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No all’espulsione di Mohamed Shahin. In Egitto rischia la vita
Il ddl Gasparri non è ancora legge e già si prova ad applicarlo con una condanna che fa venire i brividi. L’imam della moschea di via Saluzzo a Torino ha ricevuto un decreto di espulsione. Attivista pro Palestina, è stato già identificato per un blocco stradale, poi contro di lui un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Montaruli (FdI), già condannata in via definiva per peculato. Montaruli ne chiede l’allontanamento immediato in nome della sicurezza dello Stato. L’imam è in Italia da 20 anni, ha due figli e ha unicamente commesso l’imprudenza di affermare che l’attacco del 7 ottobre è stato un atto di reazione, quanto basta per associarlo ad Hamas e al terrorismo. La parlamentare chiede, il ministero obbedisce: il signor Shahin è stato prelevato in casa, gli è stata revocata la carta di soggiorno ed è stato trasferito al Centro Permanente per i Rimpatri di Caltanissetta. Perché non a quello di Torino? Ha chiesto protezione internazionale, che molto probabilmente gli verrà negata. I legali da Torino stanno tentando di difenderlo, ma a distanza è praticamente impossibile. Il rischio è che in poche ore, prima di ricorsi e sospensive, di avere il parere dei vari tribunali a cui rivolgersi, l’imam venga rimandato in Egitto, Paese per l’Italia considerato sicuro. L’Egitto di Giulio Regeni, Patrick Zaki, Abu Omar, quello in cui la tortura è normale e per cui Shahin è considerato un pericoloso oppositore. Lo si mette a rischio della vita per un reato di opinione. Crediamo che Shahin sia uno dei primi su cui si accaniranno, soprattutto quando la proposta Gasparri diventerà legge. Ora che ci sono meno persone in piazza ci si vendica con la repressione verso chi critica Netanyahu senza per questo essere né antisemita né terrorista. Giovedì ci saranno mobilitazioni spontanee e simboliche davanti a numerose Prefetture italiane, ma il destino di Mohamed Shahin si va consumando in queste ore a Caltanissetta, con scarso interesse. Chi saranno i prossimi? Stefano Galieni, responsabile immigrazione PRC-S.E.   Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
BOLOGNA: DOMENICA 23 NOVEMBRE ASSEMBLEA NAZIONALE “MOBILITIAMOCI CONTRO IL DDL GASPARRI”
Organizzazioni sociali, collettivi e realtà palestinesi convocano un’assemblea nazionale pubblica domenica 23 novembre alle ore 10:30, al Centro Sociale Giorgio Costa di Bologna, dedicata all’analisi del DDL Gasparri. L’assemblea intende presentare i principali contenuti della proposta normativa, discuterne le possibili implicazioni in ambito sociale e organizzare le fasi di lotta e mobilitazione. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto l’intervento di Pietro, della Rete “Liberi/e di lottare contro Stato di guerra e di polizia”. Ascolta o scarica. Di seguito il comunicato di lancio dell’assemblea nazionale: “Mano a mano che agli occhi del mondo intero è stato evidente che a Gaza era in corso un vero e proprio genocidio di palestinesi da parte dello stato sionista, gli storici protettori di Israele, Stati Uniti e Unione europea, hanno varato prassi repressive e leggi speciali per intimidire e criminalizzare il movimento internazionale di solidarietà e sostegno alla resistenza del popolo palestinese. L’Italia di Meloni-Mattarella ha fatto la sua parte con divieti di cortei, interventi di polizia, arresti, processi, fogli di via a raffica, che tuttavia non sono riusciti ad impedire che si espandesse a livello di massa la denuncia del genocidio, della carestia e degli altri crimini, culminati nelle grandi giornate di sciopero e manifestazioni del 3-4 ottobre. Ecco perché il governo ha messo in campo il 6 agosto scorso il DDL Gasparri, con cui intende rafforzare la protezione politica e legale degli autori e dei complici italiani del genocidio. Questo DDL fa propria la provocatoria definizione di antisetimismo propria dell’IHRA ed equipara l’antisionismo all’antisemitismo, prevedendo una pubizione penale durissima – dai 2 ai 6 anni, “aumentata della metà” – per chiunque osi mettere in discussione l’esistenza dello stato coloniale, razzista, suprematista, sterminista di Israele. Di più: essa prevede adirittura, come misura di prevensione, l’obbligo di delazione ai danni di chi manifesta pensieri anti-sionisti e corsi di formazione per diffondere ovunque il sionismo. Diversi organismi hanno denunciato questo progetto di legge ultra-reazionario. Ora – però – è necessario mobilitarsi perché non passi, e questo sarà possibile solo ed esclusivamente se si allargherà a livello di massa la coscienza del pericolo che il DDL rappresenta. Questo è il compito dell’Assemblea nazionale in presenza che la Rete “Libere/i di lottare contro Stato di guerra e di polizia” chiama per domenica 23 novembre, ore 10.30 a Bologna in cui interverrano le seguenti realtà palestinesi: Giovani Palestinesi d’Italia, Udap, Comunità palestinese della Lombardia, Studenti palestinesi in Italia.”
