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Giustizia per le vittime della fortezza Europa
122 funzionari dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri potrebbero essere indagati dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità a causa del trattamento dei richiedenti asilo nel Mediterraneo Centrale, in base al report presentato da Front-LEX. Dopo sei anni di indagini, gli avvocati Juan Branco – uno dei difensori di Julian Assange – e Omer Shatz – direttore della ONG front-LEX 1,- insieme al team dell’organizzazione e la clinica legale “International Law in Action” dell’università parigina Sciences Po, hanno presentato 2 alla Corte Penale Internazionale un report di 700 pagine che denuncia come i membri dell’apparato di potere europeo siano direttamente ed individualmente responsabili per crimini contro l’umanità, avendo ideato ed implementato politiche restrittive contro i flussi migratori nel Mediterraneo Centrale 3. Questo rapporto rappresenta il punto d’arrivo di un percorso quasi decennale. front‑LEX è un’organizzazione legale indipendente, focalizzata sulla difesa dei diritti umani attraverso la litigazione strategica contro le politiche migratorie dell’UE, in particolare quelle gestite da Frontex 4. Utilizzando il diritto come strumento di cambiamento sociale, agisce in contesti legali complessi per sfidare pratiche come i respingimenti illegali e la cooperazione con regimi autoritari. Dopo i grandi naufragi del 2013, l’Unione Europea e gli Stati Membri potenziano i loro accordi con i Paesi di transito, primo tra tutti la Libia, e viene dato inizio ad una campagna di diffamazione contro le ONG che lavorano nel Mediterraneo sopperendo alle mancanze dei governi europei. L’8 maggio 2017 la Procuratrice della Corte Penale Internazionale (CPI) riporta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che «seri e diffusi» crimini contro l’umanità – tra cui omicidi, stupri, e torture – vengono commessi contro «migliaia di persone migranti vulnerabili, inclusi donne e bambini». È un momento storico, la prima volta in cui viene formalmente riconosciuta la possibilità di crimini internazionali 5 lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Tuttavia, dopo 8 anni, più di 25mila morti e 150mila deportati in Libia, le parole della Procuratrice sono rimaste parole: la CPI non ha ancora aperto né l’istruttoria né formulato un’accusa. La Corte Penale Internazionale (CPI), con sede all’Aia, è un tribunale permanente che giudica individui accusati di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e di aggressione. Istituita dallo Statuto di Roma del 1998, interviene solo quando gli Stati non possono o non vogliono perseguire tali crimini. È indipendente dalle Nazioni Unite, ma collabora con esse. La società civile ha però continuato a lavorare. Nel 2019, l’avv. Shatz e l’avv. Branco hanno inviato una comunicazione4, in base all’Articolo 15 dello Statuto di Roma 6, il cui contenuto dimostra che i crimini “seri e diffusi” di cui aveva parlato la Procuratrice sono sistematici, e commessi in base alle politiche migratorie dell’Unione Europea, elaborate con lo scopo preciso di impedire a qualunque costo ai richiedenti asilo di raggiungere il suolo europeo. In particolare, sono state individuate due politiche di deterrenza: la prima, uccisioni di massa per annegamento, iniziata con la chiusura dell’Operazione Mare Nostrum 7, inquadrata nel crimine contro l’umanità di omicidio; la seconda, adottata proprio contro le ONG che hanno tentato di riempire questo vuoto letale creato nel Mediterraneo, respingimenti di massa per procura grazie alla conclusione di accordi con la Libia 8 inquadrata nei crimini contro l’umanità di deportazione, sparizione forzata di persone, omicidio, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, reclusione, e altri atti inumani diretti contro civili 9. Confermando questo inquadramento, nel 2020 il caso è stato ammesso dalla Procuratrice della CPI. Questa ha così affermato la propria giurisdizione: la CPI, in base all’articolo 13 dello Statuto di Roma, ha infatti giurisdizione non solo su deferimento dei procuratori nazionali o del Consiglio di Sicurezza, ma anche in caso di indagine aperta proprio motu, per cui è necessaria l’autorizzazione della Camera preliminare della Corte (Pre-trial Chamber). Afferma anche il fatto che ci sia una base ragionevole per credere che tali crimini fossero effettivamente stati commessi. Ulteriore conferma è giunta nel 2023, quando una Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite, istituita dal Consiglio dei diritti umani ha concluso che l’UE e gli Stati Membri stanno partecipando in crimini contro l’umanità commessi lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Tuttavia, in un’audizione davanti al Parlamento Europeo del maggio 2020, la Procuratrice della CPI ha sottolineato che la prima comunicazione di Front-lex riguardava la responsabilità degli Stati, elemento alieno alla giurisdizione della CPI, che si occupa invece di responsabilità individuale. A luglio 2020, la comunicazione è stata aggiunta al dossier riguardante la situazione in Libia; secondo gli autori della comunicazione, erroneamente, considerando che le vicende analizzate sono diverse e concettualmente slegate dal conflitto civile libico. Vista l’inerzia della CPI, il team di Front-lex ha presentato una seconda comunicazione, il 6 ottobre 2025 10. Questa è concentrata sull’apparato di potere che ha progettato e implementato i crimini descritti nella prima comunicazione e sull’identificazione degli individui che li hanno ideati, ordinati, ed eseguiti. Sono stati analizzati i sistemi di 28 Stati (i 27 Stati UE e il Regno Unito) e le istituzioni europee, mappando ogni organo ed agenzia coinvolta, estraendo i nomi dei