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#stopthegenocideingaza🇵🇸 Mare armato: i droni Frontex contro i migranti, quelli di #Israele contro la #Handala #Palestina L’arrembaggio è durato pochi minuti, sono seguite ore di abusi: il racconto di Antonio Mazzeo a bordo dell'ultima #FreedomFlotilla https://ilmanifesto.it/mare-armato-i-droni-frontex-contro-i-migranti-quelli-di-israele-contro-la-handala
Staffetta per Gaza: musica e poesia contro il genocidio
Staffetta per Gaza è un’iniziativa libera e spontanea di tre amiche e amici: Massimiliano Carrino, cantautore, Rita Rashid poetessa italo palestinese, e Lucia Santangelo attivista sociale. L’antefatto è stata una performance di letture musicate delle poesie di poeti palestinesi raccolte nel libro Il loro grido è la nostra voce a cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti, e pubblicato qualche mese fa per Emergency (Fazi Editore, 2025). Nel leggere il libro abbiamo pensato che fosse giusto dare voce a queste persone, alcune delle quali non ci sono più. La serata “Poesie e Musiche per Gaza“, lo scorso 21 giugno a Torino, ha riunito 13 voci per le poesie e 20 musicisti, raccogliendo più di 2.000 euro per materiale sanitario e cibo, ma soprattutto ha dimostrato qualcosa di importante: la voglia delle persone di esserci, di partecipare, di costruire insieme momenti di memoria, resistenza e solidarietà. In quell’occasione abbiamo riscontrato una risposta straordinaria da parte di tutte le persone che sono state coinvolte, per questo motivo abbiamo deciso di non fermarci. Abbiamo aperto una nuova raccolta fondi per Emergency e creato un sito web con una homepage in cui spieghiamo le motivazioni della nostra iniziativa, una pagina con gli eventi che è il cuore di staffettapergaza.it e una pagina con il QR code e il link diretto per le donazioni. Quello che chiediamo a tutte e tutti gli artisti di ogni forma d’arte e a tutte e tutti coloro che organizzano eventi è di contattarci, possono trovare il nostro indirizzo mail sul sito web oppure possono contattarci sui social, per essere inseriti all’interno del calendario della staffetta. Qualunque iniziativa è benvenuta: concerti, spettacoli di teatro, spettacoli per bambine e bambini, reading di poesie, spettacoli circensi, qualunque iniziativa artistico culturale che si voglia proporre, perché riteniamo che si debba parlare di Gaza nella quotidianità, perché ciò che sta accadendo a Gaza è il nostro quotidiano e noi vogliamo essere i testimoni della liberazione di Gaza al più presto. Di Domenico Grassi PRESENTAZIONE DEL PROGETTO Da parte nostra forniamo a tutte e tutti coloro che entrano in calendario un documento con il QR code per le donazioni e uno con le motivazioni della nostra iniziativa, che saranno probabilmente simili a quelle che muovono le persone a partecipare.  In cambio chiediamo di parlare di ciò che sta accadendo a Gaza in questo momento, di promuovere la raccolta fondi a favore di Emergency, e di destinare esse stesse ed essi stessi, per quanto possono, parte dei proventi o parte del cachet. Staffetta per Gaza nasce da un’esperienza condivisa: una serata di letture collettive di poesie palestinesi, organizzata per non restare in silenzio di fronte al genocidio in atto e dar voce a chi viene annientato nella sua umanità e fisicamente. Da lì è nato il desiderio di continuare. Vogliamo che questa risposta dal basso per Gaza non si fermi! > Staffetta per Gaza è un percorso collettivo che prova a mettere al centro la > cultura come strumento di lotta, di solidarietà concreta e di presa di > posizione. Perché stare dalla parte della Palestina oggi non è un atto neutro, > ma una scelta politica necessaria. È dire chiaramente che non accettiamo la > complicità dell’Occidente nel genocidio in corso. Che la libertà di un popolo > occupato da 75 anni riguarda tutti e tutte noi. Staffetta per Gaza è fatta di eventi diffusi e aperti, ognuno diverso, ma tutti con un obiettivo comune: raccogliere fondi che, tramite Emergency, arrivino a Gaza, dove continuano a mancare cure, medicine, ospedali, acqua e si continua a morire. Dentro la Staffetta c’è un calendario vivo che si arricchisce: concerti, letture, poesia… In ogni tappa le risorse raccolte vanno alla popolazione palestinese e tutte le energie di partecipazione servono a sostenere i prossimi eventi, a far crescere la rete, a tenere accesa l’attenzione. Non si tratta solo di “aiutare”. Si tratta di scegliere da che parte stare. Di farlo con la cultura, con la voce, con il corpo. Per una Palestina libera, per un mondo dove nessuno sia più obbligato a sopravvivere sotto occupazione, apartheid o pulizia etnica. Staffetta per Gaza è aperta. Cammina con chiunque voglia costruire spazi di resistenza e solidarietà. Unisciti. Organizza. Condividi. Creiamo un calendario della Staffetta per Gaza dal basso: * con date e luoghi degli spettacoli, eventi culturali, jam musicali, di artist* che devolveranno, anche solo una piccola quota del ricavato della loro serata, alla raccolta collettiva per Gaza; * con gruppi, associazioni, circoli culturali e singol*, che useranno i loro spazi social per pubblicizzare il calendario degli eventi in Staffetta; * con calendario e QR code da esporre, durante la serata, per la raccolta fondi a favore di Emergency per il materiale sanitario. Chi è interessat* a inserire le proprie date nella Staffetta per Gaza può inviare info su serate/eventi (locandine o link alle pagine, spazi social) e numero telefonico per essere ricontattat* a: staffettagaza@gmail.com L’immagine di copertina è di Domenico Grassi (Ig: @grsdnc) SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Staffetta per Gaza: musica e poesia contro il genocidio proviene da DINAMOpress.
