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La rappresentazione delle persone con background migratorio nella stampa cuneese: analisi linguistica e semantica
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Università degli Studi di Torino Corso di Laurea in Lettere LA RAPPRESENTAZIONE DELLE PERSONE CON BACKGROUND MIGRATORIO NELLA STAMPA CUNEESE: ANALISI LINGUISTICA E SEMANTICA Tesi di Michela Gallo (2024/2025) Scarica l’elaborato INTRODUZIONE Secondo il XII Rapporto Carta di Roma 1 (report annuale, redatto dall’Associazione Carta di Roma, che monitora come i media italiani parlino di migrazione), nel 2024, la stampa italiana ha registrato un calo dell’attenzione verso il fenomeno migratorio: nei giornali nazionali si parla meno di migranti e, quando se ne parla, la questione assume sempre più una connotazione politica. Partendo da tale prospettiva, l’intento di questo elaborato è stato quello di indagare come si parli, invece, di persone con background migratorio nei giornali locali piemontesi. La ricerca si è focalizzata sull’analisi di quali siano state, nel corso del 2024, le etichette utilizzate per riferirsi a migranti nel contesto mediatico della provincia di Cuneo, prendendo in esame cinque settimanali afferenti alle zone del Saluzzese, Fossanese e Saviglianese. A partire dalla letteratura e da uno spoglio preliminare delle versioni digitali dei giornali selezionati si è costituito un elenco di parole chiave riferite alla descrizione di persone migranti.  Si è quindi verificata l’occorrenza di tali etichette all’interno dei giornali scelti, selezionando estratti di articoli di interesse per il tema. Il corpus che ne è derivato ha fornito dati quantitativi, indicando quali fossero gli appellativi più diffusi. Le analisi numeriche hanno poi condotto a riflessioni di tipo linguistico e semantico: i risultati hanno evidenziato il riferimento a frame ricorrenti e all’utilizzo di particolari strutture di frase. Da un lato, i dati ottenuti si sono rivelati in linea con le tendenze proprie della stampa nazionale; dall’altro, alcune etichette, hanno evidenziato tipicità proprie del contesto analizzato. Lo studio contribuisce, dunque, a fornire una lettura contestualizzata e su piccola scala di un fenomeno complesso, quale l’immigrazione e la sua rappresentazione mediatica. 1. Vai al rapporto ↩︎
Controdizionario del confine. Parole alla deriva nel Mediterraneo centrale
Prefazione di Georges Kouagang Navigando in mare aperto bisogna sempre avere con sé strumenti per non andare alla deriva. Nell’oceano delle migrazioni contemporanee, solcato da fratture di classe, genere e provenienza, che come linee su una cartina tracciano confini tra chi può spostarsi comodamente e chi rischia la vita per sfidare frontiere militarizzate, anche le parole sono una scialuppa di salvataggio. L’Europa ha chiuso da anni i propri confini meridionali trasformando il Mediterraneo in un posto di frontiera, appaltandone il controllo a polizie nazionali e transnazionali o delegando colonialmente questa violenza strutturale ai governi autoritari di alcuni paesi di transito. Le persone la cui libertà di movimento è stata limitata hanno elaborato, ibridando lingue diverse o risignificando termini esistenti, un linguaggio non neutro – opposto alle retoriche occidentali criminalizzanti ed escludenti – frutto di scelte intrise di bisogni materiali, che restituisce il punto di vista di chi si sposta e il modo in cui il viaggio è vissuto, raccontato e nominato. Parole con cui chiamare alleati, luoghi e mezzi ma anche scovare nemici, pericoli e contraddizioni, descrivere forme di solidarietà e atti di violenza. Strumenti per conoscersi e riconoscersi tentando di rompere il confine. Il Controdizionario che le raccoglie è una bussola imprescindibile per chiunque voglia orientarsi nel mare delle migrazioni, intersecare le rotte e navigare insieme. * La scheda dl libro L’Equipaggio della Tanimar è composto da un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle Università di Genova e di Parma che studia le forme di mobilità e l’abitare migrante nel regime di frontiera mediterraneo. Formato da sociologi, antropologi e giuristi, si occupa di migrazioni, immaginari e confini usando metodi etnografici, visuali e partecipativi. Dopo anni di ricerca sul confine mediterraneo, nel 2022 l’equipaggio ha navigato tra Pantelleria, Malta e le Isole Pelagie, esperienza da cui è nato il libro Crocevia mediterraneo (Elèuthera, 2023). Un secondo viaggio etnografico ha interessato, nel 2023, l’area dei porti tunisini di Kerkennah, Sfax, Mahdia e Monastir e un terzo, nel 2025, le isole dell’Egeo, tra Grecia e Turchia. Nel settembre 2025 l’equipaggio ha partecipato all’iniziativa politica f.Lotta, un’occupazione massiccia del Mediterraneo.
