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L’accoglienza a Caserta non era un reato: «Sette anni d’attesa per veder riconosciuta la verità»
Dopo sette anni si chiude con un’archiviazione totale una delle indagini più lunghe e controverse della provincia di Caserta. La Procura di Santa Maria Capua Vetere ha infatti disposto l’archiviazione per tutti gli indagati nell’inchiesta che nel 2018 aveva colpito attivistə del Centro Sociale Ex Canapificio, operatori dell’accoglienza, rappresentanti del mondo religioso e funzionari pubblici del Comune e del Servizio Centrale dello Sprar, il Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, attualmente conosciuto come SAI. Un’indagine che aveva messo «sotto accusa una rete di cittadini, associazioni e istituzioni che avevano scelto l’accoglienza diffusa come modello alternativo al sistema emergenziale», come ha ricordato ieri mattina in conferenza stampa uno degli ex indagati, Fabio Basile, all’epoca legale rappresentante dell’Ats costituita per l’accoglienza e presidente del Centro sociale. «Siamo qui – ha detto – per raccontare non solo la fine di un processo giudiziario, ma anche la verità su una vicenda che ha segnato la storia di Caserta». L’INIZIO DELL’INCHIESTA: LA DENUNCIA E IL CLIMA POLITICO La vicenda prende avvio nell’ottobre 2018, in un contesto politico segnato dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e dalla triplice campagna contro le persone migranti, i progetti di accoglienza e i centri sociali. «L’indagine parte formalmente il primo ottobre 2018 per due motivi», ha spiegato Basile. «Il primo è una denuncia fatta da un ex operatore che noi stessi avevamo segnalato per gravi irregolarità. Il secondo nasce in seguito a un episodio razzista: due nostri beneficiari furono colpiti da pallini di gomma da un’auto che gridava “Salvini, Salvini!”. Noi denunciammo l’accaduto e il ministro, invece di condannare il gesto, rispose attaccandoci pubblicamente, dicendo che era assurdo che un centro sociale occupato gestisse un progetto Sprar da due milioni e mezzo l’anno». Da quel momento, ha proseguito Basile, «si è scatenata una campagna mediatica e politica che ci ha trasformato in un bersaglio. È partita una macchina investigativa imponente: intercettazioni telefoniche e ambientali per mesi, perquisizioni in tutte le case dove si svolgeva il progetto, con 80 carabinieri ed elicotteri». Ma dai controlli, ha ricordato, «non emersero irregolarità o persone accolte non presenti, ma una sola caldaia rotta. Eppure anche quella frase intercettata – “la caldaia non funziona” – fu interpretata come un codice segreto per nascondere chissà cosa». L’inchiesta, ha raccontato Basile, «sarebbe dovuta durare al massimo due anni. Invece dal settembre 2019 all’ottobre 2024 il fascicolo è rimasto nel cassetto della Procura». Un tempo lunghissimo che ha avuto, per gli indagati, il peso di una condanna anticipata. «Ci sono due pene – ha detto – una è quella che può arrivare alla fine del processo, l’altra è quella dell’attesa. Sette anni di sospetto e silenzio sono una pena che nessuno potrà restituirci». Solo nell’autunno 2024, ha spiegato, «ci è arrivato l’avviso di conclusione delle indagini. Abbiamo studiato 12.000 pagine di atti e capito che l’intero impianto accusatorio era fondato su forzature, errori, illazioni e fraintendimenti volti a dimostrare il teorema dell’accusa». Dopo mesi di memorie e interrogatori, la Procura ha infine riconosciuto che non c’erano elementi per sostenere l’accusa, chiedendo l’archiviazione per tutti i 17 indagati che però, come spesso accade, avevano già subito la gogna mediatica locale e nazionale. «Oggi – ha aggiunto Basile – la giustizia è stata fatta. Non solo per noi, ma per un’intera città che ha creduto in un sistema di accoglienza trasparente e solidale». IL RICORDO DI SYLLA MAMADOU: «NON DOVEVA MORIRE COSÌ» Prima di lasciare la parola a Mamadou, Mimma D’Amico ha voluto ricordare Sylla Mamadou, il 35enne senegalese, «un nostro amico, accolto nel progetto Sprar, scomparso meno di un mese fa nel carcere di Santa Maria Capua Vetere». «Nel 2019 – ha ricordato – girammo un video in cui una madre italiana difendeva Sylla, che allora era  autista volontario del Piedibus, quando il decreto Salvini impose l’espulsione