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Trump ritira nuovamente gli Stati Uniti dall’Unesco
Il governo di Donald Trump ha annunciato martedì scorso l’uscita degli Stati Uniti dall’UNESCO, lamentando che l’agenzia culturale ed educativa internazionale dell’ONU abbia un pregiudizio contro Israele e promuova cause «divisive», una decisione che l’organismo ha naturalmente smentito. > “Non è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti rimanere nell’Unesco”, ha > dichiarato la portavoce del Dipartimento di Stato Tammy Bruce, che ha > descritto l’organizzazione come un’entità che “promuove cause sociali e > culturali divisive” e che si concentra eccessivamente sugli obiettivi di > sostenibilità delle Nazioni Unite, che ha definito come “un’agenda ideologico > globalista”. Bruce ha anche messo in discussione l’ammissione della Palestina > come Stato da parte dell’Unesco. “La decisione dell’Unesco di ammettere lo > ‘Stato di Palestina’ come membro a pieno titolo è altamente problematica, > contraria alla politica degli Stati Uniti e ha contribuito alla proliferazione > della retorica anti-israeliana all’interno dell’organizzazione”, ha dichiarato > la portavoce. Ricordiamo che nel 2017, durante il suo primo mandato, Trump aveva già ordinato l’uscita dall’Unesco, che descrive la sua missione come la promozione dell’educazione, della cooperazione scientifica e della comprensione culturale. Il suo successore Joe Biden (2021-2025) ha poi ripristinato l’adesione degli Stati Uniti. Donald Trump non è stato il primo a ritirare gli Stati Uniti dall’Unesco. Negli anni ’80, il presidente Ronald Reagan pose fine all’adesione degli Stati Uniti, sostenendo che l’agenzia fosse corrotta e “filosovietica”. Gli Stati Uniti sono rientrati nell’agenzia durante la presidenza di George W. Bush (2001-2009). > «Deploro profondamente la decisione del presidente Donald Trump di ritirare > ancora una volta gli Stati Uniti d’America dall’UNESCO», ha dichiarato la sua > direttrice generale, Audrey Azoulay. «Benché sia da rimpiangere, tale annuncio > era atteso, e l’UNESCO si era già preparata a questa eventualità», ha > aggiunto. L’organizzazione inoltre supervisiona una lista di siti del patrimonio avendo come obiettivo quello di preservare gioielli ambientali e architettonici unici, che vanno dalla Grande Barriera Corallina in Australia e il Serengeti in Tanzania fino all’Acropoli di Atene e alle Piramidi d’Egitto, così come le città patrimonio dell’umanità dichiarate di interesse in tutto il mondo. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Pressenza IPA
La Columbia University accetta di pagare una multa di 221 milioni di dollari all’amministrazione Trump
La Columbia University ha accettato di pagare una multa di 200 milioni di dollari in tre anni all’amministrazione Trump, che aveva accusato l’università di non aver protetto gli studenti ebrei durante le proteste del campus contro l’aggressione di Israele a Gaza. La Columbia pagherà anche 21 milioni di dollari per risolvere le indagini della U.S. Equal Employment Opportunity Commission, accettando di porre fine alla considerazione della razza nelle ammissioni e nelle assunzioni. Gli accordi ripristineranno centinaia di milioni di dollari di sovvenzioni annullate o congelate dal National Institutes of Health e dal Department of Health and Human Services. Come parte dell’accordo, la Columbia si impegna a nominare un rettore senior per supervisionare il dipartimento di studi mediorientali, a reprimere ulteriormente le proteste nel campus e a nominare 36 nuovi agenti di sicurezza con poteri di arresto. L’accordo è stato annunciato un giorno dopo che la Columbia aveva annunciato che 80 studenti erano stati sospesi da uno a tre anni – o espulsi – per aver partecipato alle proteste contro la guerra nel campus. Martedì, uno degli studenti sospesi ha parlato con Democracy Now! Ha chiesto di rimanere anonimo per paura di subire la diffusione di informazioni personali e ulteriori ritorsioni. “Sebbene le sanzioni siano arrivate all’improvviso, i risultati non sono stati una sorpresa. Dopo quasi due anni sotto un’università fascista che sostiene e finanzia interamente il genocidio del popolo palestinese, non ci facciamo davvero illusioni sulle intenzioni della Columbia o sulla sua funzione di macchina da guerra ad Harlem e in Palestina. Non c’è alcun onore nel far parte della missione genocida della Columbia. Non mi vergogno e non mi vergognerò mai di essere stato sospeso per aver protestato per la liberazione della Palestina e per la liberazione di tutti noi” ha affermato.   Democracy Now!
Le conseguenze delle decisioni di Trump: + 14 milioni di morti
Quali saranno le conseguenze del taglio dei finanziamenti per la cooperazione imposti da Trump all’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID)? La risposta a questa domanda è arrivata dalla ricerca Evaluating the impact of two decades of USAID interventions and projecting the effects of defunding on mortality up to 2030: a retrospective impact evaluation and forecasting analysis. Uno studio condotto da Daniella Medeiros Cavalcanti e altri ricercatori, e pubblicata il 30 giugno sulla prestigiosa rivista inglese The Lancet. I ricercatori hanno analizzato i risultati ottenuti in due decenni dagli interventi di USAID, e hanno valutato quali potrebbero essere le conseguenze del disimpegno Usa sulla mortalità da qui al 2030. Cifre impressionanti: nei prossimi cinque anni si verificherebbero oltre 14 milioni di morti altrimenti evitabili. “Livelli più elevati di finanziamenti USAID, diretti principalmente verso i Paesi a basso reddito, in particolare quelli africani, sono stati associati – spiegano i ricercatori – a una riduzione del 15% della mortalità per tutte le cause standardizzata per età […] e a una riduzione del 32% della mortalità al di sotto dei cinque anni […]. Questo dato indica che 91.839.663 […] di decessi in tutte le età, tra cui 30.391.980 […] in bambini di età inferiore ai 5 anni, sono stati evitati grazie ai finanziamenti USAID nei 21 anni di studio. I finanziamenti USAID sono stati associati a una riduzione del 65% […] della mortalità da HIV/AIDS […], del 51% […] della mortalità per malaria […] e del 50% […] della mortalità per malattie tropicali trascurate […]. Sono state osservate diminuzioni significative anche nella mortalità per tubercolosi, carenze nutrizionali, malattie diarroiche, infezioni respiratorie inferiori e condizioni materne e perinatali. I modelli di previsione hanno stimato che gli attuali forti tagli ai finanziamenti potrebbero causare più di 14.051.750 […] di morti aggiuntive per tutte le età, tra cui 4.537.57 […] nei bambini di età inferiore ai 5 anni, entro il 2030” “I finanziamenti USAID – spiegano gli autori dello studio – hanno contribuito in modo significativo alla riduzione della mortalità adulta e infantile nei Paesi a basso e medio reddito negli ultimi due decenni. Le nostre stime mostrano che, a meno che i bruschi tagli ai finanziamenti annunciati e attuati nella prima metà del 2025 non vengano invertiti, entro il 2030 potrebbe verificarsi un numero impressionante di morti evitabili”.   Vittorio Agnoletto
