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Nakazawa Keiji / 80 anni dopo Hiroshima
”Riposate in pace perché noi non ripeteremo il male” (Asurakani nemutte kudasai. Ayamachi wa kurikaeshimasenkara). Questa frase è incisa sul Memoriale della Bomba di Hiroshima, luogo di ritrovo ogni anno per migliaia di giapponesi per non dimenticare. È significativo ricordare che il sito è patrimonio dell’UNESCO solo dal 1996 per una decisione presa con opposizione degli USA e l’astensione della Cina. Al suo interno è racchiuso un registro con i nomi di tutte le vittime dell’esplosione atomica. Quest’anno cade un triste anniversario, sono infatti trascorsi ottant’anni dallo sgancio delle due bombe atomiche ma facciamo un ripasso di storia.  Sono le 8.15 del 6 agosto 1945 e gli Stati Uniti sganciano la prima bomba atomica su Hiroshima, la seconda esplosione avverrà solo qualche giorno dopo, il 9 agosto e la città prescelta stavolta sarà Nagasaki. La seconda guerra mondiale è agli sgoccioli e il Giappone è al collasso. Le conseguenze sono devastanti: esseri che un tempo erano persone camminano come ombre mentre la loro pelle si scioglie letteralmente a causa del fallout radioattivo e una sete folle li coglie. Con una potenza di sedici chilotoni Little Boy, il primo ordigno nucleare, spazza via in pochi minuti oltre ottantamila giapponesi lasciando sconvolta nel profondo l’intera nazione.  Tra i pochi sopravvissuti c’è Keiji Nakazawa che all’epoca ha sei anni e che nell’esplosione perde parte della famiglia. Da questa terribile esperienza nasce la sua opera principale Gen di Hiroshima (Hadashi no Gen letteralmente Gen a piedi nudi). Il protagonista è un bambino di sei anni nato e cresciuto a Hiroshima che nell’esplosione perde gran parte della famiglia. Decisamente autobiografico non trovate? Ma la sua rabbia per quanto successo e per le conseguenze della bomba – le radiazioni colpiranno intere generazioni negli anni a seguire provocando malformazioni, tumori e leucemie – è presente e caratterizza tutti i suoi manga, incluso Colpiti da una pioggia nera.  Gli A-bomb manga, così vengono definiti, raggiungono il loro apice quantitativo negli anni che vanno dal 1954 al 1973, anche in relazione ad un incidente del marzo del ’54 in cui una nave da pesca giapponese fu contaminata dalle ricadute radioattive di un test nucleare statunitense sull’atollo Bikini (un episodio espressamente richiamato anche nel primo Godzilla di Ishirō Honda, dello stesso anno).  La bomba atomica viene esplicitamente rappresentata e raccontata nei fumetti come una sovrastante minaccia per la specie umana:  oltre settanta opere pubblicate in questo arco di tempo definiscono l’età dell’oro degli A-bomb.  La figura dell’hibakusha – come vengono chiamati i sopravvissuti alla duplice esplosione nucleare – diventa lo spunto narrativo anche di questa antologia di Nakazawa. Al centro di tutti i racconti, come “non persone” sono disprezzati dagli altri giapponesi e spinti ai margini della società senza un sostegno economico per le malformazioni con cui sono costretti a vivere. Rifiutati perché persino i loro figli generano bambini malati, gli hibakusha sono sfruttati e maltrattati anche dagli americani,  arrivati dopo l’esplosione per studiare in loco gli effetti delle radiazioni sui loro corpi, e dimenticati dall’imperatore a cui hanno dato tutto.  In queste storie, ambientate alla fine degli anni Sessanta, Nakazawa sottolinea però oltre all’indicibile sofferenza provata, anche la forza di un popolo che, nonostante tutto, ha voglia di vivere e andare avanti. Se è palese l’odio nei confronti di coloro che hanno organizzato questa crudele ecatombe, gli americani, l’autore evidenzia anche l’insensatezza di una guerra che ha portato solo povertà ad un popolo ora in ginocchio. Una guerra che ha cambiato per sempre il volto e il modo di pensare del Giappone, mischiando due culture opposte, quella occidentale e quella orientale, portando quest’ultima sulla rotta del capitalismo.  “Noi che avevamo assistito e avevamo subito il bombardamento  sulla nostra pelle non trovavamo le parole. Ascoltandoci a vicenda, scoprimmo che ciascuna delle nostre esperienze personali non era che un frammento minuscolo di un affresco dell’enorme catastrofe. Se il racconto orale fosse rimasto l’unica comunicazione, nel tempo quei fatti reali sarebbero stati persi o distorti. Per le generazioni future, volevo un resoconto fatto di parole scritte dagli hibakusha.” Un’interessante postfazione completa il volume approfondendo l’argomento della bomba e arricchendolo con notizie e nozioni storiche, come ad esempio il discorso sopra citato del sindaco di Hiroshima Hamai Shinzò (in carica dal 1947 al 1955 e poi dal 1959 fino al 1967) che si fa promotore di un archivio di shuki,  ovvero di appunti e di memorie e di kiroku,  le cronache dei sopravvissuti della sua città. Paolo La Marca ci racconta invece un po’ nel dettaglio la storia della letteratura giapponese sull’atomica. Keiji Nakazawa è un sopravvissuto. La bomba cade a 1,2 km da dove si trova e si salva per miracolo ma il prezzo da pagare per lui è molto alto. Perde il padre, il fratello minore e la sorella maggiore. Nel 1955 lavora presso la bottega di un artigiano di insegne e disegna fumetti da autodidatta, ma è nel 1961 quando si trasferisce a Tokyo, dove lavora come assistente di un mangaka, che la sua vita professionale vive una svolta. Colpiti da una pioggia nera vede la luce nel 1968 suscitando reazioni fortissime mentre nel 1973 comincia la serializzazione di Gen di Hiroshima sulla rivista settimanale “Shukan Shonen Jump” che riscuote enorme successo sia tra i ragazzi che tra gli adulti, diventando un best e un long seller tradotto in tutto il mondo oltre a ispirare un film animato e una serie televisiva live action. Nakazawa ci ha lasciato nel dicembre del 2012. L'articolo Nakazawa Keiji / 80 anni dopo Hiroshima proviene da Pulp Magazine.
Le atomiche su Hiroshima e Nagasaki come primo atto della guerra fredda
Alle 8:15 di lunedì 6 agosto 1945 un bombardiere degli Stati Uniti sganciò su Hiroshima la prima bomba atomica. La seconda fu usata tre giorni dopo, giovedì 9 agosto, su Nagasaki, a circa 400 chilometri di distanza. Subito dopo Hiroshima il presidente USA Harry Truman dichiarò: «Poco tempo fa un […] L'articolo Le atomiche su Hiroshima e Nagasaki come primo atto della guerra fredda su Contropiano.
A 80 anni da Hiroshima e con gli occhi puntati sull’Olocausto di Gaza
Anni fa tenni diversi corsi sulla composizione di reportage creativi e approfonditi. Un testo obbligatorio era Hiroshima di John Hersey. Sullo stesso tema assegnavo anche En Hiroshima, a un millón de grados centígrados, un reportage di Gabriel García Márquez incluso in una nota antologia dei suoi testi giornalistici pubblicati negli anni ’50. Il […] L'articolo A 80 anni da Hiroshima e con gli occhi puntati sull’Olocausto di Gaza su Contropiano.
Ottantesimo anniversario del bombardamento atomico su Hiroshima: 6 agosto 2025, Roma, Piazza del Pantheon
Il palco è piccolo quest’anno e c’è sorprendentemente poca gente in Piazza del Pantheon, sede della cerimonia per non dimenticare. Durante l’allestimento viene decisa la scaletta degli interventi e – fatto inusuale – mettono me come secondo intervento dopo Athos De Luca, l’artefice di questo evento, ormai tradizionale. Vi partecipiamo ogni anno portando la voce della società civile e di organizzazioni internazionali, in una prospettiva glocale informata sul nucleare. Diamo spessore politico, nel poco tempo a disposizione. Alle 09.40 De Luca invita la banda dei Carabinieri a intonare l’inno giapponese, poi l’inno italiano, quindi introduce la cerimonia, sottolineando l’importanza di “far sapere” ai giovani, dato che i testimoni sono sempre di meno ed è necessario essere consapevoli che la pace va costruita, come la democrazia. Bisogna ricordare chi si è sacrificato per questo e cita le Fosse Ardeatine. L’Italia, l’Europa, devono fare la loro parte.  Spiego che rappresento la Women’s International League for Peace and Freedom Italia e la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN). Ricordo che l’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite afferma che gli Stati membri non devono esercitare l’uso della forza né la minaccia dell’uso della forza, mentre l’articolo 2.3 stabilisce che le vertenze internazionali devono essere risolte con mezzi pacifici. Siamo in una situazione di grande pericolo per le minacce dell’uso di armi nucleari e per l’opzione della deterrenza, che in realtà favorisce anziché contenere la proliferazione nucleare, in quanto anche i Paesi non nucleari ambiscono a divenire tali per scoraggiare i nemici di turno. Da una parte la ratifica del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari rappresenta una via di sicurezza, dall’altra per dissuadere i Paesi nucleari è impellente creare distensione nelle relazioni internazionali portando in alto l’esercizio della diplomazia, della prevenzione e della mediazione dei conflitti, con una partecipazione piena delle donne, come inteso dalle Nazioni Unite. Secondo ICAN durante il 2024 si è registrato un aumento pari all’11% della spesa globale per le armi nucleari arrivando ad investire 