Contro l’integrazione. Ripensare la mobilità
Che importanza assume oggi la parola “integrazione”? 1 Nel dibattito sull’immigrazione occupa una posizione centrale: è penetrata nel senso comune ed è presente nei discorsi istituzionali, nelle agende politiche e nelle azioni pubbliche. Il suo uso è però problematico, perché presuppone una separazione culturale netta tra persone “autoctone” e straniere, facendo apparire le seconde come potenziali minacce alla sicurezza nazionale. Inoltre, il concetto di “integrazione” sembra descrivere in modo neutro il rapporto tra cittadini e non cittadini. Le norme che regolano le modalità di inclusione e, più in generale, il movimento delle persone appaiono in questa accezione “naturali” e non come il frutto di processi storici, spesso conflittuali. Il volume intende muovere una critica radicale all’idea di integrazione, sia in termini epistemologici sia da una prospettiva politica, con l’obiettivo di decostruire l’immaginario giuridico e materiale alla base del governo della mobilità e di de-naturalizzare lo sguardo sulle migrazioni. Enrico Gargiulo è professore associato presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, dove insegna Sociologia generale e Integrazione e valutazione delle politiche. Si occupa di cittadinanza, politiche di integrazione, polizia e strumenti di governo delle popolazioni. 1. L’elefante nella stanza si chiama integrazione. Intervista con Enrico Gargiulo, Francesco Ferri (Dinamo Press, 9 ottobre 2025) ↩︎
Reati culturalmente motivati: un approfondimento sulle mutilazioni genitali femminili
Questo articolo si concentra sull’analisi dei reati culturalmente motivati, con particolare attenzione al fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, esaminandone le implicazioni culturali, giuridiche e internazionali all’interno delle società multiculturali. L’Italia, come molti altri Paesi europei, si può definire sempre più come “società multiculturale”. Secondo il professore di diritto penale Fabio Basile, quando si parla di cultura, si fa spesso riferimento ad una definizione “etnicamente qualificata”: un sistema complesso, composto da differenti visioni del mondo e modi di pensare, da concezioni diverse del giusto e dell’ingiusto, del bello e del brutto, del bene e del male. Queste modalità di percezione e interpretazione della realtà sono profondamente radicate e pervasive, e caratterizzano i gruppi sociali, evolvendosi e contaminandosi nel corso delle generazioni. Un aspetto cruciale, quando si affronta il tema dei pluralismo culturale, riguarda il “localismo” del diritto penale, infatti, questa materia, più di altri settori dell’ordinamento giuridico, tende ad assumere una dimensione locale, riflettendo i valori e le norme proprie del contesto culturale in cui è applicato. Da qualche decennio, il diritto penale ha iniziato a confrontarsi con il pluralismo culturale delle società contemporanee, elaborando per la prima volta concetti come il “reato culturalmente orientato” che richiede “una valutazione, umana e sociale, culturalmente condizionata dei comportamenti presi in considerazione” 1. DEFINIZIONE DI REATO CULTURALMENTE MOTIVATO I concetti di cultural defense e di reato culturalmente motivato vengono utilizzati in ambito penalistico europeo per descrivere un comportamento compiuto da un soggetto appartenente a una cultura minoritaria, che, pur risultando penalmente rilevante secondo l’ordinamento giuridico del Paese ospitante, è considerato socialmente accettato, giustificato e incentivato dal Paese d’origine. Tali condotte generano un conflitto tra la norma penale dello Stato d’accoglienza e una norma culturale, spesso profondamente radicata e talvolta anche rinforzata dall’ordinamento giuridico del Paese d’origine. In ambito penalistico, questa divergenza è definita “antinomia impropria”. Nel diritto penale di ciascun Paese, la gestione del pluralismo culturale dipende