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Il minuto di silenzio nelle scuole è per le vittime del genocidio di Gaza
Come docenti ed educatori pacifisti, antimilitaristi e nonviolenti non possiamo non accogliere con interesse l’invito da parte del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, e anche dell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), di dedicare un minuto silenzio alle vittime di tutte le guerre, ben 56 in tutto il mondo, molte delle quali utilizzano gli strumenti di morte che produciamo e vendiamo noi dall’Italia, anche aggirando una normativa, la legge 185/1990, che  dovrebbe vietare l’esportazione di armi verso Paesi in guerra o in palese violazione dei diritti umani. Tuttavia, ci preme sottolineare che l’iniziativa lanciata per il primo giorno di scuola da Docenti per Gaza insieme all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e La Scuola per la Pace di Torino e Piemonte, aveva uno scopo preciso, cioè quello di focalizzare l’attenzione sul genocidio in corso in Palestina; un genocidio che sta avvenendo sotto i nostri increduli occhi di docenti responsabili; un genocidio che, incredibilmente, viene negato e passato sotto silenzio da media e Governo italiano, mentre studiosi, ONG e organizzazioni internazionali umanitarie denunciano; un genocidio che, diversamente dalle altre guerre simmetriche tra milizie armate, sta colpendo una popolazione intera, civili, bambine, bambini, anziani. La precisazione e il focus sul genocidio nel chiedere da parte dei Collegi Docenti il minuto di silenzio nelle scuole per il primo giorno devono essere mantenuti, giacché avvertiamo che l’operazione del ministro Valditara, come quella dell’UCEI, ma anche quella dello zelante USP Lazio, che chiede ai dirigenti di vigilare affinché nei Collegi Docenti si disbrighino solo funzioni amministrative e burocratiche, impedendo ai docenti di pensare, vanno esattamente nella direzione di negare ciò che sta accadendo, minimizzare gli eventi e disinformare rispetto al genocidio in atto, equiparandolo a “tutte le altre guerre”. È proprio quella responsabilità, alla quale l’UCEI ci richiama nell’essere insegnanti, che ci impedisce di ignorare ciò che sappiamo dalla storia e ciò che per anni abbiamo insegnato nelle nostre classi con fonti e documenti storici alla mano. E noi dalla storia sappiamo che, diversamente da ciò che si afferma nella nota diramata dall’Unione delle Comunità Ebraiche, che ha il netto sentore di propaganda distorsiva dei fatti per mascherarne la gravità genocidaria in atto, la violenza nei confronti del popolo palestinese da parte dello Stato sionista d’Israele non inizia affatto all’indomani del 7 ottobre 2023, ma è di gran lunga precedente. Proprio perché, come docenti responsabili, abbiamo dimestichezza con la storia e con i diritti umani fondamentali che vanno garantiti alle persone in quanto tali, nel rispetto della Costituzione antifascista, nella quale ci riconosciamo, e rifiutiamo la propaganda legata alla contingenza della nostra alleanza militare e politica con gli Stati Uniti e con Israele nell’ambito della NATO, noi abbiamo il dovere di dire che raccontare e spiegare ai nostri studenti e alle nostre studentesse ciò che sappiamo attraverso fonti ben documentate e documentabili anche da parte di storici e studiosi israeliani come Benny Morris, Simpa Flapan, Avi Shlaim, Ilan Pappé. E noi sappiamo, perché ne abbiamo preso consapevolezza in quanto docenti responsabili, che dal 1° gennaio al 7 ottobre 2023 le vittime palestinesi sono state 247; che Gaza è stata bombardata dallo Stato sionista d’Israele, che secondo l’ONU occupa illegalmente i territori che non gli appartengono, nel 2008, nel 2012, nel 2014, nel 2021 e nel 2022; che sulla testa del premier israeliano Benjamin Netanyahu pende un mandato per crimini nei confronti dell’umanità da parte della Corte Penale Internazionale; che in Cisgiordania, dove Hamas non c’entra nulla, essendo stato votato solo dalla popolazione di Gaza, i coloni israeliani sono legittimati a demolire le abitazioni dei palestinesi e a costruire le proprie e tutto ciò ben prima del 7 ottobre 2023. Come docenti responsabili, cioè come docenti che sono interpellati dai propri studenti e dalle proprie studentesse per rispondere e rendere conto delle atrocità e delle ingiustizie che avvengono in tutto mondo, ciò che troviamo pericoloso è spostare l’attenzione su altre guerre, per negare la specificità del genocidio palestinese, così come demistificare i fatti per mera propaganda sionista. E, come docenti responsabili, vigileremo e lavoreremo affinché la specificità di ogni genocidio, da quello ebraico fino a quello palestinese sotto i nostri occhi, inchiodi gli esecutori materiali e le idee che lo giustificano alle proprie responsabilità, per cui noi continueremo a denunciare, piuttosto, la pericolosità tanto del nazismo, quanto del fascismo e del sionismo. E magari il minuto di silenzio per tutte le 56 guerre in corso lo faremo il secondo giorno di scuola. Michele Lucivero, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Gerusalemme capitale di Israele e altre menzogne dei manuali scolastici
Tra pochi giorni le e gli studenti e le studentesse di tutta Italia torneranno sui banchi, mentre le/i docenti sono pronte/i a riprendere il loro posto in aula, ma mai come in questo momento è necessaria non solo una riflessione critica sui manuali (in particolare di storia) proposti nelle scuole, ma soprattutto un lavoro di costante monitoraggio sui contenuti spesso ambigui, quando non palesemente scorretti, circa la situazione in quell’area di mondo che in troppi continuano a definire Medio Oriente. Si potrebbe cominciare da qui, come suggerisce, sulla scorta di Edward Said, Michele Lucivero (in un articolo pubblicato su www.pressenza.it), a decolonizzare il linguaggio della manualistica o, quantomeno, a rendersi conto di quanto imbevuto di pensiero spesso inconsapevolmente colonialista sia il linguaggio mainstream. Sarebbe questo un primo passo doveroso, ma certamente insufficiente oggi, nel momento in cui, come lo stesso Lucivero sottolinea (in un articolo pubblicato su www.jacobinitalia.it), proprio il manuale più soddisfacente dal punto di vista di una narrazione storica non “marcatamente colonialista” è stato (non a caso!) oggetto di segnalazione da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Trame del tempo, il manuale di storia edito da Laterza di cui sono autori Ciccopiedi, Colombi, Greppi e Meotto, è stato infatti accusato di aver stabilito una indebita continuità storica tra fascismo e governo Meloni. Il caso non è che l’ultimo di una serie di interventi di carattere censorio che da parte di Governo e Ministero dell’Istruzione stanno sempre più frequentemente attentando alla libertà di ricerca e di insegnamento. Sulla base di questa lunga ma necessaria premessa è quindi importante leggere l’articolo uscito su “il Manifesto” del 29 agosto 2025 (https://ilmanifesto.it/loccupazione-israeliana-nei-libri-scolastici-italiani), in cui l’autrice Eliana Riva ricostruisce il