Mobilitiamoci contro il ddl Gasparri
Domenica 23 novembre si tene a Bologna l'Assemblea nazionale per costruire la mobilitazione contro il ddl Gasparri, una proposta che facendo sua la provocatoria definizione di antisemitismo di IHRA equipara antisionismo e antisemitismo: pene dai 2 ai 6 anni, aggravanti per chi metta in discussione l'esistenza dello stato d'Israele, obbligo di delazione di chi manifesti pensieri antisionisti. La Rete Libere/i di lottare contro lo stato di guerra e di polizia convoca un'assemblea in presenza a Bologna, domenica 23 novembre dalle ore 10.30 al Centro sociale Costa, via Azzo Gardino 44-48.
Le mani della Destra sulla Scuola: l’assemblea di USB del 1 novembre a sostegno del Cestes, dei diritti costituzionali, della libertà di espressione
Non c’è voluto neanche troppo tempo per arrivare alla diretta repressione del dissenso. L’occasione è arrivata subito. È bastato che quel risveglio etico, politico, culturale – che gli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre avevano manifestato con forza, che la manifestazione per la Palestina aveva rappresentato come un enorme fiume nella città di Roma – iniziasse a darsi nei luoghi della formazione degli strumenti di organizzazione, di elaborazione, di ragionamento collettivo, di collegamento al mondo studentesco, di ripudio della guerra, del riarmo e del genocidio Palestinese. Tutti temi del corso di formazione che il Cestes, il nostro centro studi, insieme a tanti altri soggetti tra i quali l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, aveva organizzato per il 4 Novembre, data diventata da un anno “Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate”, definendo in termini di patriottismo in divisa quella che rimane la data di chiusura della tragedia e del massacro della Prima Guerra mondiale. Con un dispositivo che sarà oggetto di valutazione in sede legale, il Mim ha impedito lo svolgimento del corso, intimando il ritiro dalla piattaforma del format che come sempre avevamo costruito tenendo conto dei parametri molto prescrittivi della formazione scolastica. Il punto è che di certi temi non si deve parlare, che la normalizzazione deve avvenire in tempi brevi, che l’anestesia della scuola e della società italiana devono continuare senza disturbo. È un provvedimento censorio, autoritario, illiberale e sostanzialmente fascista, quello contro il quale va lanciata una campagna di solidarietà in prima istanza per il Cestes e per il suo trentennale e meritorio lavoro culturale e formativo, e poi per la libertà di insegnamento, di espressione che in anticipo sul DDL Gasparri nelle stanze di viale Trastevere pensano già di potere impedire, facendo scempio di diversi articoli della nostra Costituzione. Il masso potrebbe però ricadergli in testa, dare ancora più spinta alle proteste, spingere sempre di più su una politicizzazione del mondo delle scuole che diventa a questo punto per noi un obiettivo prioritario, da perseguire forti di una organizzazione in crescita e in grado di portare la solidarietà del mondo del lavoro alle lavoratrici e ai lavoratori della scuola colpiti così nel vivo: dai porti agli aeroporti, dalle industrie ai lavoratori braccianti, dal precariato diffuso e dal mondo del lavoro sottopagato a tutto il mondo dei pubblici dipendenti, oggi non siamo in presenza di un volgo disperso ma di un nuovo blocco sociale e politico che si riconosce. Questa la forza e lo spirito da portare in questa battaglia, senza confinarla alla scuola ma facendola diventare una battaglia di cultura, libertà, civiltà e futuro per la nostra società. Non ci fermeremo, non ci fermeranno. L’assemblea di USB di oggi rafforza la nostra lotta e ci dice che siamo in grado di sostenere questa partita decisiva per il futuro del nostro Paese. Assemblea nazionale delegate e delegati USB: la diretta https://www.youtube.com/live/8_zBWHJE7_Y?si=3475VVqGRtAG5Gqw  Link al comunicato per condivisione: Assemblea nazionale delegate e delegati USB: la diretta         Unione Sindacale di Base
Donne in Nero di Piombino: no alla celebrazione del 4 novembre all’insegna di L. 27/2024 e DDL “Gasparri”