funzionari, e valutando la responsabilità penale individuale di ognuno. A tal fine, sono stati intervistati 77 testimoni e potenziali sospetti, sono stati analizzati documenti interni e verbali di riunioni confidenziali, nonché documenti pubblici. Il risultato è una lista di 122 responsabili, nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che i sospettati abbiano partecipato alla commissione dei reati contestati. Quello che si richiede alla CPI è di chiedere l’autorizzazione per aprire un’indagine ed esaminare la responsabilità penale dei sospetti individuati, coordinarsi con i rappresentanti legali delle vittime per ottenere ulteriori prove, e di ri-nominare la popolazione civile colpita come «richiedenti asilo di diverse nazionalità transitanti lungo la rotta del Mediterraneo centrale» (e non più come “migranti libici”). I 122 responsabili sono stati suddivisi in quattro categorie, in base al grado di responsabilità (highest, high, medium e low). Nella prima, alti funzionari delle istituzioni e delle agenzie europee (il Consiglio dell’Unione Europea, la Commissione, Frontex, l’EEAS, e l’Agenzia Europea per la Sicurezza Marittima), e Ministri e Capi di Stato europei. Spiccano Angela Merkel, Joseph Muscat (primo ministro maltese dal 2013 al 2020), e Viktor Orban. I nomi italiani sono 32, un quarto del totale, cifra vertiginosa se si considera che la lista include cittadini di altri 27 Paesi e funzionari UE. Tra questi, tre Presidenti del Consiglio dei Ministri (Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e Giuseppe Conte), tre ministri degli interni (Angelino Alfano, Marco Minniti e Matteo Salvini), Andrea Orlando (ministro della Giustizia dal 2014 al 2018), Danilo Toninelli (ministro dei trasporti nel 2018), Elisabetta Trenta (ministra per la difesa nel 2018), Enzo Milanese (ministro per gli affari esterni nel 2018), membri di gabinetto, PM di Trapani e Catania, ufficiali della Guardia Costiera. I rappresentanti legali delle vittime hanno presentato alla CPI anche un’altra lista, “the officials database”, contenente i nomi di individui che hanno ricoperto cariche ufficiali durante il periodo esaminato, il cui coinvolgimento merita ulteriori analisi. La lista contiene 384 nomi, tra cui l’ex Primo Ministro greco Tsipras e l’ex PM inglese David Cameron. Anche qui, l’Italia è sovra rappresentata: 108 italiani, tra cui Luciana Lamorgese, Luigi di Maio e Matteo Piantedosi. In quanto paese primario d’arrivo delle persone migranti, l’Italia ha avuto un ruolo centrale nell’implementazione delle politiche UE nel Mediterraneo Centrale, richiedendo e introducendo regole sempre più restrittive contro i richiedenti asilo e contro le ONG. Il report analizza in particolare il coinvolgimento delle istituzioni italiane nella conclusione del Memorandum Italia – Libia, stabilito nel 2017 e rinnovato per la terza volta il 17 ottobre 2025 11, e nell’istituzione del Fondo Africa, nella collaborazione con Frontex e la “guardia costiera” libica per respingimenti in acque italiane e internazionali. Approfondimenti MEMORANDUM ITALIA-LIBIA, UN PATTO DI VIOLAZIONI E ABUSI Il 2 novembre l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestiamo a Roma il 18 ottobre Carlotta Zaccarelli 29 Settembre 2025 L’azione di Front-lex e degli avvocati Branco e Shatz è innovativa. Giuridicamente, è una strada mai provata prima: non esistono al momento cause intentate contro gli Stati europei o l’Unione Europea davanti alla CPI o alla Corte di Giustizia Internazionale per crimini commessi contro le persone migranti. È invece consolidata la giurisprudenza della CEDU sul punto – tanto che è stato richiesto alla Corte di riconsiderare il proprio orientamento, considerato da diversi leader europei, Italia e Danimarca in primis, troppo garantista 12. Anche a livello nazionale ci sono state delle evoluzioni: le corti penali italiani hanno emesso condanne concernenti naufragi o deportazioni forzate in Libia, e il Servizio Scientifico tedesco ha nel 2023 indicato come respingere i richiedenti asilo verso la Libia potesse dare adito a responsabilità penale individuale in base al Codice Penale tedesco. Nel 2024 la Corte costituzionale italiana ha riconosciuto che la Libia non è un Paese sicuro per i richiedenti asilo, e che i respingimenti costituiscono un crimine in base alla legge internazionale 13. Approfondimenti/Guida legislativa CORTE DI CASSAZIONE: LA LIBIA NON È UN PORTO SICURO Chiunque consegni alle autorità libiche le persone soccorse è perseguibile Avv. Arturo Raffaele Covella 28 Febbraio 2024 L’incisività della CPI è stata fino ad ora piuttosto limitata, e questo anche sul fronte delle indagini sulle azioni di Gheddafi e il conflitto libico. Ad ottobre 2024 la Camera preliminare ha desecretato sei mandati d’arresto contro membri della milizia al Kaniyat per crimini di guerra, ma i responsabili sono tuttora in libertà; nonostante ciò, la Corte ha annunciato la propria intenzione di chiudere il dossier nel 2026. Il 18 gennaio 2025 la CPI emette un mandato d’arresto contro Osama Almasri Njeem. Poco dopo il suo arresto in Italia, viene rimpatriato in Libia a bordo di un aereo di Stato italiano. Gli avvocati Shatz e Branco presentano una mozione alla CPI richiedendo di indagare sull’accaduto, prospettando una responsabilità di Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi per ostruzione della giustizia in base all’articolo 70 dello Statuto di Roma. Notizie CASO ALMASRI: LAM MAGOK CHIEDE ALLA CORTE COSTITUZIONALE DI FARE LUCE SULL’OPERATO DEI MINISTRI «L’Italia è sotto ricatto e il Governo lo rivendica come scelta politica» Redazione 21 Ottobre 2025 Il 17 ottobre 2025 la Camera preliminare della CPI 14 ha individuato nel comportamento italiano una violazione dello Statuto di Roma. Secondo la CPI infatti rimpatriare