I retroscena del tour di ‘Bibi’ a Washington
Lunedì 7 luglio i colloqui ‘a porte chiuse’ e la cena alla Casa Bianca con il presidente, il segretario di stato e l’inviato in Medio Oriente. Martedì 8 luglio gli incontri in Campidoglio con il vice-presidente, lo speaker della Camera dei deputati e il presidente e i capi-gruppo del Senato e un meeting fuori-programma con Trump. Intanto, nelle piazze di Washington centinaia di cittadini manifestavano sventolando striscioni con scritto “Stop alle armi di Israele” e “Dite no al genocidio” e chiedendo, in ottemperanza alla sentenza pronunciata dalla Corte Penale Internazionale, che si procedesse all’arresto di Benjamin Netanyahu. Infatti, il premier israeliano soggiornava nella capitale degli Stati Uniti, dove è arrivato a bordo di un aereo dell’aviazione nazionale israeliana atterrato alla base militare dove ‘parcheggia’ la flotta Air Force One e alloggiato nella Blair House, la residenza in cui vengono ospitate le delegazioni di altre nazioni in visita ufficiale in quella americana, sebbene il mandato emesso il 21 novembre 2024 dalla Corte Penale Internazionale (CPI) appurando le sue responsabilità per i crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi a Gaza tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024 ne ingiunga l’arresto precisando che > I mandati d’arresto sono classificati come “segreti” al fine di proteggere i > testimoni e salvaguardare lo svolgimento delle indagini. Tuttavia, poiché > condotte simili a quelle menzionate nel mandato d’arresto sembrano essere in > corso, la Camera ha deciso di divulgare le informazioni di seguito riportate. > Inoltre, la Camera ritiene che sia nell’interesse delle vittime e delle loro > famiglie essere informati dell’esistenza dei mandati [Situazione nello Stato > di Palestina: la Camera preliminare I della CPI respinge le contestazioni di > giurisdizione dello Stato di Israele ed emette mandati di arresto per Benjamin > Netanyahu e Yoav Gallant / CPI – 21/11/2024]. IL COLPO DI SCENA, COME A UNA “CENA CON DELITTO” Nella serata del 7 luglio alla Casa Bianca, Benjamin Netanyahu ha sorpreso i commensali annunciando di aver presentato la candidatura di Donald Trump all’assegnazione del Premio Nobel per la pace [Netanyahu a cena da Trump, ‘ho candidato il presidente Usa al Nobel per la pace’ / ANSA – 8/7/2025]. Con tale iniziativa, a cui non consegue automaticamente l’insignimento di Trump tra le figure meritevoli del prestigioso riconoscimento, probabilmente Netanyahu ha ricambiato Trump della stessa cortesia. Una decina di giorni fa infatti il leader americano si era rivolto ai giudici israeliani intercedendo per il loro premier che è accusato di 3 reati per corruzione al processo iniziato nel 2019 e di cui erano a calendario delle udienze negli stessi giorni in cui l’imputato si sarebbe dovuto recare negli Stati Uniti  [Il processo per corruzione di Benjamin Netanyahu è stato rinviato per motivi diplomatici e di sicurezza / THE GUARDIAN – 30/6/2025]. Pur riconoscendo le ragioni di stato che giustificano procrastinare il dibattimento, in merito alla richiesta di annullare il procedimento o concedere la grazia i magistrati israeliani hanno risposto negativamente, affermando che il presidente degli USA «non dovrebbe interferire nelle vicende giudiziarie di uno stato indipendente» [Israele, Trump chiede l’annullamento del processo contro il premier Netanyahu / INTERNAZIONALE – 26/6/2025]. E mentre su media e social-media ‘rimbalzavano’ la foto e i video che mostrano Netanyahu consegnare a Trump la copia della lettera inviata alla giuria che assegna il Premio Nobel per la pace, la CNN divulgava la registrazione di una riunione in cui ai finanziatori della sua corsa alla Casa Bianca il futuro presidente degli USA riferiva di aver avvisato il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping che alle loro azioni militari in Ucraina e Taiwan lui avrebbe risposto radendo al suolo Mosca e Pechino [Trump ha minacciato di bombardare Mosca se Putin avesse attaccato l’Ucraina, come mostrano i nastri della raccolta fondi del 2024 / CNN – 8/7/2025]. Comunque, le lettere di Trump ai giudici israeliani e di Netanyahu ai giurati del Premio Nobel non hanno distolto l’attenzione dei media dalle questioni importanti su cui vertevano gli incontri ‘a porte chiuse’ del 7 luglio tra il presidente USA e il premier israeliano e i rispettivi collaboratori. La conferenza stampa a cui sarebbero dovute essere date informazioni sulle loro conversazioni è stata disdetta all’ultimo momento. Molte fonti avevano reso noto che i colloqui ‘faccia a faccia’ tra i leader avevano lo scopo di coordinare le strategie israeliane e statunitensi in Medio Oriente alla luce dei recenti sviluppi, cioè a seguito della ‘guerra lampo’ contro l’Iran, i cui effetti nello scenario internazionale e anche nel panorama statunitense non sono ancora prevedibili, e nella prospettiva dell’imminente cessazione dell’assedio di Gaza, mentre le trattative per una tregua sono condotte a Doha dai mediatori qatarioti ed egiziani riuniti con le delegazioni palestinese e israeliana [Netanyahu incontra Trump alla Casa Bianca mentre Israele e Hamas discutono del cessate il fuoco/ REUTERS – 8/7/2025]. IRAN: IL COINVOLGIMENTO AMERICANO NELLA GUERRA ISRAELIANA Dopo l’incontro dell’8 luglio al Campidoglio con il presidente della camera Mike Johnson, che nel giugno scorso aveva rinviato un viaggio in Israele a causa dello scoppio della guerra con l’Iran, Netanyahu ha dichiarato: «La risoluta decisione del presidente Trump di agire al nostro fianco contro coloro che cercano