“Noi non festeggeremo la giornata del 4 novembre perchè…”, spiega il gruppo femminile della città portuale maremmana costantemente mobilitato contro la guerra e contro il traffico d’armi presentando il documento in cui proclama: > In previsione della giornata dedicata alle celebrazioni delle forze armate, il > gruppo delle “donne in nero” di Piombino vuole richiamare l’attenzione al > preoccupante incremento delle spese militari effettuato dal Governo italiano. > > La legge n. 27 del 1° marzo 2024 celebra le Forze Armate come portatrici di > valori di pace, sicurezza ambientali, cura e soccorso ai rifugiati e ai > profughi, sollecitando le scuole a promuovere iniziative che le vedano > protagoniste verso i loro studenti. > > A questa legge, di per sé insidiosa per l’autonomia scolastica, si affianca la > proposta del c.d. DDL Gasparri che mira a fare coincidere la definizione di > antisemitismo con quella di antisionismo: definizione da anni voluta > dall’HIRA, un organismo che lavora per diffondere i c.d. valori israeliani nel > mondo ma contestata anche all’interno delle Nazioni Unite. Il decreto, qualora > fosse approvato, causerebbe una gravissima limitazione ai diritti di > espressione, di critica, di assemblea e di mobilitazione. > > In Italia e in Europa si sono diffusi venti di vendetta e di guerra. > > Piombino è diventato suo malgrado il crocevia di gas e armi che regolarmente > transitano dentro il nostro porto: due facce della stessa medaglia, ossia la > guerra per commissione fra Europa e Russia. > > Ma la sciagurata voglia di guerra delle classi dirigenti politiche italiane ed > europee non corrisponde alla volontà di pace dei propri popoli. > > La spasmodica ricerca della costruzione del nemico Russia non corrisponde agli > interessi del popolo italiano né di quello europeo. > > Oggi ci mobilitiamo insieme a numerose organizzazioni, fra le quali la Rete > Scuole di Piombino contro le guerre e l’Osservatorio contro la > militarizzazione delle scuole e delle università, affinchè il 4 novembre sia > un momento di riflessione e diffusione di un messaggio alternativo alla > narrazione militarista. > > Crediamo che i ragazzi e le ragazze abbiano il diritto di pensare ad un mondo > senza guerre e senza armi, in cui il sacrificio della propria vita e > l’annientamento del nemico siano considerati un disvalore. > > Qualunque guerra, produce soltanto odio, distruzione e morte. > > Solo la giustizia sociale crea e alimenta la pace fra i popoli. > > Celebriamo un 4 novembre che scelga di camminare su strade di pace: gli > eserciti non possono essere un simbolo di pace, né di cura, né di tutela > ambientale. «Noi non festeggeremo la giornata del 4 novembre perchè crediamo che le forze armate non debbano essere titolari di alcuna festa perchè non possono essere simbolo né di pace né di tutela né di cura, come invece la legge 27 del 2024 vorrebbe far credere. Il momento storico e politico che stiamo attraversando è estremamente delicato ed è per questo che dobbiamo ribadire, con determinazione, i valori fondanti del vivere civile, primo fra tutti il RIFIUTO DELLA GUERRA, il RIFIUTO DELL’IDEA DEL NEMICO. Abbiamo un solo pianeta sul quale vivere: cerchiamo allora di averne cura, lavorando alla continua ricerca del rispetto fra tutti gli esseri viventi». – Donne in nero, Piombino / 27 ottobre 2025 Redazione Italia
Ddl Gasparri: hasbara e repressione per l’assimilazione delle coscienze
Segnaliamo con preoccupazione che le recenti e numerose esternazioni di personalità politiche (oltre che sui social) che stigmatizzano i movimenti per la Palestina, le scuole e le università, accusati di antisemitismo, fanno parte di una campagna mirata di sostegno al ddl Gasparri di Contrasto all’antisemitismo che equipara antisemitismo, antisionismo e critiche a Israele, comminando pene detentive a coloro che con parole, scritti o simboli, quali possono essere una carta geografica della Palestina o lo slogan “Palestina libera dal fiume fino al mare”, negherebbero “il diritto di esistenza dello stato di Israele”. Di questa legge, ora in Commissione al Senato, che criminalizza le critiche