dei richiedenti asilo dal sistema SPRAR. Noi decidemmo di non cacciare nessuno, anche se il ministero non pagava più i servizi. Quella fu una stagione durissima ma piena di solidarietà. Oggi, davanti a questa archiviazione, vogliamo dire una cosa: Sylla non doveva morire così. Abbiamo fiducia che la magistratura voglia fare piena luce sulla sua morte». KUASSI MAMADOU: «ABBIAMO DIMOSTRATO CHE A CASERTA LA BUONA ACCOGLIENZA È POSSIBILE» Poi ha preso la parola Mamadou Kuassi, uno dei protagonisti storici del progetto Sprar, mediatore e riferimento per la formazione professionale che all’epoca non fu indagato. Ha ricordato quegli anni difficili ma anche ricchi di speranza: «Queste indagini ci hanno scosso profondamente, come Movimento Migranti e Rifugiati ma anche come Centro Sociale. Insieme a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, siamo andati a Bruxelles a rappresentare Caserta e la Campania, portando l’esempio di come qui si poteva fare una buona accoglienza. Era la prima volta che ci invitavano a parlare davanti al Parlamento europeo: raccontammo che in Italia, e proprio a Caserta, l’accoglienza si poteva fare bene, con trasparenza e umanità». L’attivista ha ricordato la notte delle perquisizioni, nel febbraio 2019: «Alle quattro del mattino iniziarono le chiamate: “Ci sono i carabinieri a casa nostra, che dobbiamo fare?”. Io dicevo: aprite le porte, lasciateli entrare. In 23 appartamenti arrivarono a perquisire tutto. Non mi aspettavo una cosa del genere, perché quei ragazzi studiavano l’italiano, facevano tirocini, cercavano lavoro. Alcuni venivano persino dal Nord per partecipare a un progetto che era riconosciuto come un’eccellenza». «Erano anni difficili – ha aggiunto -. I fondi dal Ministero ci furono bloccati a seguito dell’apertura dell’indagine per truffa, gli operatori aspettavano mesi, noi andavamo nei supermercati a chiedere aiuti per portare avanti le attività. Abbiamo chiesto prestiti alle persone comuni pur di mantenere le attività e pagare i fitti. Abbiamo dimostrato che a Caserta la buona accoglienza era possibile nonostante gli attacchi e nonostante l’indifferenza del Comune. E grazie a quel lavoro oggi tanti di quei ragazzi vivono qui, lavorano, hanno una famiglia, una casa. Alcuni sono diventati parte della comunità». Poi ha rivolto un pensiero al suo amico: «Mi dispiace che abbiamo perso Sylla, che era uno di noi, un fratello. Spero che venga fatta luce su quanto è accaduto, perché non è giusto morire così. Da lui dobbiamo ripartire, con la speranza di riaprire un progetto SAI a Caserta. Questo territorio se lo merita». GLI AVVOCATI: «UN PROCESSO POLITICO COSTRUITO SUL NULLA» Alla conferenza stampa hanno partecipato anche i legali del collegio difensivo, Carmine Malinconico, Antonello Fabrocile e Francesco Bugliatti, che hanno ricostruito il percorso giudiziario. «Questa vicenda si chiude con un decreto di archiviazione – ha spiegato Malinconico – che significa che non esistevano neppure gli elementi minimi per celebrare un processo. Non si poteva provare nulla di illecito, perché nulla di illecito era stato commesso». L’avvocato ha parlato di un «processo nato e cresciuto sul nulla, ma con un dispiego di mezzi degno di un’indagine di mafia: intercettazioni, consulenze, elicotteri». E ha sottolineato come «l’intera impostazione sembrasse finalizzata a dimostrare a tutti i costi una teoria preconcetta: che dietro l’accoglienza ci fosse del malaffare». Per Il centro sociale ex Canapificio, l’archiviazione rappresenta la fine di un incubo ma anche un punto di ripartenza. «Nessuno ci restituirà il sonno perso – ha concluso Basile – ma da oggi possiamo dire che la nostra storia è limpida. Abbiamo sempre lavorato alla luce del sole, in collaborazione con le istituzioni e la città». L’ex Canapificio, chiuso e sotto sequestro dal 2019, è stato per anni uno dei principali luoghi di solidarietà in Campania. Ora il progetto continuerà sotto una nuova forma: «Nascerà un osservatorio sociale a favore delle fasce deboli e contro la criminalizzazione dei diritti». «Questa archiviazione – ha concluso l’avvocato Malinconico – è una buona notizia per la democrazia. Dimostra che la solidarietà non è un reato, e che la giustizia, anche se lenta, può restituire la verità».
