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“Colonia israeliana in Salento”? Le follie immobiliari e le ambizioni sioniste della CORAL 37
“Due anni fa arrivavo in Puglia quasi per caso. Un volo, una fermata non programmata – e improvvisamente mi sono ritrovata in un luogo che mi ha toccato profondamente. Per la prima volta, mi sono sentita arrivata a casa. Non solo per la bellezza della costa adriatica, i borghi imbiancati o il ritmo di vita più lento, così diverso dal mondo veloce da cui provengo, ma soprattutto per le straordinarie opportunità che questa terra offre ai miei investitori”. Comincia così una dei tanti post social di Orit Lev Marom, imprenditrice israeliana di respiro internazionale, interessi che spaziano dalle costruzioni, alle ristrutturazioni, dalle strutture ricettive alle cliniche sanitarie, sempre corredate da foto che la ritraggono e che fanno parte integrante delle sue strategie di marketing. E poi continua: “In Puglia ho trovato non solo la destinazione perfetta per i miei clienti, ma anche un luogo a cui appartengo veramente. Ecco perché ho deciso di restare“. Nel Salento, di base e per la precisione a Lecce, dove ha messo sede ad una clinica specializzata in trattamenti estetici e ad una società immobiliare, la Coral 37, affiancata dall’agente immobiliare Yoel Ben Assayag (noto per il suo sostegno al genocidio in atto in Palestina), specializzata nella compravendita di immobili di lusso e nelle ristrutturazioni edilizie. Sul sito della predetta società si leggono alcuni passaggi riferibili alla imprenditrice la quale esalta le “straordinarie opportunità che questa terra offre ai miei investitori”. Si legge ancora che “In Puglia ho trovato … la destinazione perfetta per i miei clienti”. Ori Lev Marom ha scritto – fra post social, blog e siti web, che cura personalmente – , rivolgendosi direttamente ai suoi potenziali clienti: “La Puglia offre: • Incentivi statali nel turismo e nell’imprenditorialità • Prezzi dei terreni convenienti, consentendo a chiunque di acquistare un bellissimo terreno • La possibilità di costruire la casa dei tuoi sogni – semplice e vicina alla natura, o lussuosa ad una frazione del costo rispetto ad altri mercati europei.” Scorrendo ancora sul sito però si leggono cose inquietanti. Si parla del Salento come “nuova terra promessa” di insediamenti residenziali israeliani: “Uno dei progetti più ambiziosi è la “Colonia Israeliana nel Salento”, una visione per una comunità agricola e turistica autosufficiente in cui le famiglie israeliane possano stabilirsi”. E’ proprio la stessa Orit Lev Marom che, sul suo sito in inglese, ha scritto: “Più di recente, Orit ha spostato la sua attenzione sulle opportunità immobiliari in Italia. Ha co-fondato Coral 37, una società dedicata ad aiutare gli investitori ad acquisire immobili di pregio nel Salento, nel Sud Italia. Uno dei suoi progetti più ambiziosi è la “Colonia Israeliana nel Salento”, una visione per una comunità agricola e turistica autosufficiente in cui le famiglie israeliane possano stabilirsi, coltivare il proprio cibo e sviluppare strutture educative e sanitarie condivise.” (1) Insomma, insediamenti veri e propri di coloni israeliani, con una propria produzione agricola, una propria cultura, una propria educazione e una propria assistenza sanitaria. La signora Marom si prende talmente sul serio a tal punto da postare fotografie che la ritraggono a Santa Caterina, Marina del Comune di Nardò a due passi da Santa Maria al Bagno che, nell’immediato Dopoguerra, fu davvero luogo di ritrovo e rinascita per migliaia di ebrei in fuga dall’Europa in fiamme. Il famoso Camp 34, infatti, è stato per alcuni anni il trampolino dei profughi verso Israele e verso le nuove e tante “patrie” degli ebrei sopravvissuti alle persecuzioni. Si tratta pur sempre di zone che con Israele non hanno mai avuto nulla a che spartire, in quanto da sempre italiane.   “L’obiettivo dichiarato – secondo Becciolini Network – è di creare un villaggio autosufficiente per famiglie israeliane, con case private, terreni agricoli, scuole e servizi interni. Una comunità esclusiva che se realizzata cambierebbe il volto del Salento.” È una visione preoccupante non solo da un punto di vista speculativo immobiliare, visto che la società pubblicizza l’acquisizione di immobili a prezzi molto convenienti nei centri storici delle più belle città pugliesi, ma anche da un punto di vista insediativo, visto che si parla di una colonia israeliana, sufficientemente vasta e attrezzata per il sostentamento di chi andrà a viverci. È una strategia pericolosa che strizza l’occhio a situazioni già viste nel Mediterraneo. A Cipro negli ultimi anni migliaia di israeliani hanno acquistato proprietà immobiliari creando di fatto realtà residenziali con scuole sinagoghe e servizi comunitari. Infatti è diffuso l’allarme per gli insediamenti israeliani: “Nascono enclaves. La gente del posto viene esclusa per via dei prezzi. Infrastrutture – sinagoghe, supermercati kosher, scuole private – vengono costruite rapidamente.” Si parla di famiglie israeliane che si insediano in forma coesa con un forte senso identitario: nel 2018 gli israeliani residenti nell’isola erano 6.500, a metà del 2025 sono 15.000. Il progetto pugliese, a differenza di quello cipriota, è ancora in una fase embrionale. Sembra che gli iter autorizzativi non siano stati ancora attivati. Buon motivo questo per andare a verificare le reali intenzioni degli investitori ma anche per affermare che la Puglia non è in vendita, tanto meno agli israeliani. L’economia del genocidio provocato da Israele in Palestina coinvolge dunque anche la Puglia. Sappiamo che quello israeliano è settler colonialism, ovvero un colonialismo che prevede la cacciata, ma anche lo sterminio degli abitanti che gli israeliani intendono predare. La psicopatologia e la psicopatia di certi sionisti israeliani trae ispirazioni proprio dal testo biblico del Deuteronomio 9 in cui si dice che il loro Dio gli ha dato la Terra promessa che si estende dall’Eufrate al Mar Mediterraneo. Ma oltre alla giustificazione biblica del genocidio in atto in Palestina, cosa dovremmo dire di fronte alle affermazioni – spacciate da alcuni per “ironiche” – dell’impresa immobiliare? Come si è chiesta giustamente Democrazia Atea: “Poiché il governo attuale di Israele crede di avere diritto di espandersi fino al Mediterraneo, c’è da chiedersi come dobbiamo interpretare le mire espansionistiche degli israeliani nel Salento e soprattutto cosa faranno quando i pugliesi non vorranno lasciare le loro terre. Forse manderanno agenti del Mossad come hanno fatto durante le manifestazioni per la Palestina a Parma.” Il progetto della “colonia israeliana in Salento” è solo uno dei numerosi intrecci di interessi che legano le economie occidentali con quella israeliana e che costituiscono, come ampiamente dimostrato dalla relatrice ONU Francesca Albanese, il retroterra che alimenta le guerre e in questo caso il progetto coloniale israeliano di espulsione e sostituzione dei palestinesi nel territorio occupato. Il Salento è terra di accoglienza, di integrazione, di dialogo interreligioso, di pacifica coesistenza, di pace, valori che sono mediamente connaturati a tutti i suoi abitanti. Voler farla diventare, in questo particolare momento storico, un’altra colonia israeliana con i motivi più assurdi, risulta inconcepibile sotto gli occhi di tutti e che è dunque assurdo specificarne le motivazione, poichè sarebbe già un compromesso. Anche il solo fatto che questa assurdità coloniale possa essere pensata, è un episodio di violenza politica, culturale, economica e sociale.   (1) “More recently, Orit has shifted her focus to real estate opportunities in Italy. She co-founded Coral 37, a company dedicated to helping investors acquire prime properties in the Salento region of Southern Italy. One of her most ambitious projects is the ‘Israeli Colony in Salento’, a vision for a self-sustaining agricultural and tourism community where Israeli families can establish homes, grow their own food, and develop shared education and healthcare facilities.” https://www.democrazia-atea.it/coral-37.htm https://www.leccecronaca.it/index.php/2025/09/21/israeli-colony-in-salento-lambizioso-progetto-di-orit-lev-maron/ https://bari.repubblica.it/cronaca/2025/09/24/news/costruiamo_una_colonia_in_salento_il_progetto_di_un_immobiliarista_israeliana_cerca_investitori-424867789/ https://selvaggialucarelli.substack.com/p/una-colonia-israeliana-nel-salento https://www.perunaltracitta.org/homepage/2025/09/26/leconomia-del-genocidio-in-puglia/ Lorenzo Poli