Almasri senza informare la Corte dell’esito del procedimento davanti alla Corte d’appello né tanto meno del rimpatrio stesso costituisce una violazione dell’obbligo di cooperazione, in base all’articolo 97 dello Statuto di Roma. La CPI parla di comunicazioni interrotte dall’Italia dopo l’arresto, e di spiegazioni “contraddittorie e giuridicamente infondate” fornite riguardo alla vicenda. La CPI ha differito il rinvio al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea ONU, ma ha esplicitato come l’Italia abbia impedito alla Corte stessa di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri 15. CI si chiede se l’impressionante lavoro di Front-lex e degli avvocati Branco e Shatz porterà un risultato concreto. Negli ultimi mesi, davanti al genocidio in corso a Gaza, i dubbi riguardo l’efficacia e la stessa ragion d’essere del diritto internazionale sono cresciuti. Diversi Stati firmatari dello Statuto di Roma hanno dimostrato grande noncuranza per le decisioni della CPI: nel 2025 l’Ungheria ha annunciato il proprio recesso dallo Statuto di Roma, e sia Putin – oggetto di un mandato d’arresto da parte della CPI – che Netanyahu – per cui il mandato è stato richiesto, si sono recati in Stati membri. L’Italia, membro fondatore della Corte, ha dimostrato un particolare disinteresse per i contenuti dello Statuto, permettendo a Netanyahu l’accesso al proprio spazio aereo e direttamente ostacolando la Corte nell’arresto di Almasri. Nel frattempo, la “guardia costiera” libica usa la violenza sempre più frequentemente, anche contro le navi di soccorso delle ONG; le persone morte cercando di raggiungere l’Italia sono almeno 738 solo nel 2025, e dalla presentazione della comunicazione di Front-lex i naufragi documentati almeno due. Il Mediterraneo centrale resta la frontiera più letale al mondo. 1. ONG che si occupa di strategic litigation davanti alla Corte di Giustizia dell’UE, alla CEDU e alla CPI ↩︎ 2. Press Release ↩︎ 3. Per un riassunto completo del caso, l’elenco dei presunti responsabili, delle vittime e delle prove presentate alla CPI, si rimanda qui ↩︎ 4. Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, un’agenzia dell’Unione Europea che si occupa del controllo e della gestione delle frontiere esterne degli stati membri dell’UE e dell’area Schengen ↩︎ 5. Ossia quelli su cui esercita giurisdizione la CPI: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione. ↩︎ 6. Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, che definisce i crimini internazionali più gravi (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, aggressione), adottato a Roma nel 1998 ↩︎ 7. Operazione militare e umanitaria italiana (2013–2014) nel Mediterraneo centrale, volta al soccorso in mare e al contrasto del traffico di esseri umani. Sostituita dall’operazione Triton di Frontex nel 2014 ↩︎ 8. Il Memorandum Italia-Libia, firmato il 2 febbraio 2017 e ufficialmente rivolto a fermare i flussi irregolari, e la Dichiarazione di Malta, del 3 febbraio 2017, con cui l’UE impegna 200 milioni € per formare e finanziare la Guardia Costiera Libica e migliorare le strutture di accoglienza in Libia ↩︎ 9. In base all’articolo 7 dello Statuto di Roma, i crimini contro l’umanità sono atti commessi “nell’ambito di un attacco esteso o sistematico contro una popolazione civile con la consapevolezza dell’attacco” ↩︎ 10. Leggi la comunicazione ↩︎ 11. Il governo Meloni ha deciso di mantenere in vigore il Memorandum con la Libia, che prevede collaborazione nel controllo delle frontiere e sostegno alla guardia costiera libica, nonostante le richieste di opposizioni e ONG di interromperlo. L’accordo dura tre anni e si rinnova automaticamente se una delle due parti non ne chiede la cessazione entro tre mesi dalla scadenza ↩︎ 12. Leggi la comunicazione ↩︎ 13. Per i riferimenti delle sentenze e delle comunicazioni clicca qui ↩︎ 14. Caso Almasri la Corte Penale Internazionale ricostruisce la sequela di omissioni. Entro venerdì 31 ottobre l’Italia deve fornire ulteriori informazioni, Giustizia Insieme (24 ottobre 2025) ↩︎ 15. La decisione completa è disponibile qui ↩︎
Il destino sospeso dei rifugiati siriani dopo la caduta di Assad
Il report pubblicato dall’Agenzia Europea dell’Asilo (EUAA) 1 riporta nella prima metà del 2025 un calo del 23% delle richieste di protezione internazionale in Unione Europea. A detta dell’EUAA, questo calo sarebbe dovuto in gran parte alla diminuzione di arrivi dalla Siria. 8 dicembre 2024. Dopo tredici anni di guerra civile l’opposizione siriana, guidata dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham, conquista Aleppo, Homs, Hama e Damasco, rovesciando il regime di Bashar al-Assad, al potere dal 2000 e ora in esilio in Russia. Finisce così, in soli dieci giorni, una tra le guerre più lunghe e sanguinose degli ultimi anni, che ha causato più di 230mila morti tra i civili, 7 milioni di sfollati interni e 6.5 milioni di rifugiati – e di riflesso una fortissima crisi sociale e politica del sistema d’asilo europeo. Quelli che seguono sono momenti di euforia collettiva: ad Aleppo e Damasco, ma anche nelle capitali europee (solo Germania e Svezia ospitano quasi un milione di cittadini siriani) e nel mondo, tra i quasi cinque milioni di rifugiati siriani in Turchia, Libano e Giordania. Sin da subito si iniziano a registrare flussi di ritorno verso la Siria, in particolare dai Paesi confinanti. In soli sei mesi, 200mila tornano dal Libano 2, e quasi 500mila dalla Turchia 3 – anche se si ritiene che i numeri siano più alti, non potendo conteggiare chi fa ritorno in patria al di fuori delle operazioni UNHCR. Nei primi giorni, l’UNHCR riporta di alcune situazioni confuse 4: i valichi di frontiera ufficiali nel nord del Libano erano chiusi, ma c’era già chi tornava scegliendo vie alternative; allo