100 miliardi di dollari. I Paesi maggiormente coinvolti sono gli USA, la Cina, la Gran Bretagna, La Russia, la Francia, l’India, il Pakistan e Israele, La Corea del Nord. La Gran Bretagna ha annunciato di voler acquistare gli F 35 statunitensi diventando il sesto Paese coinvolto nel nuclear sharing con gli USA insieme a Olanda, Belgio, Germania, Italia Turchia; Francia e Gran Bretagna hanno stretto un accordo per attacchi nucleari contro la Russia nel caso venga condotto un attacco contro un Paese europeo. Gli USA hanno impegnato sottomarini nucleari in direzione della Russia, La Russia ha deciso di trasferire missili trasportatori di testate atomiche in Bielorussia…In base alle nuove tecnologie i missili trasportatori delle armi atomiche impiegano pochi secondi, le armi automatiche o il pericolo dell’errore umano dovuto all’emotività rappresentano un pericolo, come ricorda il docente di Psicologia del rischio Prof. Paul Slovic, secondo cui il “pensiero veloce” nuoce e la violenza non è mai virtuosa mentre virtuoso è il dialogo, le negoziazioni eque e i procedimenti legali. La ratifica del TPNW e il ritorno alla tradizione, anche italiana, della diplomazia – che si è spenta – sono un’urgenza. Fabrizio Viera, in rappresentanza della Regione Lazio, enfatizza la complessità della fase storica richiamandosi soprattutto l’aggressione russa dell’Ucraina. Pino Battaglia, Assessore di Roma Capitale alle periferie, definisce l’attacco nucleare a Hiroshima come “la prima follia” e la memoria “un impegno per il futuro”. Il dialogo tra diversi, fra Stati e comunità, il rispetto dell’altro, sono basilari. Il Giappone è un esempio più di altri Paesi per la sua capacità di giostrarsi tra le tensioni e di ricomporre conflitti. Dobbiamo impegnarci tutti per la pace. Valerio Casini, Presidente del Gruppo Capitolino Italia Viva, sostiene l’importanza di tramandare il ricordo di come l’umanità è stata capace di autodistruggersi. L’indifferenza all’ascolto è dannosa, vi sono brutti presagi, bisogna costruire la pace con sacrificio. Anche i social possono divenire strumenti di conflitto. L’ambasciatore giapponse Satoshi Suzuki afferma in lingua inglese (tradotto) che sono trascorsi ottant’anni da quella tragica esperienza e l’atomica non è stata più utilizzata ma vi sono sviluppi preoccupanti che potrebbero minacciare il Trattato di Non Proliferazione. Il Presidente Mattarella è stato in Giappone e ha visitato il Parco della Pace pregando e depositando un tributo floreale. Il prossimo anno si celebreranno i 160 anni di relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone: dobbiamo sforzarci insieme di proseguire l’impegno per un mondo libero dalle armi nucleari. La mezzo soprano Eiko Misumi intona la canzone “Satokibibatake” “Campi di canne da zucchero”, sul tema della guerra, del compositore Naohiko Terajima. Athos de Luca ribadisce che commemoriamo le vittime dei bombardamenti atomici e tendiamo alla pace nel mondo. Come ogni anno un’associazione viene premiata: a sorpresa ricevono una pergamena dall’ambasciatore giapponese tre “amici dell’uomo”, tre cani della Protezione Civile. Uno degli accompagnatori fa una dichiarazione: «Il ricordo è il futuro» e De Luca incalza: «Non molti si ricordano che i cani salvano le vite». È il momento dell’esibizione sulle note di Bach dei giovani della Scuola di Ballo di Roma diretta da Paola Iorio. Vestiti color avorio catturano tutta l’attenzione fluttuando sui sampietrini scuri. De Luca non può non ricordare la grande assente, la madrina storica di questo evento, la grande Carla Fracci e tutti applaudono. Il vice brigadiere Fiorentini, trombettiere, intona il silenzio e di nuovo ci si alza in piedi. Nel pubblico, tra turisti, fotografi, forze dell’ordine, Angela Perri di WILPF Italia, Cosimo Forleo dei Disarmisti Esigenti, Virginio Massimo del Comitato Promotore contro ogni discriminazione, Pilar Castel attrice e autrice hanno dato supporto in rappresentanza della società civile.  Patrizia Sterpetti, Segretaria di WILPF Italia APS, wilpf.italia@outlook.it   WILPF (Women's International League for Peace and Freedom)
A Kiev un crimine di guerra