a Israele mettendo nel mirino le scuole e le università, è necessario  comprendere e denunciare la portata repressiva. La manipolazione del linguaggio attuata da una insistente hasbara (propaganda) israeliana alleata con le destre mondiali ha radici lontane e coinvolge molti paesi: basti solo dire che dal giugno 2024 la legge sulla cittadinanza della Germania impone ai richiedenti la dichiarazione di fede nel “diritto di esistenza dello stato di Israele”. La libertà di pensiero, di parola e di insegnamento sono fortemente minacciate. Riconosciamo in questo salto politico autoritario il realizzarsi sempre più evidente di una forma di israelizzazione della società che attraverso la mistificazione proterva della realtà, l’islamofobia insieme con il militarismo cognitivo, le parole d’ordine “sicurezza” e “difesa”, la sorveglianza e il controllo, l’espulsione dei soggetti non conformi, acuisce le diseguaglianze sociali, sostiene il dominio economico della finanza globale, annienta la partecipazione democratica e reprime il dissenso. Ma i giochi non sono ancora fatti e, come docenti, intendiamo continuare a farci protagonisti della critica e della resistenza alla assimilazione delle coscienze che tali processi tentano di imporre. La Scuola per la pace Torino e Piemonte
Legge Gasparri, il Ddl che equipara l’antisionismo all’antisemitismo
Proponiamo un ottimo articolo pubblicato su Grande Inganno che spiega le falle della proposta di Legge Gasparri che equipara antisemitismo e antisionismo. Un provvedimento legislativo, presentato al Senato, sta sollevando un acceso e polarizzante dibattito nel panorama politico e giuridico italiano, con ripercussioni che toccano i nervi scoperti della politica internazionale e i fondamenti stessi della libertà di espressione. Si tratta del disegno di legge n. 1627, a prima firma del senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia, che si propone di adottare ufficialmente nella Repubblica Italiana la definizione operativa di antisemitismo elaborata dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Un’iniziativa che si presenta con l’intento dichiarato di rafforzare la lotta contro l’odio antiebraico, ma che, secondo un coro composito e preoccupato di giuristi costituzionalisti, attivisti per i diritti umani, associazioni della società civile e docenti universitari, cela un pericolo concreto: quello di criminalizzare, di fatto, la legittima critica politica allo Stato di Israele e all’ideologia sionista, trasformando espressioni di dissenso e atti di solidarietà verso il popolo palestinese in reati penali. Uno degli aspetti più preoccupanti del disegno di legge Gasparri è l’introduzione di pene detentive fino a 6 anni di carcere per chiunque venga ritenuto colpevole di aver espresso opinioni o compiuto azioni giudicate antisemite secondo la definizione dell’IHRA. Questo passaggio avviene attraverso una modifica diretta all’articolo 604-bis del codice penale, ampliando le fattispecie di reato già previste dalla cosiddetta “legge Mancino”. In particolare, la nuova formulazione stabilisce che chiunque compia atti di propaganda, istigazione o incitamento fondati — anche solo in parte — sull’ostilità o avversione nei confronti degli ebrei, dei loro beni, della loro cultura o religione, o che neghi il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, rischia una condanna da 2 a 6 anni di reclusione. La pena è ulteriormente aumentata, fino a 9 anni, se l’offesa viene commessa tramite simboli, immagini, oggetti o espressioni che, direttamente o indirettamente, richiamano odio o pregiudizio contro gli ebrei o Israele. In termini concreti, questo significa che la soglia tra critica politica e reato penale si assottiglia pericolosamente. Espressioni come “Israele è uno stato di apartheid” o “il sionismo è un’ideologia coloniale” potrebbero essere interpretate — sulla base di una valutazione soggettiva — come istigazione all’odio o negazione del diritto all’esistenza di Israele. Un post sui social, un cartello durante una manifestazione, un intervento universitario, un’opera d’arte o un articolo giornalistico potrebbero essere