ASGI: «Invertire la narrazione sui minori stranieri non accompagnati»
L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) lancia un allarme rivolto alle istituzioni per quanto riguarda la gestione dei minori stranieri non accompagnati (MSNA). Tra tagli, scelte politiche miopi e logiche securitarie, il sistema di accoglienza rischia di trasformarsi in un meccanismo di esclusione e marginalità. «L’assoluta mancanza di lungimiranza che ha caratterizzato l’azione dell’attuale governo in tema di immigrazione – scrive ASGI – risulta ancor più evidente quando si parla di minori stranieri non accompagnati». Nel documento, l’associazione richiama la Costituzione: «L’art. 31 impone allo Stato di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù», ma si tratta di «una disposizione troppo spesso dimenticata». L’attuale governo, si legge, «ha mostrato grande preoccupazione per i bambini e i giovani che ancora devono nascere», ma «manca qualunque forma di reale e concreto interesse per i minori – tutti, italiani o stranieri – che già esistono». ASGI denuncia un sistema sanitario e sociale già in crisi per i giovani italiani, in cui «occorrono anni per una presa in carico» nei servizi di Neuropsichiatria Infantile. Il rapporto 2024 dell’ASL Città di Torino parla di diagnosi di psicosi triplicate tra i 21 e i 30 anni e di disturbi di personalità aumentati del 767%, «quasi con un profilo epidemico». Nessun potenziamento dei servizi, però, è seguito a questi dati. In un contesto tanto fragile, «le carenze risultano ancora maggiori» per i minori stranieri non accompagnati, che spesso presentano «forme precoci di dipendenza da stupefacenti, sindromi abbandoniche, traumi amplificati da un percorso migratorio che li ha ulteriormente infragiliti». Ma, invece di rafforzare il sistema di accoglienza, «il Governo sta procedendo al suo progressivo smantellamento». Lo stesso allarme è stato lanciato dall’ANCI l’8 agosto 2025, che ha denunciato «un’insufficienza di copertura delle spese dei Comuni connesse all’accoglienza dei Minori Stranieri Non Accompagnati».  Oggi, a fronte di 16.497 minori presenti in Italia, i posti SAI sono poco più di 6.000 e meno di 1.500 nei CAS per minori.  Ma «non pare proprio ci si stia muovendo in questa direzione»: sempre più ragazzi vengono collocati nei Centri di Accoglienza Straordinaria per adulti, come consente il decreto legge 133/2023, senza un’adeguata valutazione delle loro vulnerabilità. ASGI segnala anche criticità nella legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 5/2025, che «impedisce di fatto la realizzazione di nuove comunità per MSNA nei capoluoghi e principali centri urbani», relegandole a zone isolate. Una norma che l’associazione giudica «di dubbia legittimità costituzionale», poiché invade competenze statali in materia di immigrazione e programmazione. A tutto questo si sommano prassi amministrative arbitrarie: le Questure, prosegue il comunicato, «sottopongono a condizioni non previste il rilascio dei permessi di soggiorno per minore età» o rigettano le richieste di conversione alla maggiore età per cause non imputabili ai ragazzi. Particolarmente grave è la gestione del cosiddetto prosieguo amministrativo, lo strumento che dovrebbe garantire continuità di sostegno oltre i 18 anni. A causa della carenza di risorse e di competenze, «i più fragili rischiano di essere relegati alla marginalità». La repressione, osserva ASGI, ha ormai preso il posto della prevenzione. Il “Decreto Caivano” (D.L. 123/2023) ha accentuato l’approccio punitivo nel sistema della giustizia minorile, mentre mancano «comunità educative con operatori formati e contratti adeguati» e «servizi etnopsichiatrici con