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Crisi climatica, bisogna agire: la terra è sempre più calda
Bisogna agire, e in fretta. È quello che un appello, firmato da decine di ricercatori e ricercatrici di rilevanza nazionale, chiede al governo e al Ministero dell’Ambiente e della Transizione Energetica. L’appello riguarda l’obiettivo suggerito dal European Scientific Advisory Board on Climate Change (Comitato Scientifico Europeo sul Cambiamento Climatico, ESABCC) di ridurre le emissioni di gas climalteranti del 90%-95% entro il 2040 (calcolate rispetto al 1990).   «La preoccupante realtà del surriscaldamento globale non può più essere negata. Per questo è necessario che tutti facciano la loro parte per ridurre le emissioni climalteranti, in particolare quei Paesi come l’Italia e l’Europa che hanno una chiarissima responsabilità storica», recita una parte dell’appello. Tra le firme si trovano un gran numero di studiose e studiosi­ che si occupano di ricerche collegate al riscaldamento globale, tra cui Giorgio Parisi, Nobel in fisica, il climatologo del CNR Antonello Pasini, le climatologhe Elisa Palazzi (Università di Torino), Susanna Corti (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR), e molte altre figure rilevanti nell’ambito. > Quest’appello giunge in un momento in cui l’azione per contrastare il > riscaldamento climatico è più importante che mai: il 2024 è stato l’anno più > caldo registrato nella storia, durante il quale la World Meteorological > Organization (WMO) ha rilevato una temperatura media globale 1,55°C sopra i > livelli pre-industriali. Ciò accade mentre si è registrato il record di emissioni di CO2 da combustibili fossili, come riportato di nuovo dalla WMO stessa. La strada per evitare le conseguenze più catastrofiche della crisi climatica è stretta ma è ancora percorribile, come descritto nell’ultimo report dell’International Panel on Climate Change (IPCC) e passa necessariamente per l’abbattimento delle emissioni di gas serra, al fine di raggiungere il livello net zero. Il tempo con cui si raggiunge questo obiettivo è cruciale: i gas climalteranti permangono in atmosfera, dunque più rapida è la transizione e minori saranno le conseguenze delle emissioni sul clima del pianeta. L’appello al governo riguarda esattamente il punto della rapidità dell’azione contro la crisi climatica. Tra gli stati europei, l’Italia è tra paesi che più è (e sarà) colpito dalle conseguenze del riscaldamento globale: il record della temperatura più alta mai registrata in Europa è stato raggiunto nel 2021 in Sicilia con 48.8­°C.  Oltre a ciò, nel 2025 sono stati osservati 110 eventi climatici estremi in Italia, solamente nei primi 5 mesi dell’anno. Tra questi ricordiamo l’alluvione in Piemonte ad aprile, con picchi registrati di oltre 400 mm di pioggia nel giro di 24 ore, un evento climatico estremo che ha causato lo sfollamento di oltre 200 persone e la morte di una. Ricordiamo anche l’alluvione in Emilia Romagna nel 2023, che ha causato 17 vittime e decine di migliaia di persone sfollate. > Quest’estate ha visto il manifestarsi di notevoli ondate di calore in Europa: > uno studio pubblicato su “Nature”, che considera 12 città europee, mostra che > 1500 delle 2300 morti a causa di temperature elevate avvenute in un arco di 10 > giorni a giugno, il 65%, siano direttamente collegate all’incremento di > temperatura causato dalle emissioni legate ai combustibili fossili Le conseguenze del riscaldamento globale saranno sempre più rilevanti con il passare del tempo se i provvedimenti per la transizione ecologica tardano ad arrivare. A giugno di quest’anno, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha stimato che, nello scenario di politiche climatiche invariate, l’Italia nel 2050 si troverebbe a spendere annualmente il 5% del PIL per fronteggiare le conseguenze di fenomeni meteorologici estremi, valore da confrontare con lo 0.9% nel caso in cui l’obiettivo di neutralità carbonica entro il 2050 venga raggiunto. Nonostante questo, la presidente Meloni risulta essere una delle voci più critiche in Europa nei confronti del Green Deal: ad esempio in aprile, a seguito della minaccia dei dazi statunitensi, la premier ha suggerito di rivedere «le normative ideologiche del Green Deal e l’eccesso di regolamentazione in ogni settore» in quanto «costituiscono dei veri e propri dazi interni che finirebbero per sommarsi in modo insensato a quelli esterni». Affermazione a cui ha fatto eco anche il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso a un question time alla Camera. L’antagonismo del governo verso le istanze della transizione ecologica trova sponda in Europa, dove il PPE (Partito Popolare Europeo), che durante la scorsa legislatura ha appoggiato l’introduzione del Green Deal, guarda sempre più spesso a destra verso i Conservatori e Riformisti (ECR), collaborando a provvedimenti che complicano il percorso di transizione, ad esempio votando per l’istituzione di una commissione con il fine di rivedere il budget assegnato alle ONG che si occupano di temi legati all’ecologia e affossando una proposta di direttiva contro le pratiche di greenwashing. Tutto questo accade mentre l’attenzione dei media sul tema della crisi climatica non sembra essere commisurata con la gravità della situazione. Ne abbiamo già parlato in un