Dal Gruppo dell’Aia sanzioni contro Israele per fermare il genocidio in Palestina
La definizione di misure concrete di pressione e sanzioni contro Israele per fermare la pulizia etnica, l’apartheid e il colonialismo sono state le principali ed importanti novità emerse dal vertice interministriale della scorsa settimana in Colombia. Il Gruppo dell’Aia, composto da un’alleanza di nove paesi dal Sud globale (Sud Africa, Malesia, Namibia, Colombia, Bolivia, Cile, Senegal, Honduras e Belize), si è costituito nel gennaio del 2025 per coordinare azioni diplomatiche ed economiche contro il governo di Israele: alla convocazione di questo vertice hanno risposto tanti altri paesi, diversi dei quali hanno annunciato l’adesione al Gruppo e la volontà di unire gli sforzi politici comuni. A presiedere la conferenza di Bogotá sono i governi della Colombia e del Sudafrica, che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo chiave nella pressione internazionale contro Netanyahu: il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha denunciato nel dicembre 2023 Israele alla Corte Internazionale di Giustizia per il genocidio di Gaza, mentre Gustavo Petro è stato il primo leader latinoamericano a rompere le relazioni diplomatiche con l’esecutivo di Tel Aviv, nel maggio del 2024. Non è un caso che questi due paesi siano in questo momento riferimenti politici internazionali nella lotta contro le azioni di Netanyahu: la loro storia, di guerra, violenza, apartheid, genocidio e colonizzazione, e le lotte contro queste logiche e contro queste politiche che hanno profondamente segnato le vicende degli ultimi decenni dei due paesi, ci indicano oggi possibili traittorie di trasformazione che sfidano la continuità della radice coloniale dei conflitti nei Sud del mondo.   * Tra gli ospiti internazionali invitati alla conferenza di Bogotá, ha destato  una significativa attenzione la presenza della relatrice ONU Francesca Albanese, di recente divenuta la prima funzionaria delle Nazioni Unite a ricevere sanzioni individuali da parte degli Stati Uniti. I giorni più intensi della persecuzione pubblica nei confronti di Albanese, accusata dal Segretario di Stato degli USA Marco Rubio di “antisemitismo sfrontato e sostegno al terrorismo”, sono coincisi con un’intensificazione della solidarietà nei suoi confronti da parte di ampi settori della società civile e dei governi non allineati alle politiche di Netanyahu. Nelle strade e nelle piazze di Bogotà, così come nelle conferenze e al vertice, la piena solidarietà si è unita al sostegno pubblico e politico delle denunce che Francesca Albanese porta avanti da anni.  Nell’incontro inaugurale della conferenza di Bogotà, Albanese ha ribadito le necessità di applicare politiche di pressione nei confronti di Israele attraverso la sospensione dei legami “militari, strategici, politici, diplomatici, economici” sia da parte delle entità statali che dei rispettivi settori privati, quali “le compagnie assicurative, le banche, i fondi pensione, le università e gli altri fornitori di beni e servizi nelle catene di approvvigionamento”. Sulla stessa linea il rappresentante permanente della Palestina all’ONU Riyad Mansour, che ha segnalato come le azioni sui civili del governo di Netanyahu siano permesse da un ordine globale “capovolto, che degrada la nostra umanità comune e annulla il sistema internazionale di leggi e valori che l’umanità ha costruito negli ultimi ottant’anni”. Nel pomeriggio del 15 luglio, Albanese è stata protagonista di un incontro pubblico presso il Museo Nazionale della Colombia, insieme al parlamentare britannico Jeremy Corbyn e all’europarlamentare franco-palestinese Rima Hassan. Durante l’evento, animato dai rappresentanti della comunità di migranti di origine palestinese in Colombia (se ne stimano oltre centomila), Francesca Albanese ha segnalato l’importanza di pensare la questione palestinese in chiave anticoloniale globale, enfatizzando così la rilevanza dell’attività del Gruppo dell’Aia: > “Siamo in un momento definitorio della storia: un momento che ci impone di > affrontare un’eredità coloniale che, riattivata da un capitalismo sfrenato, ha > devastato non solo il popolo palestinese, ma innumerevoli comunità del mondo, > a partire dai popoli indigeni latinoamericani. Per questo è necessario > cambiare paradigmi”. Continua Albanese: “l’orrore sofferto dal popolo palestinese deve spingerci a un cambio globale più che mai necessario: serve un nuovo ordine mondiale multilaterale, guidato dalla ‘maggioranza globale’, come chiamo il Sud Globale. Da paesi come la Colombia, che possono offrire visioni alternative dove viene messa in primo piano la dignità umana rispetto alle alleanze strategiche, la comunità rispetto alla conquista. Dove si possono introdurre valori cruciali per l’umanità nell’ordine legale internazionale: valori come quelli delle cosmovisioni indigene”. * * La densa agenda dei due giorni colombiani di Albanese ha incluso mobilitazioni di piazza, eventi pubblici e un incontro privato con Gustavo Petro, che ha recentemente dichiarato di stare valutando la possibilità di una “presenza militare colombiana a Gaza per frenare il genocidio”. Nell’occasione, oltre ad affrontare la questione palestinese, la relatrice speciale dell’ONU ha consegnato al presidente colombiano una lettera scritta dai genitori di Mario Paciolla, cooperante italiano dell’ONU morto in Colombia il 15 luglio 2020 in circostanze mai chiarite: una richiesta di verità e giustizia che si unisce agli sforzi per difendere i processi costruzione di pace nei diversi contesti del Sud Globale.  