lavoro della rete Docenti per Gaza, che grazie a uno scrupoloso monitoraggio dei manuali italiani ha messo il evidenza il fatto che «nelle nostre scuole Gerusalemme viene sempre indicata come capitale di Israele e che i territori palestinesi occupati sono a volte inseriti all’interno dello stato ebraico». La rete ha dato mandato all’avvocato Dario Rossi di chiedere rettifica alle case editrici, che spesso indicano la questione semplicemente come “controversa” o descrivono territori illegalmente occupati come “oggetto di contesa”. Il punto di vista prevalentemente adottato dalla manualistica è quello israeliano, implicitamente avallandone le gravissime violazioni del diritto internazionale e contribuendo, sotto traccia, a diffondere una versione non solo unilaterale, ma francamente criminale della questione palestinese, spesso con la scusa di “rendere comprensibile una materia complessa”. Le risposte delle case editrici hanno solo parzialmente soddisfatto le richieste di rettifica, a conferma di quanto sia necessario oggi più che mai un paziente ma capillare lavoro culturale che deve partire proprio dalla denuncia di quelli che solo a un occhio ingenuo possono apparire semplici errori o imprecisioni. Il diritto internazionale è chiaro a riguardo: Gerusalemme non è la capitale di Israele e gran parte della Palestina è illegalmente occupata da Israele. Fino a che non si chiariranno in modo inequivocabile almeno queste premesse, sarà necessario condurre un lavoro culturale e di formazione che infatti sempre più docenti sentono necessario: l’iniziativa della Scuola per la Pace di Torino e Piemonte “Nello specchio di Gaza” (clicca qui per il progetto) rappresenta a tale proposito un importante tassello per contribuire alla crescita di una cultura antirazzista e colonialista. Anche questo è politica, anche questo è militanza, anche questo è accompagnare la navigazione della Global Sumud Flotilla e affiancarne, da terra, da dietro la cattedra, facendo cultura, la missione. A questo proposito segnaliamo che la campagna continua e che Docenti per Gaza raccoglie segnalazioni: https://www.instagram.com/docenti.per.gaza/p/DFNSJxNOX7h/?img_index=4 Irene Carnazza, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Torino
Revisionismo, controllo e militarizzazione
PUBBLICATO SU WWW.JACOBINITALIA.IT IL 25 LUGLIO 2025 PUBBLICATO SU WWW.AGORASOFIA.COM IL 12 AGOSTO 2025 UN RACCONTO, DA DENTRO, DELLA PROGRESSIVA FASCISTIZZAZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA: L’INSEGNAMENTO DIVENTA APPRENDIMENTO. ANZI, ADDESTRAMENTO. E AFFONDA PERICOLOSAMENTE NEL PEGGIORE PASSATO Da diversi anni ormai l’insegnamento, derubricato semanticamente ad apprendimento, è entrato all’interno di una riflessione che apparentemente è ammantata di ragioni pedagogiche, ma in realtà risulta completamente asservita al mercato e a logiche neoliberiste che tendono a valorizzare la misurazione e la standardizzazione dei prodotti finali. Questa omologazione ideologica degli alunni e delle alunne è il risultato della messa a punto di un sottile dispositivo di controllo dell’educazione, di cui i docenti, nell’ubriacatura della novità didattica, pedagogica e tecnologica, finiscono per divenire complici, diventando mere esecutori materiali, valutatori di un processo di apprendimento scritto altrove e da altri soggetti, estranei alla crescita intellettuale che deve proliferare all’interno delle scuole e delle università.  Distratte e distratti dall’urgenza di rincorrere l’innovazione pedagogica e la tecnica didattica all’ultimo grido per rendere più accattivante e ammaliante l’oggetto dell’apprendimento e raggiungere la specifica competenza da certificare, gli e le insegnanti smarriscono il senso politico ed esistenziale del progetto educativo e vengono spinti ad abdicare alla consapevolezza di essere soggetti fondamentali nel passaggio dei ragazzi e delle ragazze alla vita adulta, come mostra in maniera magistrale Gert J.J. Biesta nel suo Riscoprire l’insegnamento. E proprio in questo vuoto progettuale dallo slancio utopistico, quale dovrebbe essere il fine e, al tempo stesso, la postura della professione docente, si è insinuato nella scuola in maniera beffarda un programma di addestramento che ha delle profonde analogie con retaggi del passato, con circostanze che in Italia, e anche altrove, abbiamo già vissuto e che come uno spettro preoccupante ritorna sotto spoglie nuove e anche piuttosto evidenti. Che la scuola pubblica sia sotto attacco è un’evidenza empirica che non ha bisogno di essere dimostrata. Per capirlo basterebbe solo passare in rassegna le pseudoriforme degli ultimi 25 anni, tutte orientate a trasformare la scuola nell’avamposto ideologico del neoliberismo, svenduta, sia nella semantica quotidiana, tra crediti, debiti, prodotti finali e meriti, sia nella gestione affaristica dirigenziale, alla quadruplice radice del principio di ragione capitalistica che si concretizza nei settori farmaceutico, digitale, energetico e militare. Tuttavia, negli ultimi anni in Italia il dispositivo di controllo all’interno della scuola pubblica è andato incontro a un’accelerazione, una vera e propria ingerenza sistematica e asfissiante, tesa, da un lato, a far passare una linea ideologica ben determinata a uso e consumo del personale più accondiscendente e ligio, addestrandolo a dovere, dall’altro, a intimidire e sanzionare chi mostrava capacità critiche e intolleranza alle pressioni governative, mettendolo a tacere. Da docenti sensibili e attenti alla direzione intrapresa dalla scuola pubblica abbiamo potuto constatare sin dall’ottobre del 2022 l’abitudine a utilizzare una strana e pressante comunicazione tra centro e periferia, tra Ministero dell’Istruzione e del Merito e singole istituzioni scolastiche. Si tratta di una comunicazione unidirezionale fatta di lettere e missive che invitano di volta in volta a celebrare ricorrenze particolari, che indicano la direzione interpretativa di determinati periodi storici, che offrono surrettiziamente, infine, prospettive ideologiche sul ruolo della stessa scuola, esautorando di fatto il lavoro dei e delle docenti e inaugurando una fase alienante e psicotica che altrove abbiamo definito come regime di Psicoistruzione. Procedendo in ordine sparso nella disamina di questo stile epistolare adottato dal Ministero, potremmo citare l’istituzione e la riesumazione del Giorno della Libertà, ricordato agli studenti e alle studentesse con un’apposita lettera dallo stesso Giuseppe Valditara. Già istituito in Italia nel 2005 dal governo Berlusconi «quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo» (Art. 1, comma 1, Legge 15 aprile 2005, n. 61), il Giorno della Libertà era, di fatto, finito nel dimenticatoio, almeno fino all’avvento del nuovo governo di destra. In questa lettera di mezza paginetta il Ministro, mediante il ricorso a una didattica d’occasione fatta di date da segnare all’interno di un nuovo calendario civile, pretende di tracciare in maniera netta il confine tra libertà e oppressione, anche in questo caso legittimando come unico orizzonte possibile per la democrazia l’assetto neoliberista. Sarebbe questo l’unico ordine in grado di garantire libertà e giustizia, ma in tal modo viene giustificata l’azione disinvolta dei meccanismi capitalistici del XXI secolo, soprattutto rispetto al quadro dei valori liberali che essa afferma di voler tutelare.  