stesso tempo, migliaia di persone facevano il viaggio al contrario, fuggendo dalla Siria. Molti dei rifugiati siriani in Libano e Turchia vivono in condizioni piuttosto precarie: la gravissima crisi economica in cui il Libano versa dal 2019 e gli attacchi di Israele negli ultimi due anni non hanno fatto altro che acuire i sentimenti xenofobi 5 contro i 1.5 milioni di siriani nel Paese (che, con una popolazione di 5.3 milioni, è il Paese con la più alta percentuale di rifugiati al mondo). Il Libano ospita anche 250mila rifugiati palestinesi, concentrati nel Sud del Paese, e anche per questo motivo il Governo libanese non ha mai acconsentito a costruire campi ufficiali per i rifugiati siriani 6, e la maggior parte è stata costretta a stabilirsi in accampamenti informali senza i servizi essenziali. Le cure mediche sono garantite principalmente dall’UNHCR, che però ha già annunciato che a novembre 2025 sospenderà il programma 7 per mancanza di fondi. Dal 2015 è stato anche impedito all’UNHCR di registrare i rifugiati giunti nel Paese, rendendo più difficile l’identificazione delle persone vulnerabili e dei richiedenti asilo. In Turchia, i siriani non sono considerati rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra, e dall’inizio della guerra 3 milioni di persone hanno ottenuto solo un permesso temporaneo – per una guerra durata tredici anni. L’Unione Europea, tramite il FRIT (Facility for Refugees in Turkey), finanzia la Turchia per garantire i servizi di base ai rifugiati nel Paese, ma le politiche del governo turco, il terremoto nel 2023, e l’insufficienza dei fondi hanno spesso reso il FRIT inefficace. Nonostante ciò, e nonostante la caduta del regime, la scelta di tornare non è facile: l’euforia dei primi giorni viene sostituita da una cauta speranza prima e nuovi timori poi. HTS era considerato sin dal 2015, in base alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2254, un gruppo terroristico. Dal 2017 era allineato al Syrian Salvation Government, che governava la zona di Idlib, nel nord della Siria, in opposizione al regime di Assad. Dal 2021 è la fazione militare più potente tra i gruppi di opposizione. Nel dicembre 2024 sia il governo di Assad che il SSG sono stati sostituiti dal Governo di transizione siriano, e nel gennaio 2025 il gruppo HTS è stato ufficialmente dissolto, per entrare a far parte delle istituzioni statali. Il 7 luglio 2025 gli Stati Uniti hanno revocato la designazione di organizzazione terroristica. Le comunicazioni durante i primi giorni di governo transitorio sono state rassicuranti: il portavoce ha assicurato che tutte le religioni saranno libere nella nuova Siria, a inizio 2025 è stata approvata una nuova costituzione, transitoria, e nel nuovo governo insediatosi a marzo sono rappresentate quattro minoranze etniche e religiose (un alawita, un druso, una donna cristiana, e un curdo). Sono stati fatti importanti passi avanti: a dicembre 2024 l’aeroporto di Damasco ha riaperto i voli internazionali, e le sanzioni imposte al governo di Assad e ai membri di HTS sono state progressivamente allentate e sollevate. A marzo 2025 rappresentanti del governo siriano hanno per la prima volta preso parte alla Conferenza per il supporto al futuro della Siria 8, insieme ai capi di Stato dell’UE. Sulla linea suggerita da diversi gruppi che monitorano lo stato di diritto in Siria – quali Human Rights Watch e il Syria Justice and Accountability Centre – i leader dell’Unione Europea hanno confermato la propria collaborazione nella ricerca delle 150mila persone scomparse nelle prigioni di Assad, e nella ricostruzione del Paese. A settembre 2025, sono 1.2 milioni i siriani rientrati a casa, una cifra che secondo l’UNHCR potrebbe raggiungere i 2 milioni entro fine anno; il 93% degli sfollati interni intende rientrare nel proprio luogo d’origine e ventritrè distretti potrebbero vedere la propria popolazione raddoppiare. Tuttavia, la tensione è ancora alta. A dicembre Israele ha sferrato diversi attacchi nel sud e sulla costa, la Turchia ha bombardato Kobani, a nord, e si sono registrati episodi di violente vendette private. Infatti, dopo l’apertura delle prigioni del regime, tra cui Sednaya – tristemente nota tra i siriani come “macelleria umana”, dove decine di migliaia di oppositori politici sono stati uccisi e torturati – manca ancora un processo ufficiale per individuare i responsabili. Il 6 marzo un gruppo di fedeli di Assad ha organizzato un attacco a Latakia, sulla costa, e come rappresaglia le forze governative uccidono più di 1400 alawiti 9 (etnia di appartenenza della famiglia Assad e quella maggiormente rappresentata nell’esercito prima del 2024). A giugno, 22 persone sono uccise in un attacco in una Chiesa di Damasco, e ci sono stati episodi di intimidazione contro la minoranza cristiana. A luglio, degli scontri tra drusi e beduini a Suwayda, nel sud, sono degenerati dopo l’intervento dell’esercito siriano e di Israele, e da allora la città è sotto assedio. L’annuncio del meccanismo scelto per le elezioni parlamentari 10 conferma una difficile convivenza tra i vari gruppi etnici: il Presidente – Ahmet al-Sharaa, leader di fatto di HTS – nominerà direttamente 1/3 del Parlamento, nonché il Comitato Elettorale che poi eleggerà i restanti 2/3. Infine, secondo IOM 11 l’ostacolo più grande ad un rientro sicuro e dignitoso per i cittadini siriani è la drammatica situazione economica del Paese. Il 90% della popolazione dipende da aiuti umanitari, le infrastrutture (compresa la rete elettrica, idrica, i servizi sanitari, e le possibilità di documentare e reclamare i propri diritti) sono insufficienti e un flusso così importante di rientri, contemporaneo ad un profondo taglio dei fondi dell’UNHCR a causa degli USA, potrebbe causare una nuova crisi umanitaria. La ripresa