Oggi è il 6 agosto. Esattamente ottant’anni fa, nel 1945, gli Stati Uniti d’America sganciarono la bomba atomica che ridusse in macerie la città giapponese di Hiroshima e in polvere gran parte dei suoi abitanti. Evidentemente non ancora soddisfatto dell’operazione, il presidente statunitense Truman ordinò il lancio di un’altra bomba atomica che il 9 agosto distrusse la città di Nagasaki. La memoria è importante: lo scorso anno il sindaco di Nagasaki fece sapere all’ambasciatore israeliano che per il rispetto dovuto alle vittime di Gaza la sua partecipazione alla commemorazione non era gradita. Ovviamente gli ambasciatori di gran parte dei Paesi occidentali, complici del genocidio in corso, condannarono le inappropriate e sconsiderate parole del sindaco e disertarono la celebrazione, in primis quello statunitense e a seguire gli scagnozzi dei Paesi vassalli. “Chi salva una vita salva il mondo intero”: è la parafrasi di un detto contenuto nella Mishnà ebraica. Quanto vale dunque una vita umana? Vale il mondo intero. La vita di un bambino quanti mondi vale? Bisognerebbe chiederlo alla mamma e al papà, se hanno avuto la fortuna o la sfortuna di sopravvivere a un attacco sferrato da chissà dove e da chissà chi, davanti a un monitor che aliena e disumanizza l’omicidio o la strage. Dico questo perché dati alla mano volevo scrivere che Kiev non è sottoposta a massicci attacchi, né tantomeno a bombardamenti a tappeto, come affermato da diversi media. Da un punto di vista meramente razionale, descrivere le grandi città ucraine come Leopoli, Kiev e Odessa come città semidistrutte da massicci attacchi russi, per non parlare di veri e propri bombardamenti a tappeto, sarebbe una menzogna bella e buona. Potrebbe essere anche un errore fatale, perché giustificherebbe la rappresaglia, renderebbe impossibili o ancora più difficili le trattative e infine favorirebbe la folle decisione di un riarmo europeo senza precedenti, giustificato da un nemico in realtà inesistente. Razionalmente ho ragione: i 31 morti del 31 luglio non autorizzano a parlare di massicci attacchi su Kiev, però la razionalità è una cosa, l’emotività un’altra. L’aridità dei numeri non può sostituire volti, storie, vite stroncate per sempre. Prima di scrivere il mio articolo ho voluto dunque andare sul luogo della strage del 31 luglio 2025. Yurii Sheliazenko mi ha dato il nome del distretto e l’indirizzo dell’ufficio che assiste le vittime dell’attacco che sono sopravvissute. Vittime perché hanno perso i loro cari, perché sono più o meno gravemente ferite, oppure perché hanno perso tutto, compresa la casa danneggiata o devastata e la macchina incenerita. Stiamo parlando quindi di un migliaio di persone di un quartiere popolare dell’estrema periferia dell’immensa Kiev. Nel centro di assistenza vedo soldati e poliziotti e allora preferisco chiedere alla ragazza di un bar. Lei gentilissima, come tutte le persone che ho incontrato finora, chiede agli avventori e così su Google Maps del mio cellulare ora c’è un indirizzo preciso… a “soli” 8 kilometri. “Che saranno mai?” penso tra me e me e mi incammino.  Poi saggiamente, dopo un’ora, trovo un tram che va nella mia stessa direzione e così arrivo nel luogo colpito dal missile. Vedo grandi palazzoni di edilizia popolare, esattamente come in tutte le periferie del mondo. Qui i segni della guerra sono evidentissimi: vetri rotti, tetti parzialmente scoperchiati, macchine carbonizzate e non ancora rimosse. Infine il crimine di guerra, l’orrore, l’inferno: un palazzone interamente sventrato, non danneggiato da un drone, ma colpito da un missile russo che ha ucciso trentuno persone, tra cui sei bambini. E’ stato straziante vedere lo scivolo semi-divelto del modesto parco giochi destinato ai bambini e alle bambine: due piccoli scivoli, due altalene. Mani pietose hanno sistemato pupazzetti e giocattolini trovati tra le macerie e hanno posato lì vicino dei lumini. Chi passa ha lo sguardo commosso e attonito di un sopravvissuto. Mi siedo e provo a scrivere e sul telefonino, ma iniziano a cadermi le lacrime… Sono un maestro elementare e mi sento inorridito: lì sono morti sei bambini, insieme ad altre 25 persone e i feriti sono centinaia. Mi sento anche in colpa: come ho potuto pensare “solo 31 morti”? Le aride cifre mi davano ragione, ma ogni vita è un mondo che muore, una stella che si spegne… L’orrore senza fine del genocidio di Gaza seppellisce la nostra umanità. Davanti alle migliaia di bambini uccisi a Gaza, tra morti accertate e corpicini sepolti per sempre sotto le macerie, cosa saranno mai, avevo inizialmente pensato, i sei bambini uccisi il 31 luglio a Kiev? Quelli di Gaza sono numeri così enormi che il nostro cervello non riesce neppure a elaborarli, eppure ogni vita è sacra. Lo dico da ateo: è il mondo intero che muore. Attenzione: chi di qua o di là dal Dnieper fa ora strage di qualche decina di civili, ragiona come chi a Gaza ne ha uccisi oltre centomila e come chi ottant’anni fa ordinò di sganciare quelle due maledette bombe atomiche. Sono criminali assassini e governano la grande parte dei Paesi occidentali in nome nostro. Dobbiamo liberarcene al più presto con la nonviolenza, che è azione e coraggio e non passività e viltà. E soprattutto “senza perdere la tenerezza”.   Mauro Carlo Zanella