Ora, al di là della continuità storica tra liberalismo e fascismo, che occorrerebbe ancora una volta richiamare alla memoria, varrebbe la pena qui rimandare alla versione più aggiornata di tale commistione, quella che si cela dietro La maschera democratica dell’oligarchia (Laterza 2014), citando Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky. Per rendere palese il maldestro tentativo da parte del Governo e del Ministero dell’Istruzione e del Merito di controllare l’universo simbolico che si genera nelle scuole, operando, al tempo stesso, un sistematico revisionismo storico, si potrebbe far riferimento alle parole pronunciate dal Presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa nel marzo 2023. In quella occasione La Russa riuscì a sostenere che l’episodio scatenante l’eccidio delle Fosse Ardeatine da parte dei tedeschi poteva essere sostanzialmente evitato dai partigiani, infatti: «È stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani».  Assistiamo ormai da diversi anni a questa urgenza di riscrivere, mistificandola, la storia italiana. Non si tratta di casi sporadici, ma vi è un attacco sistematico nei confronti di tutti quegli storici e quelle storiche che tentano di raccontare le pagine più buie della storia italiana. Appena si cerca di fare luce su alcuni eventi con dati, testimonianze, reperti e ricostruzioni accreditate con il metodo della ricerca storica, scatta l’intimidazione politica, la diffamazione a mezzo stampa.  E, purtroppo, di questo clima intimidatorio, che impedisce di svolgere in maniera critica il proprio lavoro, ne abbiamo fatto le spese personalmente, dal momento che abbiamo subito un’interrogazione parlamentare (qui i dettagli) per il solo fatto di aver invitato nella nostra scuola, il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Bisceglie, lo storico Eric Gobetti a presentare il suo libro E allora le foibe?. E questa ossessione censoria nei confronti dei convegni in cui si tratta delle vicende del confine orientale si è abbattuta anche a Vicenza il 4 marzo 2023, quando è stata negata una sala comunale per lo svolgimento dell’incontro sulle Foibe, e a Orvieto il 14 febbraio 2023 in occasione del Convegno organizzato dal Cesp (Centro Studi per la Scuola Pubblica), in cui è intervenuta direttamente la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, che ha chiesto di annullare l’incontro con gli storici Alessandra Kersevan e Angelo Bitti, inducendo la dirigente dell’istituto in cui si sarebbe dovuto svolgere l’incontro a revocare la disponibilità della sala, costringendo gli organizzatori a cercare solo il giorno prima un’altra sede. Altrettanto preoccupanti sono i tentativi di intervenire direttamente da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito sulla manualistica scolastica. Abbiamo denunciato con preoccupazione e sgomento nel marzo del 2025 su Roars la grave ingerenza in un testo di Scienze sociali in lingua inglese in uso negli istituti professionali del gruppo Zanichelli (Revellino et al., Step into Social Studies, Clitt 2023). A pagina 95 le autrici avevano inserito una scheda con un riadattamento di un articolo della ONG Human Rights Watch sulla revisione operata dal decreto-legge 130/2020 del governo pentastellato Conte II sul decreto 113/2018 a firma di Salvini del governo precedente Conte I. La scheda, nonostante riportasse la fonte, non è piaciuta al Ministero, che «ha segnalato il caso» alla casa editrice e questa ha prontamente obbedito, ritirando tutte le copie in commercio, rimuovendo la scheda dalla versione online, sostituendo nel cartaceo il caso incriminato con il testo della legge 130/2020, «senza commenti di parte», e inviato a tutti i dirigenti delle scuole che avevano adottato il libro una lettera sottoscritta dalla Direttrice Generale (qui tutti i particolari della vicenda). Meno accondiscendenti sono stati, invece, gli autori, le autrici e l’editore di Trame del Tempo, il manuale di storia accusato nel maggio 2025 da parte della deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli di aver indebitamente attribuito una sorta di continuità tra il fascismo e il partito al governo, la cui direzione è affidata a Giorgia Meloni, cioè lo stesso partito al quale la deputata Montaruli, che chiede ispezioni e accertamenti presso l’Associazione italiana editori, appartiene. Se Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi e Marco Meotto, storiche e storici di professione, autori e autrici del manuale, hanno preferito non intervenire nella polemica, in questo caso è stato direttamente l’editore, Alessandro Laterza, erede di una storica tradizione antifascista che ha in Benedetto Croce il suo antesignano, che non si è lasciato intimidire e ha dichiarato: «Senza ricamarci troppo: siamo nell’anticamera della censura e della violazione di non so quanti articoli della Costituzione», chiudendo in maniera epica la querelle con Augusta Montaruli. Eppure, e forse proprio per questo non piace al Governo, il manuale Trame del Tempo ci era risultato particolarmente gradito. Analizzando una quindicina di manuali per il triennio delle scuole secondarie di secondo grado in cerca di una narrazione storica che non fosse marcatamente colonialista e riflettesse in maniera critica il nostro passato, anche con riferimenti espliciti a Edward Said e all’orizzonte postcoloniale, proprio quello di Ciccopiedi, Colombi, Greppi e Meotto riportava un giudizio molto positivo. Ma, si sa, la direzione presa dal Ministero con le nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione vira verso un arretramento interpretativo di marca chiaramente colonialista che, nonostante sia stato ampiamente criticato dalla Società Italiana di Didattica della Storia, potrebbe già aver intimorito qualche editore più attento all’aspetto economico piuttosto che a quello educativo. Tra revisionismo storico e militarizzazione dell’istruzione si colloca, invece, l’abitudine invalsa dal 2023 di celebrare in pompa magna il 4 novembre come la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, invitando nelle scuole a vario titolo Esercito, Carabinieri e Marina Militare oppure conducendo intere scolaresche all’interno delle caserme per svolgere cerimonie plateali di alzabandiera, intonazione dell’inno nazionale e altre manifestazioni piuttosto muscolari del ruolo e delle capacità delle Forze Armate. La celebrazione del 4 novembre è stata, di fatto, istituita con una legge approvata il 1° marzo 2023, affinché si celebri la «difesa della Patria», il «ruolo delle Forze Armate» e si facciano conoscere agli studenti alle studentesse le loro attività.  