Manifesto “La conoscenza non marcia”. Scuole e Università contro la guerraPer difendere Università e Scuole dall’invasione dell’industria bellica, dalla
logica militare, dalla collaborazione con il genocidio del popolo palestinese
PREMESSA
Assistiamo a una crescente invasione del settore dell’istruzione e
della ricerca da parte della filiera militare industriale e del suo
dispiegamento ideologico. Il processo di militarizzazione dei luoghi del sapere
sembra procedere secondo tre direzioni. In primo luogo verso la costruzione
della cosiddetta “cultura della difesa” con la finalità ideologica di far
apparire la guerra possibile e la sua preparazione necessaria anche e
soprattutto alle giovani generazioni. Il secondo obiettivo è quello
del reclutamento, attraverso PCTO, e le iniziative di orientamento e di
tirocinio universitari. Infine, attraverso la presenza dell’industria militare,
si potenzia la realizzazione dell’obiettivo neoliberista di una formazione
subordinata all’interesse dell’impresa.
Progetti in corso, come quello dell’applicazione alla formazione tecnica e
professionale della riduzione del percorso di studio a 4+2 (due di ITS)
consentendo una completa compartecipazione alla costruzione dei curricula e
all’insegnamento di Ministero e imprese private, vedono una partecipazione
importante di imprese del comparto militare-industriale. In primis, ovviamente
della Leonardo, con le sue Fondazioni.
La necessità da parte delle classi dirigenti della militarizzazione dei luoghi
della formazione è ora rafforzata dalla svolta bellicista impressa dal
programma Rearm Europe. La relazione “Preparedness Union Strategy: reinforcing
Europe’s resilience in a changing world” del marzo 2025 richiede “preparedness”
(Ndr. essere preparati di fronte alla guerra) nei programmi d’istruzione
scolastica e nell’aggiornamento del personale educativo (si veda A. Angelucci).
Riteniamo necessario contrastare tale dinamica, le cui pericolose implicazioni
sono emerse durante i due anni della fase attuale del genocidio della
popolazione palestinese. I rischi per l’umanità rappresentati dalla commistione
tra istruzione ed industria bellica sono esemplari nel caso israeliano, ma
rappresentano un pericolo concreto anche alle nostre latitudini: la sempre più
rapida militarizzazione della scuola e della società nel nostro Paese (e negli
altri Paesi europei e non) può essere interpretata come una israelizzazione dei
nostri territori, un’importazione del modello di società israeliana,
militarizzata fin nei suoi più profondi gangli, che coinvolge in particolare il
mondo dell’infanzia e della scuola, come denuncia il film Innocence.
Dunque il tema del riarmo e della militarizzazione è fortemente connesso a
quello dell’occupazione e del genocidio palestinese, e questa lettura apre a
molteplici approfondimenti, tra cui la colonizzazione/riconfigurazione militare
dei territori (spaziocidio), la violenza simbolica usata per controllare e
piegare le soggettività non conformi (Innocence), la violenza epistemica che
annienta le memorie e i saperi.
Per questa ragione la campagna “La conoscenza non marcia” si propone di
intervenire direttamente nel rapporto strutturale che lega il progetto sionista
(in cui l’istruzione ha un ruolo importante, cfr. Rapporto BDS),
la militarizzazione della società e l’istruzione pubblica. Il definanziamento
dell’Università italiana, connesso alla ripetuta introduzione di nuove forme
contrattuali di precariato della ricerca e della docenza, spinge a rendere
prassi normale il reperimento di risorse presso agenzie private e pubbliche che
hanno come proprio core business l’intelligence e l’industria bellica. A titolo
esemplificativo, possono essere citati i seguenti casi: Elbit Systems è una
delle aziende più importanti per la fornitura di tecnologia militare
dell’esercito israeliano (compresi i materiali utilizzati nei più recenti
attacchi a Gaza), ed è stata coinvolta in numerosi progetti finanziati dall’UE
(nell’ambito del programma Horizon 2020, in particolare).
