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I folletti del bosco: senza utopia non esiste il futuro
Non mi permetto di giudicare la scelta di vita della famiglia felice nel bosco. Mi chiedo invece a cosa serve il clamore mediatico suscitato dell’affidamento transitorio dei tre bambini a una casa famiglia. Serve ad attaccare la magistratura per l’ennesima volta, delegittimare e criminalizzare i giudici in vista del referendum costituzionale. Cui prodest. I giudici applicano la legge e le leggi le fanno i politici. Gran parte degli affidamenti potrebbero essere evitati con misure di sostegno familiare. Allora il governo Meloni potrebbe cambiare la legge, invece di attaccare indiscriminatamente i magistrati. Vorrei proporvi alcuni ulteriori spunti di riflessione, con slanci di utopia indispensabile per il futuro. La poesia della vita non si può ridurre alla norma. Il bosco rappresenta una paura atavica contrapposta alla presunta civiltà, che distrugge la natura senza riconoscere l’essere umano come parte integrante dell’ambiente. Il progresso non consiste nel suicidio collettivo determinato dall’accettazione passiva dei cambiamenti climatici prodotti da un comportamento dissennato dell’umanità. Non si tratta di tornare al mondo delle caverne per salvarsi dal mondo fossile, ma di un ripensamento consapevole della norma. Il 29% degli americani soffre di problemi psicologici, così come il 20% circa dei nostri bambini. Il caso della famiglia felice nel bosco ci pone di fronte ad un dilemma esistenziale, non giuridico, che non ci compete, ma ci interroga sul tema di cosa sia giusto e chi lo decide per i bambini. Le ricerche dimostrano che il tempo dedicato al gioco in un ambiente naturale non è mai sprecato, anzi determina un migliore equilibrio psicologico dei bambini, mentre il tempo dedicato ai social produce disagio e dipendenza. Varoufakis afferma che stiamo diventando schiavi della gleba digitale nella nuova era del tecno-feudalesimo. Vi risulta che abbiamo scelto questo destino? Eppure siamo intrappolati per ore negli algoritmi, che sollecitano la nostra rabbia e le nostre paure per tenerci incollati agli smartphone. Guadagnare la consapevolezza che abbiamo bisogno di una natura incontaminata sarebbe un vero progresso per l’umanità. I saggi sanno bene che non è l’accumulo di oggetti di consumo a determinare la nostra felicità. Non vogliamo un mondo fossile e ingiusto. La concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi privilegiati è una patologia legata al potere. E l’anelito senza fine a un potere sempre più grande e prepotente dovrebbe essere trattato come una dipendenza irrazionale e criminale. La salute, il benessere, la prosperità come si raggiungono?  Con l’avidità, la sopraffazione, la guerra, la distruzione dell’ambiente, oppure con la costruzione di un nuovo orizzonte di umanità? Infine cito questo passo del libro “Walden, ovvero vita nei boschi”, di Henry David Thoreau, che fu tra l’altro un teorico della disubbidienza civile nonviolenta, come provocazione intellettuale per andare oltre i fatti di attualità e proporre altri spunti di riflessione. «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Il fatto è che non volevo vivere quella che non era una vita a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa, volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.»   Ray Man
FOCUS GIUSTIZIA: LA RIFORMA, LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, IL REFERENDUM. ANALISI, COMMENTI E PUNTI DI VISTA