sufficienti per finire sotto indagine o addirittura essere arrestati. Il paradosso è brutale: mentre ministri israeliani e figure pubbliche possono apertamente negare il diritto all’esistenza del popolo palestinese, chi osa denunciare l’occupazione militare o la pulizia etnica portata avanti da Israele rischia di essere censurato, criminalizzato o perseguito penalmente. Un caso emblematico è quello di Yair Netanyahu, figlio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Sul suo profilo X (ex Twitter), alla luce del sole, scrive: “Dal fiume al mare, questa bandiera è tutto ciò che vedrai!” Una frase che non è ambigua, non è provocatoria: è un messaggio esplicito di eliminazione totale. Significa che tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo — cioè l’intera Palestina storica — non deve esistere nulla tranne Israele. Solo una bandiera, solo un popolo, solo uno Stato. Gli altri devono sparire. Questo tipo di affermazione, in qualsiasi altro contesto geopolitico, sarebbe trattato per ciò che è: un incitamento alla pulizia etnica. Ma nel caso di Israele, viene tollerato, ignorato, perfino giustificato. Nel frattempo, chi denuncia l’occupazione militare, il blocco di Gaza, i bombardamenti sui civili, le leggi razziali, gli insediamenti illegali e il sistema di apartheid, rischia l’etichetta di antisemita. Viene silenziato nei media, licenziato nelle università, bandito dai festival, incriminato in tribunale. In molti Paesi, la sola solidarietà con la Palestina può costare caro. Questo è il mondo alla rovescia in cui viviamo: l’oppressore può rivendicare apertamente l’annientamento dell’altro, mentre all’oppresso non è concesso nemmeno il diritto di denunciare la propria oppressione. Una narrazione tossica e ipocrita domina lo spazio pubblico: Israele può parlare di “difesa”, anche mentre bombarda ospedali. Può parlare di “diritto all’esistenza”, anche mentre nega quello di milioni di palestinesi. Chi invece si rifiuta di accettare questa menzogna viene trattato come un criminale. Siamo di fronte a un tentativo di blindare giuridicamente il discorso pubblico, criminalizzando la legittima critica politica sotto l’etichetta dell’antisemitismo. Ma c’è una differenza sostanziale tra il pregiudizio razziale contro gli ebrei e la contestazione dell’ideologia sionista o delle politiche di uno Stato. Non si può accettare che la denuncia dell’oppressione subita da un popolo — quello palestinese — venga trattata alla stregua di un crimine d’odio. Usare la memoria della Shoah come strumento per zittire il dissenso è una distorsione grave e pericolosa, che rischia di alimentare non solo la censura ma anche nuove forme di conflitto e divisione. Il Cuore della Contesa: la Definizione IHRA e i suoi Esempi Contestati Il fulcro del DDL Gasparri risiede nell’adozione integrale della definizione IHRA, corredata dai suoi undici esempi esplicativi. Se la definizione di base (“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette verso target ebrei o non ebrei e/o verso le loro proprietà, verso le istituzioni delle comunità ebraiche e verso le loro strutture religiose”) viene generalmente condivisa, è nella parte esemplificativa che si annida la controversia. Tra gli esempi che suscitano maggiore allarme tra i critici del provvedimento, si segnalano in particolare: * “Negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’iniziativa razzista.” * “Applicare doppi standard esigendo un comportamento che non ci si aspetta o non si pretende da nessun’altra nazione democratica.” * “Paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti.” * “Ritenere gli ebrei collettivamente responsabili delle azioni dello Stato di Israele.” Secondo i critici del disegno di legge, questi punti, se recepiti in un contesto normativo, non rappresentano una mera elencazione di buone pratiche, ma operano una pericolosa sovrapposizione concettuale, equiparando sistematicamente la critica a un governo e a un progetto politico (il sionismo) a una forma di odio razziale verso un gruppo religioso ed etnico (gli ebrei). Questa confusione, aprirebbe la porta a un’applicazione arbitraria e ampliativa