Allo stesso modo, la Israeli Aerospace Industries (IAI), un importante
produttore israeliano di proprietà statale nel settore della difesa e
aerospaziale, è coinvolta in numerosi progetti nel programma Horizon Europe
attualmente in corso.
Molte università israeliane, come l’Istituto israeliano di tecnologia
(Technion), hanno da tempo contribuito all’istituzionalizzazione dell’apartheid,
all’occupazione dei territori e alla sistematica discriminazione nei confronti
dei palestinesi, esercitando un ruolo crescente nella repressione del dissenso
attraverso tecnologie via via più sofisticate. Inoltre, le università europee
spesso stipulano contratti con aziende tecnologiche come HP, anch’essa indicata
come fornitore di tecnologie per il controllo sulla popolazione palestinese
(Cfr. Antropologia, diritto internazionale e dibattito pubblico sul ‘possibile’
genocidio in Palestina, dossier a cura di Stefano Portelli e Francesca
Cerbini e Antropolog per la Palestina). Alcune università, come ad esempio
la Ariel University, operano direttamente nello scenario coloniale agendo
direttamente come agenti dell’oppressione e dell’espulsione del popolo
palestinese, essendo collocati su territori occupati illegalmente
in Cisgiordania.
Poiché sappiamo che la progettualità e la ricerca dual use sono estremamente
problematiche, date le difficoltà di stabilire se un prodotto scientifico sia o
meno indirizzato per scopi militari, nei suoi diversi utilizzi, il principio di
precauzionalità deve guidare sempre l’operato dell’università pubblica di fronte
all’offerta di partnership con le istituzioni di quei Paesi che implementano
sistematicamente politiche e pratiche coloniali (apartheid, occupazione
militare, restrizione di movimenti e libertà, espropriazione illegale di terre,
discriminazione) e genocidiarie.
Tali tipi di accordi, inoltre, trasformano la ricerca scientifica, svolta in
strutture pubbliche, in un mandato a favore di ristretti gruppi economici e
sociali – e dei loro interessi geopolitici – che hanno il settore militare come
proprio campo privilegiato di investimento e accumulazione.
L’esempio più classico è quello di Leonardo Spa, ex Finmeccanica, il cui
rapporto con lo Stato di Israele si dispiega sia nella fornitura di armamenti
che nella strutturale presenza di propri stabilimenti e dipendenti su territorio
israeliano.
In questo quadro, ci interessa sottolineare anche il ruolo di primo piano delle
università Israeliane: da un lato, nell’utilizzazione di saperi di ambito
umanistico e sociale (archeologia, storia, scienze sociali) utilizzati nella
produzione di una narrazione unica e deformata del passato, volta a legittimare
l’occupazione dei territori a danno della popolazione palestinese (Cfr. Maya
Wind, Torri d’avorio e di acciaio); dall’altro, nel supporto all’industria
bellica, che nel suo operato più recente ha sistematicamente cancellato la
memoria di quei territori attraverso la distruzione di siti e musei.
Va ricordato inoltre che numerose università israeliane hanno stabilito
programmi con aziende leader nel settore militare (Iai, Rafael, Elbit) che
progettano gli F-16, i carri armati Merkava, gli elicotteri apache usati in
tutte le recenti campagne militari contro la striscia di Gaza (2008-2009, 2012,
2014, 2021), puntualmente sanzionate come “crimini di guerra” dal consiglio
dell’ONU per i diritti umani. Queste aziende sanciscono il rapporto con
l’accademia mediante l’elargizione di borse di studio e ingenti investimenti per
la ricerca.
Il BDS – Movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni – denuncia le
complicità delle università israeliane non solo nella costruzione di
infrastrutture e nella colonizzazione israeliana del territorio palestinese, ma
anche nella creazione di un’ideologia pervasiva razzista che contribuisce alla
sottomissione del popolo palestinese e sostiene i crimini commessi dall’esercito
israeliano. Dall’analisi che il BDS ha condotto sulla relazione che unisce
l’accademia e le forze militari israeliane emerge una commistione che si
verifica a più livelli.