Il 30 ottobre 2025 il Senato ha approvato – con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni – la riforma costituzionale della giustizia proposta dal ministro Nordio e fortemente voluta dal governo Meloni. Dopo il quarto e ultimo passaggio parlamentare, il testo ha quindi ottenuto il via libera auspicato dalla maggioranza, tuttavia per essere approvato in via definitiva, visto il mancato raggiungimento di una maggioranza dei due terzi, occorre passare per un referendum popolare confermativo. Sarà la Suprema Corte a indicare i termini e i contorni precisi di questo quesito referendario che, con tutta probabilità, già in primavera chiederà a cittadine e cittadini italiani di esprimersi su un tema, quale quello della giustizia, tutt’altro che semplice in assoluto e, nello specifico, molto tecnico. Al centro della riforma, infatti, spicca la proposta di separazione delle carriere tra giudici e magistrati e la conseguente creazione di due Consigli Superiori della Magistratura (CSM) con membri sorteggiati. Proposte che stanno già facendo molto discutere. Tuttavia, come spesso accade in questi casi, a emergere sono due piani, tanto distinti quanto compenetrati: da un lato, quello che afferisce alla forma e alla sostanza giuridica di questa proposta di riforma, dall’altro un piano strettamente politico e sociale. Proprio per sviscerarli, e per capire di più su quella che già si preannuncia una lunga campagna referendaria, Radio Onda d’Urto sta raccogliendo opinioni, commenti, posizionamenti e punti di vista da parte di addetti ai lavori e non. Le interviste verranno mandate in onda, due a due, ogni lunedì mattina, alle ore 12, all’interno dello spazio approfondimenti con un focus dedicato. Di seguito le puntate già trasmesse: * 24 NOVEMBRE 2025: le interviste a Domenico Gallo, già magistrato e già presidente di sezione di corte Cassazione e a Gianluca Vitale, co-presidente del Legal Team italia e del neonato Gap – Giuriste e giuristi, Avvocate e avvocati per la Palestina Ascolta o scarica * 17 NOVEMBRE 2025: gli interventi di Mirko Mazzali, avvocato e membro del direttivo delle Camera Penale di Milano e di Nicola Cannestrini, avvocato penalista e refente italiano dell’ong Fair Trials International Ascolta o scarica * 10 NOVEMBRE 2025: le interviste a Fabio Marcelli, Giurista di diritto internazionale e co-presidente del CRED – Centro di Ricerca ed elaborazione per la democrazia e a Davide Steccanella, avvocato del foro di Milano Ascolta o scarica Tutti gli interventi in ordine alfabetico: * Nicola Cannestrini, avvocato penalista e refente italiano dell’ong Fair Trials International Ascolta o scarica * Domenico Gallo, già magistrato e già presidente di sezione di corte Cassazione Ascolta o scarica * Fabio Marcelli, Giurista di diritto internazionale e co-presidente del CRED – Centro di Ricerca ed elaborazione per la democrazia Ascolta o scarica * Mirko Mazzali, avvocato e membro del direttivo delle Camera Penale di Milano Ascolta o scarica * Davide Steccanella, avvocato del foro di Milano Ascolta o scarica * Gianluca Vitale, co-presidente del Legal Team Italia e del neonato Gap – Giuriste e giuristi, Avvocate e avvocati per la Palestina Ascolta o scarica
I giudici smontano il decreto sicurezza: la cannabis light torna ai produttori
La messa al bando della cannabis light da parte del decreto sicurezza continua a fallire nelle aule di tribunale. In seguito all’emanazione del provvedimento, le forze dell’ordine avevano sequestrato a Sassari e Brindisi centinaia di chili di infiorescenze e arbusti, tuttavia i tribunali del Riesame hanno ordinato la riconsegna del materiale sequestrato, giudicando lecito coltivare, detenere e commercializzare la canapa sativa. Mesi fa, una analoga situazione si era presentata in Liguria. Le infiorescenze di canapa sono state messe al bando dall’articolo 18 del Decreto Sicurezza, che vieta la coltivazione della canapa con basso contenuto di THC. La norma, in vigore dal 12 aprile, mette a rischio un settore che in Italia conta 3.000 aziende, 30.000 addetti, 500 milioni di fatturato e un export del 90%. In Sardegna, il 23 ottobre il Riesame ha restituito all’imprenditore Giuseppe Pireddu circa 10 chili di infiorescenze e 5053 piante di canapa. All’azienda florovivaistica di Antonella Vinci, invece, sono tornati indietro 257 chili di biomassa essiccata e 954 piante. I due erano stati colpiti