dall’adesione a uno dei due modelli teorici prevalenti: il modello assimilazionista e il modello multiculturalista. Il primo impone agli immigrati l’abbandono della propria eredità culturale, richiedendo una piena conformità ai valori, alle norme e alle pratiche della società ospitante. Al contrario, il modello multiculturalista si fonda sul riconoscimento della diversità culturale e sulla legittimazione delle pratiche minoritarie, promuovendo strategie politiche tolleranti e progressiste, purché compatibili con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Diverse democrazie occidentali hanno aderito formalmente al modello multiculturalista ponendo però dei limiti al suo esercizio: il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, per cui, ogni espressione culturale deve necessariamente armonizzarsi con i principi costituzionali e con le norme a tutela dell’individuo. I REATI CULTURALMENTE MOTIVATI: PERPLESSITÀ INTERPRETATIVE La crescente presenza di persone migranti nei Paesi europei, all’interno di società sempre più caratterizzate dal pluralismo culturale, solleva una serie di riflessioni anche in ambito penalistico. Una delle questioni più delicate riguarda il ruolo che le differenze culturali dell’imputato o imputata possono, o dovrebbero, avere nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto penale. Non si tratta di offrire una giustificazione automatica ai comportamenti penalmente rilevanti, ma di interrogarsi su come il sistema giuridico possa confrontarsi con condotte che, pur configurandosi come reati, trovano origine in sistemi normativi e valori culturali differenti da quelli della società di arrivo. In questo senso, il problema non è tanto la “cultura” come attenuante o esimente, quanto la complessità del giudizio quando esso coinvolge individui portatori di tradizioni e visioni del mondo diverse. Non esiste una risposta univoca, anche perché i contesti culturali sono molto eterogenei, così come lo sono i reati che possono emergere in un quadro multiculturale. È però possibile individuare alcune tipologie di condotte che pongono particolari difficoltà interpretative, soprattutto quando alla base vi siano pratiche legate a convinzioni culturali radicate. Tuttavia, si possono individuare alcune macro-categorie di reati che emergono con maggiore frequenza, analizzandone dettagliatamente uno nei prossimi paragrafi: * Reati intrafamiliari: in alcune culture, il capofamiglia detiene un’autorità assoluta che giustifica l’uso della violenza per punire comportamenti ritenuti devianti. * Reati d’onore: forme di violenza volte a ristabilire l’onore familiare o personale, spesso collegate a comportamenti sessuali o relazioni non conformi alle norme del gruppo di origine. * Riduzione in schiavitù e sfruttamento di minori: pratiche tradizionali che giustificano la sottomissione di minori. * Reati contro la libertà sessuale: in contesti in cui la donna non gode di autonomia si verificano abusi giustificati dal ruolo familiare o dal genere, anche nei confronti di minorenni. * Mutilazioni genitali femminili e pratiche rituali: condotte giustificate come riti di passaggio o segni di appartenenza, che causano danni permanenti. Nel contesto processuale, il background culturale dell’imputato può assumere rilievo probatorio, offrendo al giudice una chiave interpretativa per una più completa e veritiera ricostruzione dei fatti 2. LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI E IL DIRITTO PENALE INTERNAZIONALE Come accennato sopra, il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili rappresenta un chiaro esempio di reato culturalmente motivato. Nel 1955 l’Organizzazione Mondiale della sanità l’ha descritto includendo: “tutte le pratiche che comportano la rimozione parziale o totale degli organi genitali femminili esterni o altri danni agli organi genitali, compiute per motivazioni culturali o altre motivazioni non terapeutiche 