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Correzione delle generalità errate nel provvedimento di riconoscimento della protezione e nel PdS, dopo il silenzio della CT
Il Tribunale di Roma – sezione immigrazione – si pronuncia in merito alla correzione dei dati anagrafici di un cittadino pakistano a cui la Commissione Territoriale nel decreto di riconoscimento della protezione sussidiaria aveva invertito il nome con il cognome. Conseguentemente anche la Questura aveva rilasciato il permesso di soggiorno con le generalità errate. A fronte del silenzio della Commissione Territoriale sulla richiesta di correzione è stato adito il Tribunale civile il quale ha ordinato alla Commissione Territoriale la correzione del provvedimento di riconoscimento della protezione sussidiaria e alla Questura la correzione del permesso di soggiorno. Il Giudice ha accolto il ricorso anche in ragione del fatto che: “il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla richiesta di correzione delle generalità sta causando al richiedente grande nocumento in quanto lo stesso risulta in possesso di documenti tra loro discordanti (si pensi alla carta d’identità o al permesso di soggiorno del ricorrente i cui dati sbagliati non coincidono con quelli contenuti nel codice fiscale) e, conseguentemente, non può essere identificato correttamente né dagli agenti di Pubblica Sicurezza né, soprattutto, da alcun potenziale datore di lavoro, con la conseguente impossibilità per lo stesso di stipulare regolare contratto di lavoro.” La sentenza può essere utile quindi per i casi frequenti in cui c’è un errore nelle generalità del cittadino straniero sul provvedimento della Commissione Territoriale di riconoscimento della protezione e sul conseguente permesso di soggiorno. Tribunale di Roma, sentenza del 14 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv.ta Federica Remiddi per la segnalazione e il commento.
Il passaporto falso non incide sulla credibilità del richiedente: riconosciuta la protezione sussidiaria a minore del Sudafrica
Il Tribunale di Roma in questa bella pronuncia riconosce la protezione sussidiaria a un minore proveniente dal Sudafrica. La sentenza è interessante perché pur in presenza di un passaporto – ritenuto peraltro falso, richiesto solo per poter viaggiare in autonomia – non è intaccata la credibilità del ricorrente, che invece si evince da altri fattori e va valutata in relazione alla sua giovanissima età.  Il Tribunale di Roma infatti afferma che “si ritiene plausibile che l’età reale del ricorrente sia quella dichiarata e che quindi lo stesso sia tuttora minorenne;[…] è altresì plausibile che il passaporto non recasse soltanto un nome (XXX in luogo di XXX) ma anche una data di nascita falsa che, facendolo risultare maggiorenne, gli consentisse di viaggiare da solo in modo più agevole“. Sulla valutazione di credibilità, appunto, il Tribunale ritiene “il racconto così come le omissioni del ricorrente debbano essere valutati alla luce della giovane età dello stesso e della documentata persistente difficoltà a condividere il suo vissuto con gli altri, circostanza che può ritenersi del tutto comprensibile alla luce degli eventi traumatici subiti“. Infine, sul riconoscimento della protezione sussidiaria, il Tribunale conclude che “nel caso di specie ci si trovi dinanzi ad una minaccia alla sicurezza personale ed alla incolumità di un cittadino, proveniente da agenti di danno privati, e della incapacità dello Stato di offrire protezione. Vi sono dunque gli estremi del rischio di danno grave come declinato dalla lett. b) dell’art. 14 d.lgs. 251/2007“. Tribunale di Roma, decreto del 9 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Anna Pellegrino per la segnalazione e il commento; il caso è stato seguito con l’Avv. Federica Remiddi e l’Avv. Salvatore Fachile. 
