Legge Gasparri, il Ddl che equipara l’antisionismo all’antisemitismoProponiamo un ottimo articolo pubblicato su Grande Inganno che spiega le falle
della proposta di Legge Gasparri che equipara antisemitismo e antisionismo.
Un provvedimento legislativo, presentato al Senato, sta sollevando un acceso e
polarizzante dibattito nel panorama politico e giuridico italiano, con
ripercussioni che toccano i nervi scoperti della politica internazionale e i
fondamenti stessi della libertà di espressione. Si tratta del disegno di legge
n. 1627, a prima firma del senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia, che si
propone di adottare ufficialmente nella Repubblica Italiana la definizione
operativa di antisemitismo elaborata dall’International Holocaust Remembrance
Alliance (IHRA).
Un’iniziativa che si presenta con l’intento dichiarato di rafforzare la lotta
contro l’odio antiebraico, ma che, secondo un coro composito e preoccupato di
giuristi costituzionalisti, attivisti per i diritti umani, associazioni della
società civile e docenti universitari, cela un pericolo concreto: quello di
criminalizzare, di fatto, la legittima critica politica allo Stato di Israele e
all’ideologia sionista, trasformando espressioni di dissenso e atti di
solidarietà verso il popolo palestinese in reati penali.
Uno degli aspetti più preoccupanti del disegno di legge Gasparri è
l’introduzione di pene detentive fino a 6 anni di carcere per chiunque venga
ritenuto colpevole di aver espresso opinioni o compiuto azioni giudicate
antisemite secondo la definizione dell’IHRA. Questo passaggio avviene attraverso
una modifica diretta all’articolo 604-bis del codice penale, ampliando le
fattispecie di reato già previste dalla cosiddetta “legge Mancino”.
In particolare, la nuova formulazione stabilisce che chiunque compia atti di
propaganda, istigazione o incitamento fondati — anche solo in parte —
sull’ostilità o avversione nei confronti degli ebrei, dei loro beni, della loro
cultura o religione, o che neghi il diritto all’esistenza dello Stato di
Israele, rischia una condanna da 2 a 6 anni di reclusione. La pena è
ulteriormente aumentata, fino a 9 anni, se l’offesa viene commessa tramite
simboli, immagini, oggetti o espressioni che, direttamente o indirettamente,
richiamano odio o pregiudizio contro gli ebrei o Israele.
In termini concreti, questo significa che la soglia tra critica politica e reato
penale si assottiglia pericolosamente. Espressioni come “Israele è uno stato di
apartheid” o “il sionismo è un’ideologia coloniale” potrebbero essere
interpretate — sulla base di una valutazione soggettiva — come istigazione
all’odio o negazione del diritto all’esistenza di Israele. Un post sui social,
un cartello durante una manifestazione, un intervento universitario, un’opera
d’arte o un articolo giornalistico potrebbero essere sufficienti per finire
sotto indagine o addirittura essere arrestati. Il paradosso è brutale: mentre
ministri israeliani e figure pubbliche possono apertamente negare il diritto
all’esistenza del popolo palestinese, chi osa denunciare l’occupazione militare
o la pulizia etnica portata avanti da Israele rischia di essere censurato,
criminalizzato o perseguito penalmente.
Un caso emblematico è quello di Yair Netanyahu, figlio del primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu. Sul suo profilo X (ex Twitter), alla luce del
sole, scrive: “Dal fiume al mare, questa bandiera è tutto ciò che vedrai!” Una
frase che non è ambigua, non è provocatoria: è un messaggio esplicito di
eliminazione totale. Significa che tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo —
cioè l’intera Palestina storica — non deve esistere nulla tranne Israele. Solo
una bandiera, solo un popolo, solo uno Stato. Gli altri devono sparire. Questo
tipo di affermazione, in qualsiasi altro contesto geopolitico, sarebbe trattato
per ciò che è: un incitamento alla pulizia etnica. Ma nel caso di Israele, viene
tollerato, ignorato, perfino giustificato.