dallo stesso provvedimento di sequestro. Gli agenti avevano fermato ad un posto di blocco il furgone che trasportava la merce dai magazzini dell’azienda agricola al rivenditore florovivaista. Analoga situazione in Puglia, dove il tribunale del Riesame di Brindisi ha disposto il dissequestro di oltre 800 piante di canapa sativa light appartenenti alla società agricola ‘Prk’ di Carovigno, restituendo anche i macchinari e i materiali di lavorazione che erano stati precedentemente confiscati agli imprenditori. A Sassari, i giudici hanno bocciato sequestro e convalida perché, secondo le ordinanze, manca qualunque indizio sull’illegalità della pianta. Anzi, per le toghe il sequestro ha colpito «aziende esercenti legittimamente la coltivazione di canapa», con «plurimi elementi indicativi della coltivazione legale». Nell’ordinanza si precisa che «la detenzione dei residui vegetali, anche se contenenti infiorescenze, non è vietata dalla normativa vigente e non costituisce reato». A Brindisi, le analisi tossicologiche hanno confermato valori di THC compresi tra 0,08 e 0,33%, livelli incapaci di produrre effetti psicoattivi. I magistrati hanno scritto che si tratta di valori «dunque non in grado di incidere in alcun modo sull’assetto neuropsichico di eventuali utilizzatori». Il clima di repressione cieca colpisce sempre più spesso agricoltori che coltivano la canapa legale, con interventi giudiziari che negano le richieste dell’accusa. Emblematico il caso di un imprenditore della provincia di Belluno, recentemente arrestato con l’accusa di detenzione finalizzata allo spaccio nonostante coltivi canapa industriale con THC nei limiti di legge da 8 anni. Gli agenti non hanno neppure eseguito i campionamenti prima del sequestro, poi annullato grazie all’intervento del suo legale. Episodi simili si sono verificati a Palermo e in Puglia, dove i giudici hanno disposto la scarcerazione immediata di agricoltori accusati ingiustamente di spaccio, ricordando che «non basta che si tratti di cannabis», ma occorre «valutare l’effettiva capacità drogante del prodotto» prima di configurare un reato. Nel frattempo, è terminata con un nulla di fatto la maxi-inchiesta sulla cannabis light iniziata due anni fa dalla Procura di Torino, che ha interessato 14 persone e diverse aziende, ove era stato disposto il sequestro di circa 2 tonnellate di infiorescenze, dal valore complessivo di 18 milioni di euro. L’esecutivo Meloni ha sin da subito adottato a livello nazionale una linea proibizionista sulla cannabis light, vietando nel 2023 i prodotti orali a base di CBD e classificandoli come stupefacenti. Il decreto ha immediatamente portato a sequestri nei punti vendita. L’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici) ha contestato il provvedimento, ottenendo in più occasioni dal TAR del Lazio la sospensione del divieto. A maggio dell’anno scorso, il governo ha rilanciato con un emendamento al Ddl Sicurezza che vieta la produzione e il commercio della cannabis light, colpendo un settore da 500 milioni annui e decine di migliaia di lavoratori. Federcanapa ha subito evidenziando come il divieto si sarebbe abbattuto sull’«intero comparto agroindustriale della canapa da estrazione, in particolare della produzione di derivati da CBD o da altri cannabinoidi non stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori alimentari», ricordando che «tali impieghi sono riconosciuti dalla normativa europea come impieghi legittimi di canapa industriale». L'Indipendente
USA, le critiche a Israele zittite a suon di sanzioni. Colpiti altri 4 giudici della CPI