3”. Sono state formalmente riconosciute 4 pratiche: * Tipo I: consiste nell’escissione del prepuzio, con o senza la rimozione del clitoride. * Tipo II: prevede l’escissione del prepuzio e del clitoride, insieme alla rimozione parziale o totale delle piccole labbra. * Tipo III: comporta l’escissione parziale o totale dei genitali esterni e la cucitura della vulva (infibulazione). * Tipo IV: include tutte le altre pratiche dannose sui genitali, come le ustioni, i tagli o l’uso di sostanze corrosive 4. La mutilazione genitale femminile (MGF) è una pratica profondamente radicata in molte società extraeuropee, diffusa in circa 40 Paesi nel mondo, principalmente in Africa, Medio Oriente e alcune aree dell’Asia. Nonostante sia riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani, continua ad essere perpetrata a causa di un complesso sistema di credenze e tradizioni che varia da contesto a contesto. Alla base della MGF vi sono molteplici motivazioni, spesso intrecciate tra loro, che affondano le radici in fattori culturali, religiosi e sociali. Uno degli elementi principali è l’identità culturale: la pratica viene vista come un rito di passaggio, un segno di appartenenza alla comunità. Le ragazze che vi si sottopongono sono considerate adulte, pure e degne di rispetto, mentre chi si rifiuta rischia l’emarginazione o la stigmatizzazione. Un altro motivo ricorrente è legato alla concezione della sessualità femminile. In alcune culture, si crede che la mutilazione rimuova una parte “maschile” del corpo della donna, purificandola e rendendola più femminile. Questa convinzione si lega al desiderio di controllare la sessualità femminile, vista come potenzialmente pericolosa per l’onore familiare. Di conseguenza, la pratica viene giustificata anche come strumento per garantire la verginità prematrimoniale e la fedeltà coniugale, rafforzando l’idea che il corpo della donna debba essere controllato in funzione del prestigio e della reputazione della famiglia. In alcune aree, inoltre, esistono credenze secondo cui i genitali esterni femminili sarebbero impuri, poco estetici o addirittura nocivi per la salute. In questo contesto, la MGF viene vista come una pratica igienica, che renderebbe il corpo femminile più sano e gradevole. A queste credenze si aggiungono altre convinzioni, come l’idea che la mutilazione possa aumentare la fertilità della donna o migliorare il piacere sessuale del marito, rafforzando così il suo valore nel matrimonio. Non da ultimo, la MGF è spesso ritenuta una condizione necessaria per il matrimonio: una donna non mutilata può essere considerata “impura”, “disobbediente” o “inadatta” a diventare moglie, con gravi conseguenze sociali per sé e per la sua famiglia 5. In sintesi, la MGF non è solo una pratica fisica, ma il risultato di un sistema culturale complesso, che collega il corpo femminile a concetti di purezza, onore, salute e appartenenza. Vi è dunque un sistema di credenze che sostiene che questa pratica migliori la salute e lo status sociale delle donne coinvolte.  A seguito dei flussi migratori, diversi Paesi occidentali si sono trovati a confrontarsi con pratiche come la mutilazione genitale femminile, ritenute particolarmente gravi in quanto considerate lesive dei diritti fondamentali delle donne, in particolare della loro integrità fisica e libertà personale.  