Nel frattempo, chi denuncia l’occupazione militare, il blocco di Gaza, i
bombardamenti sui civili, le leggi razziali, gli insediamenti illegali e il
sistema di apartheid, rischia l’etichetta di antisemita. Viene silenziato nei
media, licenziato nelle università, bandito dai festival, incriminato in
tribunale. In molti Paesi, la sola
solidarietà con la Palestina può costare caro. Questo è il mondo alla rovescia
in cui viviamo: l’oppressore può rivendicare apertamente l’annientamento
dell’altro, mentre all’oppresso non è concesso nemmeno il diritto di denunciare
la propria oppressione. Una narrazione tossica e ipocrita domina lo spazio
pubblico: Israele può parlare di “difesa”, anche mentre bombarda ospedali. Può
parlare di “diritto all’esistenza”, anche mentre nega quello di milioni di
palestinesi. Chi invece si rifiuta di accettare
questa menzogna viene trattato come un criminale.
Siamo di fronte a un tentativo di blindare giuridicamente il discorso pubblico,
criminalizzando la legittima critica politica sotto l’etichetta
dell’antisemitismo. Ma c’è una differenza sostanziale tra il pregiudizio
razziale contro gli ebrei e la contestazione dell’ideologia sionista o delle
politiche di uno Stato. Non si può accettare che la denuncia dell’oppressione
subita da un popolo — quello palestinese — venga trattata alla stregua di un
crimine d’odio. Usare la memoria della Shoah come strumento per zittire il
dissenso è una distorsione grave e pericolosa, che rischia di alimentare non
solo la censura ma anche nuove forme di conflitto e divisione.
Il Cuore della Contesa: la Definizione IHRA e i suoi Esempi Contestati
Il fulcro del DDL Gasparri risiede nell’adozione integrale della definizione
IHRA, corredata dai suoi undici esempi esplicativi. Se la definizione di base
(“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa
come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche
dell’antisemitismo sono dirette verso target ebrei o non ebrei e/o verso le loro
proprietà, verso le istituzioni delle comunità ebraiche e verso le loro
strutture religiose”) viene generalmente condivisa, è nella parte
esemplificativa che si annida la controversia.
Tra gli esempi che suscitano maggiore allarme tra i critici del provvedimento,
si segnalano in particolare:
* “Negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio
sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’iniziativa razzista.”
* “Applicare doppi standard esigendo un comportamento che non ci si aspetta o
non si pretende da nessun’altra nazione democratica.”
* “Paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti.”
* “Ritenere gli ebrei collettivamente responsabili delle azioni dello Stato di
Israele.”
Secondo i critici del disegno di legge, questi punti, se recepiti in un contesto
normativo, non rappresentano una mera elencazione di buone pratiche, ma operano
una pericolosa sovrapposizione concettuale, equiparando sistematicamente la
critica a un governo e a un progetto politico (il sionismo) a una forma di odio
razziale verso un gruppo religioso ed etnico (gli ebrei). Questa confusione,
aprirebbe la porta a un’applicazione arbitraria e ampliativa della legge penale,
con il rischio di una
censura preventiva del dibattito pubblico.
L’Italia Già Dotata di una Robusta Architettura Normativa: la Legge Mancino e la
Costituzione
Per comprendere le preoccupazioni degli oppositori del DDL 1627, è necessario
inquadrarlo all’interno del preesistente sistema giuridico italiano, già
ritenuto da molti osservatori tra i più severi d’Europa nella repressione dei
crimini d’odio. La cosiddetta Legge Mancino (Legge 25 giugno 1993, n. 205)
costituisce il perno di questa architettura. Tale normativa punisce penalmente
le condotte di incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi
razziali, etnici, religiosi o nazionali. Include esplicitamente la punizione di
atti di apologia di fascismo, di negazionismo della Shoah e di diffusione di
idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico. La giurisprudenza
italiana ha da tempo consolidato l’interpretazione per cui l’antisemitismo
rientra a pieno titolo nelle fattispecie previste da questa legge.
A questa si affianca il dettato costituzionale. L’articolo 3 della Costituzione
Italiana sancisce il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla
legge, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questo principio,
cardine della Repubblica, fornisce una tutela fondamentale contro ogni forma di
discriminazione.
La dottrina giuridica dominante ritiene che questo quadro normativo, integrato
dalla prassi giudiziaria, abbia finora bilanciato in modo efficace la
repressione dei crimini d’odio con la tutela della libertà di espressione,
sancita dall’articolo 21 della Costituzione. Ogni intervento legislativo che
introduca definizioni vaghe e sovrapposizioni concettuali, come quello
prospettato dal DDL Gasparri, viene dunque visto non solo come superfluo, ma
come un potenziale regresso liberticida, in grado di incrinare questo
equilibrio.