Nella giornata del 16 luglio le mobilitazioni in difesa della Palestina sono iniziate di prima mattina di fronte al palazzo della Cancelleria, dove si incontravano i delegati dei governi per il vertice: centinaia di persone hanno affollato il centro storico per chiedere forti sanzioni nei confronti di Israele. Le strade del centro di Bogotà sono state occupate da bandiere, cartelli, la classica batucada che segnava il ritmo dei cori e risuonava nelle vie circostanti della Candelaria, manifesti e volantini che denunciavano le imprese conniventi con il genocidio distribuiti ed esposti nelle strade e nei negozi, slogan che chiedevano sanzioni, fine del genocidio, libertà e autodeterminazione per la Palestina. A seguire, un concerto nella centralissima plaza de Bolívar, che si è concluso in tarda serata, con diverse band che si sono esibite raccogliendo fondi per la solidarietà con il popolo palestinese. * Nel pomeriggio si è tenuta al Senato la conferenza “Il sud globale per la Palestina: giustizia e solidarietà dalla Colombia” organizzata da diversi esponenti del Pacto Histórico, l’attuale partito di governo in Colombia, come la senatrice Clara López Obregón, la senatrice Gloria Flórez Schneider, la deputata Etna Tamara Argote, il deputato Alejandro Toro. Con la partecipazione dell’ex presidente colombiano Ernesto Samper, sono intervenuti anche l’ambasciatore colombiano in Palestina, Jorge Iván Ospina, che ha dichiarato: “faremo fino all’ultimo sforzo possibile per fermare il genocidio”, e l’omonimo palestinese in Colombia, Raouf Almalky. Poi, come ospiti internazionali, Jeremy Corbyn dall’Inghilterra, Baltasar Garzón dalla Spagna e l’ex Cancelliere dell’Ecuador Guillermo Lang, che ha dichiarato la necessità di lottare per “far applicare il diritto internazionale, non rimanere su prese di posizioni retoriche ma compiere atti pratici”, denunciando inoltre minacce e pressioni da parte di Stati Uniti e dell’Unione Europea contro i paesi che hanno partecipato al vertice. Dopo questi interventi, spazio alla partecipazione di tanti e diversi esponenti della società civile palestinese e colombiana, il BSD Movement e altre figure istituzionali, movimenti popolari solidali con la Palestina, assieme alla comunità palestinese. Invitata speciale la relatrice dell’ONU per i territori occupati in Palestina Francesca Albanese, che ha ricevuto applausi, solidarietà e una onorificenza da parte del Senato della Repubblica della Colombia per il suo impegno nella denuncia del genocidio e nella difesa dei diritti umani, in un momento in cui sta affrontando sanzioni, minacce e persecuzioni da parte degli Stati Uniti e di Israele. Visibilmente commossa, Albanese ha chiesto di rinnovare e rilanciare l’impegno di istituzioni, movimenti dal basso e organizzazioni sociali in tutto il mondo per fermare il genocidio, rivendicando l’autodeterminazione del popolo palestinese. In un breve scambio di battute al margine della conferenza, Albanese ha confermato il suo entusiasmo per il dialogo portato avanti in Bogotá: “Ci vorrebbero più attivisti colombiani in Europa”, ha dichiarato la relatrice ONU, segnalando che l’apertura di un dialogo tra le denunce contro il governo di Netanyahu e le lotte sociali colombiane è fondamentale, date le comuni storie di “decolonizzazione e dolore, tanto in guerra come in pace”.  Dal vertice del gruppo dell’Aia la decisione sulle sanzioni ha segnato un primo importante passo avanti nella lotta globale per fermare il genocidio, con l’invito a continuare la lotta e articolare pressione e mobilitazioni dal basso con prese di posizione istituzionali che estendano le sanzioni contro Israele. Albanese ha segnalato l’esito positivo del suo incontro con Gustavo Petro: “I risultati del nostro incontro si sono visti nelle sue dichiarazioni dell’indomani: sicuramente il mio rapporto non lo ha lasciato indifferente”. Dopo l’incontro con Albanese durante il vertice interministeriale, Gustavo Petro, che aveva già interrotto lo scorso anno le relazioni diplomatiche con il governo di Netanyahu, ha confermato il blocco delle esportazioni di carbone verso Israele, annunciando inoltre anche la revoca dello status di paese alleato della Nato (era l’unico stato dell’America Latina ad avere questo status). Inoltre, dodici tra i paesi partecipanti alla conferenza hanno annunciato il blocco immediato delle forniture militari, del passaggio di navi che forniscono combustibile, armi o tecnologie dual use verso Israele. Poco dopo, il Brasile ha annunciato che si unirà alla denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia presentata dal Sudafrica per genocidio contro Israele.  > La decisione presa dal vertice del Gruppo dell’Aia rispetto alle pressioni e > alle sanzioni concrete nei confronti di Israele segna un importante inizio, > che diventa un precedente, ed un invito ad altri paesi del sud globale e del > mondo a seguire l’esempio e a contribuire alla lotta per fermare il genocidio, > il colonialismo e l’apartheid.  Negli stessi giorni, l’Unione Europea ha rifiutato di sospendere Israele come stato associato, suscitando durissime critiche da parte di Amnesty International e di altre ONG. Durante il vertice di Bogotá, diverse voci, europee e non solo (Baltasar Garzón ha dichiarato di provare vergogna di appartenere all’Unione Europea per la sua complicità con il genocidio), hanno denunciato questa gravissima, seppur purtroppo non inaspettata, decisione politica, che evidenzia la volontà di mantenere la gravissima complicità con il genocidio da parte dei leader europei. La denuncia di Amnesty International è netta e chiara: “E’ qualcosa di più della codardia politica. Ogni volta che l’Unione Europea non agisce, aumenta il rischio di convertirsi in complice delle azioni di Israele. Questo manda un messaggio assolutamente pericoloso agli autori di questi crimini atroci: non solo resteranno impuniti, ma saranno ricompensati”.   * * Mentre da Bogotá arrivano parole nette e coraggiose, e finalmente anche sanzioni concrete, che esplicitano una presa di posizione politica di una serie di figure istituzionali e non solo, dalla parte dell’umanità e della Palestina, non bastano alcune tardive, limitate e ipocrite dichiarazioni di facciata da parte dell’Unione Europea: senza sanzioni reali, embargo e blocco delle esportazioni e forniture di armi, senza reali pressioni internazionali che possano isolare e fermare Israele, la complicità con il genocidio continuerà ad essere tale.  Il vertice si chiude con delle decisioni nette, e con la speranza che questo gesto di dignità e di coraggio che arriva dal sud del mondo possa rafforzare le lotte popolari e sociali della Palestina globale, le articolazioni tra movimenti e istituzioni, nazionali e sovranazionali, necessarie per costruire un nuovo internazionalismo dentro e contro il regime di guerra globale, cominciando dal mettere in pratica, ed estendere socialmente e politicamente, azioni concrete per fermare il genocidio. Tuitte le immagini nell’articolo sono di Alioscia Castronovo da Bogotá. L'articolo Dal Gruppo dell’Aia sanzioni contro Israele per fermare il genocidio in Palestina proviene da DINAMOpress.
