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Cosenza e Crotone: prassi illegittime e diritti negati ai richiedenti asilo
Tempi d’attesa «biblici», dinieghi «copia e incolla», richieste arbitrarie di documenti, uffici inaccessibili persino agli avvocati. È il quadro che emerge dalle segnalazioni inviate il 14 novembre da una coalizione di oltre venti organizzazioni 1 – coordinate da ASGI Calabria – al Ministero dell’Interno, alla Prefettura e alla Questura di Cosenza, alla Commissione Nazionale Asilo e alla Commissione territoriale di Crotone. Lettere dettagliate che descrivono un sistema «cronico e in costante peggioramento», capace di negare diritti fondamentali ai richiedenti asilo e di gravare sul funzionamento della giustizia. L’iniziativa ha raccolto inoltre un’ampia adesione tra decine tra avvocati, operatori sociali, centri SAI. Nella lettera indirizzata alla Questura di Cosenza 2, le associazioni parlano di una situazione che «le persone sono costrette a subire da più di tre anni». L’Ufficio immigrazione «riceve quotidianamente un numero di persone molto inferiore al totale di quante vorrebbero accedervi», con la formazione di code interminabili e «persone costrette ad arrivare estremamente presto negli orari mattutini» per sperare di entrare. Le violazioni più gravi riguardano la fase iniziale della procedura di protezione internazionale. Le associazioni firmatarie denunciano l’«attuale sostanziale impossibilità di presentare domanda di protezione internazionale»: appuntamenti fissati per «marzo 2026», rinvii orali, settimane di tentativi a vuoto per accedere agli uffici. Tutto ciò lascia i richiedenti asilo «privi di un valido titolo di soggiorno», impossibilitati ad accedere a cure mediche, lavoro, alloggi e accoglienza, e potenzialmente esposti al rischio di espulsione. Non solo: l’amministrazione subordina la formalizzazione della domanda alla presentazione di documenti sull’ospitalità, richiesta non prevista dalla legge e in contraddizione con quanto la stessa Questura aveva dichiarato in un precedente accesso civico. Una prassi che il Tribunale di Catanzaro ha già più volte censurato, condannando l’Ufficio a provvedere entro 3–10 giorni. Le associazioni denunciano anche una totale incertezza sul rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, con informazioni «contraddittorie» fornite oralmente e richieste di documentazione «non prevista da alcun disposto normativo». Le tempistiche superano «i previsti 60 giorni» e spesso perfino i 180 giorni massimi, arrivando «a svariati mesi, se non addirittura anni». Di particolare gravità, scrivono le organizzazioni, è il fatto che sia «sistematicamente impedito l’ingresso» agli avvocati e agli operatori legali che accompagnano i propri assistiti: una violazione palese del diritto di difesa all’interno di un ufficio «che è diretta espressione dell’amministrazione dello Stato sul territorio». Si segnalano inoltre «mancanza di mediatori» adeguati, rilascio ritardato dell’attestazione della domanda d’asilo, violazioni della legge 241/90 sul procedimento amministrativo e una serie di «comportamenti inurbani e aggressivi» da parte del personale di sportello. LA COMMISSIONE TERRITORIALE DI CROTONE: DINIEGHI STEREOTIPATI E TEMPI INTERMINABILI La seconda lettera, indirizzata alla Commissione territoriale di Crotone 3, descrive altrettante criticità. Viene riferito un «altissimo numero di provvedimenti di diniego» spesso formulati attraverso «mere formule di rito, dal contenuto stereotipato» e privi di qualunque ricerca COI (country of origin information). Questi rifiuti, si legge, vengono «nella grandissima maggioranza dei casi» ribaltati in Tribunale già in primo grado, con un aggravio inutile per la Sezione specializzata del Tribunale di Catanzaro. Allarmante anche quanto riferito su alcuni commissari di nuova nomina, che durante le audizioni avrebbero commentato: «tanto poi c’è il ricorso», mostrando «assoluta non consapevolezza del delicato ruolo ricoperto». I tempi di convocazione per le audizioni «arrivano anche a due anni dalla presentazione della domanda», mentre le decisioni possono richiedere 8-9 mesi. Ancora più critica la situazione dei pareri relativi alla protezione speciale: ritardi ingiustificati, pareri «nella stragrande maggioranza dei casi di senso negativo» e totale assenza della valutazione degli elementi previsti dalla legge. Nella lettera sono denunciate anche «ostilità verso la produzione documentale» da parte di legali e operatori durante le audizioni, trasferimenti immotivati di fascicoli ad altre Commissioni, e l’abbandono delle prassi virtuose di confronto con il territorio che in passato caratterizzavano l’ufficio. Le conseguenze, scrivono le associazioni, sono la «lesione dei diritti dei richiedenti asilo», l’aumento del contenzioso e un generale «svilimento» della procedura amministrativa. LE RICHIESTE DELLE ASSOCIAZIONI: VERIFICHE E MISURE CORRETTIVE Dinanzi a un quadro giudicato «cronico e strutturale», le organizzazioni firmatarie chiedono che le autorità competenti avviino «una verifica approfondita delle prassi contestate» e adottino misure urgenti per ristabilire legalità, trasparenza e il rispetto delle garanzie previste dalla legge italiana ed europea. Le associazioni si dichiarano inoltre disponibili a un incontro «con tutte le realtà operanti nel settore» per individuare soluzioni e ripristinare un dialogo con le istituzioni. 1. Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione – ASGI Associazione Don Vincenzo Matrangolo E.T.S. di Acquaformosa Agorà Kroton soc. coop. sociale onlus Ambulatorio medico “A. Grandinetti” e Auser Cosenza ArciRed Associazione Comunità Progetto Sud ETS Associazione Culturale “La Kasbah ETS” Carovane Migranti Centro Sai Cerchiara coop. soc. Medihospes Cidis Impresa sociale ETs CNCA Calabria Collettivo L’Altra Marea Equipe sociosanitaria-sopravvissuti a tortura Germinal APS La Base La Terra di Piero Lotta Senza Quartiere ODV Prendocasa Sabir Srl Sociale ETS Sportello legale “Stand-Up” Usb Cosenza Avvocati di strada di Cosenza. ↩︎ 2. Lettera indirizzata alla Questura di Cosenza ↩︎ 3. Segnalazione in merito all’attività della Commissione Territoriale di Crotone ↩︎
Sciopero generale per Gaza anche a Cosenza
Anche la Calabria, a Cosenza, ha voluto unirsi al resto d’Italia per manifestare tutta l’indignazione, lo sdegno e la condanna di quel che sta avvenendo a Gaza e per esprimere solidarietà e vicinanza al popolo palestinese, simbolo drammatico di quello che il nostro Occidente è diventato: un impero fondato su esercito e finanza, cioè terrore e sfruttamento, in cui non c’è più spazio per “sottigliezze” come la vita, i diritti umani, i diritti sociali, le regole democratiche e il diritto internazionale. La data del 22 settembre come giornata di sciopero e mobilitazione era stata indicata dall’USB (Unione Sindacale di Base), e ad essa avevano dato adesione i Comitati provinciali per la Palestina della Calabria nell’affollata assemblea tenuta il 14 settembre presso l’Università di Rende. Ma sarebbe riduttivo ricondurre la manifestazione solo a queste componenti. L’iniziativa promossa dall’USB ha dato modo di far sentire la propria voce, di riconoscersi uniti ai tanti che vivono questo genocidio in diretta con rabbia, angoscia e senso di frustrazione: una moltitudine di persone, di tutte le età e condizioni, colorata solo dalle bandiere della Palestina e della pace, ha portato “rumore” per oltre tre ore di percorso lungo le vie della città, per ribadire il suo “NO” al mondo in cui questo genocidio trova posto. Una partecipazione trasversale, e ben consapevole che i nemici della Palestina (dichiarati o nascosti nell’ambiguità) oggi sono gli stessi che conculcano i diritti e guardano alla guerra come risorsa, che la cercano e la alimentano a loro profitto; perché le guerre non “scoppiano”, ma sono il risultato di una filiera di operazioni e scelte che la preparano. Chi è stato in piazza a Cosenza ieri si è sentito unito al resto d’Italia e non solo, nel chiedere per prima cosa e subito che cessi la mattanza in Palestina, ma anche per gridare forte che altro è il mondo che vogliamo e che continueremo a lottare per costruirlo. Francesca Romano
Un festival per la libertà di movimento
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Difficilmente quindici anni fa gli organizzatori del Festival delle migrazioni Don Vincenzo Matrangolo di Acquaformosa (Cs) potevano immaginare cosa sarebbe diventato quest’evento annuale che coinvolge studiosi, operatori e volontari da tutto il mondo. I numeri di quest’anno, hanno superato di gran lunga le più rosee aspettative: oltre 1.000 presenze negli otto convegni, 10.000 nei concerti e oltre 150.000 visualizzazioni sui canali social e sul sito del festival, un successo straordinario se si pensa che negli ultimi anni il festival ha assunto una dimensione itinerante con iniziative dislocate nei vari comuni arbershe aderenti all’associazione. Luoghi collegati poco e male da sali e scendi tra calanchi calabresi, arroccati fino anche ad 800 metri di altezza dove anche ad agosto la brezza è fresca e piacevole. Un’organizzazione pazzesca: dal 22 al 31 agosto il festival si è spostato ogni giorno e ogni giorno ha proposto un programma imperdibile. Rappresentanti di Emergency, Medici senza Frontiere, Sos Mediterranee, studiosi dal Giappone, giornalisti, scienziati ma anche artisti e musicisti. Ogni giorno un concerto a fine