della legge penale, con il rischio di una censura preventiva del dibattito pubblico. L’Italia Già Dotata di una Robusta Architettura Normativa: la Legge Mancino e la Costituzione Per comprendere le preoccupazioni degli oppositori del DDL 1627, è necessario inquadrarlo all’interno del preesistente sistema giuridico italiano, già ritenuto da molti osservatori tra i più severi d’Europa nella repressione dei crimini d’odio. La cosiddetta Legge Mancino (Legge 25 giugno 1993, n. 205) costituisce il perno di questa architettura. Tale normativa punisce penalmente le condotte di incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Include esplicitamente la punizione di atti di apologia di fascismo, di negazionismo della Shoah e di diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico. La giurisprudenza italiana ha da tempo consolidato l’interpretazione per cui l’antisemitismo rientra a pieno titolo nelle fattispecie previste da questa legge. A questa si affianca il dettato costituzionale. L’articolo 3 della Costituzione Italiana sancisce il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questo principio, cardine della Repubblica, fornisce una tutela fondamentale contro ogni forma di discriminazione. La dottrina giuridica dominante ritiene che questo quadro normativo, integrato dalla prassi giudiziaria, abbia finora bilanciato in modo efficace la repressione dei crimini d’odio con la tutela della libertà di espressione, sancita dall’articolo 21 della Costituzione. Ogni intervento legislativo che introduca definizioni vaghe e sovrapposizioni concettuali, come quello prospettato dal DDL Gasparri, viene dunque visto non solo come superfluo, ma come un potenziale regresso liberticida, in grado di incrinare questo equilibrio. Il Contesto Incendiario: Gaza, Accuse di Genocidio e la Repressione del Dissenso La discussione sul DDL Gasparri non avviene in un vuoto politico, ma si intreccia in modo drammatico con l’attualità internazionale. L’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, scatenata in seguito agli attacchi del 7 ottobre da parte di Hamas, ha provocato, secondo le autorità sanitarie locali, decine di migliaia di vittime civili, la distruzione sistematica di abitazioni, ospedali e università, e ha spinto prestigiose organizzazioni internazionali per i diritti umani – tra cui Amnesty International e Human Rights Watch – nonché la Corte Internazionale di Giustizia, ad avanzare seri e fondati sospetti di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di genocidio. In questo scenario, il DDL 1627 viene percepito da ampie fasce della società civile, dell’associazionismo e del mondo accademico come un tentativo di delegittimare e reprimere proprio la crescente ondata di critica alle operazioni militari israeliane e di solidarietà verso il popolo palestinese. La paura è che, in nome del contrasto a un antisemitismo reale, si finisca per imbrigliare ogni forma di protesta, dibattito e dissenso, etichettandola come potenzialmente antisemita. I Rischi Concreti: Vaghezza Normativa e Poteri Censori Oltre alla critica di principio, gli oppositori del disegno di legge mettono in luce rischi operativi molto concreti. La vaghezza di alcuni esempi dell’IHRA (come l’”applicazione di doppi standard”) potrebbe prestarsi a interpretazioni soggettive e arbitrarie, creando un “effetto raggelamento” (chilling effect) sul dibattito pubblico. Docenti, giornalisti, attivisti e cittadini comuni potrebbero essere indotti all’autocensura per il timore di conseguenze legali. Inoltre, si teme che il provvedimento possa fornire alle istituzioni pubbliche – dalle prefetture alle amministrazioni locali – uno strumento per vietare o dissuadere manifestazioni, conferenze, eventi culturali o iniziative educative che critichino Israele, basandosi non su un accertato incitamento all’odio, ma su una mera “percezione” di antisemitismo generata dall’applicazione di questi criteri ampliati. Il Paradosso Storico-Linguistico e le Voci Ebraiche Critiche Un ulteriore elemento di critica investe il piano storico e linguistico. Il termine “semita”, spesso usato in modo restrittivo come