Pankaj Mishra: «Israele e i suoi sostenitori condurranno il mondo verso il caos»
Nel suo nuovo libro, Il mondo dopo Gaza. Una breve storia (Galaxia Gutenberg, 2025), Pankaj Mishra analizza il massacro di Gaza scatenato dopo l’invasione israeliana dell’enclave il 7 ottobre 2023. Tuttavia, Mishra non si concentra sulle morti palestinesi  (più di 53.000 al momento della scrittura dell’articolo) né sui feriti o sugli sfollati che il massacro si sta lasciando alle spalle. Egli va oltre e analizza concetti, tra gli altri, come la colpa, l’abuso della memoria della Shoah o l’eterna vittimizzazione del popolo ebraico. «Gaza rappresenta un crollo assoluto della morale. Il mondo che esisteva prima di Gaza appartiene a un’altra epoca», dichiara nel libro, dal quale prende di mira anche l’Occidente. «Storicamente, le politiche in Occidente promuovono risentimento e brutalità, non solidarietà e giustizia» scrive. «Le atrocità a Gaza, inflitte e addirittura benedette dalle classi politiche e giornalistiche di tutto il mondo libero e annunciate con audacia dai loro autori, non solo hanno devastato la già indebolita fiducia nel progresso sociale; hanno anche messo in discussione un presupposto fondamentale: la natura umana è intrinsecamente buona e capace di empatia». In un pianeta in cui i diritti individuali, le frontiere aperte e il diritto internazionale si stanno lentamente riducendo, Mishra parla apertamente: «Israele e i suoi sostenitori getteranno tutto il mondo nel caos».   Quando si è reso conto che il massacro di Gaza avrebbe rappresentato uno spartiacque? Poco dopo gli attacchi del 7 ottobre. Era chiaro che il governo israeliano avrebbe sfruttato questa opportunità per raggiungere una serie di obiettivi che si erano prefissati da lungo tempo, come l’annessione dei territori palestinesi sia a Gaza che in Cisgiordania. Avevano già ricevuto carta bianca dagli Stati Uniti e dalla Germania per rendere inabitabili alcune zone di Gaza e nel giro di quasi un mese, era chiaro che la loro intenzione fosse questa. Ora possiamo affermare con certezza di cosa si tratta: pulizia etnica. A poco a poco, la guerra è diventata sempre più crudele e si è trasformata in un massacro. Stiamo assistendo all’inizio di una nuova fase nella storia moderna. Il mondo che verrà dopo quello che Israele sta facendo a Gaza sarà un mondo diverso. Pensa che sarebbe cambiato qualcosa se negli Stati Uniti avessero vinto i Democratici invece dei Repubblicani? Il sostegno a Israele negli Stati Uniti è una questione bipartisan. Questo è dovuto al controllo sulle istituzioni esercitato dalle lobby israeliane, che sono molto potenti. Quasi tutti i deputati e i senatori sono filo-israeliani, e la maggior parte è sostenuta dall’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) [Comitato Israelo-Americano per gli Affari Pubblici, comprendemte a Washington i cui componenti comprendono democratici, repubblicani e indipendenti – ndt]. Forse alcuni Democratici avrebbero fatto un po’ più rumore, ma poco altro. Avrebbero continuato lungo la strada tracciata da Biden, che è un fanatico e un uomo molto corrotto con più interessi nell’AIPAC rispetto a qualsiasi altro politico. Non credo che sarebbe cambiato nulla con Kamala Harris.   Foto di Wafa da Wikimedia Commons Cosa ne pensi dell’annuncio di Trump su Gaza a proposito del resort per turisti? Sia Trump che Elon Musk sono persone con molta fantasia ma privi di piani realistici. Stiamo parlando di persone che vogliono colonizzare Marte. Alcune di queste fantasie potrebbero avverarsi, come occupare la Groenlandia, perché hanno il potere di farlo. Altre sono irrealizzabili. In ogni caso, il solo fatto che sia stata fatta una simile dichiarazione è degna di nota. Che lo facciano o meno, ormai il danno è stato fatto.   Cosa pensa della passività dell’Europa di fronte al massacro? La posizione assunta finora dall’Unione Europea rappresenterà un’ eterna vergogna per la sua reputazione, in particolare per quella delle sue attuali leader, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas. Alcuni paesi europei, come Spagna e Irlanda, hanno chiesto fin dall’inizio un cessate il fuoco e un embargo sulle armi, ma sono stati ignorati. Le azioni di Spagna e Irlanda sono state di supporto ma inefficaci nel cambiare l’opinione pubblica in altri paesi.     Sembra esserci un enorme divario tra l’opinione pubblica, più vicina alla Palestina, e la classe politica, che ha poca voglia di fermare Netanyahu. Questo dimostra la corruzione che esiste nelle istituzioni democratiche, che non rappresentano più l’opinione pubblica. La classe politica, ma anche i media, ne sono pienamente responsabili. In alcuni paesi, i media si sono avvicinati troppo a imprenditori e politici, trasformandosi in portavoce delle loro opinioni e  smettendo di rappresentare il pubblico. Anzi, fanno il contrario: cercano di manipolarlo. L’opinione pubblica si è mostrata, quasi fin dall’inizio, favorevole ad un cessate il fuoco. È ormai diventato chiaro che Israele ha superato ogni limite e il suo indice di gradimento è crollato, ma come si riflette questo sulla politica estera degli stati? Gli spazi politici sono intrappolati dai loro stessi interessi, ci sono in gioco denaro e potere. Un caso interessante è quello dell’attuale Segretario Generale della NATO, Mark Rutte.     Perché? Diversi funzionari olandesi hanno scritto una lettera, poi trapelata, nella quale accusano Rutte di aver nascosto prove dei crimini di guerra israeliani perché voleva diventare Segretario Generale della NATO. Immagino che pensasse che, se avesse parlato troppo, non sarebbe piaciuto agli Americani. Questo è l’ennesimo esempio di un politico senza scrupoli che sfida l’opinione pubblica europea e del proprio Paese pur di ottenere una carica. Funziona così adesso: le persone non tengono più conto dei principi democratici e fanno ciò che è più conveniente per la loro carriera professionale. Ed è così che le persone diventano complici di crimini orribili. Abbiamo queste persone in posizioni di responsabilità, ed è per questo che ci troviamo in un momento così pericoloso.   