Esiste il diritto di presentare domanda di asilo senza rinunciare al PdS posseduto ad altro titolo
La pronuncia segna un precedente di particolare rilievo, destinato a incidere oltre il caso singolo: viene infatti chiarito che la titolarità di un permesso di soggiorno ad altro titolo – nel caso di specie, protezione speciale – non impedisce né condiziona la possibilità di presentare una nuova domanda di protezione internazionale e di ottenerne l’esame, senza che sia necessaria la rinuncia al titolo già posseduto. Si tratta del primo caso noto in cui viene sciolto l’impasse amministrativa che da tempo grava su richiedenti asilo in ragione della prassi illegittima delle Questure:  chi intende chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, pur già titolare di un permesso per altre ragioni, viene spesso costretto a rinunciare al titolo in corso per riattivare un permesso per richiesta asilo, con evidenti rischi di vulnerabilità giuridica e sociale. Il Giudice ribadisce invece che lo status di protezione internazionale può e deve essere accertato indipendentemente dalla titolarità di un altro permesso, poiché si tratta di istituti diversi e autonomi: il permesso nazionale (come quello per protezione speciale) non può surrogare né comprimere l’accesso alle garanzie sovranazionali riconosciute dal diritto UE e dalla Convenzione di Ginevra. Il Tribunale ordina quindi di istruire la pratica di riconoscimento in possesso del titolo già posseduto. Il principio, quindi, travalica la vicenda della ricorrente – donna nigeriana vittima di tratta – e costituisce un punto di riferimento utile per tutti i titolari di permessi ad altro titolo che intendano far valere un diritto soggettivo pieno al riconoscimento della protezione internazionale. In prospettiva, apre la strada a ricorsi e istanze in sede di rinnovo che consentano l’accertamento dello status senza costringere alla rinuncia preventiva del titolo già detenuto, garantendo così una tutela più effettiva e continua dei soggetti vulnerabili. Il precedente inoltre particolarmente interessante in una prospettiva di genere: molte donne vittime di tratta o di altre forme di violenza non hanno visto adeguatamente valutata la loro storia al momento della prima domanda; spesso le situazioni di sfruttamento emergono solo successivamente, grazie alla presa in carico da parte di enti specializzati, oppure si producono nuovi fattori di rischio come la violenza intrafamiliare. In tali casi, la possibilità di riesaminare la posizione senza sacrificare il titolo già posseduto risponde pienamente anche ai principi sanciti dalla Convenzione di Istanbul, che impone agli Stati un approccio attento e continuativo alla protezione delle vittime di violenza di genere e tratta. Tribunale di Roma, sentenza del 18 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Cristina Laura Cecchini per la segnalazione e il commento.
Ingresso per flussi – La mancata stipula del contratto con il datore di lavoro non può automaticamente bloccare il percorso
L’ordinanza del Consiglio di Stato è interessante perché conferma come la partita sui permessi legati ai Flussi sia tutt’altro che chiusa. La Sezione Terza ha accolto la cautelare, ribaltando la decisione del TAR Campania, in un caso in cui: * il datore di lavoro originario, dopo aver chiesto il nulla osta, si è tirato indietro e non ha firmato il contratto; * il lavoratore, pur non avendo ancora un contratto effettivo, aveva una promessa di assunzione da parte di un nuovo datore; * la Prefettura aveva quindi revocato il nulla osta, impedendogli di ottenere il permesso. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la mancata conclusione del contratto con il primo datore non può automaticamente bloccare il percorso, soprattutto se il lavoratore, già presente in Italia da tempo e in buona fede, ha concrete prospettive occupazionali. Viene richiamata anche la giurisprudenza che considera la procedura dei Flussi come una fattispecie “plurilaterale”, in cui il diritto del lavoratore non si esaurisce con il ripensamento del datore iniziale. In sostanza, la decisione apre spiragli importanti: non solo conferma l’orientamento favorevole del TAR Campania, ma addirittura lo estende, legittimando anche la sola promessa di lavoro come elemento sufficiente a fondare la domanda cautelare. Un segnale che dimostra come la battaglia in Consiglio di Stato sia ancora aperta e che, al di là dei contrasti interni fra sezioni, non si può scaricare tutto il rischio sul lavoratore migrante, specie quando ha agito correttamente e non vi sono profili di pericolosità. Consiglio di Stato, ordinanza n. 2550 dell’11 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione. Il caso è stato seguito insieme alle Avv.te Federica Remiddi e Anna Pellegrino.
Trattenimento nei CPR anche dopo la non convalida: la Cassazione solleva una questione di legittimità costituzionale
La Prima Sezione penale della Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, d.lgs. 142/2015, come modificato dal d.l. 37/2025. La vicenda trae origine dal ricorso presentato per un cittadino senegalese trasferito il 9 maggio nel CPR di Gjader in Albania, dove il 14 giugno aveva presentato domanda di protezione internazionale, respinta dalla Commissione territoriale di Roma il 30 giugno. Il Questore di Roma aveva quindi chiesto la convalida del trattenimento, rigettata dalla Corte d’Appello di Roma il 4 luglio. Nonostante ciò, il giorno successivo il Questore di Bari adottava un nuovo decreto di trattenimento (60 giorni prorogabili) presso il CPR di Bari-Palese, fondato sulla “pericolosità sociale” del soggetto. La Corte d’Appello di Bari convalidava, ma la difesa ricorreva in Cassazione denunciando l’incostituzionalità del meccanismo. Al centro vi è la norma che consente, in caso di mancata convalida del trattenimento, che il richiedente “permanga nel centro fino alla decisione sulla convalida del predetto provvedimento”, a condizione che il Questore adotti entro 48 ore un nuovo decreto ex art. 6, co. 2. Per la Suprema Corte, ciò introduce un “trattenimento ex lege” privo di titolo amministrativo o giudiziario, in contrasto con l’art. 13 Cost.: “si prevede che un provvedimento di trattenimento dichiarato illegittimo dal giudice […] non venga seguito dall’immediata liberazione dell’interessato, bensì legittimi la permanenza del migrante nel CPR”. La Cassazione ravvisa violazioni anche degli artt. 3 e 117 Cost., in relazione a CEDU, Patto ONU sui diritti civili e politici e Carta UE, poiché si determina una compressione della libertà personale “solo per volontà diretta del legislatore, in assenza di qualunque controllo o verifica giudiziaria”. La norma censurata appare dunque irragionevole e discriminatoria: “Consente la limitazione ex lege della libertà personale di un individuo solo perché si trovi già in un CPR […] a differenza di chi sia libero”. La Corte ricorda che “un tema particolarmente sensibile come quello della (ritenuta) illegittima restrizione della libertà personale non può che essere immediatamente sottoposto al vaglio della Corte costituzionale”. Gli atti sono stati quindi trasmessi alla Consulta, oltre che al Presidente del Consiglio e ai Presidenti di Camera e Senato. Corte di Cassazione, ordinanza n. 30297 del 4 settembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione. Il commento è a cura della redazione.