L’evidente propaganda militarista di tale celebrazione ha mobilitato studenti, studentesse, docenti, genitori e anche l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che in un momento particolarmente critico per i nostri tempi, con una guerra mondiale alle porte e con l’innalzamento della spesa militare al 5% del Pil nazionale, hanno mostrato la loro totale indignazione sia per i dieci milioni di morti della Prima guerra mondiale, che il 4 novembre vorrebbe evocare, sia per le vittime di tutte le guerre e dei genocidi in corso. Ma il punto è che le celebrazioni ufficiali del 4 novembre fanno parte di un’insistente propaganda bellica che promana direttamente dalle istituzioni governative, che cerca di assuefarci all’idea che la guerra sia inevitabile, che i genocidi siano «difesa», che il riarmo e le spese militari siano necessarie per la sicurezza e che i giovani debbano arruolarsi per diventare dei soldati.  Un capitolo a parte costituisce il ricorso sistematico alla sanzione, espressione più alta del paradigma del controllo, del «sorvegliare e punire» foucaultiano, nei confronti di docenti che osano esprimere pubbliche critiche verso il Governo e i suoi apparati. Proprio in occasione della ricorrenza del 4 novembre la collega Elena Nonveiller, docente del Liceo Foscarini di Venezia, viene denunciata all’amministrazione dell’Istruzione per violazione del «codice di comportamento» dei dipendenti pubblici entrato in vigore nel 2023. La sua colpa sarebbe quella di aver scritto su Facebook «Frecce tricolori di me…a», in occasione dello show del reparto dell’Aeronautica Militare sui cieli del capoluogo veneto, una spettacolarizzazione militaresca pericolosa, costosissima e inquinante per la popolazione. Peggio è andata al collega Christian Raimo, sospeso per tre mesi dall’insegnamento, con una decurtazione del 50% dello stipendio, perché reo di aver criticato il Ministro Giuseppe Valditara durante un dibattito pubblico sulla scuola. Per tutte queste ragioni abbiamo ritenuto fondato parlare di segnali evidenti di un fascismo eterno, parafrasando l’espressione di Umberto Eco. Una forma di Ur-fascismo che si manifesta ciclicamente, con più o meno evidenza, in assoluta continuità con determinate fasi di crisi del capitalismo. Potremmo elencare in successione: il culto della tradizione, mediante l’ossessione occidentalista; il rifiuto della critica e il sospetto per la cultura, e su questi punti potremmo analizzare la fenomenologia dello spirito che parla attraverso gli ultimi due ministri della Cultura, Gennaro Sangiuliano e Alessandro Giuli; l’attacco al pacifismo cui fa seguito una cultura della morte, che è una cultura della guerra, portata fin dentro le scuole, le università e la società civile per cercare di normalizzarla, renderla familiare, accettabile e preparare le guerre di domani, facendo impennare le spese militari al 5%, quando le scuole e le università rimangono fatiscenti, insicure e impraticabili nei mesi estivi nelle zone più calde del paese.  La militarizzazione delle scuole e delle università, epifenomeno della fascistizzazione del nostro paese, risponde a un piano ben architettato dal Ministero della Difesa per aggredire i luoghi in cui sono presenti i giovani e fare arruolamento, come si può leggere nel Programma della Comunicazione del Ministero della Difesa del 2019 e in quello più aggiornato del 2025. A leggere questi documenti non si va molto lontano da quanto scriveva nel 1938 il prof. Eugenio Grillo in La cultura militare nelle scuole medie, un testo giuridico in cui si commentava il Regio decreto del 15 luglio 1938-XVI, n. 1249, recante Norme per l’insegnamento della Cultura Militare nelle scuole medie: «L’insegnamento della Cultura Militare nelle scuole ha scopo integrativo. È inteso, cioè, a concorrere alla preparazione del cittadino-soldato. Il compito affidato alla scuola civile in questo settore, la cui importanza diventa sempre più evidente, non è tanto quello di darci dei tecnici nel senso letterale della parola e neppure di creare dei professionisti, quanto quello eminentemente educativo di alimentare, rafforzare e rendere consapevole nei giovani lo spirito militare, che è oggi una delle loro caratteristiche migliori».  Insomma, messi tutti in fila, oggi come un secolo fa, i segni di una chiara fascistizzazione della società civile, a partire dalla scuola, sono piuttosto evidenti. Non vederli è il sintomo di una diffusa e colpevole indifferenza, di cui, però, come educatori ed educatrici, dovremmo mettere a parte gli studenti e le studentesse, giacché gli anticorpi della Resistenza vanno lentamente esaurendosi e si rischia di finire come le rane bollite. Michele Lucivero, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Come si può parlare di guerra e pace nelle scuole? Cominciamo da una Semantica di Pace
PUBBLICATO SULLA RIVISTA LA LANTERNA IL 15 LUGLIO 2025 PUBBLICATO SU WWW.AGORASOFIA.COM IL 16 LUGLIO 2025 Affermare al giorno d’oggi che non ci sia abbastanza clamore intorno ai temi della guerra e della pace potrebbe risultare completamente fuori contesto, dal momento che quasi quotidianamente si viene letteralmente bombardati, sia attraverso i maggiori media mainstream sia attraverso i canali social, da immagini e notizie relative a conflitti armati in corso e a proteste che cercano, in nome di un qualche richiamo al pacifismo, di contestare quella barbarie. Una simile sovraesposizione alla guerra e alla pace, tuttavia, necessita di uno sfondo di comprensione, di un contesto significativo in cui inserire i fatti, di una ermeneutica scevra da condizionamenti e prese di posizione preventive. Quel contesto storicamente imparziale e logicamente argomentato non può che essere costruito nelle scuole, cioè nei luoghi deputati all’insegnamento di orizzonti simbolici caratterizzati dalla solidarietà, dalla cooperazione, dall’accoglienza e non dal mero apprendimento di procedure, competenze tecniche e posture flessibili in linea con il mercato del lavoro. Ma, se così stanno le cose, se nelle scuole ancora insegnano docenti in carne e ossa che progettano la didattica, che adottano una sorta di immaginazione utopistica per prevedere delle finalità per il loro insegnamento, allora la loro responsabilità è totale in riferimento al bagaglio di valori che si viene a determinare nella realtà a partire dai contesti educativi. Ora, prendendo come riferimento l’universo simbolico che è scaturito dalle parole degli studenti e delle studentesse che sono intervenuti/e nelle varie occasioni in cui abbiamo portato in pubblico o nelle scuole le questioni denunciate dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, possiamo affermare con qualche grado di certezza che essi/esse già mostrano in maniera altamente preoccupante una sorta di normalizzazione della guerra e una preoccupante rassegnazione davanti al fatto che si tratterebbe di un fenomeno necessario nello sviluppo storico. La sovraesposizione mediatica a immagini di guerra e il coinvolgimento politico del nostro Paese in vari scenari bellici con annessa legittimazione mediatica ha generato, in sostanza, un’idea della guerra come tratto ineluttabile, connaturato all’umanità e alla quale non serve opporsi. Dai loro discorsi