Dopo otto decenni il ricordo dei bombardamenti atomici sia base attiva per il disarmo nucleare
Due date importanti e terribili nella storia dell’Umanità: il 6 agosto 2025 scocca l’ottantesimo anniversario del bombardamento atomico su Hiroshima e tre giorni dopo, il 9 agosto 2025, si ricordano gli otto decenni da quello su Nagasaki. Un momento di ricordo importante che non può però rimanere solo una commemorazione: è importante che si trasformi invece in un appello urgente alla coscienza collettiva e politica dell’umanità. Ricordare la devastazione di Hiroshima e Nagasaki non significa solo onorare le vittime ma ascoltare la voce viva e potente, pur se resa flebile dal passare dei decenni, dei sopravvissuti (gli hibakusha) con l’intento di raccogliere il testimone del loro instancabile impegno per un mondo libero da armi nucleari. Ripensare alla cancellazione di queste due città (con la loro cultura, la loro storia, l’incrocio delle vite di tutte le persone che sono state “bruciate” dal fuoco atomico) magari cercando immagini e parole per provare a capire è sicuramente un passo fondamentale. Ma pur nella sua importanza, non basta: il ricordo di quel momento di distruzione e dolore assoluti deve tradursi in azione! In un mondo che continua a investire in armamenti nucleari, che sono minaccia strutturale alla pace globale, l’esempio degli hibakusha è una guida morale e politica imprescindibile. Perché non si limita ad essere un semplice monito derivante da un errore del passato, ma è un continui richiamo e un grido rivolto al futuro: quanto è accaduto nel 1945 non deve succedere mai più e nessun popolo, in nessuna parte del mondo, lo dovrà più subire. In occasione di questo anniversario la Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce alle azioni e alle richieste di tutti i movimenti per il disarmo nucleare: in particolare ad ICAN — la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, premio Nobel per la Pace 2017 — e alla organizzazioni degli hibakusha con cui è continua la collaborazione (in particolare con Nihon Hidankyo e Peace Boat). “In questo 80° anniversario dei bombardamenti del 1945, sia la Campagna ICAN che la rete degli Hibakusha hanno scelto di dedicare il 2025 alla memoria dei bambini uccisi nei due bombardamenti del 1945: furono 38.000 – sottolinea Lisa Clark, vicepresidente dei Beati Costruttori di Pace e referente per il disarmo nucleare della Rete Italiana Pace e Disarmo – Ci propongono quindi un obiettivo che per noi attualizza l’impegno. Non possiamo separare l’impegno per il disarmo legato alla memoria di quei 38.000 bambini uccisi nel 1945 dall’orrore per le migliaia di bambini che sono stati uccisi, e che continuano ad essere uccisi, a Gaza e nella Palestina tutta”. Queste parole evidenziano come la tragedia delle armi prima atomiche e poi nucleari non è un capitolo chiuso, ma una ferita ancora aperta che si riflette nelle guerre contemporanee: nei civili colpiti, nei bambini assassinati. Oggi agire per il disarmo umanitario (con azioni sociali, culturali, politiche) significa anche contrastare l’indifferenza verso ogni crimine di guerra, ogni uso indiscriminato della forza, ogni minaccia di annientamento. In tale contesto è particolarmente allarmante il ritorno del dibattito politico della presunta “necessità” di dotare alcuni Paesi europei di armi nucleari. Recenti dichiarazioni, anche da parte di esponenti di governo in diversi Stati membri dell’Unione Europea, sembrano spingere verso l’ipotesi di una proliferazione nucleare “difensiva” come risposta all’instabilità globale. Una risposta profondamente sbagliata che solo porterebbe ad un aumento dell’insicurezza: per questo le organizzazioni europee di ICAN — inclusa la nostra Rete Pace Disarmo — hanno respinto con forza questa visione, denunciandola come pericolosa, irresponsabile e priva di qualsiasi fondamento strategico. Ed evidenziando come si allontani dalla volontà della gran parte delle opinioni pubbliche del Continente. La teoria della deterrenza nucleare, se si guardano i fatti e la si analizza oltre la maschera retorica, è un cammino fallace e profondamente ingannevole: non garantisce sicurezza, ma alimenta la corsa agli armamenti, la sfiducia tra gli Stati e il rischio concreto di un conflitto irreversibile. La vera sicurezza nasce dal dialogo, dalla cooperazione internazionale, dal rispetto del diritto umanitario e degli accordi multilaterali, come