Riconoscimento della Palestina: Londra tenta di correggere la vergogna della Dichiarazione Balfour? In un contesto di colonialismo di insediamento, la soluzione a due Stati è impraticabile
InfoPal. Di Angela Lano. Domenica 21 settembre, Canada, Regno Unito e Australia hanno riconosciuto ufficialmente lo “stato” di Palestina, aggiungendosi agli altri 156, sui 193 membri delle Nazioni Unite, che già hanno preso un tale decisione. In una dichiarazione video su X, il primo ministro britannico Keir Starmer ha affermato: “Di fronte al crescente orrore in Medio Oriente, stiamo agendo per mantenere viva la possibilità della pace e di una soluzione a due Stati”. Da parte sua, il primo ministro canadese Mark Carney ha dichiarato che “dal 1947, la politica di ogni governo canadese è stata quella di sostenere una soluzione a due Stati per una pace duratura in Medio Oriente. Ciò prevedeva la creazione di uno Stato di Palestina sovrano, democratico e vitale, che costruisse il suo futuro in pace e sicurezza insieme allo Stato di Israele”. Si prevede che seguiranno Portogallo, Lussemburgo, San Marino, Belgio, Andorra, Francia e Malta. Ciò avviene due mesi dopo che Arabia Saudita e Francia hanno co-ospitato una “Conferenza per la soluzione dei due stati” presso le Nazioni Unite senza la partecipazione degli Stati Uniti. Decisione storica. Dirigenti e analisti palestinesi descrivono questo passo come “storico”. Lo vedono come un cambiamento politico e giuridico che sfida l’occupazione israeliana e ne aggrava l’isolamento globale. Husam Zomlot, ambasciatore palestinese nel Regno Unito, ha descritto la decisione come storica. “Non riguarda solo la Palestina. Riguarda la responsabilità della Gran Bretagna. Il riconoscimento pone fine a decenni di negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Ma è solo un inizio. Dobbiamo fermare il genocidio a Gaza, porre fine alla pulizia etnica in Cisgiordania e all’occupazione illegale”, ha affermato. La reazione del governo genocida israeliano. I leader israeliani hanno minacciato ritorsioni attraverso l’espansione degli insediamenti, l’annessione della Cisgiordania e l’ulteriore frammentazione del territorio palestinese, e il primo ministro Netanyahu ha ribadito che “non ci sarà alcuno stato palestinese”. “La risposta all’ultimo tentativo di imporci uno Stato terrorista nel cuore del nostro Paese verrà data dopo il mio ritorno dagli Stati Uniti”, ha affermato. Netanyahu ha anche ammesso di aver “raddoppiato le comunità ebraiche” in Cisgiordania, che lui chiama “Giudea e Samaria”, e ha promesso di continuare su questa strada. Il colonialismo di insediamento è incompatibile con la soluzione a due Stati. Va sottolineato, tuttavia, che il riferimento all’idea, irrealistica, di due popoli-due Stati è una soluzione del tutto impraticabile in una situazione di colonialismo di insediamento come quello in atto dal 1948 sui territori dei nativi di Palestina, di colonizzazione di gran parte della Cisgiordania e di pulizia etnica in corso, di giudaizzazione di Gerusalemme e di genocidio e occupazione quasi totale della Striscia di Gaza. La mossa pare più un tentativo di salvare Israele dalla catastrofe e dall’auto-annientamento che una modalità di implementazione delle disattese risoluzioni ONU. O un modo per dare un contentino alle folle che da due anni scendono in strada a manifestare contro il genocidio in atto. E’ anche una modalità per andare incontro, senza troppe implicazioni pro-Palestina alle lobby dei Paesi del Golfo. L’unica soluzione giusta e legale, in un contesto di colonialismo di insediamento, è la decolonizzazione, la scomparsa di tale contesto stesso: in questo caso, la fine di Israele, il rimpatrio dei coloni, e un processo di giustizia e compensazioni simile a quello che è avvenuto nel Sudafrica post-Apartheid. (Fonti: Quds News, PC).