sembra quasi che sia stata riesumata una sorta di impostazione ideologica riconducibile al filosofo tedesco Hegel, il quale tendeva a rimarcare verso i primi dell’Ottocento, nell’apoteosi della boria della cultura tedesca, l’idea che la guerra fosse lo strumento naturale per l’evoluzione degli Stati. Davanti a questa condizione piuttosto diffusa, a questo mondo dato per scontato da parte dei/delle più giovani, forse sarebbe il caso di mettere da parte, per il momento, la critica del reale, l’analisi delle circostanze per cui ci sono le guerre attuali, in Palestina come in Ucraina e negli altri cinquantasei scenari mondiali. Se non altro, forse emerge la necessità, quantomeno, di affiancare a quelle analisi geopolitiche un lavoro più profondo di tipo antropologico, o addirittura ontologico, sulla guerra come destino dell’umanità e portare nelle scuole una concreta proposta didattica di pace, che ragioni storicamente e logicamente sulla necessità di ricorrere in maniera obbligata al conflitto armato per la risoluzione delle controversie nazionali o internazionali.   E tutto ciò, ovviamente, sempre con il dubbio che parlare di guerra, come di violenza e di male assoluto, nelle scuole possa essere, paradossalmente, un modo per portare all’attenzione degli studenti e delle studentesse un tema che, invece di rimanere fuori dalla storia, riesca ancora inspiegabilmente, in un clima di irrazionalismo diffuso, ad affascinare le giovani generazioni in cerca, forse, di affermazione, di riscatto, di macabra attrazione nei confronti del deprecabile pur di salire alla ribalta e ottenere notorietà. Davanti ad un simile scenario assiologico riteniamo che studiare la Pace come tema e, di conseguenza, insegnare la pace come argomento specifico sia necessario. Si tratta di un assunto che deriva da un inconfutabile dato storico, giacché dopo ogni guerra inizia il periodo di ricostruzione e di pacificazione, che spesso è anche più lungo della occorrenza della guerra, ma evidentemente il nostro gusto per l’orrido, per il torbido, sopravanza quello per la bellezza, che senza alcun dubbio viene distrutta durante la guerra. Ci siamo mai chiesti come mai nei manuali di storia in uso nelle scuole all’interno dei capitoli l’accento venga posto, con dovizia di particolari, sulla follia della guerra? Come mai ci sono ricercatori e storici che conoscono ogni dettaglio militare e decidono di corredare i nostri manuali di paragrafi interi su tecniche di guerra, materiale bellico utilizzato e scoperte militari devastanti per l’umanità? Il fatto che gli studenti e le studentesse conoscano i minimi dettagli sulle vicende di guerra obbedisce solo ad una esigenza informativa? Qual è la ricaduta educativa della sovrabbondanza di un lessico costellato di semantica di guerra e violenza? E ancora, come mai si parla di Prima, Seconda Guerra mondiale e non di Prima, Seconda Pace mondiale, che pure sono esistite, ma non godono di una consistenza ontologica prima che semantica? Sarà mai che questo eccesso di conoscenza e di ricerca inerente al tema della guerra e delle sue peculiarità sia funzionale, malgrado l’esimio lavoro degli storici di professione, alla sua normalizzazione, alla sua presenza costante all’interno dell’universo delle possibilità umane di gestione dei conflitti? Insomma, a noi pare che la sproporzione tra una “semantica di guerra” e una “semantica di pace” all’interno dei progetti educativi e dei programmi scolastici in generale, almeno dalle scuole secondarie di primo grado in poi, sia abbastanza evidente. Tutto ciò determina, in qualche modo, la costruzione di un universo simbolico nelle menti degli studenti e delle studentesse che dà consistenza ontologica alla guerra e non alla pace, mentre quest’ultima viene, nella migliore delle ipotesi, ritenuta un’appendice momentanea dell’urgenza distruttiva della guerra, percepita come connaturata all’essere umano. In realtà, non solo sappiamo con chiarezza dalla storia, dall’antropologia, dalla sociologia e dalla psicologia, che le cose non stanno proprio così, cioè che la guerra irrompe nella storia in un momento preciso, vale a dire quando le popolazioni sono diventate stanziali e si è pensato di cominciare a occupare la terra e dichiararla di proprietà esclusiva secondo una prima forma di appropriazione indebita ante litteram. Ma ciò che sappiamo con altrettanta certezza è che vi è una galassia sconfinata di studi, di teorie, di pratiche della pace, perlopiù coltivata dai Centri Studi, associazioni, circoli culturali, organizzazioni non governative, che, però, non trova dignità accademica, non trova investimenti, a differenza della galassia degli studi e delle pratiche di guerra, che incontrano gli interessi di industrie belliche che fatturano miliardi. Ad ogni modo, la semantica della pace va coltivata a partire dal lessico che utilizziamo quotidianamente. Come educatori ed educatrici che assumono l’impegno politico e civico di presentarsi come “docenti pacefondai”, si può avviare una grande rivoluzione lessicale con un piccolo sforzo consapevole orientato alla smilitarizzazione del linguaggio: mai più militanti, ma attiviste/i; mai più concentramento, ma incontro; mai più in trincea o in prima linea, ma a disposizione. Si tratta di una piccola e costante attenzione lessicale che porta con sé una più grande rivoluzione semantica, di senso, un cambiamento di prospettiva che genera nuovi orizzonti di nonviolenza, che è quello di cui la scuola e l’umanità hanno bisogno e su cui don Tonino Bello ci ammoniva tempo fa: «Smilitarizziamo il linguaggio, spesso così intriso di assurde categorie belliche, che dà l’impressione di un agghiacciante bollettino di guerra. Preserviamo i nostri ragazzi, che hanno sempre più come principale referente lo schermo televisivo, dalle trasfusioni di violenza che essi metabolizzano paurosamente» (A. Bello, Convivialità delle differenze Meridiana, Molfetta 2006, p. 51). Michele Lucivero, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Nino De Cristofaro al Convegno dell’Osservatorio: Pace e Diritti. Decostruire il pensiero
Pubblichiamo il video dell’intervento dal titolo “Pace e diritti, decolonizzare il pensiero per costruire nuovi percorsi didattico-educativi” di Antonino De Cristofaro, docente e sindacalista Cobas Catania al convegno nazionale dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università svoltosi il 16 maggio a Roma presso Spin Time dal titolo Scuole e università di pace. Fermiamo la follia della guerra. Dopo l’esperienza positiva dello scorso anno l’Associazione Nazionale “Per la Scuola della Repubblica“- OdV, soggetto accreditato alla formazione Decreto MIUR 5.7.2013 Elenco Enti Accreditati/Qualificati 23.11.2016, insieme all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università hanno organizzato a Roma per il 16 maggio 2025 un Convegno nazionale in presenza e online sul processo di militarizzazione dei luoghi della formazione e sulla necessità di costruire percorsi di pace all’interno di un quadro europeo e mondiale che vira inesorabilmente verso un conflitto globale.