Nel libro spieghi come molti Ebrei americani, senza aver vissuto l’Olocausto, siano più sionisti degli Ebrei vittime della barbarie nazista. Individui la guerra dello Yom Kippur del 1973 come un punto di svolta e l’inizio di quella paura irrazionale da parte della comunità ebraica americana che ha portato all’attuale radicalizzazione. È curioso, perché gli Stati Uniti sono un paese in cui la società è incoraggiata a rompere con il passato e a trasformarsi; ma questo non è mai possibile, perché per vivere abbiamo bisogno di trovare un significato alla nostra vita, e quel significato di solito deriva dalla religione, dalla tradizione o dalla storia personale di ciascuno. A un certo punto, durante il processo di secolarizzazione o americanizzazione, la società americana si rese conto di aver bisogno di qualcosa di più nella vita. Molti lo trovarono nella religione, nella New Age, nella scoperta dell’Oriente o nel Buddismo. In questo contesto e nel momento in cui gli afroamericani iniziarono a connettersi con l’Africa, molti Ebrei americani iniziarono a riconnettersi con la loro patria ancestrale. Stiamo parlando degli anni ’50 e ’60. A queste persone, lo Stato di Israele ha dato un senso alla vita, nonostante non fossero state colpite dall’Olocausto. Improvvisamente, Israele, come concetto, iniziò a colmare quel vuoto spirituale ed emotivo. Questo tipo di connessioni sono forti e agiscono su ambiti diversi: politico, tecnologico, lobbistico, economico. Tuttavia, la più importante è la connessione emotiva. Funziona come una setta, immune alla persuasione razionale e alle prove delle atrocità commesse da Israele. Quando vengono affrontati, adottano misure drastiche e ricorrono alla repressione. Israele sa di aver perso il controllo della narrazione perché ci sono tante persone consapevoli di ciò che stanno facendo gli israeliani. Possono soltanto reprimere il movimento filo-palestinese imprigionando brutalmente e deportando coloro che li criticano.   Israele ha capitalizzato e privatizzato il dolore causato dalla Shoah. Esattamente. Questo è il problema delle “culture della memoria”: riducono lo spazio per il pensiero morale. Si preoccupano solo della propria sicurezza e conservazione. La maggior parte di queste persone non è stata vittima diretta della Shoah; lo sono stati i loro genitori o i loro nonni. Eppure, sono intrappolati dal ricordo di quell’atrocità per via della narrazione del vittimismo. È questo che dà loro un’identità. E non solo: dà loro anche un diritto morale sul resto del mondo: «Sono stato offeso, sono una vittima, il mondo mi deve qualcosa». Questo è una forma controproducente di stare al mondo, fondamentalmente perché questa “cultura della memoria” può diventare genocida. Ed è quello che è successo in Israele.   Esiste la possibilità di un ponte di pace tra Israele e Palestina? È improbabile. In Israele c’è una società radicalizzata e profondamente vendicativa. Di fatto, la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana ritiene che l’esercito israeliano non sia stato abbastanza duro a Gaza e in Cisgiordania. L’82% degli israeliani ha approvato il piano di Trump di ricorrere alla pulizia etnica. Netanyahu è un problema perché è un politico corrotto e senza scrupoli, ma credo che in Israele ci sia un problema più profondo che non vogliamo vedere: la radicalizzazione della sua società. E questo continuerà a essere un problema, con o senza Netanyahu.   Netanyahu è il leader più radicale che Israele abbia mai avuto dalla sua fondazione? Probabilmente sì. È senza ombra di dubbio il più spregiudicato. È anche molto più corrotto di altri leader di estrema destra, come Ariel Sharon. È interessato soltanto a soldi e potere. Non crede in nulla: né nella protezione degli Ebrei né in quella di Israele. Vuole solo champagne e sigari e farà qualsiasi cosa per averli.   Forced Displacement of Gaza Strip. Ph Jaber Jehad Badwan da wikimedia commons A seguito del massacro di Gaza, le posizioni dell’estrema destra si stanno ridefinendo. Buona parte di coloro che prima erano antisemiti ora sostengono Israele. Siamo confusi perché tendiamo a pensare che il gioco abbia delle regole, ma non è così. I sionisti spesso trattano con chiunque gli permetta di raggiungere i loro obiettivi, quindi non sorprende che ora si alleino con gli antisemiti. Santiago Abascal [presidente del partito spagnolo di estrema destra Vox – ndt] probabilmente non aveva mai sentito parlare di Gaza prima di tutto questo, ma adesso è filo-israeliano. Perché? Perché vuole la sua fetta della torta. Cosa vuole? Potere nelle reti internazionali di estrema destra, perché in quelle reti circolano molti soldi. Che senso ha sostenere i Palestinesi? Dal loro punto di vista, sono dei perdenti. Vista così, tutto ha senso. D’altra parte, c’è la questione della supremazia bianca come fondamento dell’ordine sociale moderno. Per queste persone, questo concetto deve essere mantenuto a qualsiasi costo e questo ordine sociale suprematista bianco è sufficientemente flessibile da accogliere ogni tipo di persona. L’obiettivo rimane la ricerca di ricchezza e potere.   Nel suo libro parla di «vittimismo ereditario», un fenomeno che l’industria culturale, soprattutto negli Stati Uniti, ha contribuito a diffondere. Tuttavia, nella situazione attuale, chi provava una certa simpatia per Israele, o si sentiva chiamato in causa dall’Olocausto, se ne sta allontanando. Non credo che nessuno in Israele la pensi così, ma è vero che si sta creando una situazione complicata per la popolazione ebraica che si identifica con Israele. È una situazione molto pericolosa, ma chi governa Israele oggi non se ne preoccupa, non si preoccupa nemmeno degli ostaggi rimasti a Gaza. L’unica cosa che interessa a Netanyahu è non andare in prigione, tutto il resto è irrilevante.   