Gli esempi sono tanti: la Bar Ilan University collabora a stretto contatto con
lo Shin Bet, i famigerati servizi di sicurezza interna israeliani. La Ben Gurion
University ospita l’Homeland Security Institute, le cui partnership includono le
principali aziende produttrici di armi e il Ministero della Difesa israeliano.
L’esercito sta costruendo un campus tecnologico accanto al campus della BGU, ma
anche alla Hebrew University of Jerusalem è presente una base militare
(costruita in parte su territorio palestinese occupato). Quest’ultima supporta
economicamente gli studenti-soldato coinvolti nel genocidio, così come
lo Weizmann Institute of Science che, inoltre, offre un master per i militari e
ha aperto un’accademia premilitare per gli studenti dell’ultimo anno delle
scuole superiori. Questo istituto collabora con i principali produttori di armi
israeliani, tra cui Elbit Systems e Israel Aerospace Industries.
Anche Technion ha numerose partnership e borse di studio sponsorizzate dai
principali produttori di armi, come Elbit Systems e Rafael, ha inoltre avviato
numerosi programmi accademici congiunti con l’esercito israeliano e svolge un
corso sulla commercializzazione dell’industria bellica israeliana. La Tel Aviv
University gestisce centri congiunti con l’esercito e l’industria bellica
israeliana e ospita l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale (INSS).
Questa università ha istituito un corso di hasbara (propaganda) riguardo al
genocidio in corso nella Striscia di Gaza e ha finanziato “assistenza” per i
soldati coinvolti nel genocidio a Gaza. L’Open University of Israel gestisce il
programma “Academic Commandos” con l’esercito israeliano dal 1999 e assicura un
trattamento economico preferenziale ai soldati combattenti attivi. La Haifa
University ospita tre college militari e tiene corsi presso la base militare
israeliana di Glilot, considerata un’estensione dell’università. Ha fornito
equipaggiamento e ha istituito un fondo “di emergenza” per fornire assistenza
economica
agli studenti-soldato che non possono seguire le lezioni perchè stanno compiendo
il genocidio a Gaza.
È ampiamente dimostrato che le università israeliane collaborino allo sviluppo
di sistemi d’arma, dottrine militari, discorsi ideologici, alla normalizzazione
della pulizia etnica coloniale e alla discriminazione degli studenti
palestinesi. Pertanto, l’accademia è complice del regime israeliano di
occupazione militare, colonialismo di insediamento, apartheid e ora di
genocidio.
Come emerso durante le mobilitazioni studentesche del 2024/2025, la questione
palestinese mostra delle connessioni ampie, che travalicano gli apparati
militari per includere fondazioni ed enti di ricerca con grosse responsabilità
nella difesa di interessi geopolitici e coinvolgimento nella filiera
militare-industriale. L’esempio di Med-Or è illustrativo di tale tendenza in
Italia. Med-Or è una creatura di Leonardo presentata per promuovere ricerca e
sicurezza: diversi rettori di atenei italiani hanno accettato di entrare
nel Consiglio Scientifico della Fondazione. La fondazione vanta, inoltre, circa
90 collaborazioni attive con università, tra cui i politecnici di Torino e di
Milano, le università di Genova, Bologna e Roma “Sapienza”.
Come riportato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università, Med-Or è attiva da sempre in Israele, «paese fondamentale con cui
rafforzare collaborazione e iniziative comuni, soprattutto alla luce dei
cambiamenti in corso nella regione del Mediterraneo allargato anche a causa
della guerra in Ucraina, che ha radicalmente modificato il quadro securitario e
geopolitico dell’area» e quindi «partner privilegiato per la Fondazione Med-Or,
anche per rafforzare la sua capacità di studio e di
riflessione strategica sui principali eventi in corso a livello internazionale».