serata dopo le immancabili cene sociali in piazza organizzate dai SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) e dai comuni coinvolti. Cibi della tradizione calabrese–arbereshe ma anche piatti da tutto il mondo realizzati insieme agli ospiti dei progetti. I sindaci dell’associazione hanno celebrato i quindici anni di accoglienza il 23 agosto ad Acquaformosa, rivendicando con orgoglio il valore di questa scelta che ha cambiato la vita di tante persone accolte ma anche delle comunità accoglienti. Un festival itinerante dicevamo, uno spostamento di corpi e di energie ben sincronizzato, gli operatori dei SAI coinvolti sempre presenti ed efficienti, un via vai di idee, progetti, iniziative, nonostante lo sforzo organizzativo e la stanchezza che inevitabilmente si è accumulata. Un’“onda calabra”, per riprendere il titolo della canzone del Parto delle nuvole pesanti che da sempre è ospite del festival, si è mossa per giorni da un luogo a un altro con gioia, con l’intenzione di esserci e prendere parte agli incontri. Livello altissimo, un programma ricco su quanto di urgente e necessario va detto in un momento storico in cui le migrazioni sono sempre più criminalizzate. Resistenza, il leitmotiv di quest’anno come dell’anno precedente. Un’onda calabra per resistere all’onda di discriminazione, per discutere senza pregiudizi su quanto sta accadendo nel mondo e in particolare qui in Italia dove oltre il 90 per cento dei cittadini sono di fede cattolica e sembra dimenticare i valori del Vangelo. Non potevano mancare perciò interventi da questo mondo, Donato Oliviero, vescovo della diocesi di Lungro, don Ennio Stabile presidente dell’associazione San Benedetto Abate,  Francesco Casarello della Comunità di Sant’Egidio. Uomini di Chiesa che non hanno paura di schierarsi dalla parte dei più deboli. Gli organizzatori hanno voluto affrontare tutti i temi “caldi”, le odissee di chi chiede asilo dopo una tragica traversata in mare, di chi è stato fortunatamente salvato da qualche ONG che per questo motivo oggi è nel mirino del governo. Luciano Scalettari, presidente di Resq, una delle navi di soccorso nata dal basso grazie all’iniziativa di cittadini e associazioni, ha firmato un protocollo con l’associazione Don Vincenzo Matrangolo per la nascita di un equipaggio di terra dei paesi Arberesh, perché qui, in queste terre, non si dimentica la propria storia. Seicento anni fa infatti, molti albanesi scapparono dall’Albania per sfuggire alle persecuzioni dei turchi e trovarono rifugio in queste zone tra Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia. Proprio in Calabria risiede la più numerosa concentrazione di albanesi, gli arbereshe appunto. In queste zone isolate dove la presenza di migranti ha rivitalizzato comunità a rischio di estinzione, dimostrando concretamente che le migrazioni non solo non sono un problema ma possono essere una risorsa, si è parlato di un cambio di paradigma, di provare a superare il concetto di migrazione e immaginare un futuro di mobilità dove tutti possano essere liberi di muoversi. Utopia? Forse sì, forse anche solo immaginarlo è sconvolgente ma se si superano i pregiudizi si può realmente immaginare un futuro senza limiti invalicabili e cominciare a discuterne è auspicabile. L’argomento è purtroppo molto attuale se si pensa alla situazione di Gaza e al dramma dei palestinesi. Non è un caso che quest’anno gli organizzatori del festival hanno deciso di investire il ricavato del festival in progetti equo solidali per Gaza e dedicare l’ultima serata proprio a questo argomento. Ad oggi sono stati raccolti oltre 3.000 euro dalla vendita della Gaza Cola e da gadget realizzati dai progetti SAI che contribuiranno a ripristinare i servizi essenziali dell’ospedale Al- Karama a Gaza nord. La serata finale del festival si è conclusa con un commosso collegamento con i ragazzi dell’equipaggio della Global Sumud Flotilla partiti da Barcellona. Ogni anno è sempre un successo, ogni anno gli organizzatori chiudono il festival con un bilancio più che positivo ma quest’anno il protagonista in assoluto è stato certamente il pubblico. La legge 80 derivata dai decreti sicurezza, la politica securitaria del governo atta a contrastare ogni forma di manifestazione di dissenso ha generato un forte bisogno di confrontarsi, di “esserci” qui e ora. Il festival delle migrazioni ha assunto il più ampio significato, tutti i partecipanti sono stati per quei giorni fuggitivi, irregolari in cerca di asilo, di un luogo pacifico dove confrontarsi senza timore e in quei paesi tra i calanchi calabresi hanno trovato la giusta accoglienza. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Un festival per la libertà di movimento proviene da Comune-info.