di distruggere Israele e minacciano la pace nel mondo ha portato un cambiamento notevole in Medio Oriente» [Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontra i leader del Congresso / CBS NEWS – 8/7/2025]. Già nel 2020, durante il suo primo mandato alla Casa Bianca, Trump era stato criticato per aver coordinato l’operazione militare e dato il ‘via libera’ all’incursione in cui venne ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani senza consultarsi con i vertici del Congresso. Durante la guerra-lampo condotta da Israele contro l’Iran nel giugno scorso, la questione se l’intervento dell’esercito USA in Iran sia conforme alla Costituzione americana è stata sottoposta alla valutazione di una commissione composta dai rappresentanti di entrambi i principali partiti americani  [I legislatori si muovono per limitare i poteri di guerra di Trump mentre la guerra tra Israele e Iran si intensifica / CBS NEWS – 17/6/2025]. L’iniziativa è stata promossa dal repubblicano Thomas Massie e, sebbene una mozione presentata dal democratico Tim Kaine sia stata respinta, il Congresso sta ancora decidendo se intraprendere azioni con cui sanzionare l’intervento ‘guidato’ dall’amministrazione Trump nella guerra che nel giugno scorso Israele ha condotto contro l’Iran e agire per bloccare o impedire il coinvolgimento degli USA in altri conflitti militari a cui l’impegno e l’impiego delle forze armate non sia stato autorizzato con le corrette procedure. L’8ª sezione della Costituzione statunitense infatti sancisce che dichiarare guerra e condurre azioni belliche all’estero, inoltre imporre tasse ai cittadini americani e dazi alle altre nazioni e stabilire criteri e decretare leggi che regolano l’acquisisione della cittadinanza statunitese, sono facoltà esclusive del Congresso, ovvero del parlamento federale, e non del governo e del presidente della nazione. TREGUA A GAZA: IL PIANO ISRAELIANO MADE IN USA Secondo alcune fonti, con l’inviato USA in Medio Oriente, Steve Witkoff, e il segretario di stato, Marco Rubio, Benjamin Netanyahu ha parlato del piano per la ricostruzione della Striscia di Gaza, o progetto Riviera del Medio Oriente, di cui il giorno prima veniva rivelato che è condotto da una compagine di imprenditori israeliani in collaborazione con il Boston Consulting Group (BCG), una società statunitense coinvolta nella gestione della distribuzione di soccorsi alla popolazione di Gaza e nell’organizzazione dello sfollamento del territorio assediato [Inchiesta Financial Times svela piano di trasferimento di massa di gazawi con la scusa degli aiuti umanitari / PRESSENZA – 7/7/2025], e che alla sua realizzazione coopera anche il Tony Blair Institute for Global Change(TBI) [Il think tank di Tony Blair coinvolto nel progetto “Trump Riviera” per Gaza postbellica con resort / THE GLOBALIST – 7/7/2025]. Al termine della serata alla Casa Bianca, alcuni giornalisti sono riusciti a raccogliere delle dichiarazioni di Netanyahu e Trump. Asserendo che «Se le persone vogliono restare, possono restare, ma se vogliono andarsene, devono poterlo fare», il premier israeliano ha annunciato che Israele e gli Stati Uniti e Israele stanno cooperando tra loro e con altre nazioni disponibili a offrire ai palestinesi un “futuro migliore”. Affermando «C’è cooperazione dai paesi circostanti, un’ottima collaborazione da ognuno di loro. Quindi qualcosa di buono accadrà», il presidente USA ha parzialmente, non completamente confermato la versione dei fatti data Netanyahu [Il premier israeliano: con Washington cerchiamo paesi che accolgano i palestinesi sfollati/ ANSA – 8/7/2025]. E, commentando le notizie trapelate sugli incontri tra Netanyahu e Trump e i rispettivi entourage alla Casa Bianca un ex diplomatico israeliano, Alon Pinkas, ha osservato che lo sfollamento dei palestinesi da Gaza è una “ricetta per la catastrofe”, tanto palesemente pernicioso da non poter venir preso seriamente in considerazione che “il ministro della difesa israeliano, o persino il primo ministro di Isreale, o addirittura il presidente degli Stati Uniti” ne parlino come se sia stato già pianificato [Netanyahu e Trump discutono del trasferimento forzato dei palestinesi da Gaza / AL JAZEERA – 8/7/2025]. Infatti il giorno prima dell’incontro di Netanyahu con Trump l’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Damon, aveva dichiarato: «Non abbiamo alcun interesse a rimanere a Gaza» [Netanyahu atterra a Washington e avverte: “L’accordo su Gaza sarà alle nostre condizioni” / TODAY – 7/7/2025]. Inoltre, che lo ‘sgombero’ di Gaza non sia contemplato tra le questioni in discussione alle trattative per la tregua emerge dalle informazioni divulgate il 3 luglio scorso dall’agenzia REUTERS anticipando quelle fornite da un funzionario americano sulle proposte presentate ad Hamas dai mediatori, i diplomatici di Qatar ed Egitto, per stabilire e convalidare accordi finalizzati all’interruzione e, in prospettiva, alla cessazione degli attacchi delle IDF / Israel Defense Forces agli ‘obiettivi’ nella Striscia di Gaza [Il cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza, sostenuto dagli Stati Uniti, prevede il ritorno graduale degli ostaggi, afferma un funzionario / REUTERS –  3/7/2025]. La fonte di REUTERS spiegava che le proposte erano state formulate elaborando il ‘piano’ concepito nel marzo scorso dall’inviato speciale degli USA in Medio Oriente, Steven Witkoff – newyorkese, ebreo di origini russe e bielorusse, un avvocato che ha fatto fortuna nel settore immobiliare e collaboratore della presidenza USA già nel 2020, durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca. Inoltre, precisava che un loro presupposto fondamentale è che del loro rispetto da ambo le parti è garante, ovvero supervisore e arbitro, il presidente degli USA, Donald Trump, e riferiva che, prima di venir presentate ad Hamas, erano state approvate dal ministroper gli affari strategici israeliani, Ron Dermer – nato negli USA e cittadino americano fino al 2005, poi un israeliano residente negli USA, prima attaché dell’Ambasciata Israeliana a Washington e poi Ambasciatore israeliano negli USA, e dal 2008 uno stretto collaboratore di Benjamin Netanyahu. In specifico, come poi riportato da molte notizie, il ‘piano’ proposto ad Hamas prevede che durante la tregua di 60 giorni vengano rilasciati 10 dei 20 ostaggi israeliani e che siano consegnate 18 salme di israeliani