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Una donna emancipata assassinata a Tripoli e le notizie da Gaza, Cisgiordiania e Libano
Rassegna delle informazioni oggi raccolte e divulgate su Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo. Un crimine contro una donna moderna e indipendente, assassinata in pieno giorno a Tripoli: la 34enne Khansaa Al-Mujahid era una blogger molto apprezzata che molto probabilmente è stata uccisa per il fatto di essere la moglie di un politico di Zawia, Muadh al-Manfukh. La campagna promossa da AssoPace Palestina per salvare Marwan Barghouti, “il Mandela palestinese”, da 23 anni imprigionato nelle carceri israeliane, verrà lanciata il prossimo 28 novembre, alla vigilia della Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo palestinese indetta dall’ONU. Oggi  presso la Corte di cassazione palestinese si apre il procedimento nei confronti di Hisham Harb, il colonnello in pensione della polizia palestinese arrestato a Ramallah, il 15 settembre scorso, pochi giorni prima del riconoscimento dello Stato palestinese da parte della Francia, che ne chiede l’estradizione perché accusato di aver compiuto l’attacco contro un ristorante ebraico a Parigi nell’agosto 1982. Situazione umanitaria a Gaza – Piogge e maree hanno reso la vita un inferno alle famiglie palestinesi accampate nella spiaggia di Khan Younis, Al-Mawassi. Centinaia di tende sono crollate sulla testa degli abitanti nella notte, mentre dormivano. Per l’ennesima volta, le famiglie colpite hanno perso tutto. Volontari e protezione civile hanno lavorato tutta la notte a salvare le persone in difficoltà, soprattutto bambini e anziani. Genocidio a Gaza – L’aggressione israeliana su Gaza non è cessata neanche un giorno. Bombardamenti continui su Khan Younis e Gaza città. Artiglieria, elicotteri e droni hanno compiuto attacchi con missili. I cecchini completano il lavoro con la mira agli sfollati che si avvicinano alle postazioni dell’esercito. Due ragazzi minorenni sono stati assassinati ieri mentre cercavano legna ad est di Gaza città. L’esercito israeliano ha esteso la cosiddetta linea gialla, che segna, sulle carte i limiti del ritiro, rioccupando vaste zone soprattutto nei pressi dei ruderi dei “centri urbani”. Secondo i rapporti giornalistici, sono stati uccisi ieri 23 civili e altri 87 sono rimasti feriti. Le squadre della protezione civile hanno estratto 8 persone uccise da un bombardamento israeliano nei giorni precedenti. Le vittime sono i componenti della stessa famiglia. La loro casa di tre piani era stata presa di mira da un drone con un missile che l’ha distrutta completamente. Le vittime sono 6 bambini e 2 donne. Cisgiordania – Scontri ieri a Nablus tra militanti palestinesi e truppe speciali dell’occupazione israeliana. L’esercito ha fatto intervenire l’aeronautica, bombardando una casa con gli elicotteri. È stato ucciso un combattente palestinese e catturati altri due. I rastrellamenti hanno toccato la maggior parte delle città e villaggi palestinesi. Particolarmente violenti sono stati gli attacchi dell’esercito nella provincia di el-Khalil ed a Hawwara (un villaggio a sud di Nablus incendiato dai coloni nel febbraio 2023, prima ancora del 7 ottobre). Stamattina, in un villaggio vicino a Jenin, l’esercito dopo un lungo assedio ha centrato una casa con un razzo anti carro, uccidendo gli abitanti. In due anni, le aggressioni israeliane compiute dall’esercito e dai coloni ebrei hanno causato l’uccisione di 1066 persone e il ferimento di oltre 10 mila. Sono stati arrestati oltre 20 mila palestinesi tra i quali 1600 minorenni. Libano – L’esercito israeliano sta preparando una nuova invasione del sud Libano. I segnali sono evidenti nei preparativi dell’esercito di Tel Aviv e nelle dichiarazioni dei “garanti” della tregua. L’amministrazione Trump ha collaborato all’attacco per l’uccisione del capo militare di Hezbollah, Tabtabayi con un bombardamento sulla capitale libanese Beirut. Il commento del presidente francese è stato molto chiaro: non una condanna dell’aggressione israeliana, ma un incitamento a colpire Hezbollah. Il presidente del parlamento libanese ha fotografato i contatti diplomatici tra il vertice libanese e i due paesi garanti della tregua, USA e Francia: “Non ci sono garanzie per la fine degli attacchi israeliani sulla capitale”. Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo / 25 NOVEMBRE 2025 * Blogger libica assassinata a Tripoli * Campagna internazionale per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi * Il caso Hisham Harb e gli scheletri negli armadi dell’ANP. ANBAMED