Il Contesto Incendiario: Gaza, Accuse di Genocidio e la Repressione del Dissenso
La discussione sul DDL Gasparri non avviene in un vuoto politico, ma si
intreccia in modo drammatico con l’attualità internazionale. L’offensiva
militare israeliana nella Striscia di Gaza, scatenata in seguito agli attacchi
del 7 ottobre da parte di Hamas, ha provocato, secondo le autorità sanitarie
locali, decine di migliaia di vittime civili, la distruzione sistematica di
abitazioni, ospedali e università, e ha spinto prestigiose organizzazioni
internazionali per i diritti umani – tra cui Amnesty International e Human
Rights Watch – nonché la Corte Internazionale di Giustizia, ad avanzare seri e
fondati sospetti di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di
genocidio. In questo scenario, il DDL 1627 viene percepito da ampie fasce della
società civile, dell’associazionismo e del mondo accademico come un tentativo di
delegittimare e reprimere proprio la crescente ondata di critica alle operazioni
militari israeliane e di solidarietà verso il popolo palestinese. La paura è
che, in nome del contrasto a un antisemitismo reale, si finisca per imbrigliare
ogni forma di protesta, dibattito e dissenso, etichettandola come potenzialmente
antisemita.
I Rischi Concreti: Vaghezza Normativa e Poteri Censori
Oltre alla critica di principio, gli oppositori del disegno di legge mettono in
luce rischi operativi molto concreti. La vaghezza di alcuni esempi dell’IHRA
(come l’”applicazione di doppi standard”) potrebbe prestarsi a interpretazioni
soggettive e arbitrarie, creando un “effetto raggelamento” (chilling effect) sul
dibattito pubblico. Docenti, giornalisti, attivisti e cittadini comuni
potrebbero essere indotti all’autocensura per il timore di conseguenze legali.
Inoltre, si teme che il provvedimento possa fornire alle istituzioni pubbliche –
dalle prefetture alle amministrazioni locali – uno strumento per vietare o
dissuadere manifestazioni, conferenze, eventi culturali o iniziative educative
che critichino Israele, basandosi non su un accertato incitamento all’odio, ma
su una mera “percezione” di antisemitismo generata dall’applicazione di questi
criteri ampliati.
Il Paradosso Storico-Linguistico e le Voci Ebraiche Critiche
Un ulteriore elemento di critica investe il piano storico e linguistico. Il
termine “semita”, spesso usato in modo restrittivo come sinonimo di “ebreo”, si
riferisce in realtà a un gruppo etnico-linguistico più ampio, che comprende
storicamente anche le popolazioni arabe, inclusi i palestinesi. Questa
osservazione, al di là della disputa accademica, serve a evidenziare come la
definizione adottata rischi di appiattire una realtà complessa e plurale.
Infine, viene fatto notare come il DDL Gasparri sembri ignorare deliberatamente
l’esistenza di una variegata e articolata galassia di voci ebraiche, in Italia e
nel mondo, che si dichiarano antisioniste o fortemente critiche verso le
politiche dei governi israeliani. Associazioni come “Ebrei Contro l’Occupazione”
o la storica rete di “Jewish Voice for Peace” testimoniano come l’identità
ebraica non sia monolitica e non possa essere ridotta a un’adesione automatica
al sionismo o al supporto incondizionato a Israele. Silenziare questa pluralità
di opinioni interne allo stesso mondo ebraico, sostengono i critici, significa
impoverire il dibattito e imporre una narrazione univoca e strumentale.
Una Legge nel Momento Sbagliato?
In un momento storico in cui la comunità internazionale è chiamata a un esame di
coscienza di fronte a una delle più gravi crisi umanitarie del nuovo millennio,
e in cui la libertà di informazione e di espressione sono presidi fondamentali
per la tenuta democratica, il DDL Gasparri viene visto dai suoi oppositori come
una pericolosa deriva.
Per costoro, il provvedimento non rappresenta un autentico rafforzamento della
lotta all’antisemitismo, ma uno strumento di politica simbolica che minaccia di
erodere diritti costituzionali fondamentali, di criminalizzare il dissenso e di
offrire una copertura legale a chi intende zittire le voci critiche verso le
politiche israeliane. Il rischio, avvertono, è che l’Italia, invece di difendere
i principi di giustizia e uguaglianza, imbocchi una strada che porta alla
repressione del dibattito democratico e all’isolamento di chi esprime
solidarietà a un popolo sotto occupazione.
Testo del DDL Gasparri
https://grandeinganno.it/wp-content/uploads/2025/10/ddl-1627444489.pdf
Redazione Italia