deceduti nell’assedio di Gaza e che ad Hamas siano date informazioni sulle condizioni di oltre 10 MILA palestinesi detenuti nelle carceri israeliane [Commissione per gli affari dei detenuti e Società dei prigionieri palestinesi – 30/6/2025]. E, oltre a ‘regolare’ modalità e tempistiche di questo scambio, gli accordi tra le parti stabiliscono le procedure della fornitura di soccorsi alla popolazione nella Striscia di Gaza e del ritiro delle truppe israeliane dall’area, prima dalle zone settentrionali e poi dalla sua parte meridionale e confinante con l’Egitto. Hamas aveva risposto ai mediatori subito, il 4 luglio, comunicando di accettare le proposte, ovvero i termini sostanziali dell’accordo per la tregua, di alcuni dettagli attuativi e operativi chiedendo alcune modifiche e integrazioni, tra cui l’assicurazione che la consegna dei soccorsi alla popolazione di Gaza sia coordinata e svolta dall’ONU in collaborazione con il Comitato Internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, ovvero escludendo il coinvolgimento dalla famigerata associazione israelo-statunitense Gaza Humanitarian Foundation [Hamas risponde con “spirito positivo” alla proposta di cessate il fuoco di Gaza sostenuta dagli Stati Uniti / AL JAZEERA – 4/7/2025]. Focalizzando l’attenzione sul dramma della scelta, cioè per quali ostaggi isrealiani chiedere la liberazione subito e quali invece successivamente, sabato 5 luglio la stampa israeliana aveva riferito le reazioni dei loro familiari, che insieme ai connazionali hanno manifestato in due opposte fazioni: una favorevole alla tregua, l’altra invece propensa a “finire il lavoro” fino alla “piena vittoria israeliana” [Migliaia di persone manifestano per liberare gli ostaggi mentre il governo discuterà la tregua che si profila a Gaza / THE TIMES OF ISRAEL – 5/7/2025]. Contemporaneamente si diffondeva la notizia di un diverbio tra Benjamin Netanyahu e il capo di stato maggiore delle IDF, Eyal Zamir [Gaza, Hamas: “Sì a negoziati immediati per tregua” – Tensioni in Israele / ADN KRONOS – 4/7/2025]: > Netanyahu avrebbe ordinato a Zamir di preparare un piano per trasferire la > stragrande maggioranza della popolazione palestinese nella parte meridionale > di Gaza. > > “Volete un governo militare? Chi governerà due milioni di persone?”, gli ha > risposto Zamir. “L’IDF e lo stato di Israele”, ha replicato Netanyahu alzando > la voce contro Zamir. > > Secondo Netanyahu l’alternativa al piano di evacuazione è quella di prendere > il controllo dell’intera Striscia di Gaza, comprese le aree in cui le IDF non > hanno operato fino ad ora per paura di mettere a rischio gli ostaggi. > > Zamir ha avvertito Netanyahu: “Gestire tante persone affamate e arrabbiate > potrebbe portare a una perdita di controllo e, di conseguenza, molti > potrebbero rivoltarsi contro le IDF”. > > Netanyahu ha respinto le sue preoccupazioni e tagliato corto: “Preparate un > piano di evacuazione: voglio trovarlo pronto al ritorno da Washington”. Nei giorni seguenti, in un’intervista alla BBC un ufficiale di Hamas ha confermato le analisi, e i timori, di Zamir: nella Striscia di Gaza le milizie palestinesi non hanno più il controllo dell’80% del territorio e si stanno imponendo dei clan armati. E sulle possibilità concrete che si giunga alla tregua e alla cessazione dell’assedio osservato “cosa impedisce a Israele di continuare questa guerra?” [Netanyahu a Washington, vedrà Trump. Wafa, 14 morti per i raid israeliani a Gaza all’alba. Fonte palestinese, nessuna svolta nei negoziati a Doha / ANSA – 7/7/2025]. Le notizie sulla riunione svolta a Doha il 6 luglio, la prima della serie per le trattative condotte dai mediatori qatarioti ed egiziani con le delegazioni israeliana e palestinese, riferivano che non era stato fatto nessun progresso perché la rappresentanza israeliana non era autorizzata a prendere decisioni e a formalizzare accordi. Infatti, oltre ad affermare di ritenere “inaccettabili” le richieste di Hamas, alla partenza per Washington il premier israeliano aveva dichiarato di aver dato ai delegati israeliani precise istruzioni: ottenere l’annientamento dell’organizzazione politica e militare palestinese. Mentre lui partiva per Washington il capo di stato di Israele, Yitzhak Herzog, si era rivolto pubblicamente a Netanyahu per esortarlo ad essere cauto, e conciliante, e persino ‘tra le righe’ del resoconto sugli incontri svolti in questi giorni a Washington e a Doha pubblicato da THE TIMES OF ISRAEL si legge che il principale ostacolo alla tregua è l’ostinazione del premier israeliano a rifiutare qualsiasi compromesso: > Sebbene si prevedesse che durante la sua visita a Washington  Netanyahu > avrebbe dovuto affrontare forti pressioni da parte di Trump e del suo inviato > in Medio Oriente Steve Witkoff per far avanzare i colloqui di Gaza, Israele ha > descritto il rapporto tra le due parti perfettamente coordinato. > > I mediatori impegnati nelle negoziazioni per un accordo sono stati informati > che Trump si aspetta che raggiungano un accordo questa settimana. > > “Potrebbe volerci più tempo, ma ci stiamo lavorando”, ha detto ai giornalisti > dopo la cena il ministro per gli affari strategici israeliani, Ron Dermer. Dopo i colloqui e la cena di lunedì 7 luglio Trump aveva detto, così ammesso, che la tregua a Gaza è possibile perché Hamas vuole raggiungere un’intesa e martedì sera Netanyahu veniva convocato alla Casa Bianca per un incontro fuori-programma, durante il cui svolgimento l’inviato speciale degli USA in Medio Oriente, Steven Witkoff, dichiarava che a Doha si stavano risolvendo le divergenze [Trump e Netanyahu si incontrano per la seconda volta per discutere di un cessate il fuoco a Gaza / AL JAZEERA – 9/7/2025] e il ministro degli esteri israeliano, Gideon Sa’ar, annunciava che “il cessate il fuoco a Gaza è realizzabile” [Sa’ar, il cessate il fuoco a Gaza è realizzabile. Lo riferiscono media israeliani citando Reuters / ANSA – 9/7/2025]. Mercoledì 9 luglio veniva reso noto che un funzionario palestinese aveva osservato che le trattative a Doha erano in stallo perché la delegazione israeliana continuava a procrastinare le decisioni sul ritiro delle proprie truppe dalla Striscia di Gaza e, insistendo a pretendere che se ne occupi la Gaza Humanitarian Foundation, non acconsentiva che la distribuzione di aiuti umanitari a Gaza sia affidata alle agenzie ONU e alla Croce / Mezzaluna