Nonostante le accuse di genocidio al governo di Israele, Med-Or sta
implementando la sua azione in quel
paese, in sinergia con l’Institute for National Security Studies (INSS) di Tel
Aviv, legato a doppio filo alla Tel Aviv University.
Oltre al settore industriale e geopolitico, si assiste ad una crescente
militarizzazione della società, che possiamo riscontrare nelle decisioni di
alzare al 5% del PIL le spese militari, a danno della spesa pubblica per sanità,
istruzione, ricerca, amministrazioni locali e, in generale, l’assistenza
sociale. Su un piano culturale, la logica di “armare” le menti e le braccia dei
cittadini europei sta rapidamente assumendo un piano discorsivo di normalità, ed
è pericolosamente contenuta in alcuni passaggi della “Risoluzione del Parlamento
europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di
difesa comune – relazione annuale 2024 (2024/2082(INI)” che “invita”
nell’articolo 164: “[…] l’UE e i suoi Stati membri a mettere a punto programmi
educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a
migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e
l’importanza delle forze armate…” e “chiede”. nell’articolo 167: “…. dimettere a
punto programmi di formazione dei formatori e di cooperazione tra le istituzioni
di difesa e le università degli Stati membri dell’UE, quali corsi militari,
esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti
civili…”.
Negli ultimi anni è diventata sempre più evidente ed invasiva la presenza delle
forze armate e dell’industria militare nei luoghi della formazione. Nessun
ordine di scuola è risparmiato: dalla scuola dell’infanzia alla scuola
secondaria di secondo grado, fino agli Istituti Tecnici Superiori.
L’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università ha
documentato un numero impressionante di casi e di modalità di intervento.
Progetti di ampliamento dell’offerta formativa (educazione alla legalità;
educazione alla pace [!]; contrasto al cyberbullismo; contrasto alla violenza di
genere ecc. ecc.) affidati, non si capisce perché, non a psicologi/e o a
pedagogisti/e ma a militari. Visite in caserma. Cerimonie di alzabandiera a
inizio di anno scolastico. Partecipazione a manifestazioni militari (come nel
caso incredibile della ricostruzione del viaggio in treno della salma del milite
ignoto, stages in caserma o presso industrie belliche. PCTO in collaborazione
con militari o con aziende del complesso industriale-militare. Persino corsi
di educazione alimentare affidati ad ufficiali della US Navy in Sicilia.
Infine, occorre considerare la NATO, per il suo ruolo nei principali scenari
bellici e dietro le politiche di riarmo. Anche grazie alla sua presenza
capillare (in Italia quasi 150 basi o comandi militari), riesce a condizionare
la libertà democratica e la sovranità politica e militare dei Paesi alleati,
quindi anche le iniziative degli eserciti nazionali, spesso chiamati a
promuovere attività nelle scuole e nelle università.
Se nelle scuole agisce quasi esclusivamente attraverso iniziative di propaganda
con attività didattiche svolte da militari negli edifici scolastici oppure con
visite delle scolaresche e PCTO di studenti (l’ex alternanza scuola lavoro)
presso le basi militari, soprattutto nei territori in cui sono localizzate le
principali basi, negli Atenei la presenza diretta della NATO si legittima
attraverso accordi quadro siglati con varie Università (si veda per l’università
di Bologna qui e qui; qui; e per l’università per stranieri di Perugia: qui; per
l’Università di Genova: qui; per l’università di Pisa: qui) ad esempio per lo
svolgimento di tirocini nei comandi e nelle basi dell’alleanza atlantica) oppure
con iniziative e programmi fra i quali citiamo il NATO Model Event
dell’Università di Bologna e l’esercitazione “Mare Aperto”, svolta in
collaborazione con la Marina Militare e che coinvolge ogni anno circa 14 Atenei
italiani.