Tali pratiche sono state oggetto di una netta condanna da parte della comunità internazionale: diversi atti, tra cui il Protocollo di Maputo, impongono agli Stati l’obbligo di vietarle espressamente attraverso misure legislative efficaci e strumenti adeguati di tutela. In ambito europeo, tali pratiche sono considerate penalmente condannabili in tutti gli Stati, anche se con modalità diverse: alcuni Paesi, come Svezia, Regno Unito, Norvegia, Belgio e Spagna, hanno adottato leggi specifiche per contrastare queste pratiche, mentre altri, come la Francia, pur senza una normativa specifica, fanno ricorso alle disposizioni generali sul reato di lesioni personali. Nonostante ciò, la Francia risulta essere il Paese europeo in cui si sono celebrati più procedimenti giudiziari in materia. Infine, si è discusso della possibilità che il consenso espresso dalla donna possa escludere la punibilità delle mutilazioni. Tuttavia, molte legislazioni escludono esplicitamente questa possibilità, ritenendo che nemmeno il consenso possa giustificare una pratica che lede diritti umani fondamentali. IL CASO STUDIO E LA RISPOSTA NORMATIVA ITALIANA: LA LEGGE 7/2006 E L’INTRODUZIONE DI REATI SPECIFICI NEL CODICE PENALE Un caso particolarmente rilevante e rappresentativo del possibile sforzo ricostruttivo del contesto di riferimento, si è verificato a Verona nel 2006, quando, due genitori nigeriani avevano richiesto a una connazionale di praticare la aruè, una forma di mutilazione rituale, su due neonate. In primo grado tutti furono condannati, ma in appello la Corte di Venezia assolse i genitori, ritenendo che non ci fosse la volontà di ledere le figlie, bensì l’intenzione di seguire un rituale culturale ritenuto necessario nella loro comunità. La decisione si basò anche su testimonianze di esperti (antropologi, mediatori culturali, membri della comunità religiosa), che aiutarono il giudice a comprendere il contesto sociale e culturale del gesto. Questa sentenza ha sollevato un ampio dibattito in quanto il confine tra il rispetto delle differenze e la tutela dei diritti fondamentali rimane sottile e profondamente controverso: da un lato, c’è chi considera questo caso un esempio positivo di apertura al dialogo interculturale, dall’altro, alcuni temono che legittimare pratiche lesive possa legittimare azioni pericolose, soprattutto in casi in cui siano coinvolti minori o vittime vulnerabili.  In Italia, con la legge 9 gennaio 2006, n. 7, lo Stato ha introdotto una normativa penale specifica per vietare e punire le mutilazioni genitali femminili, scegliendo quindi di adottare una legge ad hoc. In particolare, l’art. 9 della legge ha aggiunto al codice penale gli articoli 583-bis, che introduce i reati di “mutilazioni genitali” e “lesioni genitali”, e 583-ter, che prevede pene accessorie specifiche per i sanitari coinvolti. Il tratto distintivo di questa normativa è la particolare severità sanzionatoria. Le pene previste per questi reati sono infatti più elevate rispetto a quelle normalmente applicabili per le lesioni personali.  Questa scelta legislativa è stata criticata da alcuni giuristi. In particolare, si sostiene che il maggior rigore sanzionatorio non sia giustificato da una maggiore gravità del danno fisico prodotto, ma piuttosto dalla motivazione culturale del reato. Secondo questa interpretazione, la legge 7/2006 sarebbe una norma simbolica, volta più a riaffermare i valori della cultura occidentale e a stigmatizzare pratiche culturali “altre” piuttosto che a tutelare in modo effettivo i diritti delle vittime. Ne deriverebbe, in ultima analisi, un atteggiamento intollerante da parte del legislatore, che punisce più duramente proprio perché il fatto è legato a tradizioni culturali diverse da quelle dominanti, rischiando solo di accumulare e fortificare pregiudizi nei confronti di comunità straniere, in base alle loro provenienze.  1. Sentenza della Cassazione n. 19808 del 9 giugno 2006 ↩︎ 2. I reati cd. «culturalmente motivati» commessi dagli immigrati: (possibili) soluzioni giurisprudenziali, di Fabio Basile, da Questione Giustizia ↩︎ 3. Si veda: “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, Relazione sulle mutilazioni genitali femminili, 27 ottobre 2021” ↩︎ 4. Le mutilazioni genitali femminili. Analisi delle implicazioni culturali e commento alla “Legge Consolo”, L. Tranquilli, L. Gentilucci, S. Talebi Chahvar ↩︎ 5. Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), di Fabio Basile, da Stato, Chiese e pluralismo confessionale ↩︎