Rossa [I colloqui sulla tregua a Gaza sarebbero in stallo nonostante il secondo incontro Netanyahu-Trump / BBC – 9/9/2025]. Rilevando che in questi giorni gli attacchi israeliani a Gaza si sono intensificati, molti osservatori hanno notato tante discrepanze tra i proclami di Netanyahu e Trump. Ma la ‘sintonia’ di intenti che il premier israeliano enfaticamente afferma essere alla base di una solida collaborazione perfettamente coordinata non è mai stata ufficialmente smentita dal leader americano… > Lungi dal fermare il flusso di armi verso Israele, l’amministrazione Trump si > è vantata di aver ripreso il trasferimento di bombe pesanti, le uniche armi > che Biden aveva temporaneamente sospeso di inviare durante la guerra a Gaza > [Se Trump vuole il cessate il fuoco a Gaza, deve fare pressione su Netanyahu, > affermano gli esperti/ AL JAZEERA – 10/7/2025]. … e sulle trattative a Doha incombono molte incognite e, soprattutto, tanti angoscianti timori. Maddalena Brunasti
“Non accetteremo intimidazioni.”Il candidato sindaco di New York Zohran Mamdani respinge le minacce di Trump
A New York, i funzionari elettorali hanno dichiarato Zohran Mamdani vincitore delle primarie democratiche del mese scorso per la carica di sindaco di New York. La pubblicazione dei risultati delle votazioni a scelta differenziata mostra che Mamdani, membro dell’Assemblea dello Stato di New York e socialista democratico, ha sconfitto facilmente il secondo classificato ed ex governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, con il 56% dei voti rispetto al 44% di Cuomo. Mamdani ha vinto con oltre 545.000 voti, più di quanto abbiano ottenuto 27 senatori degli Stati Uniti nelle loro ultime elezioni. Martedì scorso, Donald Trump ha minacciato di arrestare Mamdani per l’impegno preso in campagna elettorale a non collaborare con gli agenti federali dell’immigrazione che eseguono gli ordini di deportazione di massa del Presidente. “Beh, allora dovremo arrestarlo. Sentite, non abbiamo bisogno di un comunista in questo Paese, ma se ne abbiamo uno, lo sorveglierò molto attentamente a nome della nazione. … Molti dicono che è qui illegalmente. Controlleremo tutto” ha dichiarato Trump. Zohran Mamdani ha condannato la provocazione di Trump come un attacco alla democrazia affermando: “Non accetteremo questa intimidazione”. “Quello che stiamo vedendo nella retorica del Presidente Trump è un tentativo di concentrarsi su chi sono, da dove vengo, come appaio, come parlo, in contrapposizione a ciò per cui sto effettivamente combattendo, perché farlo significherebbe mostrare lo stridente contrasto con la nostra sincerità e il nostro impegno per i lavoratori che sono stati abbandonati dalla sua politica” ha replicato Zohran Mamdani in un’intervista con il canale televisivo NY1. Traduzione dall’inglese di Anna Polo     Democracy Now!
Para bellum atlantico: «Io la penso come i romani»
Meloni in Parlamento. La preparazione e l’allestimento della guerra, ora con armi sempre più costose e sofisticate, pare che non stia alla fine realizzando nessuna vera pace. «Io la penso come i romani: si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra», così Giorgia Meloni in Parlamento in risposta a chi chiedeva chiarezza sulla disponibilità dell’Italia con basi e servitù militari verso le guerre dell’imperatore Trump. Prima di andare al Consiglio Europeo e al vertice atlantico dell’Aja che impone un devastante riarmo, il 5% per le spese della difesa UE che va correttamente intesa, dicono Rutte e Meloni all’unisono, come «colonna europea» della Nato. Siamo all’Unione Atlantica. Si è sfilata solo la Spagna, minacciata dal bullo americano. Ma, signora presidente del Consiglio, la sua citazione riguardava l’impero romano… Come è finito? Guerre di conquista, guerre civili e i barbari alla fine sono arrivati. Meno male che c’è stata la guerra sociale, la rivolta degli schiavi, che testimoniavano come la grandezza e la civiltà di Roma derivavano dalla violenza contro di loro necessaria a costruirle. E come è finito il più recente impero italiano-mussoliniano che aveva la forza militare come asse di riferimento per la sua credibilità, interna ed internazionale? La filologia in campo ricorda Vegezio, Cornelio Nepote, Cicerone all’origine del detto. C’è però da ricordare un’altra piccola citazione. Il grande storico Tacito raccontando la vita e le imprese del generale romano Agricola conquistatore delle Britannie, cita le parole di Calgaco, il capo sconfitto dei calédoni, sulla vera natura imperiale di Roma: «Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero», e soprattutto dichiara: «Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant », «Dove hanno fatto un deserto l’hanno chiamato pace». Questa è la pace delle armi “preparate”, allora come adesso. La cui incertezza sui risultati reali di pace raggiunti è sotto i nostri occhi, quella di una tregua di 12 ore voluta dall’Augusto Trump che è stato tirato per il bavero dal satrapo Netanyahu nell’attacco ai “persiani” e ora è preoccupato del disastro e soprattutto dei risultati concreti dell’attacco armato che ha ordinato e per ora zittisce – giustificando il bombardamento all’Iran “risolutivo” come per Hiroshima e Nagasaki – ogni critica, non proprio pacifista, che lo invita a finire il lavoro sporco. In buona sostanza contraddicendo il “si vis pacem para bellum”. Perché la preparazione e l’allestimento della guerra, ora con armi sempre più costose e sofisticate, pare che non stia alla fine realizzando nessuna vera pace, se non la situazione quo ante, se non quello che è sotto i nostri occhi: un clima di attesa armata in preparazione di un disastro peggiore, che a Gaza e in Cisgiordania è già apertamente criminale, per un Medio Oriente che appare proprio come un deserto che assomiglia sempre più al caos. Ma se «per la pace» è giusto prepararsi alla guerra, come dimenticare che la cosiddetta pace in Europa è stata garantita per decenni dalla deterrenza nucleare- che definivamo “del terrore” – ma che, anche se non ha fermato la corsa al riarmo nucleare oltre i Paesi potenti che la possedevano, almeno è stata acquisita con un Trattato di Non proliferazione che sembra avere però ora un destino incerto. Naturalmente le parole «se vuoi la pace, prepara la guerra», di Giorgia Meloni che vanta un gonfiato credito internazionale, suonano anche come collocazione internazionale dell’Italia