il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) entrato in vigore nel 2021 ma ancora ignorato da molte potenze nucleari pur se firmato o ratificato dalla maggioranza dei Paesi del mondo. Per questi motivi l’ottantesimo anniversario di Hiroshima e Nagasaki non può limitarsi ad essere vissuto come un mero rito simbolico. Lo dobbiamo invece valorizzare come occasione per rilanciare con forza l’impegno per la totale eliminazione delle armi nucleari, unica garanzia contro l’annientamento dell’Umanità. Un’occasione per restituire centralità alla voce delle vittime, alla dignità dei sopravvissuti, alla responsabilità delle generazioni presenti. Oggi più che mai quello del “ricordare” – come faranno tante città in tutta Italia – è un atto politico. E la memoria, se accompagnata dall’azione, può diventare la forza più potente per migliorare il mondo e liberarlo dalla minaccia esistenziale delle armi nucleari. Rete Italiana Pace e Disarmo
Assemblea permanente contro guerre e riarmo
Il mondo va verso la guerra. Anche se le guerre nel mondo non sono mai scomparse, è chiaro che negli ultimi tempi stiamo assistendo a una recrudescenza bellica che non ha uguali negli ultimi decenni. Dalle guerre di dissoluzione della Jugoslavia alla Cecenia (anni Novanta del secolo scorso), dalla nuova guerra fredda scatenata in Europa da NATO, Occidente e Russia all’invasione russa dell’Ucraina, ovunque assistiamo all’aumento della violenza bellica, alla corsa al riarmo e alla crescita delle spese militari, con nuovi progetti di basi e installazioni militari e con una sempre maggior influenza del complesso militare-industriale sulle vite di noi tutti. Si tratta di guerre imperialiste di spartizione del mondo (attualmente sono almeno 56 i conflitti in corso), molte delle quali apparentemente a bassa intensità, nascoste all’opinione pubblica, e alcune invece ad alta intensità con il rischio di una guerra globale e atomica; di guerra contro l’informazione, contro i giornalisti che producono notizie sul campo e contro i canali – informatici o meno – che tali notizie diffondono a tutto il pianeta; di guerra ai diritti ed ai servizi sociali, alla redistribuzione della ricchezza. L’incredibile aumento al 5% del PIL della spesa militare cui sta andando incontro l’Europa significherà un ulteriore e drammatico taglio alle spese sociali e una ristrutturazione della stessa organizzazione del lavoro. L’Europa dà così l’addio alla transizione Ecologica – se mai è veramente esistita – per aprirsi alla transizione Bellica. La guerra però è soprattutto guerra alle popolazioni civili e ai loro diritti, a cominciare dall’elementare diritto all’esistenza, come nel caso del genocidio in atto a Gaza, ma anche a una vita dignitosa, nel lavoro e nelle relazioni sociali. Spesso ciò che accomuna i governi delle potenze che aggrediscono e di quelle che sono aggredite è il disprezzo dei diritti sociali e politici delle loro popolazioni, a cui si chiede solo un’adesione alle ideologie liberiste, o nazionaliste e/o religiose che giustificano la presenza e l’azione dei suddetti governi. In questo contesto l’Italia è in prima fila in ben 42 missioni militari all’estero, in buona parte in Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli interessi di colossi come l’ENI. Opporsi concretamente a tutto questo è un’urgenza ineludibile. Noi vogliamo impegnarci contro la guerra, contro i suoi effetti ma soprattutto contro le cause che la generano. Siamo contro la divisione del mondo e delle sue risorse in aree di influenza, siamo per economie aperte e solidali, siamo contro le spese militari e alle conseguenti misure di austerità. Siamo per i diritti sociali e civili per tutt*, siano essi intere popolazioni o singoli individui. Gli unici veri confini che non possono essere superati sono quelli della libertà personale e del rispetto degli altri individui. Siamo pienamente solidali con le popolazioni palestinesi che subiscono un genocidio senza fine e anche con chi dentro Israele cerca di opporsi alle politiche di massacro del proprio governo. Siamo solidali con chi vive in Iran, stretto fra la repressione del governo teocratico di Teheran e i bombardamenti da parte dei “liberatori”. Siamo solidali con tutte le persone vittime delle tante guerre dimenticate in giro per il pianeta. Per uscire da questi meccanismi di morte e sopraffazione occorre immaginare e battersi per un mondo basato sulla convivenza fra genti di lingue, culture, credenze, storie diverse come, fra mille difficoltà si cerca di fare nel nordest della Siria con il progetto del Confederalismo Democratico. Un mondo dove non