mediatori culturali». I trasferimenti frequenti da un istituto all’altro interrompono percorsi educativi e affettivi, e il passaggio nei penitenziari per adulti «rende impossibile ogni continuità di presa in carico». Non stupisce quindi che nel 2024 si siano registrate 28 rivolte negli Istituti Penali per Minorenni e un uso crescente di psicofarmaci: secondo la rivista Altreconomia, tra il 2022 e il 2024 la spesa per antipsicotici è aumentata fino al 435% in alcune strutture. La crisi investe anche il personale. Le indagini sul carcere minorile “Beccaria” di Milano – 42 persone indagate per maltrattamenti e torture – rivelano un contesto in cui «la disumanità dei luoghi finisce con l’avere conseguenze anche su chi ci lavora». Il caso più recente e drammatico resta il suicidio di Danilo Riahi, diciassettenne tunisino, minore non accompagnato, morto nel carcere di Treviso: «Quale sintomo più dirompente della crisi in cui versa il sistema?», denuncia ASGI. Nemmeno le condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per l’inadeguata accoglienza dei MSNA hanno prodotto un cambio di rotta: il Consiglio d’Europa mantiene ancora aperta la procedura di supervisione sull’Italia. In conclusione, per l’associazione, le soluzioni devono partire da un cambio di prospettiva radicale. «Le risposte vanno trovate in una valutazione integrata, complessa, completa, lungimirante, del tutto incompatibile con l’istituzionalizzazione attualmente perseguita». Serve «invertire la narrazione: i ragazzi non sono problemi a cui far fronte in modo semplicistico, bensì portatori di risorse potenziali che occorre riconoscere e rafforzare, con strumenti nuovi e occhi diversi». Leggi il documento completo
Trieste, trasferite le persone migranti dal Porto Vecchio
Mercoledì 1° ottobre, all’alba, la Prefettura di Trieste ha disposto il trasferimento delle persone migranti accampate sotto la tettoia di largo Città di Santos, all’ingresso del Porto Vecchio. In tutto 157 persone di diverse nazionalità, che da settimane trovavano riparo in quell’androne, dormendo su coperte e materassini forniti dai volontari. Lo sgombero e gli allontanamenti forzati di agosto non avevano portato, come ampiamente annunciato, a nessuna vera soluzione per le persone, richiedenti asilo, in attesa di accedere al sistema di accoglienza. Notizie/A proposito di Accoglienza TRIESTE, RICHIEDENTI ASILO SENZA ACCOGLIENZA E SOTTO SGOMBERO Nuova denuncia e appello delle associazioni: «Serve un intervento immediato» Redazione 22 Agosto 2025 Questa volta, l’operazione di trasferimento forzato è stata condotta da ben 91 agenti delle forze dell’ordine tra Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia locale. Un vero e proprio esercito al quale hanno offerto il proprio supporto la Protezione civile, l’ASUGI, UNHCR e la Caritas. Dopo le procedure di identificazione, le persone sono state caricate su quattro pullman e trasferite fuori regione, in strutture di accoglienza straordinaria situate in Veneto e Piemonte. Secondo la Prefettura, la decisione rispondeva alla necessità di garantire «luoghi di accoglienza idonei e dignitosi» in vista dell’arrivo dell’autunno, ma anche a esigenze logistiche legate all’imminente Barcolana e ai lavori di riqualificazione in corso nell’area del Porto Vecchio. «Le attività – si legge nel comunicato ufficiale – sono state volte alla verifica della presenza di richiedenti asilo privi di immediate forme di accoglienza e alla conseguente presa in carico degli stessi». Il sindaco-sceriffo Roberto Dipiazza sulla stampa locale ha espresso soddisfazione, commentando: «Bravi tutti, bel lavoro». Ma la giornata di mercoledì ha suscitato forti critiche da parte