e messaggio al mondo. Che se lo assume specularmente che succede? Non le viene il dubbio che il Cesare russo, Putin, il “nemico”, la pensi e faccia proprio come lei? E, in tal senso, ci si chiede: per quale motivo l’Iran, che finora si è battuto per il “solo” nucleare civile, non dovrebbe dotarsi di un’arma nucleare, visto che in Medio Oriente Israele è l’unico Paese ad averne di atomiche a centinaia, e senza mai essere sottoposto ad una verifica internazionale perché sono un “non detto”? Tanto più che avere la Bomba sarebbe per Teheran la garanzia di non essere attaccato e dunque, secondo la strategia meloniana, sarebbe «per la pace». Oppure il «Si vis pacem para bellum» appartiene solo all’Occidente, per scaricare minacce e guerre sanguinose oltre i suoi confini? La verità, che non viene più raccontata né preparata, è che l’unica vera garanzia di pace è solo il disarmo nucleare del Medio Oriente – e del mondo. A proposito dell’incertezza di morte che produce la guerra, ci piace ricordare l’ambigua risposta della Sibilla cumana: «Ibis, redibis, non morieris in bello», «Andrai, ritornerai e non morirai in guerra», data a un soldato che la consultava sull’esito della sua missione. Dov’è l’ambiguità? Basta spostare la seconda virgola per avere «Ibis, redibis non, morieris in bello», «Andrai, non ritornerai e morirai in guerra». Un’ultima citazione e un invito a Giorgia Meloni, nata come militante fascista nel bunker di Colle Oppio tra rovine romane con vista – distorta – su Colosseo e Fori: «I Meloni dei romani sono belli», «Va’…o Meloni, al suono di guerra del dio romano». Ripubblicazione autorizzata dall’autore. Link all’articolo originale: https://ilmanifesto.it/para-bellum-atlantico-io-la-penso-come-i-romani   Redazione Italia
Appello dell’ANPI al governo: no all’uso delle basi USA e Nato in Italia per la guerra di Trump
“L’attacco ai siti nucleari segna in modo indelebile l’avventurismo e l’irresponsabilità di Trump al servizio della politica bellicista e criminale di Netanyahu; è una catastrofica violazione del diritto internazionale e sancisce che l’Iran è il Paese aggredito. È possibile ora un’espansione del conflitto che coinvolga il Pakistan, potenza atomica. L’eventuale ritorsione iraniana col blocco dello stretto di Hormuz darebbe un colpo pesantissimo all’economia globale. Nel momento più grave per la pace mondiale dalla fine del secondo conflitto, faccio appello al governo italiano affinché in nessun caso dia disponibilità per l’uso delle basi NATO e americane che ospitiamo sul nostro territorio. Facciamo nostre le parole di pace e disarmo del Cardinale Parolin. È il momento di un ritorno alla ragione, affinché cessi una follia che può portare alla terza guerra mondiale” Gianfranco Pagliarulo Presidente nazionale ANPI ANPI Nazionale
Primavera americana? Seconda parte
Link alla prima parte dell’articolo. Le pagine che seguono riportano in traduzione italiana la seconda parte di uno studio dei ricercatori del CCC – Erica Chenoweth, Jeremy Pressman, Soha Hammam e Christopher Wiley Shay – sulle proteste svoltesi da marzo a maggio 2025 e pubblicato il 12 giugno 2025 con il titolo: American Spring? How Nonviolent Protest in the US is Accelerating nel sito Waging Nonviolence. Sullo stesso sito a marzo era apparsa anche la prima parte dello studio, Resistance is Alive and Well in the United States (19 marzo 2025) e un lungo articolo di Rivera Sun, Resistance to Trump is Everywhere. Inside the First 50 Days of Mass Protest (13 marzo 2025). Voci di pace continuerà a seguire, attraverso resoconti delle elaborazioni del CCC, le proteste negli Stati Uniti. Contrariamente a quanto comunemente si crede, le dimensioni e la portata delle proteste anti-Trump di quest’anno hanno superato quelle del 2017 e sono state straordinariamente pacifiche. Per le strade, agli ingressi autostradali, agli incroci e nei parchi, milioni di statunitensi continuano a manifestare contro l’amministrazione Trump e le sue politiche. I riflettori dei media sono attualmente puntati sulle proteste in corso contro le incursioni dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) a Los Angeles e sulla risposta militarizzata dell’amministrazione Trump. Nella nostra ricerca presso il Crowd Counting Consortium non abbiamo ancora un quadro completo del numero e della gamma delle proteste che si sono verificate a giugno. Tuttavia, sappiamo che le proteste contro le incursioni dell’ICE si sono andate intensificando in tutto il Paese da mesi, insieme alle proteste contro quelle che sono state intese come abusi di potere da parte dell’amministrazione Trump. E sappiamo che le tattiche del movimento sono state straordinariamente pacifiche. Infatti, come abbiamo analizzato a marzo, le proteste negli Stati Uniti sono state molto intense da quando Trump è entrato in carica per la seconda volta. La nostra ricerca, tuttora in corso, rivela che nelle prime due settimane della seconda amministrazione Trump le azioni di protesta hanno superato quelle del 2017. Alla fine di marzo 2025 il numero di proteste era tre volte superiore a quello del 2017. Da allora esse sono aumentate con un forte incremento delle azioni su vasta scala e in numerosi centri nei mesi di aprile e maggio. Due picchi notevoli si sono verificati in occasione delle proteste nazionali Hands Offs del 5 aprile e No Kings del 19 aprile. Ad oggi, abbiamo contato 1.145 proteste svoltesi il 5 aprile in tutti i 50 Stati e nel Distretto di Columbia. È significativo che queste azioni si siano verificate in tutto il Paese, anche nelle zone rurali e in quelle che fanno capo al Partito Repubblicano. Per quanto riguarda il 19 aprile abbiamo contato 928 proteste in tutti i 50 Stati e a Washington e per il 1° e il 3 maggio abbiamo registrato oltre 1.000 proteste. Si tratta di risultati significativi. Se guardiamo alla prima amministrazione Trump, nell’aprile 2017 la protesta più importante in più luoghi è stata la Marcia per la scienza del 22 aprile che si è svolta in 390 località comprese le principali città. Nel 2017 abbiamo contato 80 proteste del Primo Maggio a livello nazionale, rispetto alle oltre 1.000 di quest’anno. Nel complesso, i dati del 2017 impallidiscono rispetto alle dimensioni e alla portata della mobilitazione del 2025 – un fatto che spesso passa inosservato nel discorso pubblico sulla risposta alle azioni di Trump. In maggioranza questi dati si