Scrive che la Shoah è la misura di tutto ciò che accade nel mondo: è il genocidio paradigmatico. Dobbiamo osservare l'”industria dell’Olocausto” e gli Stati Uniti. La presenza dell’Olocausto nel nostro immaginario è molto più sentita, ad esempio, della carestia del 1943 che uccise tre milioni di persone in India. Questo è qualcosa di cui nessuno sa nulla, perché non esiste un solo film occidentale sull’argomento. Non esistono nemmeno narrazioni sulla spartizione dell’India e sulle atrocità che furono commesse. E se ci sono, non hanno la visibilità e l’importanza che hanno le narrazioni dell’Olocausto. Molte persone conoscono un solo genocidio: l’Olocausto.   La posizione della Germania in tutto questo è particolarmente interessante. È un Paese che permette tutte le atrocità che accadono oggi per via di quello che hanno fatto loro 80 anni fa. Questo mette in discussione la narrativa secondo la quale esiste una sorta di senso di colpa permanente. Chi si sente in colpa? Tra coloro che hanno commesso quei crimini, pochi. In Germania, alla popolazione è stato detto di comportarsi in un certo modo e c’è una linea ideologica stabilita dalla classe politica e dai media. Ma l’opinione pubblica, ancora una volta, la pensa diversamente e crede che Israele sia andato troppo oltre. Il mio libro è stato attaccato da tutti i giornali tedeschi, ma la cittadinanza lo compra perché sa di non potersi fidare della stampa tedesca su questo tema. La gente ha bisogno di fonti di informazione alternative. La classe politica e una parte dei giornalisti sono troppo concentrati sull’idea che la Germania possa saldare i propri debiti morali con Israele soltanto sostenendolo ciecamente, faccia quel che faccia. È una posizione che sfugge a qualsiasi discussione razionale; è stupida. Primo Levi ha affermato in più di un’occasione di non capire i tedeschi. Io direi lo stesso: non capisco il loro conformismo e la loro obbedienza. Li trovo terrificanti. La Germania è un Paese che non deve essere trascurato, men che meno in un contesto di riarmo. Potremmo avere una spiacevole sorpresa, e questo Paese è già stato responsabile di due guerre mondiali, un Olocausto e un secondo genocidio in meno di 80 anni.     Trump with Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu Monday, Jan. 27, 2020. Photo by D. Myles Cullen. Wikimedia commons Quale impatto potrebbe avere sul resto del mondo l’esposizione a tanta violenza, a questo incessante bilancio delle vittime a Gaza? Ci troviamo di fronte a una “barbarizzazione”. Stiamo diventando sempre più insensibili alla sofferenza e alla crudeltà, al fatto che 200 bambini vengano uccisi ogni giorno dall’esercito israeliano. Ma nessuno dice nulla. Se non alziamo la voce oggi, se non protestiamo contro la violazione della vita e della dignità umana, da un momento all’altro quella violenza tornerà a colpirci. La violenza non si ferma ai confini di nessun Paese.   Ci sono molte differenze nel modo in cui sono state gestite la guerra in Ucraina e il massacro di Gaza? Gli Icraini sono stati accolti in tutto il mondo. Tutti hanno aperto loro le porte in un momento in cui la gente moriva nel Mediterraneo; invece i Palestinesi non hanno la possibilità di lasciare Gaza o la Cisgiordania. Finora, nessun governo europeo ha teso una mano, nonostante Israele abbia commesso molte più atrocità di Putin. Non è questione di doppie misure, è che non c’è proprio più misura.   Netanyahu ha un mandato d’arresto internazionale per crimini di guerra. Lo vedremo sul banco degli imputati? È probabile, i paesi che hanno aderito alla Corte Penale Internazionale (CPI) sono 125. Possiamo immaginare uno scenario simile a quello di Rodrigo Duterte [ex-Presidente delle Filippine , arrestato l’11 marzo 2025 a Manila dalla polizia nazionale filippina su mandato della Corte Penale Internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità durante la campagna contro il narcotraffico – ndt]. Verrà un momento in cui Netanyahu sorvolerà lo spazio aereo di un paese che deciderà di non farlo entrare e verrà arrestato. Tutto è possibile, perché una volta che hai un mandato d’arresto, sei un latitante. Oggi può andare in visita in Ungheria, ma domani chi lo sa? Questo, ovviamente, non sarà di consolazione per coloro che hanno perso i propri cari e visto morire i propri figli, ma almeno darà a tutti noi qualche speranza di giustizia.   A un certo momento della sua gioventù, spiega nel libro, provava una certa simpatia per il sionismo. Quando è cambiata questa percezione? Quando ho incontrato studenti palestinesi in India e mi hanno raccontato storie di espropriazione ed espulsione. È stato allora che ho capito che c’era qualcosa di più. Ero giovane, ho iniziato a leggere, sono andato in Israele e ho visto la realtà. Continuo a simpatizzare, non con il sionismo, ma con l’idea di Israele come paese ebraico. Non voglio che sia uno stato etno-nazionalista, come lo è adesso, ma credo che gli Ebrei abbiano il diritto all’autodeterminazione. Tuttavia, le guerre sono la via verso l’autodistruzione e l’unica soluzione per Israele è permettere l’esistenza di uno stato palestinese e normalizzare le relazioni con i propri vicini. Deve abbandonare la violenza come strumento principale a favore di soluzioni politiche; perché la violenza non porta da nessuna parte. Con questo atteggiamento, l’unica cosa che stanno ottenendo è che in ogni generazione [di Palestinesi – ndr] ci sono persone disposte a combattere e a sacrificare la propria vita. Ripudio l’idea della distruzione di Israele; voglio che prosperi, ma non in questo modo. Non se ne rendono conto, ma stanno andando verso l’autodistruzione.       Pubblicata originariamente su “El Salto”.Traduzione a cura di Michele Fazioli per DinamoPress Immagine di copertina di Matt Hrkac from Melbourne, Australia. Tratta da wikimedia commons L'articolo Pankaj Mishra: «Israele e i suoi sostenitori condurranno il mondo verso il caos» proviene da DINAMOpress.