del settore agricolo e dei mercati è lenta, e così la costruzione di nuove abitazioni e le operazioni di rimozione di ordigni esplosivi in aree abitate da civili (si stima che 2/3 della popolazione siano a rischio di essere colpiti da esplosivi, e 8 campi su 10 sono contaminati). Nella prima metà del 2025 solo 13mila siriani hanno richiesto protezione internazionale in Europa – un sesto rispetto agli 85mila nello stesso periodo dell’anno precedente. Anche qui i siriani si stanno interrogando sulla possibilità di fare ritorno (anche se in misura minore, solo il 20% secondo l’UNHCR 12 ). Questo sta avendo profondi risvolti anche sul sistema d’asilo europeo. Senza siriani, la Germania non è più il primo Paese di destinazione, e da dicembre le autorità di diversi Paesi europei hanno sospeso l’analisi delle richieste asilo dei cittadini siriani. Si è creato così un limbo giuridico: nei Paesi che non hanno sospeso l’esame delle domande, il tasso di riconoscimento è crollato dal 90% al 17% tra gennaio e giugno 2025; in Germania 40mila richiedenti sono stati colpiti dalla decisione, insieme ai 669mila siriani che hanno un permesso di residenza temporaneo, da rinnovare regolarmente (ogni tre anni per chi ha ricevuto protezione internazionale, e annualmente per chi è tutelato dal rimpatrio); incidentalmente, già a dicembre gli ospedali avvisavano che senza i medici siriani il sistema sanitario tedesco sarebbe crollato 13. La Svezia ha sospeso i procedimenti il 9 dicembre, rinnovando questa decisione l’11 giugno; la sospensione è stata revocata l’11 settembre. A giugno infatti l’EUAA ha pubblicato una guida aggiornata sulla situazione nel Paese, evidenziando il delinearsi di nuovi agenti di protezione e di persecuzione, e il peggioramento della situazione per alcune minoranze (cristiani, alawiti, drusi, altri gruppi dell’opposizione, sostenitori di Assad o coloro ritenuti tali). L’UNHCR ha inizialmente ritenuto questa sospensione accettabile, purché fosse garantito che anche i cittadini siriani potessero accedere le procedure d’asilo, ricevendo gli stessi diritti e lo stesso supporto degli altri richiedenti asilo. In particolare, l’UNHCR aveva sottolineato quanto fosse essenziale che nessuno venisse forzosamente rimpatriato 14 in osservanza del principio di non-refoulement. Quelle dell’UNHCR sono state però raccomandazioni vuote. In base alle ricerche dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE) 15, nonostante le autorità turche descrivano tutti i ritorni come “volontari, sicuri, dignitosi e regolari”, molti dubitano di ciò, considerando anche che solo nel 2024 la Turchia aveva deportato 141mila persone in una zona del nord della Siria ritenuta “sicura” dalle autorità. Approfondimenti/Reportage e inchieste I CENTRI DI RIMPATRIO FINANZIATI DALL’UNIONE EUROPEA IN TURCHIA L’inchiesta di Lighthouse Reports: abusi, violenze e deportazioni forzate Rossella Ferrara 26 Marzo 2025 Preoccupazioni simili si hanno in Libano, dove tutti i partiti politici ritengono che i siriani devono tornare in patria “con urgenza” 16; alcuni hanno addirittura chiesto di facilitare la loro partenza via mare verso l’Europa. Ma i rimpatri forzati partono anche dall’Europa. In Bulgaria, nel campo di Harmanli, sin dal 13 dicembre i richiedenti siriani sono stati sottoposti a lunghi interrogatori, e alcuni costretti a formare documenti attestanti la propria volontà di fare ritorno in patria. In base alle indagini di No Name Kitchen (NNK) 17, simili notizie arrivano dalla Serbia, mentre le autorità austriache stanno preparando un piano di rimpatrio di massa e in Olanda la polizia di frontiera ha in alcune occasioni minacciato i richiedenti siriani di deportazione. Interrogatori nel campo di Harmanli, Bulgaria (No Name Kitchen) La chiara volontà di limitare il più possibile l’accesso all’asilo per i siriani, e la stanchezza dell’Europa nei confronti della situazione in Siria è lampante se si pensa che anche prima della caduta del regime diversi Paesi europei – tra cui l’Italia – avevano proposto di normalizzare le relazioni con Assad per facilitare il ritorno dei cittadini siriani, adducendo che alcune zone della Siria potessero dirsi sicure. Nel 2024, 4100 siriani hanno preso parte al programma di “rimpatri volontari” organizzato da Cipro, che Ursula von der Leyen ha definito “il campione europeo dei rimpatri” 18; le autorità cipriote avevano sospeso l’analisi delle richieste d’asilo dei siriani durante la primavera, dopo un’impennata nel numero di arrivi, e li avevano trattenuti nella buffer zone tra Cipro e la zona occupata dalla Turchia. La stessa Commissione europea ad agosto 2024 aveva implementato misure economiche per permettere ritorni “sicuri, volontari e dignitosi”. Le immagini e i racconti giunti dalle prigioni del regime dopo l’8 dicembre hanno dimostrato quanto l’Unione Europea è disposta a compromettersi pur di rimpatriare più richiedenti asilo possibile. La storia dei siriani riflette una triste immagine del sistema d’asilo europeo. Durante la crisi del 2015, sono stati accolti e il loro status di rifugiati riconosciuto, ma solo dopo essere fuggiti dalla Siria, essere sopravvissuti al mare, ai Balcani, e alle infinite frontiere europee. Ma per loro l’Unione Europea ha sperimentato per la prima – e unica – volta il meccanismo della ricollocazione, per una redistribuzione più equa tra gli Stati Membri. È stata l’immagine di un bambino siriano, Alayn Kurdi, che ha scosso il mondo. Erano i siriani che hanno partecipato alla “freedom march” da Budapest alla Germania, portando alla sospensione del sistema Dublino. Ma è sulle loro spalle che è crollato il sistema europeo, e su di loro sono state sperimentate le politiche europee più dure, come quelle di esternalizzazione e gli hotspot. La “marcia della libertà” sulle