Controllo e censura nelle scuole italiane: segnali evidenti di fascismo eterno
I segnali, abbastanza diffusi e premonitori, erano evidenti già prima, così come i segnali di un fascismo latente erano già manifesti prima nel 1922 nel suprematismo bianco, nel colonialismo muscolare, nel meccanismo repressivo delle opposizioni, nel razzismo biologico. Tuttavia, quei segnali divennero con il passare del tempo sempre più chiari e inconfutabili, ma anche condivisi dalla popolazione intera, intortata ad arte dall’apparato informativo di sistema e da quello scolastico, che lasciavano sempre meno spazio al pensiero critico e divergente. Analogamente, al giorno d’oggi diventa palese e incontrovertibile il diffuso processo di controllo dell’operato e dell’universo simbolico che si costruisce nelle scuole pubbliche, nonostante questo sia stato messo opportunamente al riparo dalla nostra Costituzione mediante il principio ella libertà educativa e del pluralismo culturale, che non richiedono di prestare giuramenti nei confronti di una qualche ideologia totalitaria, tirannica e antidemocratica. Questa premessa potrebbe essere anche sufficiente per trasmettere, da docenti ed educatori, la nostra preoccupazione relativamente al clima che da qualche tempo si vive nelle scuole, un clima che provammo a documentare in uno dei momenti più cupi della nostra storia[1], cioè durante le prove tecniche di regime, ma allora c’era la pandemia e l’emergenza sanitaria imponeva di mettere davanti a tutto, anche davanti alla libertà soggettiva di trattamento sanitario, l’interesse collettivo e così con lo slogan di “sorvegliare e pulire” obbedimmo, ci vaccinammo e tornammo a scuola come soldatini, “armati” di disinfettanti, a sanzionare comportamenti che violassero la regola del distanziamento sociale, umano e fisico. Ma la nostra preoccupazione si è acuita qualche tempo fa, quando un editore poco coraggioso, il bolognese Zanichelli, non ha avuto nulla da eccepire davanti alle intimidazioni del Governo, che ha segnalato l’anomalia in un suo manuale e lui prontamente è ricorso alla sostituzione, al macero, alla rimozione della pagina incriminata. Noi lo abbiamo segnalato su ROARS e poche altre testate hanno avuto l’avventatezza di rilanciare la denuncia. E, tuttavia, questa pratica di intervenire negli affari della scuola mediante circolari commemorative su ricorrenze imbarazzanti, come quelle sulla celebrazione del 4 novembre, con correzioni revisionistiche, come quelle sulle Foibe, intimidazioni diffuse e sanzioni ad personam, come nel caso di Christian Raimo, sta diventando una pratica abituale. E, allora, come dice Luciano Canfora, in questi casi «è legittimo allarmarsi quando si osservano repliche di quei comportamenti: intimidire l’opposizione con accuse inverosimili, intimidire singoli oppositori con raffiche di querele, metter sotto accusa o delegittimare gli organi di controllo, demonizzare i governi precedenti ventilando “commissioni d’inchiesta” a getto continuo, monopolizzare l’informazione (pronta, per parte sua, all’autocensura), progettare di stravolgere l’ordinamento costituzionale. È un sistema di controllo che potrebbe definirsi “reazionarismo capillare di massa”, facente perno su ceti medi impoveriti, antipolitici e vagamente xenofobi»[2]. Certo, ciò che intendiamo segnalare è che questa volta, a differenza del bolognese Zanichelli, il barese Alessandro Laterza, erede di una storica tradizione antifascista che risale nientedimeno che alla collaborazione con Benedetto Croce, non si è lasciato intimidire e ha sostenuto il lavoro dei suoi autori e delle sue autrici Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi e Marco Meotto, storiche di professione, ricercatrici e docenti, dichiarando «Senza ricamarci troppo: siamo nell’anticamera della censura e della violazione di non so quanti articoli della Costituzione».  Ora, se nel caso del manuale di Zanichelli ad essere contestato dal Governo era un passaggio in cui l’ONG Human Rights Watch riferiva di una maggiore disposizione all’accoglienza nell’impianto legislativo del Governo Conte rispetto a quello precedente sotto il dicastero di Matteo Salvini, in quest’ultimo caso è abbastanza curioso il motivo del contendere con intento intimidatorio. Ciò che si contesta, infatti, da parte della deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli nel volume di storia per il V anno dei Licei, Trame del tempo, è l’attribuzione di una sorta di continuità tra il fascismo e il partito al governo, la cui direzione è affidata a Giorgia Meloni, cioè lo stesso partito al quale la deputata Montaruli, che chiede ispezioni e accertamenti presso l’Associazione Italiana Editori, appartiene. Insomma, ha davvero del ridicolo questa evidenza autoaccusatoria, se non fosse tragica dal momento che il soggetto dal quale promana è chiaramente incapace di comprendere l’autogol commesso. Basterebbe pensarci un attimo per mettere a nudo il cortocircuito logico e politico in cui si è cacciata l’onorevole. Se, infatti, l’arguta parlamentare si fosse limitata a denunciare l’estraneità del partito guidato da Giorgia Meloni da retaggi fascisti, circostanza ovviamente improbabile giacché viene sbandierata dalla stessa Presidente del Consiglio dei ministri[3], avrebbe semplicemente smentito gli autori e si sarebbe automaticamente collocata lungo una linea difensiva autoassolutoria conforme allo scopo della denuncia a mezzo stampa. E, invece, al contrario, cosa fa l’onorevole Montaruli? Si spertica nell’intimidire in maniera fascistoide degli storici, i quali hanno avuto l’ardire di rilevare il retaggio fascista di soggetti politici che, del resto, rimangono incapaci di dichiararsi antifascisti. Insomma, se intimidisci degli storici per ciò che scrivono; se richiedi che il loro lavoro venga ispezionato, non si sa a quale titolo, dall’Associazione Nazionale Editori; se chiedi che venga svolta una interrogazione parlamentare sul loro operato, è chiaro che si tratta di un atteggiamento fascistoide, rispondente ad alcune di quelle caratteristiche di cui ci parlava Umberto Eco,nel suo Il fascismo eterno[4], in particolare quando il semiologo tra i punti fondamentali dell’Ur-fascismo citava l’avversione nei confronti di qualsiasi critica e la paura della differenza. Ecco, tutti questi segnali andrebbero pur sempre collocati, non dimentichiamolo, all’interno del quadro tracciato dalle nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione, proprio quelle in cui la storia subiva un forte arretramento interpretativo di marca chiaramente colonialistica, circostanza, del resto, ampiamente criticata dagli storici e, in particolare, dalla Società Italiana di Didattica della Storia. Non a caso, proprio su questo tema, in un Convegno CESP a Palermo dal titolo Edward W. Said, la cultura dell’anti-colonialismo e la sua presenza nella scuola italiana avevamo provato ad indagare tra la manualistica in dotazione nelle scuole superiori quale fosse quella più incline ad un approccio inclusivo e meno occidentalista e il risultato era assolutamente favorevole a Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi, Marco Meotto, Trame del tempo, Laterza, Roma-Bari, seguito da Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, I mondi della storia, Laterza, Roma-Bari e da pochi altri[5]. Che i tempi siano quantomeno tenebrosi è, dunque, piuttosto chiaro. Se poi a tutto ciò ci aggiungiamo il culto della morte e l’ideologia della guerra, che comporta la lotta contro il pacifismo, giacché «Il pacifismo è allora collusione con il nemico, il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente»[6] con conseguente militarizzazione delle scuole (Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università), allora non si capisce davvero di cosa debba dolersene l’onorevole Montaruli per questa conclamata continuità storica e politica del Governo Meloni, il più a destra della storia italiana repubblicana, con l’Ur-fascismo. Eppure, proprio dalla storia passata noi docenti ed educatori qualcosa l’abbiamo imparata, cioè abbiamo compreso il ruolo determinante dei professionisti della formazione nel costruire coscienze critiche non solo mediante discorsi e argomentazioni, ma anche attraverso azioni concrete, come il boicottaggio, ad esempio, vale a dire la scelta consapevole di un manuale più indipendente piuttosto che un altro più disposto ad obbedire e prono a sostituire, a censurare, a cassare dietro indicazione del Ministero. Insomma, a fronte di storici, storiche ed editori coraggiosi occorrerebbe altrettanto coraggio da parte della classe docente, per non rischiare di finire come le rane bollite. DI MICHELE LUCIVERO PUBBLICATO SU WWW.PRESSENZA.COM IL 2 LUGLIO 2025 -------------------------------------------------------------------------------- [1] Ci permettiamo di rimandare a M. Lucivero, A. Petracca, Scuola pubblica e società (in)civile, Aracne, Roma 2023. [2] L. Canfora, Il fascismo non è mai morto, Dedalo, Bari 2024. [3] Il 23 ottobre 2022 nel discorso di investitura alle Camere, la Presidente Giorgia Meloni afferma: «Vengo da una storia politica che è stata spesso relegata ai margini della storia repubblicana». Opportunamente lo storico Luciano Canfora, egli stesso querelato per diffamazione aggravata ai danni della presidente del consiglio Giorgia Meloni (querela poi ritirata con conseguente dichiarazione di non luogo a procedere ad parte del Tribunale di Bari nei confronti dell’imputato), argomenta che quella storia “relegata al margine” è proprio la storia neofascista del Movimento Sociale Italiano, cfr. L. Canfora, Il fascismo non è mai morto, cit., p. 60-61. [4] U. Eco, Il fascismo eterno, La nave di Teseo, Milano 2019. [5] Cfr. https://cobasscuolapalermo.com/edward-w-said-la-cultura-dellanti-colonialismo-e-la-sua-presenza-nella-scuola-italiana/ per i video del Convegno e la presentazione analitica della manualistica. [6] U. Eco, Il fascismo eterno, cit., p. 42.