Respinti in Libia da nave militare italiana: riconosciuto risarcimento di 15.000 euro
La Corte di Appello di Roma conferma la sentenza di primo grado e condanna il Ministero della Difesa e la Presidenza del Consiglio dei Ministri per un respingimento effettuato dalla nave militare “Orione” nel 2009 ai danni di alcuni cittadini eritrei in Libia. Il gruppo, soccorso in acque internazionali dalla nave militare, fu riportato in Libia senza alcuna possibilità di chiedere asilo. Una prassi che li espose a detenzione e violenze, e che da anni era al centro di una lunga battaglia legale. Ancora una volta la Corte di Appello di Roma conferma che nessuno accordo con la Libia o atto politico può pregiudicare il diritto delle persone straniere a entrare in Italia in attuazione dell’art. 10 della costituzione per richiedere asilo politico e del principio internazionale di non-refoulement, che vieta di respingere persone verso Paesi dove rischiano persecuzioni o trattamenti inumani. Lo Stato italiano fu responsabile di una grave violazione del diritto costituzionale d’asilo e gli accordi bilaterali con Paesi terzi non possono in alcun modo giustificare pratiche contrarie alla Costituzione e al diritto internazionale. I protagonisti della vicenda sono già in Europa e riceveranno un risarcimento per ciascuno di 15.000 euro; una decisione importante ma riconosciuta in casi simili, tra cui il noto caso “Asso 29” in cui oltre al risarcimento del danno è stato ordinato al ministero di rilasciare un visto umanitario di ingresso per l’esercizio del diritto di asilo. Giurisprudenza italiana/Guida legislativa ASSO 29, HA DIRITTO AL VISTO PER CHIEDERE ASILO UNA PERSONA RESPINTA ILLEGALMENTE IN LIBIA Il Tribunale di Roma: lo Stato italiano avrebbe dovuto assicurare il loro trasporto in un luogo sicuro ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione 13 Settembre 2024 La sentenza di rilievo, quindi, non riguarda solo il passato, ma la stretta attualità e quanto accade quotidianamente nel Mediterraneo, perché ribadisce che le azioni compiute da navi italiane in mare aperto ricadono sotto la responsabilità diretta dello Stato e devono rispettare i diritti fondamentali. Corte d’Appello di Roma, sentenza n. 4611 del 21 luglio 2025 Si ringrazia l’avv. Salvatore Fachile per la segnalazione. Il commento è a cura della redazione di Melting Pot.
