglia
approfondirne il contenuto. Si parla di guerra, armi, combattimenti,
prigionieri, morti ed, infine, di capitolazione.
Le fonti dicono che, dopo mesi di resistenza e di attacco, durante l’ultima,
disperata difesa, si distinsero in molti, militari del Regio Esercito, Camicie
Nere, Ascari dei reparti coloniali, Carabinieri e Zaptiè, che sacrificarono la
loro vita in nome dell’Italia. II Maggiore Carlo Garbieri, il Carabiniere
Poliuto Penzo ed il Maggiore Alfredo Serranti, furono decorati di medaglia d’oro
al valore militare alla memoria.
Questa doverosa premessa è per conoscere i termini degli eventi di cui si parla
nell’articolo. Riflettiamo quindi sui molti sottintesi storici di tale evento.
Siamo nella Seconda Guerra Mondiale, a fianco dei nazisti, cioè dalla parte
sbagliata della storia di quel periodo. Siamo su un territorio occupato con
un’azione imperialista e colonialista: l’invasione e l’attacco ad uno Stato
sovrano come l’Etiopia valse al Regno d’Italia, che ambiva ad avere il suo
Impero, le sanzioni previste dall’allora Società delle Nazioni, che vietava
azioni del genere, e che contribuirono al precipitare dello Stato Italiano nel
baratro che porterà a quell’obbrobrio che fu la Seconda Guerra Mondiale.
In Etiopia il nostro Regno, diventato malauguratamente Impero su base razzista,
“francamente razzista”, per dirla con le parole del Duce, fu protagonista di
atti terribili nei confronti della popolazione civile, con massacri, costruzione
di campi di concentramento, rappresaglie, stupri e violenze nei confronti dei
“mori”.
Solo per citare qualche evento, si ricorda che tra il 19 e il 21 febbraio 1937
le truppe italiane, con il supporto dei civili e delle squadre fasciste,
massacrarono circa ventimila abitanti di Addis Abeba, una feroce repressione a
seguito del fallito attentato contro il maresciallo Rodolfo Graziani, allora
viceré d’Etiopia, a opera di due giovani resistenti eritrei. Le violenze degli
italiani durarono per mesi e si estesero ad altre parti del Paese, fino
all’eccidio di chierici e fedeli nella cittadina monastica di Debre Libanos a
maggio dello stesso anno. In tale circostanza le truppe italiane massacrarono
più di duemila monaci e pellegrini al monastero etiope. Una strage che, come
altri crimini di guerra commessi nelle colonie, trova spazio a fatica nel
discorso pubblico, nonostante i passi fatti da storiografia e letteratura. Con
quel passato il nostro Paese non ha mai fatto i conti, né sul piano giuridico né
su quello materiale
Graziani è conosciuto come un crudele e violento, vendicativo e dispotico, che
utilizza il proprio potere come mezzo di affermazione personale. L’eccidio messo
in atto come rappresaglia è stato definito il più grande avvenuto nei confronti
dei cristiani in Africa. Il messaggio con cui dà ordine di massacrare i monaci
è il seguente: “Questo avvocato militare mi ha comunicato proprio in questo
momento che habet raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del
convento di Debra Libanos con gli autori dello attentato. Passi pertanto per le
armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore. Prego farmi
assicurazione comunicandomi il numero di essi”. Si è trattato di un vero e
proprio crimine di guerra, poiché l’eccidio è stato qualcosa che è andato al di
là della logica militare, andando a colpire dei religiosi, peraltro cristiani e
inermi”.
In Italia manca una memoria consapevole sulle responsabilità per gli eccidi e
le violenze commesse dagli italiani nel corso della loro “avventura” coloniale
per andare alla ricerca di un “posto al sole” in Libia, in Eritrea, Somalia ed
Etiopia al pari delle altre nazioni europee, vengono ancora oggi occultate dalla
coscienza pubblica. Il colonialismo non è stato semplicemente un periodo
storico, ma è anche una pratica economica che prevede occupazioni e stermini,
con disumanizzazione della popolazione indigena.
Vennero costruiti campi di concentramento, come a Danane, situato a quaranta
chilometri da Mоgadiscio, in riva all’Oceano Indiano, ordinato sempre dal
generale Graziani, per accogliere i prigionieri di guerra, resistenti,
funzionari, partigiani, monaci copti scampati alla drastica liquidazione dei
conventi, indovini e cantastorie, rei soltanto di aver predetto l’imminente
tramonto del dominio italiano in Etiopia, di somali che hanno manifestato, in
diverse maniere, la loro opposizione all’Italia. Sin dal momento in cui comincia
a funzionare, il campo di Danane, come l’altro lager di Nocra in Eritrea, gode
di una sinistra reputazione.
Noi tutti, inoltre, siamo a conoscenza di come gli Italiani trattassero le
popolazioni locali, ammantandosi di una funzione “civilizzatrice” nei confronti
di persone che non potevano avere la stessa dignità umana né gli stessi diritti.
La conclusione è che spesso gli italiani tendono a ricordare solo quelle pagine
della loro storia funzionali alla costruzione di un’immagine positiva di sé come
popolo e Nazione ma serve maturare una consapevolezza nuova che metta l’accento
anche su una discrasia pericolosa: da un lato la giusta memoria delle stragi
nazi-fasciste commesse ‘in Italia’ e dall’altro la pubblica amnesia sulle
violenze commesse ‘dall’Italia’ nelle sue colonie in Africa. Questo distacco
dalla storia è molto preoccupante perché lascia la coscienza pubblica in balìa
di pericolose derive disumanizzanti, aprendo vuoti insidiosi e facilmente
colmabili da slogan e da letture semplificate del passato. La partecipazione a
eventi come questo da parte delle scuole non si può quindi ritenere neutra: la
conoscenza approfondita dei fatti storici e del contesto è necessaria per
educare gli studenti al pensiero critico (critico proprio perché informato e
consapevole), fuori dagli stereotipi dello stato forte se armato.
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università