Presentazione “Comprendere i conflitti. Educare alla pace” su Telesveva con mons. Giovanni Ricchiuti e Michele Lucivero
Rilanciamo con piacereil video dell’intervista a mons. Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi Italia, e Michele Lucivero, docente di Filosofia e Storia presso il Liceo “da Vinci” di Bisceglie e promotore dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, nella trasmissione televisiva Culturalmente, curata da Nunzia Saccotelli per l’emittente regionale pugliese Telesveva. Nell’incontro viene presentato il volume Comprendere i conflitti. Educare alla pace, Aracne, Roma 2024, che raccoglie di atti del I Convegno nazionale dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, svoltosi a Roma presso SPIN TIME LAB il 10 maggio 2024, e si fa il punto sulla situazione politica nazionale e internazionale, che sta marciando velocemente verso la guerra, preparata ad arte nella scuola, nell’università e nella società civile attraverso un pericoloso e subdolo processo di normalizzazione della violenza e di militarizzazione delle coscienze. Il volume raccoglie gli interventi di: Michele Lucivero, Introduzione. La militarizzazione della scuola e dell’istruzione. Quale valore pedagogico? Alessandra Kersevan, Le guerre tra presente e passato Charlie Barnao, Militarizzazione della società Laura Marchetti, La scuola erotica contro l’antropologia della guerra Antonio Mazzeo. Formazione e militarizzazione: l’assedio alla scuola Giovanni Ricchiuti, Matteo Losapio, Una pace giusta per i popoli e per l’umanità Michele Lancione, La questione del duplice uso Annabella Coiro, Pratiche educative nonviolente nelle scuole italiane Renata Puleo, Educare corpi obbedienti con i test INVALSI Serena Tusini, La forma della guerra e l’anello che non tiene. L’ideologia della difesa e la militarizzazione delle scuole e della società Patrizia Cecconi, Israelizzazione della società e militarizzazione della scuola
Eirenefest a Bisceglie, 9 maggio 2025. Convegno sulla Palestina e presentazione libro Osservatorio
L’edizione locale biscegliese dell’Eirenefest, il Festival del libro per la pace e la nonviolenza, per il 2025 ha visto il coinvolgimento di numerose associazioni cittadine e nazionali, tra cui Amnesty International Bisceglie, ANPI sez. Michele D’Addato Bisceglie, Arci “Oltre i confini”, Caritas cittadina, Ass. Don Pierino Arcieri, Centro Studi per la Scuola Pubblica (CESP) provincia BA/BAT, Epass, Liceo “Da Vinci”, MEIC diocesano “Lazzati- Giannetto”, Mosaico di Pace, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Pax Christi Bisceglie, Zona Effe, Cobas Scuola Bari/BAT. Le iniziative per l’Eirenefest sono partite venerdì 9 maggio 2025 con un Convegno presso il Liceo “Leonardo da Vinci” Bisceglie rivolto alle classi V nell’ambito dell’educazione civica dal titolo “PER UNA PACE GIUSTA IN PALESTINA: DIRITTI, TERRA E UMANITÀ”. Il Convegno è stato introdotto e moderato da Michele Lucivero, docente Filosofia e Storia dello stesso Liceo “da Vinci” di Bisceglie e promotore dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, il quale ha mostrato brevemente la storia di un Paese prima occupato dai coloni inglesi, a seguito del mandato ottenuto dopo la Prima guerra mondiale, e poi dagli israeliani, che fondano uno Stato sotto la spinta del sionismo, una forma di nazionalismo nato in Europa. Così la storia della Palestina diventa la storia di una tragedia, di una catastrofe, Nakba, di un popolo senza Stato abbandonato dai fratelli arabi e dalla sorelle europee, da sempre presentatesi come paladine della democrazia e del principio di autodeterminazione dei popoli (di seguito le slide della presentazione). * * * * * * * * * * * * * * * * Il Convegno ha visto la partecipazione di Amira Abuamra, artista palestinese, Presidente del Laboratorio Palestina Cultura e Arte, che ha illustrato la situazione attuale a Gaza e in Cisgiordania, dove il massacro della popolazione palestinese è cominciato ben prima del 7 ottobre 2023. A seguire Jean Patrick Sablot, che si definisce ebreo errante, videomaker di origine francese, ha raccontato alle studentesse e agli studenti la dolorosa a ponderata decisione di avversare il sionismo, che tutt’oggi è la matrice dei problemi che affliggono la questione palestinese. Ha chiuso i lavori Mons. Giovanni Ricchiuti, Presidente Pax Christi Italia, che ha voluto soffermarsi sulla necessità di far tacere le armi per permettere a quei bambini e a quelle bambine palestinesi di sognare, così come possono sognare anche loro che vivono, non si sa ancora per quanto, visti i venti di militarizzazione dell’istruzione, in un contesto di pace. Interessante è stato l’intervento di Vito Boccia, docente di inglese del Liceo “da Vinci” di Bisceglie, che ha ricordato con delle testimonianze fotografiche l’incontro avvenuto negli anni ’90 tra una delegazione biscegliese, guidata dallo stesso Boccia e dall’ex sindaco di Bisceglie Franco Napoletano, con una delegazione palestinese guidata da Yasser Arafat. Lo scopo dell’incontro era l’avvio di una interessante rassegna teatrale con il Festival del Mediterraneo, che in passato portava a Bisceglie artisti palestinesi, siriani e di altri Stati del Mediterraneo, di cui poi è rimasta traccia nel gemellaggio con Khan Younis in Palestina e  Al Fuheis in Giordania e Tartous in Siria. Toccante, infine, è stata la proiezione del cortometraggio Shujayya, messo a disposizione da Nazra Short Film Festival, sulla Palestina del 2015, quando la popolazione era già sotto l’occupazione e i bombardamenti da parte dello Stato d’Israele. In serata, presso Sala don Pierino Arcieri dell’EPASS, si è svolta la seconda parte dell’Eirenefest di Bisceglie con la Tavola rotonda “LA GUERRA E NOI”, durante la quale Sergio Ruggeri e mons. Giovanni Ricchiuti hanno presentato il Rapporto Caritas Italiana su “Conflitti dimenticati”, mentre l’alunna Clarissa D’Ambrosio del Liceo “da Vinci” ha dialogato con Laura Marchetti sul volume dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università dal titolo Comprendere i conflitti. Educare alla pace. Clarissa D’Ambrosio si è soffermata sulla denuncia che Laura Marchetti lancia veementemente contro il patriarcato, inteso come struttura millenaria di dominio violento che lega potere politico, religioso e sociale. Il patriarcato non è solo il volto crudele di uomini al potere, ma un sistema simbolico che sacralizza la morte e le guerre, sia antiche sia moderne, da Achille a Netanyahu, sono il riflesso di una stessa ossessione patriarcale: quella del sacrificio del giovane, la sua morte per l’onore e il possesso. Eppure, esiste un altro sguardo della storia: quello delle donne, delle madri, delle maestre, che incarnano una resistenza silenziosa. La figura di Ecuba, madre disperata e consapevole del destino del figlio Ettore, diventa simbolo di questa resistenza. Quando decide di opporsi al sacrificio del figlio, il suo gesto estremo – mostrare i seni a Ettore e invocare pietà – ci rivela l’unica vera rivoluzione possibile: quella che si oppone alla morte con l’amore, un amore che rifiuta il sacrificio umano in nome dell’onore e del potere. La serata si è chiusa con la proiezione del docufilm Innocence di regista israeliano Guy Davidi sulla militarizzazione della società e della scuola israeliana e sui suoi rischi. Scarica qui il pdf della presentazione sulla Palestina. PalestinaDownload Pubblicato anche su www.eirenefest.it. Pubblicato anche su www.agorasofia.com.