Non convalida del trattenimento nel CPR di Gjadër: assente la valutazione sanitaria del servizio pubblico italiano
Il giudice di pace di Roma ha accolto la richiesta di riesame per un trattenimento di un cittadino straniero a Gjadër in Albania sulla base di un principio molto importante secondo cui (ai sensi dell’art. 3 della Direttiva Lamorgese) quando un cittadino straniero trattenuto viene spostato in un diverso CPR deve essere sottoposto dal Servizio sanitario pubblico a nuova visita di idoneità e quest’ultima deve avere carattere relativo, ossia la idoneità del cittadino straniero trattenuto deve valutarsi anche in relazione alle caratteristiche del nuovo Centro di Permanenza per il Rimpatrio (che potrebbe avere differenti servizi rispetto al precedente).  Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Infatti si legge: Il successivo comma 3 dell’articolo della direttiva indica: “…”. Dalla lettura della norma emerge come deve trattarsi di una valutazione di idoneità non solo assoluta ma necessariamente relativa alla struttura ove il cittadino straniero è trattenuto. Non risulta dagli atti che sia stata effettuata una nuova valutazione di idoneità alla vita comunitaria ristretta da parte di una struttura sanitaria pubblica…..Tale inottemperanza appare peraltro inevitabilmente aggravata, condividendo quanto rappresentato dalla difesa del ricorrente, dalla circostanza che riguarda un centro (CPR di Gjader) che si trova in un paese terzo ove non vi è la presenza del Servizio Sanitario Nazionale e, in caso di particolari esigenze sanitarie (“alle quali le autorità italiane non possono fare fronte”), può contare esclusivamente su una mera collaborazione delle autorità albanesi “per assicurare le cure mediche indispensabili e indifferibili ai migranti ivi trattenuti “( così art. 4 , comma 8, del Protocollo Italia-Albania ratificato con L. 14/2024)”. Giudice di Pace di Roma, decreto del 30 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione e il commento. Giurisprudenza italiana/CPR, Hotspot, CPA CPR DI GJADËR E INADEGUATEZZA CURE SANITARIE: IMMEDIATA LIBERAZIONE DEL TRATTENUTO ALLA LUCE DELLA SENTENZA COSTITUZIONALE N. 96/2025 Tribunale di Roma, decreto del 28 luglio 2025 Studio Legale Antartide (Roma) 1 Agosto 2025
CPR di Gjadër e inadeguatezza cure sanitarie: immediata liberazione del trattenuto alla luce della sentenza costituzionale n. 96/2025
Il tribunale di Roma dopo un ricorso d’urgenza ex art. 700 ordina l’immediata liberazione di un cittadino straniero trattenuto nel CPR albanese. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Il Giudice anzitutto ribadisce quanto già affermato in precedenza 1 e ormai definitivamente confermato da Corte Costituzionale n. 96/2025, ossia che questa autorità rimane sempre competente quando al di fuori dei casi specificamente regolati dalla legge si debba richiedere la tutela di un diritto fondamentale del cittadino italiano o straniero che sia. Guida legislativa/CPR, Hotspot, CPA LA CORTE COSTITUZIONALE APRE A NUOVE BATTAGLIE CONTRO LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA Avv.ti Salvatore Fachile e Gennaro Santoro Avv. Gennaro Santoro (Roma), Studio Legale Antartide (Roma) 4 Luglio 2025 Richiamando la sopracitata sentenza, in mancanza di una normativa che sancisca le competenze, i diritti e le garanzie al diritto alla salute considera inadeguate le cure apprestate dal CPR (posto che non è previsto che nei CPR l’assistenza sanitaria venga fornita direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale, a differenza di quanto previsto per gli istituti penitenziari. L’effettiva gestione della presa in carico sanitaria ricade, infatti, sull’ente gestore privato del centro, il quale eroga i servizi secondo quanto previsto dal capitolato d’appalto specifico. Deve, pertanto, ritenersi che nel caso di specie l’unica misura idonea a tutelare il diritto alla salute del ricorrente sia la cessazione del trattenimento e la immediata liberazione). Un passaggio contenuto nella decisione (ndR.): “Consultando il diario clinico e il consenso alle cure ivi contenuto, nulla di tutto ciò sembra essere avvenuto. Non solo, quindi, il ricorrente non sta ricevendo cure adeguate alla sua condizione di salute, che appare essere in continuo peggioramento, ma la terapia appare essere stata somministrata al di fuori delle condizioni e delle garanzie previste dalla legge. Inoltre, la terapia psicologica consigliata fin dal suo ingresso a Gjader non risulta essere stata attivata, risultando essere stati effettuati solo colloqui di monitoraggio. Dal diario clinico non si evince nemmeno a quale ordine appartengano i medici che hanno in cura il ricorrente e se appartengano o meno al servizio sanitario italiano. Infatti, non risulta essere presente in Albania un presidio fisso del Servizio Sanitario Nazionale italiano, mentre appare evidente la necessità che il ricorrente debba essere preso in carico da una struttura adeguata quale il centro di salute mentale presso la ASL. Deve, pertanto, ritenersi che le modalità con cui attualmente il ricorrente è trattenuto presso il CPR di Gjader siano lesive del suo diritto fondamentale alla salute. L’irreparabilità dei danni che possono derivare dalla carenza delle cure e dal peggioramento costante delle condizioni di salute del ricorrente, dagli esiti imprevedibili, giustifica, poi, l’adozione del decreto inaudita altera parte“. In conclusione, il tribunale richiama la recente sentenza della Corte Costituzionale, ma ricorda come quest’ultima non ha fornito indicazioni in ordine ai poteri spettanti al giudice civile. E quindi si riserva eventualmente di interrogare la Corte di Cassazione con un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art 363 bis c.p.c., al fine di chiarire quali siano le prerogative del giudice civile anche in ordine alle misure alternative, al trasferimento da un determinato Cpr etc. . Tribunale di Roma, decreto del 28 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione e il commento. 1. Si veda: Tribunale di Roma, ordinanza del 2 settembre 2024 ↩︎