sinonimo di “ebreo”, si riferisce in realtà a un gruppo etnico-linguistico più ampio, che comprende storicamente anche le popolazioni arabe, inclusi i palestinesi. Questa osservazione, al di là della disputa accademica, serve a evidenziare come la definizione adottata rischi di appiattire una realtà complessa e plurale. Infine, viene fatto notare come il DDL Gasparri sembri ignorare deliberatamente l’esistenza di una variegata e articolata galassia di voci ebraiche, in Italia e nel mondo, che si dichiarano antisioniste o fortemente critiche verso le politiche dei governi israeliani. Associazioni come “Ebrei Contro l’Occupazione” o la storica rete di “Jewish Voice for Peace” testimoniano come l’identità ebraica non sia monolitica e non possa essere ridotta a un’adesione automatica al sionismo o al supporto incondizionato a Israele. Silenziare questa pluralità di opinioni interne allo stesso mondo ebraico, sostengono i critici, significa impoverire il dibattito e imporre una narrazione univoca e strumentale. Una Legge nel Momento Sbagliato? In un momento storico in cui la comunità internazionale è chiamata a un esame di coscienza di fronte a una delle più gravi crisi umanitarie del nuovo millennio, e in cui la libertà di informazione e di espressione sono presidi fondamentali per la tenuta democratica, il DDL Gasparri viene visto dai suoi oppositori come una pericolosa deriva. Per costoro, il provvedimento non rappresenta un autentico rafforzamento della lotta all’antisemitismo, ma uno strumento di politica simbolica che minaccia di erodere diritti costituzionali fondamentali, di criminalizzare il dissenso e di offrire una copertura legale a chi intende zittire le voci critiche verso le politiche israeliane. Il rischio, avvertono, è che l’Italia, invece di difendere i principi di giustizia e uguaglianza, imbocchi una strada che porta alla repressione del dibattito democratico e all’isolamento di chi esprime solidarietà a un popolo sotto occupazione. Testo del DDL Gasparri https://grandeinganno.it/wp-content/uploads/2025/10/ddl-1627444489.pdf Redazione Italia
DDL Gasparri, per imbavagliare la solidarietà alla Palestina
Con Simone Alliva, giornalista del Domani, parliamo del DDL 1627 "Disposizioni per il contrasto all'antisemitismo e per l'adozione della definizione operativa di antisemitismo", definizione che ricalca quella del International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) che equipara antisemitismo e antisionismo. Il Decreto prevede pesanti ricadute su scuola e università. Parliamo anche di altri due DDL, discussi contemporaneamente in Commissione Affari Costituzionali, l'uno a firma Romeo (Lega), l'altro a firma Scalfarotto (Italia Viva) che mirano a introdurre limitazioni al diritto di manifestare per la Palestina.
[Ora di buco] Botte e bavaglio sulle scuole per la Palestina
La prima parte della trasmissione è dedicata all'aggressione squadrista subita dagli/dalle studenti e docenti del Liceo Caravillani di Monteverde da parte di uomini collegati alla attigua sinagoga per una megafonata di appello per le manifestazioni degli scorsi giorni e un coro Free Palestine. Sentiamo uno studente e un docente della scuola. Presentiamo poi l'incontro "Hackerare la classe. Pratiche di R-esistenze queer tra scuole e università" organizzato mercoledì 8 ottobre alle ore 18.30 dalla Libreria Antigone, presso ESC, nell'ambito del festival "Altre Utopie. Episodi dal sottobosco queer (6-12 ottobre)". Nell'ultima parte della trasmissione, con Simone Alliva, giornalista del Domani, parliamo del DDL 1627 "Disposizioni per il contrasto all'antisemitismo e per l'adozione della definizione operativa di antisemitismo", definizione che ricalca quella del International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) che equipara antisemitismo e antisionismo. Il Decreto prevede pesanti ricadute su scuola e università. Parliamo anche di altri due DDL, discussi contemporaneamente in Commissione Affari Costituzionali, l'uno a firma Romeo (Lega), l'altro a firma Scalfarotto (Italia Viva) che mirano a introdurre limitazioni al diritto di manifestare per la Palestina.