delle associazioni che da anni si occupano di accoglienza a Trieste. Ph: Lorena Fornasir ICS – Ufficio Rifugiati Onlus: «Un trasferimento tardivo e un sistema inefficiente» Durissimo il giudizio di ICS, che da mesi denuncia il collasso del sistema di prima accoglienza. «Il 1° ottobre a Trieste non c’è stato alcuno sgombero di migranti dall’area del Porto Vecchio, ma un tardivo trasferimento di circa 150 richiedenti asilo, effettuato direttamente dalla strada», ha dichiarato l’organizzazione in una nota. «L’operazione conferma quanto ICS denuncia da tempo: decine di richiedenti asilo – tra cui famiglie – sono costrette a vivere abbandonate per settimane in condizioni indegne, senza alcuna accoglienza». Per l’associazione si tratta dell’ennesimo intervento emergenziale che non affronta le cause del problema. «Il trasferimento del 1° ottobre, pur positivo per chi ha finalmente trovato una collocazione, non risolve nulla: diverse decine di persone continuano a dormire in strada. Queste operazioni tampone non risolvono nulla, perché già dal giorno successivo i problemi si ripresentano identici». La nota si conclude con la richiesta di un intervento strutturale e il potenziamento del sistema di prima accoglienza: «Serve un sistema ordinario con numeri adeguati, capace di rispondere a flussi modesti ma costanti, come richiesto dalle normative e dalla giurisprudenza europea, che garantiscono il diritto all’accoglienza dal momento stesso della richiesta d’asilo». Linea d’Ombra: «Non uno sgombero, ma un trasferimento forzato» A denunciare le modalità dell’intervento è anche Gian Andrea Franchi, fondatore di Linea d’Ombra Odv, che da anni assiste i migranti in transito lungo la rotta balcanica. Intervistato da Radio Onda d’Urto, l’attivista ha sottolineato: «Sapevamo già da giorni che ci sarebbe stato questo trasferimento, perché si tratta di un trasferimento, non di uno sgombero. Queste persone vivevano da tempo in condizioni difficili, dormendo sull’asfalto del Porto Vecchio, con materiali forniti da noi ma in uno spazio precario». Secondo Franchi, la presenza dell’UNHCR e di altre organizzazioni ufficiali ha dato un’apparenza di regolarità all’operazione, ma non ne ha cambiato la natura forzata. «Ci è stato detto che verranno trasferiti nel Nord Italia, non in Sardegna come in altri casi. La Sardegna è particolarmente temuta dai migranti perché si trovano poi in un’isola da cui uscire è molto difficile». Franchi riconosce che «dal punto di vista ambientale» le condizioni di vita nei centri potrebbero essere migliori: «Dovrebbero avere un tetto sulla testa, una branda, un pasto caldo». Tuttavia, avverte, «il dato ambientale non può essere separato da quello psicologico: una stanza isolata in un paese lontano da possibilità di comunicazione può essere peggiore di un androne esposto a tutti i venti». E ricorda un episodio emblematico: «Alcuni mesi fa un amico migrante ci telefonò da una località remota della Lombardia dicendo che avrebbe voluto ritornare sotto l’androne, perché si trovava in un edificio isolato vicino alla boscaglia. Preferiva stare tra gli amici, fra la gente». L’attivista descrive l’intervento come «una grande operazione di polizia», con «una presenza massiccia di forze dell’ordine, carabinieri e operatori della Regione». Sul posto, spiega, «sono state montate tre tende per i controlli igienici e sanitari, e poi c’erano i grandi pullman che avrebbero portato via questi ragazzi e anche alcune famiglie con donne». Nonostante il trasferimento, Franchi prevede che la situazione si ripeterà rapidamente: «Sicuramente l’androne tornerà ad essere abitato da altri migranti, perché arrivano ogni giorno tra le 30 e le 50 persone».