autostrade ungheresi, 2015 PH: MP Nel 2025, il futuro della Siria è incerto. Per ora, rimpatri forzati non sarebbero sicuri né rispettosi della dignità umana: le violazioni dei diritti fondamentali non sono cessate, e l’infrastruttura del Paese non è pronta per un afflusso massiccio di rientri. La somma che diversi Paesi europei hanno offerto ai siriani per fare ritorno a casa (1700 € a famiglia in Germania, 900 € a testa in Olanda) non possono risolvere i profondi problemi strutturali che cinquant’anni di dittatura e quattordici di guerra civile hanno causato al tessuto sociale del Paese. Secondo il Syria Justice and Accountability Centre, per partecipare ad una ricostruzione sostenibile e duratura in Siria, l’Unione Europea dovrebbe astenersi dall’incoraggiare rimpatri di massa e dal definire aree del Paese come sicure; permettere ai siriani di fare ritorno senza perdere il proprio status protetto, per controllare le condizioni delle proprie abitazioni e ricucire i rapporti con la propria comunità; incoraggiare la formazione di un nuovo sistema giudiziario; e partecipare alla ricostruzione – fisica e sociale – del Paese. 1. Latest Asylum Trends. Mid-Year Review 2025 (September 2025) – European Union Agency for Asylum (EUAA) ↩︎ 2. UN says over 200,000 Syrian refugees return from Lebanon, Arab News (2 settembre 2025) ↩︎ 3. More Syrians return home from Turkey, Infomigrants (15 agosto 2025) ↩︎ 4. Syria: UNHCR comment on asylum processing suspension and returns (dicembre 2024) ↩︎ 5. Lebanon’s shift from safe haven to hostile country for Syrian refugees, BBC (27 maggio 2024) ↩︎ 6. Syrian refugees in Lebanon: the search for universal health coverage, National Center for Biotechnology ↩︎ 7. UNHCR announces end of healthcare support for Syrian refugees in Lebanon, L’Orient Today (maggio 2025) ↩︎ 8. 2025 Brussels IX Conference on ‘Supporting the future of Syria and the region’, European Council ↩︎ 9. Violations against civilians in the coastal and western- central regions of the Syrian Arab Republic (January-March 2025), Human Rights Council (agosto 2025) ↩︎ 10. Joint Position Paper Regarding the Temporary Electoral System for the Syrian Parliament, Syria Justice and Accountability Centre (settembre 2025) ↩︎ 11. New Report: Challenging Economy and Unemployment Main Obstacles for Syria Returnees, IOM (maggio 2025) ↩︎ 12. Intentions and perspectives of Syrian refugees and asylum-seekers in Europe, UNHCR (maggio 2025) ↩︎ 13. German health system would struggle without Syrian doctors, InfoMigrants (dicembre 2024) ↩︎ 14. Syria: UNHCR comment on asylum processing suspension and returns, UNHCR (dicembre 2024) ↩︎ 15. Report sulla Turchia, Luglio 2025 ↩︎ 16. Syrian Refugees in Lebanon: Crisis of Return, Lebanese Center for Policy Studies (LCPS) ↩︎ 17. EU States crack down on Asylum Seekers after al-Assad’s fall, NNK (dicembre 2024) ↩︎ 18. More than 1,000 Syrian children have left Cyprus this year, Cyprus Mail (29 agosto 2025) ↩︎
Vite monitorate: come la tecnologia ridefinisce la libertà nel CCAC di Samos in Grecia
I report di I Have Rights, Border Violence Monitoring Network e Homo Digitalis 1 denunciano l’uso massiccio di tecnologie di sorveglianza e gravi violazioni della privacy da parte del Ministero greco dell’Immigrazione nel Centro Chiuso ad Accesso Controllato sull’isola greca di Samos. Reti e filo spinato circondano il centro (Amnesty international) Le tecnologie di sorveglianza sono uno strumento sempre più utilizzato per la gestione migratoria e i controlli di frontiera in Unione Europea. Negli ultimi vent’anni diversi sistemi informatici sono stati implementati ai nostri confini: Eurodac, dove sono raccolti e conservati dati biometrici di richiedenti asilo e persone migranti, il Sistema di Informazione Schengen, di Informazione Visti, di ingressi/uscite 2. Dal 2019 questi sistemi sono interoperabili, e ciò permette la creazione di veri e propri fascicoli di dati biografici e biometrici di ogni persona registrata, aumentando così il rischio di commistione tra sorveglianza e gestione amministrative delle domande d’asilo. Con l’approvazione a giugno 2024 del Nuovo Patto su Asilo e Migrazione questo sistema è stato potenziato. Parallelamente, l’entrata in vigore del nuovo AI Act 3 estende ulteriormente la possibilità di usare sistemi informatici e di intelligenza artificiale in frontiera. Le attività connesse al controllo dei confini sono infatti esentate dai rigidi obblighi contenuti nel Regolamento sull’intelligenza artificiale, e accademici e attivisti hanno già evidenziato come questo rischi di rendere la frontiera europea un laboratorio normativo opaco, in cui tecnologie invasive usate in situazioni di profonda asimmetria di potere sono usate senza rispettare i diritti fondamentali delle persone migranti 4. Questo coincide con una progressiva erosione dei diritti fondamentali in frontiera, luogo che è stato definito “zona anomala” 5 e “non-territorio” 6. Lo stesso concetto di frontiera è usato in modo flessibile, e include non solo la linea geografica di confine, ma anche i luoghi dove sono svolti i controlli di frontiera e in particolare i centri di accoglienza/trattenimento/detenzione per le persone migranti, quali gli hotspot italiani e i Centri Chiusi ad Accesso Controllato (CCAC) greci. La Grecia ha difatti avuto un ruolo di primo piano nel definire le eccezioni dell’AI Act in frontiera. A novembre 2023 il delegato greco ha richiesto l’utilizzo illimitato dei sistemi di RBI (Real-time biometric identification) – altrimenti vietati dall’AI Act – nelle zone di frontiera. In una situazione di crescente ambiguità normativa, le autorità greche non hanno specificato se i CCAC rientrano o meno nella definizione di frontiera. Tuttavia, diversi report 7 svelano che già prima del novembre 2023 