«Accoglienza sotto assedio»: la denuncia del collettivo L’AltraMarea a Camigliatello Silano (CS)
«Accogliere con dignità non è una scelta, è un obbligo morale». Con queste parole il collettivo L’AltraMarea di Cosenza ha annunciato la sua nascita e la finalità di denunciare le condizioni dei cittadini e delle cittadine migranti all’interno dei centri di accoglienza governativi e dei centri di detenzione.  Il collettivo si impegna a monitorare, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle criticità e le ingiustizie che «ancora oggi angosciano i migranti in questi contesti». Inoltre, si propone di far conoscere le reali condizioni di vita all’interno dei centri di accoglienza, fare pressione sulle autorità e promuovere un cambiamento dell’attuale ordinamento giuridico in materia di immigrazione. A fine luglio L’AltraMarea ha diffuso il suo primo report di un monitoraggio dal titolo eloquente: Accoglienza sotto assedio. Sceriffi, minacce e degrado a Camigliatello. Il documento di denuncia, ripreso e confermato dall’articolo della stampa locale 1 , raccoglie testimonianze e fotografie dall’ex hotel La Fenice, trasformato da tempo in Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) gestito dalla società locale Alprex S.a.s. «È singolare – scrive il collettivo – che l’ex Hotel La Fenice – simbolo mitologico di rinascita – si trasformi invece nell’antitesi della vita dignitosa. Qui, dove persone già segnate da violenze e traumi dovrebbero ricominciare, si trovano invece abbandono e maltrattamenti». Già nel 2016 erano state segnalate «violazioni quotidiane dei diritti essenziali dei migranti, parcheggiati come pacchi» sotto la gestione dell’associazione A.N.I.MED. «Siamo tornati a distanza di nove anni», spiega il gruppo di attivistə, «e constatiamo purtroppo un’involuzione del sistema di accoglienza». Tra le testimonianze raccolte spicca quella di T., giovane ospite del centro. Mostrando foto dei pasti, racconta di cibo servito «in piatti di plastica sigillati, gonfi per fermentazione batterica» e «maleodoranti». «Alle nostre proteste – denuncia – la risposta è stata: o mangiate questo o null’altro». Le condizioni igieniche vengono descritte come «un girone infernale»: docce incrostate, rubinetteria assente, muri segnati da calcare e ruggine. Agli ospiti viene consegnato «un solo cambio di vestiti all’arrivo e più nulla», con la lavatrice riservata «esclusivamente alla direzione». I materassi sarebbero «lerci, bucati, macchiati di aloni gialli e marroni», le stanze «umide e ammuffite». Gli ospiti parlano anche di «assenza totale di attività»: niente corsi di lingua, nessuna formazione, nessun percorso di inserimento. «I ragazzi passano le giornate nell’inerzia, vagando lungo la statale o seduti sulle panchine dei bar». Sul piano sanitario, il racconto è analogo: «Viene somministrato sempre e solo lo stesso farmaco, l’Oki. Nessun medico, nessun avvocato, nessuno psicologo». Il punto più inquietante riguarda la gestione interna. «Un membro della direzione, identificato come Alessandro, si atteggia a sceriffo – prosegue L’AltraMarea –. Diversi migranti ci raccontano che avrebbe mostrato una pistola per intimorire gli ospiti. In un caso, documentato da video, avrebbe addirittura aggredito fisicamente un minore». Chi protesta rischia ritorsioni. È lo stesso T. a raccontarlo: dopo aver contattato i carabinieri per denunciare le condizioni del centro, si sarebbe visto decurtare il pocket money di 25 euro al mese. «Un sopruso senza alcuna giustificazione», denuncia il collettivo. «Cambiano i padroni, ma rimane la stessa disumanità», constata il collettivo L’AltraMarea. «Ci chiediamo come sia possibile che le istituzioni non intervengano davanti a episodi tanto gravi, che riguardano anche minori. Queste persone sopravvissute a tragedie immense vengono ridotte a sgualcite banconote ambulanti, utili solo ad alimentare il business di gestori». E conclude: «Non si può continuare a ignorare che dietro ogni numero ci sono vite, ferite e speranze di rinascita». 1.  Il buio ai piedi della candela: viaggio in Sila nell’ex hotel La Fenice, tra degrado e paura, di Alessia Principe – CosenzaChannel ↩︎