riferiscono ai due giorni di proteste organizzate a livello nazionale. Nell’86% degli eventi anti-Trump svoltisi il 5 aprile per i quali sono disponibili le informazioni, abbiamo calcolato che vi abbiano partecipato da 919.000 a 1,5 milioni di persone. Sebbene la nostra stima sia inferiore alla cifra di 5 milioni offerta da alcune fonti, il 5 aprile ha chiaramente coinvolto il maggior numero di partecipanti a livello nazionale a cui abbiamo assistito durante la seconda amministrazione Trump; si tratta del numero più elevato in un singolo giorno dalla rivolta nazionale seguita all’uccisione di Ahmaud Arbery, George Floyd e Breonna Taylor nel 2020. Sulla base delle informazioni relative al 64% degli eventi anti-Trump del 19 aprile abbiamo valutato i partecipanti in un numero compreso tra 277.324 e 322.384. Questi due eventi da soli hanno coinvolto da 1,2 a 1,8 milioni di persone. E questo numero sarebbe più elevato se si tenesse conto delle centinaia di altre proteste che si sono svolte durante il mese di aprile. Le proteste si diffondono Oltre alle dimensioni e alla portata delle azioni di protesta, il mese di aprile ha visto un notevole livello di diffusione a livello geografico. Tutti i 50 Stati e D.C. hanno visto proteste in questo mese. Ciò suggerisce che la mobilitazione anti-Trump è davvero di portata nazionale. Spesso ci viene chiesto quante persone abbiano partecipato alle proteste. A causa delle dimensioni e della portata delle azioni di protesta, non siamo stati in grado di calcolare con esattezza il numero complessivo dei partecipanti a tutti gli eventi. Tuttavia, anche se i dati su molti eventi sono incompleti e i numeri di partecipanti disponibili per il mese di maggio sono meno affidabili, stimiamo che milioni di persone abbiano partecipato alle proteste di aprile. L’indagine di Dana Fisher sulle proteste del 5 aprile nell’area di Washington suggerisce che Resistance 2.0 coinvolga persone di età più elevata rispetto al movimento del 2017; tuttavia, non sappiamo quanto questo risultato sia rappresentativo a livello nazionale, nei diversi giorni o nelle diverse azioni. Testimonianze di carattere aneddotico suggeriscono che alcuni attivisti abbiano scelto di manifestare nei loro luoghi di residenza invece di recarsi in una grande città vicina per gli eventi. Un partecipante ha ipotizzato che ciò avvenga per attrarre coloro che vivono nelle vicinanze e sono nuovi-e alla protesta: “Ci sono persone che non vanno in città per eventi come questo. Si stanno impegnando nell’attivismo e nelle proteste locali. Dobbiamo incontrarli dove si trovano”. Un altro ha sottolineato che potrebbe anche fare un’impressione diversa sui passanti rispetto a una protesta in altri luoghi: “Questo è il motivo per cui le proteste non dovrebbero essere incentrate su D.C. o NY. Quando ci sono 300 persone davanti al liceo locale, e ci passi sabato per andare da Walmart, è più difficile sostenere che non sia mai successo. O che non l’hai visto”. Temi chiave Nei primi mesi del 2025, Elon Musk e Tesla sono stati tra i principali bersagli dei-delle manifestanti. Oltre 1.500 proteste in aprile e maggio li hanno presi di mira. Queste proteste anti-Tesla potrebbero essere collegate al calo significativo del prezzo delle azioni dell’azienda e al ritiro di Musk da DOGE (Department of Government Efficiency). Nel CCC continuiamo a registrare un numero considerevole di proteste motivate da questioni di carattere internazionale, tra cui non solo Israele-Palestina, ma anche Russia-Ucraina, dato che l’amministrazione Trump ha espresso un minore sostegno alla posizione ucraina sulla guerra. Approssimativamente una protesta su cinque ad aprile è stata legata a questioni di carattere internazionale, se si escludono quelle motivate dall’immigrazione e dal cambiamento climatico (un piccolo numero di contro-protestanti ha anche manifestato per difendere il presidente). Ma l’immigrazione – e le risposte aggressive delle forze dell’ordine alle proteste legate all’immigrazione – sono stati i temi chiave della mobilitazione nei mesi di aprile e maggio. Un episodio degno di nota a maggio è stato l’arresto di Ras Baraka, sindaco di Newark, New Jersey, alla Delaney Hall, una struttura di detenzione dell’ICE. Il video dell’arresto del 9 maggio è stato ampiamente condiviso e ha mostrato l’ICE e altri agenti delle forze dell’ordine mentre si facevano largo tra la folla di manifestanti pacifici per arrestare Baraka al di fuori dalla struttura. Sembra che Baraka sia stato autorizzato a entrare nella Delaney Hall insieme a una delegazione di legislatori federali (del New Jersey) e poi gli sia stato chiesto di uscire perché non era un membro del Congresso. Aveva già lasciato la struttura quando le forze dell’ordine si sono mosse per trattenerlo. Oltre all’arresto del sindaco Baraka, un membro della delegazione del Congresso, la rappresentante LaMonica McIver, è stata successivamente accusata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di aver aggredito due degli agenti federali che avevano trattenuto Baraka. Questo ha scatenato ulteriori proteste fuori dalla Delaney Hall, compreso il ricorso alla disobbedienza civile da parte di uomini e donne appartenenti a un gruppo interreligioso che ha portato a due arresti. I-le manifestanti hanno anche sfogato la loro frustrazione direttamente su Alina Habba, procuratrice ad interim del New Jersey, che ha mosso le accuse contro la deputata McIver. Il 20 maggio decine di persone hanno manifestato davanti al suo ufficio di Newark. Un movimento nonviolento In generale, nei mesi di aprile e maggio il movimento di protesta anti-Trump si è basato su proteste e dimostrazioni piuttosto che sulla non cooperazione di massa, sull’occupazione di spazi o su scioperi generali, anche se ci sono state eccezioni e alcuni appelli pubblici per dare vita a tali azioni. Su 4.770 proteste anti-Trump in aprile e maggio solo in tre casi gli agenti di polizia hanno riportato ferite e solo in due sono stati feriti i partecipanti o si sono verificati danni alle proprietà. Abbiamo registrato arresti di manifestanti in 20 manifestazioni, pari allo 0,42% del totale. La stessa distribuzione si è verificata nelle proteste legate alle politiche sull’immigrazione che hanno costituito una parte consistente degli eventi. Complessivamente, in oltre il 99,5% delle proteste di aprile e maggio, non abbiamo registrato