tecnologie di IA erano state istallate nel CCAC di Samos, e come evidenziato da un’indagine di Statewatch 8 il territorio greco è usato come laboratorio: il budget stanziato dall’UE per i controlli di frontiera in Grecia tra il 2021 e il 2027 è di più di 1 miliardo di euro, un aumento del 248% rispetto al budget precedente 9. Gli stessi CCAC rappresentano per ora un esperimento delle istituzioni europee: progettati dopo l’incendio nell’hotspot di Moria a Lesbo del 2020, sono stati finanziati dall’Unione Europea e costruiti come precursori dei centri di screening introdotti dal Nuovo Patto su Asilo e Migrazione9. Il centro di Samos è stato il primo ad aprire, il 18 settembre 2021, seguito da analoghe strutture a Kos, Leros, Lesbo e Chio. Il centro di Samos è composto da decine e decine di container, dove le persone trattenute vivono. Le varie aree sono separate da checkpoint, segnati da tornelli, barriere e filo spinato e controllate dalla polizia greca, dalla polizia di frontiera, e da addetti alla sicurezza di G4S, una azienda privata. Le condizioni materiali, già critiche per le strutture inadeguate, sono complicate dal sovraffollamento. Al momento della pubblicazione del report di I Have Rights, a inizio 2025, le persone trattenute a Samos erano 4303, il 118% della capacità del CCAC. Amnesty International dopo una visita a fine 2023 descrive il centro – che l’Unione Europea aveva promesso sarebbe stato “aderente agli standard europei” per garantire “condizioni abitative migliori per tutti” – come un “incubo distopico”: un campo militarizzato, senza le infrastrutture e i servizi più essenziali, dove, con il pretesto di identificare le persone, le autorità sottopongono sistematicamente i richiedenti asilo a detenzione illegittima e arbitraria 10. Sono forse questi gli standard europei promossi dal Nuovo Patto? L’elemento chiave del sistema dei CCAC è la restrizione della libertà delle persone trattenute. In teoria, la permanenza nel centro dovrebbe durare massimo 5 giorni, ma nella maggior parte dei casi viene estesa a 25 giorni e oltre, spesso senza una decisione ufficiale a riguardo; durante questo periodo non è possibile uscire dal centro, salvo rare eccezioni (cure mediche, attività ricreative per i minori). I Have Rights ha dimostrato che un tale livello di restrizione deve essere qualificato come detenzione de facto 11, e la stessa Commissione Europea – promotrice e finanziatrice dei centri – ha individuato nella detenzione sistematica dei richiedenti protezione una violazione del diritto dell’UE, in una procedura di infrazione iniziata contro la Grecia. Le restrizioni alla libertà personale sono però ancora più profonde. I check point e in particolare le tecnologie di sorveglianza nel campo creano un ambiente estremamente securitizzato, dove ogni movimento è controllato e registrato. Le telecamere del sistema Centaur, installate anche negli spazi usati come abitazioni (I have rights) Per attraversare i checkpoint che separano le varie zone del CCAC è necessario presentare una tessera di identificazione biometrica e scannerizzare le proprie impronte digitali. Il controllo è capillare: in base a quanto riportato da IHR e BVMN, il CCAC di Samos è dotato di almeno quattro sistemi informatici: Centaur, Hyperion, Rea e Alkioni, finanziati dall’Unione Europea. Centaur utilizza algoritmi di analisi dei movimenti e trasmette immagini, video, e audio delle telecamere a circuito chiuso e raccolti dai droni ad una sala di controllo nel Ministero della Migrazione e l’Asilo. Secondo IHR, le informazioni fornite dal Ministero greco non chiariscono se Centaur usa sistemi di IA oppure algoritmi di analisi dei comportamenti. Le aziende coinvolte nello sviluppo e utilizzo dei sistemi sono almeno cinque, di cui tre greche (ESA Security, Space Hellas, Adaptit) e due israeliane (ViiSights e Octopus, che hanno tra i propri clienti anche il governo israeliano). In base alle interviste condotte nel campo, le telecamere e i droni sono presenti anche nei luoghi dove le persone vivono e dormono – nonostante le rassicurazioni del Ministero. Una parte delle persone intervistate ha riportato di sentirsi al sicuro grazie ai sistemi di sorveglianza, ma a causa della mancanza di informazioni molti hanno espresso dubbi a riguardo e paragonato il campo ad una prigione. La presenza di aziende israeliane nel CCAC non è senza conseguenze: dopo il 7 ottobre 2023, centinaia di residenti del campo hanno protestato contro la risposta di Israele, e un drone è subito intervenuto per raccogliere immagini e video da trasmettere ad Atene in tempo reale; subito dopo i cancelli che separano le varie zone del campo sono stati chiusi, e cinque richiedenti asilo arrestati 12. Il sistema Hyperion utilizza dati biometrici per monitorare gli ingressi e le uscite dal CCAC. I richiedenti asilo devono presentare le proprie impronte digitali nonché avere con sé carte elettroniche dove sono registrate foto, impronte digitali e firma del possessore, che vengono lette attraverso sistemi di Radio Frequency Identification. È da notare che nessuno degli operatori che lavorano nel campo ha acconsentito a registrare le proprie impronte digitali, ritenendolo non necessario e una violazione dei loro diritti, e accedono quindi tramite le proprie carte di identità, che non contengono dati biometrici. Il mediatore europeo ritiene che l’infrastruttura di sorveglianza del CCAC ricalchi quello di un carcere, e dubita che il rispetto per la dignità umana e la protezione dei minori e delle persone vulnerabili siano possibili in una simile struttura 13. Anche la Relatrice speciale sul traffico delle persone delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione per le tecnologie di sorveglianza utilizzate, che, insieme alla posizione isolata rispetto