a Il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha annunciato che gli Stati Uniti emetteranno sanzioni nei confronti di altri 4 giudici della Corte Penale Internazionale, accusandoli di costituire una «minaccia» per gli USA e per Israele. I giudici in questione sono Kimberyly Prost (di nazionalità canadese), Nicolas Guillou (Francia), Nazhat Shameem Khan (Fiji), e Mame Mandiaye Niang (Senegal). La prima è stata sanzionata per avere permesso alla CPI di indagare sui crimini statunitensi in Afghanistan, mentre gli altri tre per avere autorizzato o legittimato l’emissione di mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ex ministro Gallant. In precedenza, gli USA avevano già emesso sanzioni contro giudici della CPI e contro il procuratore Karim Khan, che aveva chiesto l’emissione di mandati di arresto contro Netanyahu. Ora, le persone coinvolte avranno conti e proprietà negli USA congelati e nessuna realtà statunitense potrà avere legami con loro o facilitare il loro lavoro. L’amministrazione degli Stati Uniti ha così intensificato la sua pressione sulla Corte penale internazionale (CPI). Marco Rubio ha giustificato le sanzioni, dichiarando che i giudici sanzionati hanno partecipato «direttamente alle azioni della Corte per indagare, arrestare, detenere o perseguire cittadini degli Stati Uniti o di Israele, senza il consenso di entrambe le nazioni». Per gli USA, ha detto il Segretario di Stato, la CPI rappresenta «una minaccia alla sicurezza nazionale» e uno «strumento di lotta giuridica contro i nostri alleati». Secondo Rubio, il Dipartimento di Stato è fermamente contrario alla «politicizzazione» della Corte e a quello che definisce «l’abuso di potere» da parte di quest’ultima. Il governo israeliano ha accolto con favore la decisione, con il premier Benjamin Netanyahu che ha elogiato l’iniziativa degli Stati Uniti, affermando che si tratta di un’«azione decisiva contro la campagna di diffamazione e menzogne» che avrebbe colpito il Paese e il suo esercito. La reazione della CPI è stata di forte condanna. Il tribunale ha definito le sanzioni un «flagrante attacco all’indipendenza di un’istituzione giudiziaria imparziale» e un affronto «agli Stati parte della Corte e all’ordine internazionale basato sulle regole». La Corte ha sottolineato che continuerà a svolgere «imperterrita» il proprio mandato, esortando gli Stati che ne fanno parte e i sostenitori del diritto internazionale a «fornire un sostegno fermo e costante» al suo lavoro. Il 21 novembre 2024, la Corte Penale Internazionale (CPI) aveva emesso mandati d’arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza. Tra le accuse, l’uso della fame come metodo di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile. In risposta, nel 6 febbraio 2025, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva firmato un ordine esecutivo imponendo sanzioni contro la CPI, che hanno previsto il congelamento dei beni e delle risorse di funzionari, dipendenti e collaboratori della Corte Penale Internazionale, estendendosi anche ai loro familiari più stretti. A queste persone è stato inoltre vietato l’ingresso negli Stati Uniti. A giugno, gli Stati Uniti avevano sanzionato quattro giudici della Corte, a causa di quella che hanno definito una «grave minaccia e politicizzazione», oltre che un «abuso di potere» da parte dell’istituzione. In ultimo, dopo mesi di tentativi di affossamento, a luglio gli USA hanno deciso di sanzionare anche la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, l’italiana Francesca Albanese. L’ordine, firmato da Marco Rubio, si basa sullo stesso decreto con cui Trump aveva aperto la strada alle sanzioni contro membri della Corte Penale Internazionale. Albanese, insomma, è stata accusata di avere contribuito direttamente ai tentativi della CPI di indagare, arrestare o perseguire cittadini israeliani e statunitensi con il suo ultimo rapporto, “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, all’interno del quale ha smascherato le aziende che fiancheggiano Israele nel suo progetto genocidario traendone profitto. Il report, evidentemente, non è andato giù all’amministrazione statunitense: Albanese, ora, sarà soggetta a limitazioni come il divieto di entrare negli USA, e le associazioni statunitensi non potranno sostenerla nel suo lavoro.   L'Indipendente