feriti, arresti o danni alla proprietà – un dato senza precedenti per un movimento di queste dimensioni e di una tale diffusione geografica. Contrariamente alle affermazioni iperboliche delle autorità che parlano di un movimento disordinato che cerca di seminare il caos, almeno fino ad aprile e maggio, i manifestanti associati al movimento anti-Trump sono stati straordinariamente nonviolenti nelle loro tattiche. Erica Chenoweth è una politologa della Harvard Kennedy School e co-direttrice del Crowd Counting Consortium. Chenoweth è autrice di Civil Resistance: What Everyone Needs to Know e co-autrice di Why Civil Resistance Works: The Strategic Logic of Nonviolent Conflict. Soha Hammam è responsabile del progetto di ricerca presso il Crowd Counting Consortium del Nonviolent Action Lab, dove svolge ricerche sulla mobilitazione politica e sulle risposte delle forze dell’ordine negli Stati Uniti. Jeremy Pressman è professore di scienze politiche all’Università del Connecticut e co-direttore del Crowd Counting Consortium. Il suo libro più recente è La spada non basta: Arabi, israeliani e i limiti della forza militare. Christopher Wiley Shay, PhD, è ricercatore associato presso l’Ash Center for Democratic Governance and Innovation della Harvard Kennedy School. La sua ricerca si concentra sulle insurrezioni, sulle campagne di resistenza non violenta e sul loro impatto a lungo termine sulla democratizzazione e sullo Stato di diritto. iDi Erica Chenoweth si veda: Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile, Sonda, Milano 2023.   Comune-info
Primavera americana? Prima parte
L’arresto di Brad Lander, candidato democratico a sindaco di New York, dopo quello di Ras Baraka, sindaco di Newark, non sono la punta dell’iceberg delle violente proteste in corso negli Stati Uniti: mostrano invece la svolta autoritaria e la militarizzazione di ciò che resta della democrazia negli Usa. Scrivono i ricercatori del Crowd Counting Consortium, un progetto della Harvard Kennedy School e dell’Università del Connecticut, dedicato all’analisi delle azioni dei movimenti: “In oltre il 99,5% delle proteste di aprile e maggio, non abbiamo registrato feriti, arresti o danni alla proprietà, un dato senza precedenti per un movimento di queste dimensioni e di una tale diffusione geografica. Contrariamente alle affermazioni iperboliche delle autorità che parlano di un movimento disordinato che cerca di seminare il caos, i manifestanti associati al movimento anti-Trump sono stati straordinariamente non violenti nelle loro tattiche…”. Le attuali proteste contro Trump, precedute dall’ottobre del 2023 alla primavera del 2024 dalle manifestazioni pro-Palestina, hanno superato quelle del 2017, e hanno interessato tutti gli Stati tanto nelle grandi città che nei piccoli centri. Mentre a Los Angeles e in altri 2.000 centri in 50 stati le proteste No Kings coinvolgono milioni di cittadini e cittadine statunitensi e la repressione si abbatte con inaudita violenza su di loro, fino al punto di considerare legale l’atto di travolgerli-le con la propria auto nel caso di tentativi di accerchiamento, vale la pena soffermarsi sui caratteri delle dimostrazioni che da mesi attraversano gli Stati Uniti per coglierne continuità e mutamenti. Le proteste sono state monitorate con precisione dal Crowd Counting Consortium (CCC), un progetto congiunto della Harvard Kennedy School e dell’Università del Connecticut che raccoglie i dati tratti dai media tradizionali e dai social media relativi alle azioni di protesta collettive negli Stati Uniti: marce, scioperi, manifestazioni, rivolte. Nato nel 2017 per iniziativa di Jeremy Pressman e di Erica Chenoweth – esperta dei movimenti di resistenza civile nonviolentai – con lo scopo di registrare il numero delle partecipanti alla Women’s March di Washington (e alle Sister Marches di tutto il mondo) nel gennaio di quell’anno, il progetto si è esteso a tutte le forme di protesta. I dati raccolti – disponibili online e liberamente scaricabili – registrano il numero e la composizione dei-delle partecipanti, le motivazioni, la durata, le modalità delle proteste, la presenza e il comportamento della polizia. Essi rivelano che le proteste hanno avuto un carattere nonviolento e diffuso, hanno interessato tutti gli stati e si sono svolte tanto nelle grandi città che nei piccoli centri, inclusi quelli rurali. Esse sono state precedute dall’ottobre del 2023 alla primavera del 2024 dalle manifestazioni pro-Palestina. Secondo le rilevazioni del CCC, tra il 7 ottobre 2023 e il 7 giugno 2024 si sono svolte 12.400 azioni in sostegno alla Palestina che hanno coinvolto un milione e mezzo di persone; si è trattato della più vasta ondata di protesta negli Stati Uniti su un tema di carattere internazionale. Dalle richieste presentate da studenti e studentesse in aprile e maggio, quando furono circa 138 i campi istituiti negli spazi delle Università, è emerso che in alcuni casi la questione Israele-Palestina era intesa nel quadro più ampio del ruolo degli Stati Uniti nel militarismo globale. Alcuni caratteri di quelle azioni di protesta, la nonviolenza e la diffusione, si possono riconoscere anche nelle proteste anti-Trump in atto negli ultimi mesi contro la “militarizzazione della democrazia”. Comune-info
[Da Roma a Bangkok] Il Complesso Disinformativo Industriale Statunitense in Asia
Dalla guerra fredda a oggi, quello che possiamo chiamare il complesso disinformativo statunitense, ossia l'operato di agenzie che lavorano per il governo Usa, quali Usaid, cioè l'agenzia responsabile dell’amministrazione degli aiuti allo sviluppo, Ned, National Endowment for Democracy, e media quali Radio Free Asia, Radio Free, Voice of America... ha lavorato per influenzare i addirittura determinare la politica di molti Stati nel mondo. Qui vi proponiamo una carrallata di quello che è successo in alcuni Stati dell'Asia fino a quando, nel gennaio scorso, il neopresidente Donald Trump e il suo tagliagole Musk hanno deciso di togliere i fondi a tutte queste agenzie. Cosa ne sappiamo noi in Occidente? Le notizie che ci arrivano sull'Asia sono credibili o sono costruite con i dollari americani? Quando ci dicono che il comunismo è finito e Cina, Laos e Vietnam non sono comunisti ci dobbiamo credere o è propaganda Usa? La nostra credulità come si collega all'"orientalismo" (E. Said) che sempre ha forgiato la lettura dell'Occidente sull'Asia?