Colombia, al via il vertice internazionale contro il genocidio in Palestina
Mentre l’Europa e gli Stati Uniti continuano, con poche eccezioni e prese di posizioni istituzionali, a essere complici con i crimini di Israele, garantendo l’impunità ai leader israeliani, rispetto alla pulizia etnica, ai ripetuti e continui crimini di guerra e più in generale con il genocidio portato avanti sistematicamente dal governo israeliano, una serie di leader del Sud globale hanno preso parola convocando a costruire posizioni alternative a livello internazionale, in risonanza con la solidarietà popolare con la Palestina. Una solidarietà, capace di cominciare a tessere un nuovo internazionalismo, che si è dispiegata in tutto il mondo a partire da movimenti sociali, studenteschi e società civile, con le proteste, negli ultimi due anni in particolare, della cosiddetta Palestina Globale, duramente repressa e perseguitata negli Stati Uniti e in Europa. Nato nel gennaio del 2025, il Gruppo de L’Aia è guidato dai governi della Colombia e del Sudafrica, e ha visto fin dall’inizio la partecipazione dei governi di Bolivia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia, Senegal, paesi che, come segnalato da Diana Carolina Alfonso su Diario Red, hanno adottato le seguenti importanti e significative misure come prime prese di posizione concrete e condivise: 1) compiere con gli ordini di mandato di arresto emessi da parte della Corte Penale Internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini di guerra; 2) rendere effettivo l’embargo di armi e combustibile per evitare che Israele continui nell’offensiva; 3) fermare nei propri porti e territori tutte le navi cargo che siano vincolate al traffico di armi verso Israele. Una iniziativa che «riflette un impegno con la giustizia internazionale e una critica frontale all’impunità di Israele, storicamente sostenuto dai paesi occidentali» La scorsa settimana, con un articolo pubblicato sul “Guardian”, il presidente colombiano Petro, che fin da subito ha preso posizione contro il genocidio, assieme ad altri presidenti (e movimenti) latinoamericani, ha annunciato la convocazione del vertice interministeriale a cui parteciperanno rappresentati di oltre trenta paesi e movimenti sociali, per contreibuire a rafforzare il multilateralismo dal Sud del mondo. Il vertice si terrà oggi e domani a Bogotá, con l’invito ai leader globali di prendere posizione sul genocidio. > Petro ha affermato che «la scelta davanti a cui ci troviamo è dura e > drammatica, è necessario agire subito: per miliardi di persone nel Sud del > mondo che contano sul diritto internazionale per la propria protezione, la > posta in gioco non potrebbe essere più alta. Il popolo palestinese merita > giustizia. Questo momento richiede coraggio. La storia ci giudicherà > severamente se non risponderemo alla loro chiamata». Foto di Alioscia Castronovo > «Se non agiamo ora, non solo tradiremmo il popolo palestinese, ma diventeremmo > complici delle atrocità commesse dal governo di Netanyahu»: l’invito è quello > di espandere tali prese di posizione, ma anche costruire possibilità concrete > di intervenire nello scenario politico internazionale. Ha inoltre ricordato che nel mese di settembre del 2024 centoventiquattro Paesi hanno votato a favore della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle politiche e le pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati. In quella occasione, afferma Petro, «ci siamo assunti obblighi concreti: indagini, procedimenti giudiziari, sanzioni, congelamento dei beni e cessazione delle importazioni e delle armi». Quella risoluzione fissava un termine di 12 mesi affinché Israele «ponesse fine senza indugio alla sua presenza illegale». Centoventiquattro stati «hanno votato a favore, tra cui la Colombia. Il tempo stringe». Non è un caso che paesi come Sudafrica e Colombia siano la guida a livello internazionale di posizione chiare e nette contro il genocidio: la questione di Gaza viene vissuta e sentita in modo particolare da chi ha vissuto la lunga e drammatica storia dell’apartheid sudafricano, ma anche le grandi lotte per sconfiggerlo, così come il lungo conflitto armato colombiano, il genocidio politico delle sinistre (in particolare quello dell’Unión Patriótica) e il massacro continuo contro movimenti sociali, indigeni e leader sociali e sindacali in Colombia. Un paese dove la violenza e gli attori armati in processo di riconfigurazione continuano a dispiegarsi nei territori del paese, dove è in corso una crisi umanitaria nel Catatumbo, che segnala i limiti del processo della Pace Totale del governo Petro, ma anche in altri territori del paese, dove si dispiega la continuità della violenza dei gruppi paramilitari, narcotrafficanti, di diversi tipi di gruppi armati e dissidenze delle guerriglie. La pace come obiettivo, così come la fine di ogni apartheid, è al centro delle sfide politiche in questi paesi e la questione palestinese viene sentita e vissuta in maniera particolare e significativa. > Alle attività del vertice è stata invitata anche Francesca Albanese, relatrice > speciale ONU per i territori occupati in Palestina, sotto attacco da parte > degli Stati Uniti e di Israele per i rapporti che ha curato denunciando le > violazioni dei diritti umani, la pulizia etnica, il genocidio e gli interessi > politici ed economici che lo sostengono. * * * Francesca Albanese sarà ospite di diverse iniziative a Bogotá e sarà accolta da mobilitazioni sociali di piazza, che sono state rilanciate come momenti di articolazione di un nuovo internazionalismo contro il genocidio in Palestina. Martedì 15 sarà ospite del dibattito “Azione collettiva in difesa della Palestina”, organizzato dal Gruppo de L’Aia, che si terrà al Museo Nazionale, con la partecipazione di Yaddai Kadamani Fonrodona, ministra della Cultura del governo colombiano, con Jeremy Corbyn, deputato al parlamento inglese, Rima Assan, eurodeputata de La France Insumise, e Andrés Macías Tolosa, del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sui Mercenari. Mercoledì 16 ci sarà fin dalla mattina una mobilitazione solidale con la Palestina e contro il genocidio nel centro della capitale colombiana, chiamata proprio in occasione della conferenza interministeriale: «Accogliamo con la nostra mobilitazione la relatrice speciale ONU Francesca Albanese, sotto attacco da parte degli Stati Uniti e delle imprese multinazionali che lucrano con il genocidio», scrivono nell’appello: e poi «andremo con bandiere della Palestina nelle piazze del centro della capitale, dalla Cancelleria alla Plaza de Bolivar, con una parola d’ordine comune: fermiamo il genocidio». La manifestazione è stata convocata da movimenti, organizzazioni sociali e politiche solidali con la Palestina, che invitano a rilanciare una forza transnazionale contro il genocidio. Nel pomeriggio della stessa giornata, mercoledì 16 luglio, Francesca Albanese sarà presente al Senato della Repubblica invitata dalla coalizione di governo del Pacto Historico per intervenire nel forum “Il Sud Globale per la Palestina: giustizia e solidarietà dalla Colombia”.   L’incontro di questa settimana rappresenta un’importante presa di posizione internazionale che rivendica la difesa dei diritti umani a livello globale ed esprime posizioni sul genocidio chiare, nette, coraggiose e decisive in un contesto di totale impunità, con l’obiettivo di estendere ad altri paesi queste prese di posizione politica per contribuire all’urgenza di fermare il genocidio in corso. Immagine di copertina: Presidenza della Repubblica della Colombia (da wikimedia), concerto per la Palestina a Bogotá, 2024 L'articolo Colombia, al via il vertice internazionale contro il genocidio in Palestina proviene da DINAMOpress.