Oltre che nella didattica e nell’orientamento, la presenza della NATO nelle
Università avviene anche nella ricerca, ad esempio attraverso il NATO SPS
Programme. Gli obiettivi della narrazione della NATO nei luoghi fondamentali
dell’apprendimento sono quelli di giustificare il suo ruolo in Occidente
raccontandosi come strumento fondamentale per garantire sicurezza e pace,
creando così generazioni di studenti ben disposti nei suoi confronti, oltre che
lavorare d’anticipo sulle loro menti in vista di un reclutamento futuro.
Diversamente dalla narrazione che la NATO cerca di veicolare, gli sforzi che
chiede agli alleati in termini di risorse per il riarmo fanno scivolare anche il
nostro Paese lungo il crinale di una guerra mondiale, che va necessariamente
scongiurata, oltre che di una crisi sociale ed economica.
OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA “LA CONOSCENZA NON MARCIA”
Date tali premesse, e per difendere l’Università e la Scuola dall’invasione
dell’industria bellica e dalla logica di morte e di sopruso connessa con lo
strumento bellico, “LA CONOSCENZA NON MARCIA” chiede:
La smilitarizzazione dell’istruzione e la separazione netta tra spazio
scolastico/universitario e ambito militare, e pertanto il divieto
1. Di sviluppare progetti in collaborazione con industrie militari delle
filiera bellica, e con istituzioni che collaborano col regime coloniale e
genocidario di Israele, con organizzazioni internazionali come la NATO che
intervengono negli scenari di guerra in corso e nelle iniziative di riarmo;
2. Di ricevere finanziamenti dalla filiera militare industriale (siano esse
aziende pubbliche o private);
3. Di partecipare, da parte dei singoli docenti, a organizzazioni che abbiano
finalità di tipo militare o che la cui attività sia in qualche modo legata
all’industria bellica (come la Med-Or);
4. Di ottenere finanziamenti, partnership e qualunque forma di collegamento con
aziende e filiere produttive i cui interessi collimano con quelle di governi
che mettono in atto forme di occupazione militare illegale, discriminazione
razziale e persecuzioni;
5. Di sviluppare corsi di laurea, master universitari e scuole di
specializzazione in collaborazione con le forze armate, o che prevedano la
presenza nelle aule universitarie delle forze dell’ordine. Ovvero il
partenariato universitario non può guardare a questi soggetti che sono
demandati ad altri compiti e la cui presenza all’interno delle università
rappresenterebbe una normalizzazione della militarizzazione delle vite, dei
territori e della risoluzione delle controversie che dovrebbero invece
costituire l’ultima ratio della vita associata. Gli estensori della campagna
sono ben consapevoli che si tratta di istituzioni dello Stato in legittimo
dialogo tra loro, tuttavia si ritiene che per la differenza delle loro
funzioni, la presenza militare e poliziesca non debba essere parte del
settore educativo;
6. Di sviluppare eventi in collaborazione con le forze armate, e di tenere
eventi in collaborazione con le forze dell’ordine all’interno delle scuole
di ogni ordine e grado su tematiche educative e su argomenti che esulano dai
compiti specifici delle forze dell’ordine;
7. Di attivare accordi di collaborazione con le forze dell’Ordine, le accademie
militari e gli enti che abbiano un ruolo nel settore bellico, andando tali
ambienti contro l’educazione dei ragazzi e le ragazze del nostro Paese ad
una cultura della pace sancita dalla costituzioni perché contrari a quanto
affermato nell’articolo 11 della nostra Carta fondativa;
8. Considerato quanto detto sopra a proposito della NATO e visti l’art.11 della
Costituzione e le recenti esperienze belliche innescate dalla NATO in vari
contesti internazionali, riteniamo che sia giunto il momento per la NATO di
uscire dall’istruzione del nostro Paese, nonché dalla ricerca pubblica;
9. In linea con l’obiettivo BDS di promuovere il disinvestimento da Israele da
parte di istituzioni accademiche internazionali, il divieto di investimento
in Università di paesi genocidari, a cui l’università partecipa attivamente.
