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Parma, 19 settembre: Democrazia a Scuola, incontro con Osservatorio militarizzazione
Venerdì 19 settembre, alle ore 17.15, nella Sala conferenze dell’Assistenza Pubblica in via Gorizia 2/A a Parma si terrà un incontro pubblico sul tema “La democrazia a scuola e nelle università. Una rivoluzione necessaria”, organizzato da Parma Città Pubblica APS e dal Movimento 5 Stelle di Parma. Come insegnanti e studenti che credono nella scuola disegnata dalla nostra Costituzione riteniamo urgente interrogarci sulla situazione del nostro sistema educativo, nel quale appaiono sempre più compressi gli spazi di confronto e dibattito democratico e sempre più lontane dai valori di pace, inclusione, non violenza, dialogo e cura le indicazioni imposte dall’alto per condizionare la didattica e impedire il pensiero critico. Le politiche economiche neoliberiste assunte dall’Italia negli ultimi trent’anni hanno portato alla creazione della scuola-azienda attraverso una serie di riforme degli ordinamenti scolastici e dei programmi. Il linguaggio economico è entrato nella valutazione con l’introduzione dei concetti di debito e credito; nell’organizzazione della scuola con l’offerta formativa; nell’accento sullo studente come individuo e lavoratore che costruisce il proprio curriculum. Come questi cambiamenti hanno inciso nella concezione e nella pratica della scuola, dell’università e dell’educazione come bene comune? Quali le prospettive future? Può esistere una scuola veramente democratica senza un nuovo modello economico? Fino a che punto siamo disposti ad accettare che la militarizzazione e l’ideologia della guerra, della competizione e dell’esclusione entrino a scuola e in università? Per discuterne Roberta Roberti e Silvia Delitala dialogheranno con alcuni ospiti provenienti dal mondo della politica e dell’educazione: la senatrice Barbara Floridia (Movimento 5 Stelle), la professoressa Vincenza Pellegrino, docente di Sociologia e membro dell’Osservatorio paritetico docenti e studenti contro la normalizzazione della guerra e per la pace di UNIPR, Antonino Cento e Annachiara Galli, rappresentanti delle associazioni studentesche universitarie UDU e SSU, Serena Tusini dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università e il Dott. Alessandro Monchietto del Movimento per la Biodiversità neurologica Neuropeculiar. Il mondo della scuola e la cittadinanza tutta sono invitati a partecipare.
Migrare: essere altrove, esserci altrimenti
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Dipartimento di scienze dell’educazione “Giovanni Maria Bertin” Master di I° livello in Educatore nell’accoglienza di migranti, richiedenti asilo e rifugiati MIGRARE: ESSERE ALTROVE, ESSERCI ALTRIMENTI ETNOGRAFIA SUL RUOLO DELL’OPERATORE TRA FRAGILITÀ PSICHICA E NUOVE PROSPETTIVE DI ACCOGLIENZA NELLO SPRAR DI “PIAZZA GRANDE” Scarica l’elaborato ABSTRACT Di richiedenti asilo e rifugiati si parla molto ultimamente, spesso evocando in maniera più o meno sottile gli scenari delle guerre lontane e della miseria, ma anche dell’invasione, della minaccia terroristica e della contaminazione. Ma chi sono costoro? Da cosa fuggono, cosa hanno subìto e cosa sperano per il loro futuro? E quale contesto migliore per esplorare la loro esperienza se non quello delle strutture di accoglienza in cui passo per passo si ricostruisce, nella quotidianità della convivenza, il proprio progetto di vita, tra ricordi, scoperte, conflitti, nostalgia, rabbia, aspirazioni, resilienze e ferite dell’anima? Questo lavoro, pertanto, nasce dalla volontà di raccogliere alcune principali riflessioni, in relazione all’approccio metodologico impiegato, alle ragioni che mi hanno indotto a scegliere un orientamento di tipo etnografico, per indagare la tragicità del presente in cui viviamo, e alle difficoltà inerenti la gestione del servizio di accoglienza che, ultimato il processo di indagine e di scrittura, ritengo sia doveroso esplicitare nelle note conclusive. Aggiungo che lo studio sul sistema di accoglienza dovrà essere utile anche per gli operatori del settore, intrappolati in un intricato apparato di poteri e relazioni che merita e richiede un costante livello di riflessione teorica sulle prassi attuali. Come coniugare le differenti esigenze degli attori che si muovono nello scenario e tradurre nella pratica quotidiana quel corpus teorico maturato nella riflessione sul proprio agire, è la sfida principale che cerco di pormi. L’obiettivo maggiore è quella di congiungere, in una sorta di dialogo, il ruolo dell’operatore e quello del tirocinante a quello del beneficiario e riuscire a trovare, così, una funzione pubblica per il sapere e la conoscenza che si produce all’interno dei servizi di accoglienza. Per spiegare come ho condotto l’indagine mi soffermerò brevemente, su come nasce e da dove arriva l’osservazione partecipante. Questo metodo