Nessuno Stato può negare i bisogni essenziali dei richiedenti, neanche in caso di afflusso imprevisto
Non ci sono emergenze che tengano: gli Stati membri dell’Unione europea devono sempre garantire ai/alle richiedenti asilo condizioni di vita dignitose, anche quando le strutture di accoglienza risultano sature a causa di un arrivo imprevisto di persone in cerca di protezione. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Ue con la sentenza nella causa C-97/24, riguardante due richiedenti asilo – un cittadino afghano e uno indiano – che in Irlanda si erano trovati a vivere in strada, senza alloggio né mezzi di sostentamento. Le autorità irlandesi avevano consegnato a ciascuno solo un buono da 25 euro, rifiutandosi di assegnare loro un posto nei centri di accoglienza e negando quindi anche l’accesso al piccolo sussidio giornaliero previsto dalla normativa nazionale. I due richiedenti asilo hanno denunciato di aver vissuto per settimane all’aperto o in alloggi di fortuna, senza cibo né possibilità di mantenere l’igiene, e di essere stati esposti a violenze e pericoli. Davanti all’Alta Corte irlandese, hanno chiesto il risarcimento del danno subito. Il governo di Dublino ha riconosciuto la violazione del diritto dell’Unione, ma ha invocato la “forza maggiore”, attribuendo la saturazione delle strutture all’ondata di arrivi seguita alla guerra in Ucraina. La Corte di giustizia ha però respinto questa linea di difesa. Secondo i giudici di Lussemburgo, la direttiva 2013/33/UE (cosiddetta direttiva accoglienza 1) impone agli Stati membri di garantire “condizioni materiali di accoglienza che assicurino un tenore di vita adeguato” (art. 17), attraverso alloggio, sostegno economico o buoni. Tali condizioni devono coprire i “bisogni essenziali” dei richiedenti e tutelarne la salute fisica e mentale. La mancata erogazione di queste misure – anche solo temporaneamente – costituisce una violazione “manifestamente e gravemente” contraria al margine di discrezionalità lasciato agli Stati. Ciò che ha stabilito la Corte vale per tutti gli Stati membri, Italia compresa, dove il tema dell’accoglienza resta al centro del dibattito politico quotidiano. Nel nostro Paese, infatti, le autorità spesso non garantiscono condizioni adeguate ai/alle richiedenti asilo, che possono rimanere per mesi – talvolta per oltre un anno – esclusi/e dal sistema di accoglienza, in attesa di un posto. La Corte ha inoltre ricordato che la direttiva prevede un regime derogatorio (art. 20, par. 9), applicabile solo in circostanze eccezionali e per un periodo limitato, quando un afflusso improvviso di richiedenti esaurisce temporaneamente la capacità ricettiva degli Stati. Va però sottolineato che negli ultimi anni i numeri delle richieste d’asilo non hanno registrato aumenti tali da configurare un’emergenza. E comunque, anche in uno scenario del genere, ha precisato il collegio, resta fermo l’obbligo di rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, in particolare l’articolo 1, che tutela la dignità umana, e l’articolo 4, che vieta trattamenti inumani o degradanti. “Nessuno Stato membro – scrive la Corte – può invocare l’esaurimento delle strutture di accoglienza per sottrarsi all’obbligo di soddisfare le esigenze essenziali dei richiedenti protezione internazionale”. L’Irlanda, nel caso di specie, non ha dimostrato alcuna impossibilità oggettiva di adempiere ai propri obblighi, ad esempio attraverso il ricorso ad alloggi temporanei alternativi o a sussidi economici. La sentenza stabilisce dunque che un simile comportamento può configurare una “violazione sufficientemente qualificata” del diritto dell’Unione, aprendo la strada alla responsabilità dello Stato e al diritto dei richiedenti di ottenere un risarcimento. Una decisione chiara e netta, che nessuno Stato dell’Unione europea può fingere di non conoscere. Corte di Giustizia UE, sentenza dell’1 agosto 2025 1. Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. ↩︎
«Accoglienza sotto assedio»: la denuncia del collettivo L’AltraMarea a Camigliatello Silano (CS)
«Accogliere con dignità non è una scelta, è un obbligo morale». Con queste parole il collettivo L’AltraMarea di Cosenza ha annunciato la sua nascita e la finalità di denunciare le condizioni dei cittadini e delle cittadine migranti all’interno dei centri di accoglienza governativi e dei centri di detenzione.  