ATTUAZIONE
La campagna “la conoscenza non marcia” sostiene tali obiettivi attraverso la
proposta di una
legge nazionale che si basi su alcuni principi cardine:
Terza Missione, docenza e ricerca;
Iniziative di Terza Missione e Finanziamento della ricerca e della docenza non
possono avvenire in collaborazione e/o finanziamento con imprese o fondazioni
legate alla produzione e vendita di armi; alla distruzione dell’ambiente; a
condizioni di lavoro contrarie alla dignità umana o comunque a fini
incompatibili con i valori della Costituzione della Repubblica;
Relazioni esterne ed internazionali;
Fidando nella libertà accademica e nella forza del dissenso, per sua natura
inscindibile dall’attività di ricerca, l’Università intrattiene relazioni con
università, istituti culturali, enti di ricerca di paesi di tutto il mondo,
indipendentemente dal regime politico di quei Paesi. Ciononostante, nel caso che
un’istituzione in rapporto ufficiale con l’Università che implicitamente o
esplicitamente appoggino progetti sotto accusa per genocidio, pulizia etnica, e
progetti di colonizzazione, gli organi dell’Università individuano il modo di
manifestare il dissenso della comunità accademica, se necessario fino ad
interrompere i rapporti.
Si tratta di principi contenuti, in forma simile a quella qui citati, nel Codice
Etico dell’università per stranieri di Siena, assunto qui a precedente sul quale
basare la visione nazionale. A questi proponiamo di aggiungere il comma 8,
dell’articolo 4 del nuovo Statuto della Università di Pisa approvato (a febbraio
2025) nel pieno delle proteste studentesche per il genocidio in atto in
Palestina: [L’ateneo] non sostiene e non partecipa ad alcuna attività
finalizzata alla produzione, allo sviluppo e al perfezionamento di armi e
sistemi d’arma da guerra.
NATURA INTERNAZIONALE DEL PROBLEMA
Tale campagna vuole rinforzare questi principi che orientano la produzione di
sapere verso una demilitarizzazione della cultura. In questo senso si intende
segnalare la natura internazionale del problema. Oltre 70 istituzioni
accademiche in Germania hanno adottato politiche che regolano, in modi e forme
diverse, la partecipazione a progetti legati alla difesa. Inoltre, Technical
University of Denmark (DTU): Nel 2024, il DTU ha annunciato la cessazione delle
collaborazioni con università straniere coinvolte in progetti militari,
esprimendo preoccupazioni etiche riguardo alla militarizzazione della ricerca
accademica. Australian National University (ANU): Nel 2024, l’ANU ha deciso di
interrompere gli investimenti in aziende produttrici di armi, come Lockheed
Martin e BAE Systems, in risposta alle proteste
studentesche.
Negli Stati Uniti, nonostante l’appoggio governativo incondizionato ad Israele,
alcune università hanno prodotto una rottura: ilsole24ore nel maggio 2024
riporta che la Sonoma State University, parte della California University, sulla
base della pressione degli studenti e delle studentesse in protesta, ha
interrotto le collaborazioni con le università israeliane.
L’aprile precedente il Pitzer College aveva interrotto i rapporti con alcune
realtà accademiche in Israele, in particolare con la Haifa University, poiché la
collaborazione sarebbe stata in contrasto con i core values of “social
responsibility” and “intercultural understanding”.
ATTUAZIONE DELLA CAMPAGNA “LA CONOSCENZA NON MARCIA” NEI RAPPORTI CON LE
UNIVERSITÀ E GLI ENTI DI RICERCA ISRAELIANI
L’interruzione dei rapporti delle università italiane con le università
israeliane, e gli Enti di ricerca pubblici e privati israeliani nonché la
rescissione di ogni forma di attività istituzionale universitaria italiana con
lo Stato di Israele e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili, che non
siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare
iniziative per ripristinare l’autodeterminazione del popolo palestinese nella
sua totalità; a promuovere lo smantellamento delle strutture materiali,
ideologiche e legislative coloniali che sostengono il regime di apartheid e sarà
attuato il “diritto al ritorno”.
La Conoscenza non marcia!
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università