articolo di Riccardo Carraro. Al contrario, si vede una diminuzione della copertura mediatica: nel 2024 c’è stato un dimezzamento del numero di notizie riguardanti la crisi climatica rispetto al 2023, sia su carta sia sui telegiornali, come riporta Greenpeace. Il momento migliore per agire per fermare la crisi climatica era decine di anni fa, il secondo momento migliore è oggi. Per questo è estremamente importante agire in modo collettivo, al fine di mantenere alta l’attenzione sul tema e di spingere i governi a intraprendere azioni urgenti su questo fronte. > Gli occhi sono puntati sulla COP30, che avverrà a novembre a Belém, città > brasiliana nelle vicinanze della foresta amazzonica. Sarà un momento cruciale > di mobilitazione per attiviste e attivisti da tutto il mondo e per le > popolazioni indigene, i cui territori si sono dimostrati resistenti > all’aumento delle deforestazione che ha caratterizzato gli anni della > presidenza Bolsonaro. La COP29, che ha avuto luogo in Azerbaigian l’anno scorso, ha visto la partecipazione di un folto gruppo (più di 1700 persone) di lobbysti delle industrie del petrolio, carbone e gas, più numeroso delle delegazione di gran parte dei paesi partecipanti. Probabilmente, anche per via di ciò, il documento finale della conferenza ha deluso le aspettative di diverse organizzazioni ambientaliste e di molti paesi del sud globale, che sottolineano, tra le altre cose, una mancanza di finanziamenti atti a fronteggiare la crisi climatica. Anche per questo è importante la mobilitazione in vista della COP30. La Direttrice Esecutiva della Conferenza delle Parti di quest’anno, Ana Toni, sostiene che «il clima è la nostra guerra più grande», si tratta però di agire di conseguenza. L’autore dell’articolo ha frequentato il Corso di giornalismo sociale 2025 organizzato da Dinamopress L’immagine di copertina è di Marta D’Avanzo SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Crisi climatica, bisogna agire: la terra è sempre più calda proviene da DINAMOpress.
“Le armi o la vita”. A Roma assemblea dei movimenti per la giustizia ambientale e sociale
“La crisi climatica è una questione sociale, globale e morale. È una minaccia per la vita umana e per il pianeta”. Con queste parole, Papa Francesco ha più volte denunciato l’urgenza di un cambiamento radicale, chiamando i governi e le società civili a una responsabilità condivisa. In questo spirito, lunedì 8 settembre, la Casa della Solidarietà “Stefano Rodotà” di San Lorenzo ospiterà l’assemblea “Le armi o la vita”, promossa dalla Rete dei Numeri Pari e da numerosi movimenti italiani e internazionali. L’iniziativa si inserisce nel percorso di convergenza verso la COP30, che si terrà a Belém, in Amazzonia, nel 2025. Un appuntamento cruciale per i movimenti climatici e sociali del Sud globale e non solo, in un contesto segnato da guerre, disuguaglianze e devastazione ambientale. Sharon Lavigne: la lotta contro il razzismo ambientale Ospite d’eccezione dell’assemblea sarà Sharon Lavigne, attivista afroamericana e fondatrice di RISE St. James, organizzazione nata per contrastare l’espansione dell’industria petrolchimica nella “Cancer Alley” della Louisiana, una delle aree più inquinate degli Stati Uniti. Ex insegnante di educazione speciale, Lavigne ha fondato RISE nel 2018 nel salotto di casa sua. Da allora ha guidato una mobilitazione che ha portato alla cancellazione di un impianto da 1,25 miliardi di dollari della Wanhua Chemical Group. Oggi è impegnata contro il progetto da 9,4 miliardi della Formosa Plastics, che minaccia di aggravare l’inquinamento e profanare cimiteri di schiavi afroamericani. Per il suo impegno ha ricevuto il Goldman Environmental Prize nel 2021, la Laetare Medal nel 2022 ed è stata inserita tra le TIME100 nel 2024. “Mi dicevano: ‘È una battaglia persa’. Ma questo mi ha dato la forza di combattere”, ha raccontato. Madre di sei figli e nonna di dodici nipoti, Lavigne è oggi una delle voci più autorevoli contro il razzismo ambientale e per la giustizia climatica. Un’assemblea per costruire convergenze L’assemblea vedrà la partecipazione di attivisti, reti territoriali, comitati e realtà sociali impegnate in Italia e nel mondo. Sarà un momento di confronto e proposta, per rilanciare un’agenda comune che metta al centro la difesa della vita, della terra e dei diritti. “Le armi o la vita” non è solo uno slogan, ma una scelta politica e morale. In vista della COP30, Belém diventa il simbolo di una sfida globale: quella di costruire un futuro giusto, libero dalla violenza e dalla devastazione ambientale. A parlare saranno anche gli attivisti italiani, impegnati nelle lotte contro le grandi opere inutili, l’estrattivismo, la militarizzazione dei territori e la negazione dei diritti sociali. “Non possiamo parlare di transizione ecologica senza giustizia sociale”, ha più volte denunciato Stop Rearm Europe. “La COP30 deve essere un’occasione per dare voce ai territori, alle comunità resistenti, a chi ogni giorno difende la vita contro gli interessi delle multinazionali e dei governi complici. “L’incontro con Sharon Lavigne ci ricorda che la giustizia climatica è anche giustizia razziale, storica e culturale: dalla Louisiana a Gaza, dalla Sicilia all’Amazzonia, le lotte sono interconnesse. E Roma deve essere parte di questa convergenza globale” Rete #NOBAVAGLIO