siano le regole del mercato e del capitalismo a dettare la vita e la morte delle persone (senza dimenticare il cambiamento climatico sempre più evidente e preoccupante). Per opporsi alla guerra non basta l’indignazione, occorre un ampio fronte di lotta. Disertiamo la guerra! Nel prossimo futuro ci vogliamo impegnare per dare il nostro contributo locale a costruire un movimento contro guerra e riarmo nella nostra città (operando concretamente per una “Trieste porto di pace” e per una Regione FVG libera da armi atomiche), in tutta Italia e in Europa per • costruire la solidarietà con i popoli e tra i popoli del mondo, collegandoci con i movimenti che stanno nascendo e crescendo un po’ ovunque; • fermare la produzione di armi in Italia e chiedere la riconversione al civile di aziende/fabbriche come, ad esempio, la Leonardo e la Fincantieri; • contribuire al movimento di boicottaggio economico (metodo di lotta non violento ma estremamente efficace, se esercitato capillarmente e con campagne ben indirizzate), a cominciare dalla fornitura di armi, verso Paesi occupatori, aggressori o belligeranti. Redazione Friuli Venezia Giulia
Dopo 80 anni da Hiroshima e Nagasaki, è partito il Kaki Bike Tour
Il 6 e il 9 agosto 1945 due bombe atomiche inondarono le città giapponesi di Hiroshima e di Nagasaki. Si stima che almeno 120.000 persone persero la vita. Sembrava che per decenni e decenni non ci sarebbe più nessun segno di vita. Con grande sorpresa a distanza di pochi anni a Nagasaki, grazie alle amorevoli cure di Masayuki Ebinuma (un dottore degli alberi), un esemplare di Diospyros kaki fruttificò. Dai quei semi sono nate delle pianticelle che furono affidate agli alunni di alcune scuole li vicino. Grazie alla collaborazione dell’artista Tatsuo Miyajima é nato il Kaki Tree Project che dal 1994 si è diffuso in diversi paesi del mondo, soprattutto in Italia in provincia di Brescia.  Qui dal 2020 è nata l’associazione Brescia-Nagasaki Kaki Tree Project for Europe, a causa delle restrizioni dell’Unione Europea in tema di importazioni di piante fruttifere dall’Est. Tra i più recenti affidamenti, ricordiamo gli esemplari che stanno crescendo a Vienna, mentre il prossimo ottobre ci sarà la messa dimora di un caco di Nagasaki tra le varie iniziative in programma a Nova Gorica come Capitale Europea dalla Cultura 2025. In occasione dell’ottantesimo anniversario dell’olocausto atomico  è partito da Verona il 3 agosto il sesto Kaki Bike Tour (Lakes of Peace). 485 chilometri, 9 provincie, 7 città, 25 località da incontrare, 15 laghi toccando 33 Hibakujumoku di Nagasaki.  La comitiva farà tappa a Sommacampagna, Desenzano, Calcinato, Brescia, Gussago, Levate, Bergamo, Lecco, Merone, Morosolo, Travedona Monate e Divignano – con una nutrita serie di incontri e attività con autorità, gruppi e associazioni locali – finché dopo otto giorni di pedalate i partecipanti giungeranno all’Albagnano Healing Meditation Centre, dove  i paciclisti parteciperanno a un momento di raccoglimento guidato dalle parole e dalle meditazioni del Lama Michel Tulku Rinpoche, per ricordare e riaffermare che solo il dialogo, non le armi, può fermare la guerra.  Info: www.kakitree-europe.eu Tiziana Volta
80 anni dai bombardamenti atomici: mobilitazione e appello ai Comuni
A distanza di ottant’anni dalla tragedia umanitaria senza precedenti che ha scosso le due città giapponesi, il ricordo delle vittime e la testimonianza diretta degli hibakusha (i sopravvissuti ai bombardamenti atomici) devono continuare a guidare le scelte politiche e morali della comunità internazionale verso la necessità urgente del disarmo nucleare. Le parole degli hibakusha, raccolte in questi anni da numerosi testimoni e associazioni tra cui Nihon Hidankyo (Premio Nobel per la Pace 2024), sono un patrimonio umano di valore incalcolabile. Le loro testimonianze, capaci di evocare speranza e determinazione pur partendo da un immenso dolore, continuano a parlare al mondo intero: ci ricordano che le armi nucleari non sono strumenti di sicurezza, ma di annientamento, e che nessun popolo dovrà mai più subire devastazione totale che ottanta anni fa ha colpito le loro città. La memoria degli hibakusha non può e non deve essere relegata alla storia: è una bussola etica per il nostro presente e ci chiama ad un impegno attivo per un futuro senza armi nucleari. In Italia la mobilitazione “Italia, ripensaci” – promossa da Rete Pace Disarmo e Senzatomica – continua a crescere e a diffondere consapevolezza sull’urgenza del disarmo nucleare. Oltre 120 Enti Locali hanno già aderito all’Appello delle Città per il TPNW (Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari) promosso da ICAN, la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari Premio Nobel per la Pace 2017. Un numero in costante aumento, che dimostra come i territori e le comunità locali siano sempre più consapevoli e attivi nel richiedere un cambiamento di rotta alla politica estera e di difesa del nostro Paese in ambito nucleare. “Oggi più che mai, in un mondo segnato da crisi ambientali, disuguaglianze crescenti e guerre che sembrano non finire mai, affermare con forza la dignità intrinseca di ogni vita è un atto rivoluzionario e necessario – afferma Alessja Trama della campagna “Senzatomica” – Per questo chiediamo un cambiamento radicale nel paradigma della sicurezza: non più fondato sulla paura e sull’equilibrio del terrore, ma sulla fiducia reciproca, la cooperazione e il dialogo. Con la campagna “Italia, ripensaci” chiediamo al nostro Paese di compiere un passo di civiltà e umanità: ratificare il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Non è un gesto simbolico, ma una scelta concreta per schierarsi dalla parte della vita e dei diritti umani. E facciamo appello a tutte le nazioni dotate di armi nucleari affinché adottino il principio del Non Primo Uso come misura immediata per ridurre il rischio di una catastrofe nucleare. Questo impegno rappresenta un primo passo verso una nuova era in cui la forza non sia mai più usata per dominare”. “Il disarmo nucleare è un atto di responsabilità collettiva: smilitarizzare le relazioni internazionali, a partire dal vertice del pensiero di oppressione e violenza rappresentato dalle armi di distruzione di massa, è urgente. Solo liberandoci dalla minaccia nucleare potremo costruire un mondo fondato sulla cooperazione, i diritti, la giustizia e la pace duratura” evidenzia Sergio Bassoli, coordinatore dell’Esecutivo di Rete Pace Disarmo. Nei giorni del 6 e 9 agosto 2025, in occasione delle ricorrenze di Hiroshima e Nagasaki, “Italia, ripensaci” – che ha recentemente inviato a molti Sindaci e Amministrazioni Comunali attive sul tema una lettera di stimolo alla mobilitazione – promuoverà e sosterrà numerose iniziative locali in tutta Italia: momenti pubblici di riflessione, commemorazioni civili, eventi culturali, presentazioni e incontri istituzionali. Da Brescia a Padova, da Aviano a Verona, da Cervia a Modena sono tanti i gruppi animati da cittadini, associazioni, Enti Locali che utilizzeranno la memoria della distruzione subita da Hiroshima e Nagasaki per rilanciare un’azione collettiva di Pace. Tali attività avranno anche lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e i decisori politici sul tema del “costo nascosto degli arsenali nucleari” tema affrontato in un Report, pubblicato oggi (qui il link per scaricarlo), che traduce in italiano i dati di ICAN relativi alle spese militari nucleari a livello globale. La ricerca evidenzia in particolare l’enorme impatto economico e sociale delle risorse pubbliche destinate alla produzione e manutenzione delle armi nucleari: una spesa eticamente ingiustificabile, ancor più in un contesto di crisi e disuguaglianze globali. La crescente mobilitazione degli Enti Locali fornisce poi un punto di partenza per uno stimolo verso le istituzioni nazionali, affinché il Governo scelga di iniziare ad avvicinarsi concretamente ai contenuti del Trattato TPNW. L’Italia, pur essendo membro della NATO, può e deve adottare una posizione responsabile e autonoma, in linea con i propri valori costituzionali e con la volontà della propria cittadinanza. I sondaggi condotti negli ultimi anni indicano, infatti, con chiarezza come la maggioranza dell’opinione pubblica italiana si favorevole al disarmo nucleare, alla riduzione della spesa militare in armamenti atomici e alla rimozione delle testate statunitensi presenti nel nostro Paese. Un orientamento netto, troppo spesso ignorato dal dibattito politico ufficiale, che merita di essere finalmente ascoltato e rappresentato, perché la distanza tra la volontà popolare e le scelte governative su questo tema continua a costituire un grave deficit democratico. A ottant’anni dalla tragedia atomica sulle città giapponesi la nostra responsabilità è duplice: custodire la memoria e trasformarla in azione politica. “Italia, ripensaci” invita tutte e tutti a mobilitarsi, a diffondere consapevolezza, a fare pressione sulle istituzioni. L’obiettivo è chiaro: costruire un mondo in cui Hiroshima e Nagasaki non siano solo il ricordo di una devastazione senza precedenti, ma un continuo monito alla necessitò di mettere le armi nucleari fuori dalla storia. Rete Italiana Pace e Disarmo