al centro abitato di Samos, causa restrizioni alla libertà personale e mancanza di servizi 14. Secondo IHR e BVMN, questo si allinea perfettamente con la politica delle autorità greche, che a gennaio 2025 sono state ancora una volta sanzionate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per detenzione sistematiche e respingimenti 15. Samos, dopo Lesbo, è l’isola greca dove si registrano più push-back. L’utilizzo massiccio di sistemi algoritmici e di IA aumenta anche il rischio di bias contro le persone trattenute nel centro, che potrebbero essere segnalate come minaccia in base a bias algoritmici. L’agenzia dell’UE per i Diritti Fondamentali ha espresso i propri dubbi proprio rispetto all’algoritmo usato da Centaur, chiedendo al Ministero greco per la Migrazione e l’Asilo di condividere più informazioni riguardo al suo funzionamento. Al momento della pubblicazione del report di IHR e BVMN, il Ministero non aveva ancora dato seguito a queste richieste. L’Autorità per la Protezione dei Dati (APD) greca è intervenuta ad aprile 2024, in seguito a segnalazioni di organizzazioni della società civile greca, comminando una sanzione record (175000 €) al Ministero per la Migrazione per gravi violazioni del GDPR (il Regolamento UE sulla protezione dei dati). Tra le violazioni, l’APD ha individuato mancanza di trasparenza riguardo proprio ai sistemi Centaur e Hyperion. Oltre alla multa, ha poi ordinato al Ministero di conformarsi al GDPR entro luglio 2024, evidenziando quattro punti: violazione dei principi di legalità e trasparenza per la mancanza di una base giuridica chiara per il trattamento dei dati; violazione del diritto delle persone migranti ad una informazione completa; assenza di un chiaro protocollo per la valutazione obbligatoria sulla protezione dei dati; infine, mancata cooperazione del Ministero con l’APD. A partire da questa storica decisione, IHR e Homo Digitalis hanno condotto un’indagine tra luglio 2024 e marzo 2025 per monitorare la risposta del Ministero 16. La conclusione raggiunta, grazie a interviste e analisi del quadro giuridico, è che il Ministero non ha adempiuto al proprio obbligo, e le violazioni nel CCAC di Samos continuano: le persone trattenute nel centro non ricevono informazioni sufficienti sui sistemi di sorveglianza utilizzati, e riportano di non avere la possibilità di rifiutare la registrazione delle impronte digitali o la consegna dei telefonini – che sono sistematicamente ritirati e controllati. Secondo il report, il Ministero greco non ha inoltre fornito chiarimenti sui protocolli utilizzati né sugli algoritmi di Centaur e Hyperion, rendendo impossibile una valutazione imparziale del loro impatto sui diritti fondamentali. I report di I Have Rights, Border Violence Monitoring Network e Homo Digitalis si concludono con tre raccomandazioni rivolte alle istituzioni greche ed europee: si richiede trasparenza e individuazione delle responsabilità in capo alla Polizia Ellenica e per gli algoritmi di Centaur e Hyperion; è imprescindibile proteggere i diritti delle persone in movimento, fermando la confisca sistematica dei telefoni, fornendo informazioni chiare e accessibili sulle tecnologie di sorveglianza usate nel CCAC, e utilizzando sistemi meno invasivi di registrazione; è necessario approntare tutele contro la discriminazione algoritmica, controllando l’algoritmo di Centaur e pubblicando regolarmente report di valutazione dell’impatto che queste tecnologie hanno su persone vulnerabili, che si trovano in posizione di grande debolezza rispetto alle autorità. Il crescente impiego della tecnologia nel contesto migratorio – raccolta di dati, interoperabilità delle banche dati, sistemi decisionali automatizzati – genera maggiore incertezza riguardo alle responsabilità legali e ai mezzi di ricorso. La Grecia e l’Unione Europea stanno utilizzando il CCAC di Samos come territorio di prova, e con il Nuovo Patto e l’AI Act si preparano a rafforzare ulteriormente il ricorso a tecnologie di sorveglianza e controllo automatizzato delle frontiere. Il lavoro di organizzazioni come IHR, BVMN e Homo Digitalis è sempre più essenziale per garantire il monitoraggio da parte della società civile e mantenere al centro del dibattito politico la protezione delle persone, non dei confini. 1. NGOs on Samos uncover a covert operation against asylum seekers and the invasive use of technology in the Samos Closed Controlled Access Centre ↩︎ 2. Visti, di ingressi/uscite Sicurezza e migrazione: sistemi informatici a livello di UE, Consiglio Unione Europea. Statewatch ed Euromed Rights ne hanno fatto un’analisi critica: leggi ↩︎ 3. Legge sull’IA ↩︎ 4. In particolare la #Protectnotsurveil coalition ↩︎ 5. G. Campesi, The EU Pact on Migration and Asylum and the Dangerous Multiplication of ‘Anomalous Zones’ for Migration Management ↩︎ 6. J. P. Cassarino, The Pact on Migration and Asylum: Turning the European Territory into a Non-territory? ↩︎ 7. Come quelli di Solomon e di I Have Rights e Border Violence Monitoring Network (Qui il rapporto) ↩︎ 8. Consulta l’indagine ↩︎ 9. Le istituzioni europee denominano infatti i centri Multi-Purpose Reception and Identification centres, Melting Pot (2023) ↩︎ 10. People seeking asylum detained in EU-funded “pilot” refugee camp on Samos, Amnesty (30 luglio 2024) ↩︎ 11. The EU-Funded Closed Controlled Access Centre – The De Facto Detention of Asylum Seekers on Samos ↩︎ 12. Invisible Walls: How AI Tech at Europe’s Borders Threatens People Seeking Refuge ↩︎ 13. Decision in strategic inquiry OI/3/2022/MHZ on how the European Commission ensures respect for fundamental rights in EU-funded migration management facilities in Greece ↩︎ 14. Leggi la relazione ↩︎ 15. G.R.J. c. Grecia. 2025. No. 15067/21 e A.R.E. c. Grecia.2025. No. 15783/21 ↩︎ 16. Leggi l’indagine ↩︎