Afghanistan, il terremoto che colpisce due volte: macerie e diritti negati
Un boato nella notte. Le case di fango e pietra che tremano e si sbriciolano come sabbia. Le famiglie che scavano a mani nude, tra il silenzio rotto solo dai lamenti. È l’immagine che arriva dall’Afghanistan orientale, colpita il 31 agosto da un terremoto di magnitudo 6.0 che ha devastato la provincia di Kunar, vicino al confine con il Pakistan. Secondo i dati ufficiali forniti dalle autorità e confermati da fonti internazionali, il sisma ha provocato oltre 1.400 morti e circa 3.500 feriti. Migliaia di case sono crollate all’istante, inghiottendo interi villaggi. Le frane hanno isolato strade e comunità già fragili. In alcune aree, i corpi sono stati sepolti in fosse comuni improvvisate: troppo alto il numero delle vittime, troppo scarse le risorse per dare a ciascuno una sepoltura dignitosa. Il disastro ha colpito un paese già in ginocchio. I finanziamenti internazionali, in particolare quelli americani, sono stati ridotti dopo il ritorno al potere dei talebani. Cliniche e ospedali hanno chiuso per mancanza di fondi, elicotteri e mezzi di soccorso restano a terra, e la macchina dei soccorsi, in una situazione simile, parte già mutilata. Il governo talebano ha lanciato un appello per aiuti internazionali, e alcune agenzie hanno risposto, ma la diffidenza resta alta: la comunità internazionale si interroga su come portare soccorso senza legittimare un regime che nega i diritti fondamentali a metà della sua popolazione. Il terremoto ha mostrato con spietata chiarezza un altro volto della tragedia: quello delle donne. Non solo colpite dai crolli come tutti, ma vittime due volte, del sisma e delle leggi che le imprigionano. In Afghanistan oggi una donna non può essere curata da un medico uomo senza la presenza di un accompagnatore maschile. Nelle zone più remote non sempre un familiare è disponibile, e la carenza di medici donna, conseguenza del divieto imposto alle ragazze di studiare medicina, rende l’accesso alle cure quasi impossibile. Così molte ferite sono rimaste a casa, curate alla meglio con rimedi locali, mentre le ore scorrevano decisive. Una condizione che trasforma un evento naturale in una catastrofe sociale, dove le discriminazioni pesano come macerie invisibili. Questa tragedia non è solo afghana. È uno specchio crudele per il mondo intero: mostra cosa significa affrontare una catastrofe senza diritti, senza libertà, senza voce. Ricorda che in un contesto di oppressione, un terremoto non scuote solo le case, ma le fondamenta stesse della dignità umana. Secondo le Nazioni Unite, oltre 23 milioni di afghani, quasi la metà della popolazione, vivono oggi in condizioni di grave insicurezza alimentare. Dopo il sisma del 31 agosto, l’ONU e la Croce Rossa hanno denunciato la mancanza di risorse adeguate per portare soccorso: molte cliniche sono state chiuse, i tagli internazionali hanno bloccato le forniture mediche e intere comunità restano isolate. In questo scenario disperato, ogni aiuto diventa questione di vita o di morte. Ma come inviare aiuti senza diventare complici? È la domanda che attraversa le cancellerie ei movimenti civili di tutto il mondo. Perché se da un lato è urgente garantire acqua, cura e ripari a chi ha perso tutto, dall’altro c’è il rischio che gli aiuti diventino strumenti nelle mani di chi nega i diritti fondamentali. La risposta non può che passare dalla comunità internazionale, dalle Nazioni Unite e dalle grandi organizzazioni umanitarie, che devono pretendere trasparenza, accesso diretto e garanzie per le donne ei più vulnerabili. Ogni pacco di viveri, ogni farmaco, ogni tenda consegnata agli sfollati sarà allora non solo un gesto di solidarietà, ma anche un atto politico di resistenza alla disumanizzazione. In Afghanistan, il terremoto ha distrutto villaggi e vite, ma il sisma più profondo resta quello dei diritti negati. Ecco perché la vera ricostruzione non sarà solo fatta di mattoni: comincerà quando il mondo troverà il coraggio di aiutare senza chiudere gli occhi, di tendere la mano senza rafforzare le catene. Fonti Washington Post, 2 settembre 2025 – I talebani chiedono aiuti internazionali mentre il bilancio delle vittime del terremoto in Afghanistan supera le 1.400 WSJ, 31 agosto 2025 – L’Afghanistan è stato colpito da un mortale terremoto di magnitudo 6.0 RFE/RL, 1 settembre 2025 – Le donne afghane subiscono le conseguenze del terremoto a causa delle restrizioni imposte dai talebani   Lucia Montanaro