“La scuola va alla guerra” e “Comprendere i conflitti. Educare alla pace”: due pubblicazioni presentate a Cagliari
Si è svolto il 29 maggio 2025 a Cagliari l’incontro pubblico per la presentazione dei libri di Antonio Mazzeo, La scuola va alla guerra, ed. il Manifesto libri e Comprendere i conflitti educare alla pace, Atti del I convegno nazionale, a cura dell’Osservatorio contro la militarizzazione della scuole e delle università, ed. Aracne.  L’iniziativa era promossa dal CESP (Centro studi Scuola Pubblica) di Cagliari e dall’Osservatorio contro la militarizzazione della scuole e delle università, in collaborazione con Mesa Noa Food Coop, emporio autogestito di prodotti locali e del commercio equo e solidale, presso cui abbiamo sistemato la location dell’evento.  Sono intervenuti gli autori Antonio Mazzeo e Michele Lucivero, con Andrea Degiorgi e Mariella Setzu del Cesp, a fronte di un uditorio folto e decisamente interessato che ha svolto varie considerazioni e posto quesiti.  Il saggio “La scuola va alla guerra” che ha come sottotitolo “Inchiesta sulla militarizzazione dell’istruzione in Italia” svolge un ampio excursus sui casi in cui figure militari intervengono nelle scuole per trattare un ampio arco di problematiche (bullismo, violenza di genere, tossico-dipendenze, educazione stradale, educazione alla cittadinanza, sport ecc.). I contatti con i militari tornano immancabilmente in quasi ogni rassegna dedicata all’orientamento, dove non mancano mai i diversi stand dei corpi d’arma del ministero della Difesa e dell’Interno, e nelle visite a strutture militari effettuate a titolo di PCTO (acronimo che ha sostituito la dicitura alternanza scuola-lavoro), dove gli studenti svolgono attività di manutenzione, assistenza tecnica su vari tipi di ordigni e sono incoraggiati a formarsi una cultura sulle armi, e in ogni caso a percepire come “normale” un ambiente militarizzato, cioè dedicato alla guerra, termine edulcorato in quello di “difesa”. Le  motivazioni di una tale logica militarista difficilmente conciliabile con lo spirito della Costituzione, calano dall’alto di scelte politiche verticistiche, e il saggio, presentato dal suo autore Antonio Mazzeo, ne dà ragguaglio rendendosi con ciò un prezioso strumento di informazione. Il libro Comprendere i conflitti educare alla pace, Atti del I convegno nazionale, è una raccolta di interventi svolti nel convegno del 5 maggio 2024 a Roma promosso dall’Osservatorio contro la militarizzazione della scuole e delle università, e da varie prospettive esamina aspetti che hanno a che fare con le guerre: la distinzione tra casus belli e cause effettive di una guerra (Kersevan), il militarismo culturale diffuso (Barnao), la fatale attrattiva che la guerra sembra esercitare (Marchetti), la militarizzazione come svilimento del dialogo e della riflessione, fondamentali pratiche dell’azione pedagogica (Ricchiuti), e altri aspetti messi in luce nei suoi interventi dal prof. Michele Lucivero che ha curato la raccolta e scritto l’introduzione.  In questo nuovo contesto internazionale, appare urgente demistificare le nuove giustificazioni della corsa al riarmo, delle politiche belliciste, per riaffermare  l’educazione alla pace.  E’ ciò che è emerso dai vari interventi, commenti e apporti inediti dei partecipanti che si sono succeduti dopo le stimolanti relazioni degli autori. Appare importante attuare un passaparola su queste problematiche, in modo da approfondire le conoscenze ed espandere l’area della sensibilità. La serata è finita con un ottimo buffet di cibi biologici offerto da Mesa Noa e dal CESP, riaffermando anche con questo gesto conviviale quanto dobbiamo ad una terra libera da inquinanti, laddove la guerra è un formidabile agente di distruzione e di persistente inquinamento. Osservatorio contro la militarizzazione della scuole e delle università, Cesp Cagliari
Trani, presentazione “Comprendere i conflitti. Educare alla pace” presso Metabolè
Si è svolta a Trani il 23 maggio 2025 alle ore 19.15 la presentazione del libro curato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università dal titolo Comprendere i conflitti. Educare alla pace con due degli autori, Michele Lucivero, docente promotore dell’Osservatorio, e Matteo Losapio, presbitero e cofirmatario del saggio insieme a mons. Giovanni Ricchiuti, insieme a Luigi Vavalà, docente di Filosofia e Storia in un Liceo di Trani. L’iniziativa è stata organizzata dall’Associazione Metabolè – Fucina dei Saperi di Trani e si è svolta presso l’HUB Portanuova con una grande partecipazione di pubblico. L’intervento di Michele Lucivero, oltre a illustrare i saggi contenuti nel volume degli atti del Convegno nazionale dell’Osservatorio del 2024, si è focalizzato sul lavoro costante di segnalazione del fenomeno della militarizzazione, ma anche sulla repressione e sulla riscrittura revisionistica della storia, tutti elementi che virano decisamente verso una svolta autoritaria della società, che vede come avamposto significativo la scuola. Matteo Losapio ha, invece, mostrato l’oscenità della guerra per la prospettiva cattolica e credente, richiamando l’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, il pontificato di Francesco e l’impegno accanto all’Osservatorio di Pax Christi con il suo presidente mons. Giovanni Ricchiuti, ma si è soffermato anche sulla militarizzazione come dispositivo microfisico di potere di foucaultiana memoria, che mediante la politica e il potere esercitato nelle istituzioni totali cerca di costruire un universo simbolico in grado di controllare e gestire i corpi delle soggettività. Molte delle riflessioni in questo senso si possono leggere su www.makovec.it. L’analisi filosofica e storica di Luigi Vavalà si concentra sulla prospettiva della militarizzazione che entra nei programmi scolastici e nelle strutture della scuola, ormai sospesa tra linguaggio bancario e militare. E, tuttavia, alla prospettiva della guerra è possibile opporre percorsi di pace, basta saper leggere in maniera alternativa tutta la storia del pensiero occidentale e non per rintracciare i germi della pace che possano germogliare tra i nostri studenti e le nostre studentesse. Qui il video integrale dell’iniziativa svoltasi a Trani.