serve per stabilire un’empatia che permetta di rendere nella descrizione il punto di vista della comunità e dei soggetti che si stanno studiando. Fondamentale per questa attività di studio è la capacità “mimetica” dell’antropologo, la sua abilità a conquistare la fiducia, a creare legami e relazioni profonde con l’intervistato. Va sottolineato però che pur impegnandosi, lo studioso non si trasformerà mai in un membro della comunità che studia, il ricercatore deve sempre comprendere l’impossibilità di astrarsi dalla sua posizione, diametralmente differente da chi vive quello che viene raccontato. Ritengo dunque che sia necessario dare rilevanza alle premesse che chiariscano il lavoro di studio qui presentato, per poter considerare almeno una parte di quei presupposti dai quali muovono le osservazioni. Fare una indagine significa, tra le altre cose, sviluppare relazioni più o meno profonde e prolungate con gli attori sociali, con coloro cioè che attraverso i dialoghi, le interazioni, i condizionamenti e le osservazioni offrono il materiale su cui costruire le etnografie. In questo elaborato mi pongo l’obiettivo di raccontare di persone che hanno il desiderio di dare un significato diverso alle loro vite, non solo come vittime di un sistema esclusorio, ma semplicemente per rendere un’immagine meno falsa di quella che si è creata in questi ultimi anni. Perché collocarsi vicino all’esperienza della persona che vive le contraddizioni dell’emigrazione così come è gestita a livello governativo, significa andare oltre un’astratta empatia e giocare, al contrario, una dialettica fra prossimità e distanza, capace di riconoscere, valorizzandoli, quegli attimi in cui la corporeità non solo “resiste” ma si ribella, sfugge, riattivando la capacità di agire anche nell’istante di un gesto ironico, nella durata di un silenzio denso di agentività, o nell’incrocio di sguardi che fondano la presenza e attivano una cornice di relazione dialogica fra osservatore e osservato. Mi soffermerò, seppur brevemente, sugli aspetti che riguardano la gestione delle attività di occupazione dei beneficiari coordinati dagli operatori. Un paragrafo sarà dedicato alla “cena di via Romita” nella quale sono emersi degli aspetti che rimandano alla condivisione, intesa come etica promotrice di sensibilità e di una maggiore uguaglianza. Tra gli altri compiti mi annovero quello di “cucire” le fila del discorso, di comporre insieme le varie parti, senza però seguire un certo ordine cronologico, in modo da ricostruire tassello su tassello un quadro il più possibile chiaro e comprensivo di quelli che potrebbero sembrare «brevi cenni sull’universo» secondo l’espressione di Gramsci. Si intende che l’impossibilità di trattare l’argomento in modo compiuto ed esaustivo, abbia permesso un approccio limitato e provvisorio, dovuto anche alla necessità di risolvere tutto in un arco di tempo di pochi mesi, dal quale emergono tuttavia molteplici riflessioni e nuovi orientamenti di indagine. Un ulteriore margine di riflessione sarà dedicato al mio rapporto con gli utenti cercando di descrivere le attività che essi svolgono, concentrandomi anche sull’imperare delle relazioni di potere nonché sulla gestione del tempo che rappresentano una costante interazione, anche se a volte conflittuale, tra gli operatori e i beneficiari. Prenderò anche in esame il ruolo di “mediatore nell’accoglienza”, ovvero l’operatore, al fine di mettere in luce le dinamiche di interazione sviluppate nella struttura, sia con i beneficiari e sia con lo spazio gestionale e corporeo. Nel fare ciò mi tratterrò sulla particolarità e sulla concretezza delle situazioni di crisi esistenziale, cercando di cogliere l’intreccio e le modalità di interazione tra queste figure, secondo l’iter che porta l’individuo a essere accolto, alla sua permanenza nella struttura e al suo rapporto con gli stessi operatori. Nella seconda parte dell’elaborato cercherò di allacciarmi alla prospettiva assunta dall’etnopsichiatria, secondo la quale la malattia è un fenomeno talmente complesso che, per essere compreso si rende necessario considerare la totalità degli aspetti in esso coinvolti. Rifletterò, inoltre, sulla “condizione di migrante” e sull’insorgere di stati di malessere e sofferenza psichica difficili da superare, ancor più, nell’incertezza che accompagna il loro futuro. Cercherò di interrogarmi sulla genesi delle crisi da “ri-adattamento” e di nostalgia (angoscia territoriale) e sui tempi lunghi di attesa che sono tutti fattori che possono provocare una ri-traumatizzazione secondaria, come è stata definita dal Ministero della Salute. Il fine ultimo è di analizzare, nell’attuale complicata e turbolenta situazione economica, sociale e politica, il modo di gestire il migrante (richiedenti asilo, richiedenti protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria), evidenziando le inevitabili e importanti trasformazioni avvenute.