Sanzioni ad Albanese: un attacco al diritto internazionale
Nel mondo al contrario nel quale viviamo, gli Stati Uniti, mentre accolgono in pompa magna il premier israeliano Netanyahu, destinatario di un mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale, accusano Francesca Albanese, Relatrice speciale per i territori palestinesi delle Nazioni Unite, di portare avanti «una campagna politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele». Il Segretario di Stato Marco Rubio ha infatti annunciato il 10 luglio sanzioni contro gli «illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte penale internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani». > Al centro dell’attacco è chiaramente l’ultimo rapporto della Relatrice Onu, > pubblicato il 30 giugno, che denuncia il legame del settore privato con il > genocidio. Come leggiamo nel sommario: «Mentre i leader politici e i governi si sottraggono ai loro obblighi, molte aziende hanno tratto profitto dall’economia israeliana di occupazione illegale, apartheid e ora genocidio. La complicità esposta dal rapporto è solo la punta dell’iceberg; non sarà possibile porvi fine senza ritenere il settore privato responsabile, compresi i suoi dirigenti (…). Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che lo ha permesso». Ma è tutto il suo lavoro ad essere denigrato. Il suo mandato è iniziato nel 2022, e da allora, convenzioni internazionali alla mano, denuncia le violazioni dei diritti umani del popolo palestinese a opera di Israele e dei suoi complici. La Relatrice speciale è un’esperta indipendente con il compito di monitorare i diritti umani nei territori palestinesi, i suoi rapporti non hanno potere sanzionatorio ma possono aumentare la pressione internazionale e informano il lavoro della Corte penale internazionale. Israele aveva già cominciato una campagna per screditare Albanese. Oggi, infatti, se si cerca il suo nome su Google si troverà una pagina sponsorizzata dell’Israel National Digital Agency dove si legge che «Le sue dichiarazioni pubbliche sono state caratterizzate dalla distorsione dell’Olocausto, dalla negazione del diritto all’esistenza di Israele e da una retorica che minimizza o giustifica la violenza terroristica – un linguaggio fondamentalmente in contrasto con i principi della legge internazionale sui diritti umani». Come scrive Elisabetta Rosso su FanPage: «La pagina sponsorizzata fa parte di una campagna controversa del governo israeliano. Da mesi la Israeli Government Advertising Agency – agenzia che opera come gruppo di comunicazione per il governo di Benjamin Netanyahu – sta cercando di manipolare la narrazione con strumenti propri della comunicazione commerciale». Come il video costruito con l’intelligenza artificiale sugli aiuti umanitari distribuiti a Gaza e la campagna contro l’UNRWA.  Craig Mokhiber su Mondoweiss spiega che «L’ordine di sanzioni e le dichiarazioni che le accompagnano costituiscono una violazione diretta della Carta delle Nazioni Unite, della Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite e dell’Accordo sulla sede delle Nazioni Unite (Accordo sul Paese ospitante)». E, continua Mokhiber, può essere considerata una violazione degli USA della Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite, in base alla quale Israele è attualmente sotto processo presso la Corte penale internazionale. Le sanzioni sono un vero e proprio attacco al sistema delle Nazioni Unite, di cui la Relatrice è parte insieme alla Corte penale internazionale, già sanzionata dagli USA lo scorso febbraio all’indomani del pronunciamento in cui giudicava «plausibile» il genocidio perpetrato da Israele. Si screditano gli organi che si sono fatti portavoce delle più forti denunce contro il genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità commessi da Israele. L’obiettivo finale del governo Trump, e del suo alleato Netanyahu, è far crollare l’intera impalcatura del diritto internazionale liberale e lasciare mano libera alla legge del più forte nello scacchiere internazionale. > Sono i governi reazionari occidentali, quindi, a essere i primi nemici del > sistema dei diritti umani e della pace.  Sono decine le dichiarazioni di solidarietà da parte della società civile in tutto il mondo: il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric ha dichiarato che «l’uso di sanzioni unilaterali contro i relatori speciali o qualsiasi altro esperto o funzionario delle Nazioni Unite è inaccettabile», così come l’Unione Europea tramite la portavoce della Commissione per gli Affari esteri El Anouni.  Ancora nessuna voce, invece, da parte del governo italiano, che da una parte aderisce alla delegittimazione della Corte penale internazionale, aiutando la fuga del torturatore Al-Masri, dall’altra rimane in silenzio di fronte all’annuncio delle sanzioni statunitensi a Francesca Albanese. Un silenzio imbarazzante che coinvolge anche il capo dello Stato Sergio Mattarella, ma che non stupisce dato il suo legame storico con Israele. Nel 2005 fu proprio Mattarella il relatore in commissione del Memorandum di intesa con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa. Evidentemente, le istituzioni di questo Paese non considerano Francesca Albanese “un’eccellenza italiana” da sostenere così come non riconoscono il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.  Immagine di copertina da Wikicommons SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Sanzioni ad Albanese: un attacco al diritto internazionale proviene da DINAMOpress.
Smilitarizziamo Sigonella: manifestazione regionale contro le basi militari usa – nato
Il territorio siciliano è particolarmente compromesso dalla presenza diffusa su tutta l’isola di basi militari, punti da cui droni e aerei che partecipano negli scenari di guerra attuali partono, transitano e vi stazionano. Non soltanto Sigonella ma anche il Muos a Niscemi supportano le operazioni militari in Medio Oriente. Questo sabato è stata dunque lanciata […]