Il collettivo si impegna a monitorare, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle criticità e le ingiustizie che «ancora oggi angosciano i migranti in questi contesti». Inoltre, si propone di far conoscere le reali condizioni di vita all’interno dei centri di accoglienza, fare pressione sulle autorità e promuovere un cambiamento dell’attuale ordinamento giuridico in materia di immigrazione. A fine luglio L’AltraMarea ha diffuso il suo primo report di un monitoraggio dal titolo eloquente: Accoglienza sotto assedio. Sceriffi, minacce e degrado a Camigliatello. Il documento di denuncia, ripreso e confermato dall’articolo della stampa locale 1 , raccoglie testimonianze e fotografie dall’ex hotel La Fenice, trasformato da tempo in Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) gestito dalla società locale Alprex S.a.s. «È singolare – scrive il collettivo – che l’ex Hotel La Fenice – simbolo mitologico di rinascita – si trasformi invece nell’antitesi della vita dignitosa. Qui, dove persone già segnate da violenze e traumi dovrebbero ricominciare, si trovano invece abbandono e maltrattamenti». Già nel 2016 erano state segnalate «violazioni quotidiane dei diritti essenziali dei migranti, parcheggiati come pacchi» sotto la gestione dell’associazione A.N.I.MED. «Siamo tornati a distanza di nove anni», spiega il gruppo di attivistə, «e constatiamo purtroppo un’involuzione del sistema di accoglienza». Tra le testimonianze raccolte spicca quella di T., giovane ospite del centro. Mostrando foto dei pasti, racconta di cibo servito «in piatti di plastica sigillati, gonfi per fermentazione batterica» e «maleodoranti». «Alle nostre proteste – denuncia – la risposta è stata: o mangiate questo o null’altro». Le condizioni igieniche vengono descritte come «un girone infernale»: docce incrostate, rubinetteria assente, muri segnati da calcare e ruggine. Agli ospiti viene consegnato «un solo cambio di vestiti all’arrivo e più nulla», con la lavatrice riservata «esclusivamente alla direzione». I materassi sarebbero «lerci, bucati, macchiati di aloni gialli e marroni», le stanze «umide e ammuffite». Gli ospiti parlano anche di «assenza totale di attività»: niente corsi di lingua, nessuna formazione, nessun percorso di inserimento. «I ragazzi passano le giornate nell’inerzia, vagando lungo la statale o seduti sulle panchine dei bar». Sul piano sanitario, il racconto è analogo: «Viene somministrato sempre e solo lo stesso farmaco, l’Oki. Nessun medico, nessun avvocato, nessuno psicologo». Il punto più inquietante riguarda la gestione interna. «Un membro della direzione, identificato come Alessandro, si atteggia a sceriffo – prosegue L’AltraMarea –. Diversi migranti ci raccontano che avrebbe mostrato una pistola per intimorire gli ospiti. In un caso, documentato da video, avrebbe addirittura aggredito fisicamente un minore». Chi protesta rischia ritorsioni. È lo stesso T. a raccontarlo: dopo aver contattato i carabinieri per denunciare le condizioni del centro, si sarebbe visto decurtare il pocket money di 25 euro al mese. «Un sopruso senza alcuna giustificazione», denuncia il collettivo. «Cambiano i padroni, ma rimane la stessa disumanità», constata il collettivo L’AltraMarea. «Ci chiediamo come sia possibile che le istituzioni non intervengano davanti a episodi tanto gravi, che riguardano anche minori. Queste persone sopravvissute a tragedie immense vengono ridotte a sgualcite banconote ambulanti, utili solo ad alimentare il business di gestori». E conclude: «Non si può continuare a ignorare che dietro ogni numero ci sono vite, ferite e speranze di rinascita». 1.  Il buio ai piedi della candela: viaggio in Sila nell’ex hotel La Fenice, tra degrado e paura, di Alessia Principe – CosenzaChannel ↩︎
Trieste, continua l’emergenza accoglienza richiedenti asilo
A Trieste si aggrava ancora una volta la situazione dell’accoglienza per i richiedenti asilo, con un preoccupante peggioramento denunciato da alcune tra le organizzazioni impegnate nel settore. Il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), Diaconia Valdese, International Rescue Committee (IRC) e il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), esprimono la loro “forte preoccupazione” per la “netta recrudescenza” dei problemi nell’accesso alle misure di accoglienza previste dalla legge. Le organizzazioni richiamano l’attenzione sulle precise disposizioni della normativa europea, ricordando che “il diritto UE dispone con inequivocabile chiarezza (Direttiva 2013/33/UE, art. 17 par. 1 1) che gli Stati membri provvedano a che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere protezione internazionale”. Questo diritto non consente deroghe, neanche temporanee, e prevede l’obbligo di assicurare “con immediatezza” le misure di sostentamento ai richiedenti asilo privi di mezzi. Negli ultimi anni Trieste ha vissuto una situazione altalenante: dopo anni di estese mancate accoglienze tra il 2022 e il 2024, una parziale ripresa si era vista da giugno 2024 con trasferimenti sistematici verso altre città, circa 60 persone a settimana. Tuttavia, da giugno 2025, “tale prassi ha subito un brusco rallentamento”, con trasferimenti dimezzati, proprio nel periodo estivo caratterizzato da un aumento degli arrivi. A pagare il prezzo più alto sono le persone più vulnerabili: “famiglie con bambini, donne sole, minori” che “vengono semplicemente abbandonate in strada in attesa di un posto in accoglienza, prive di alcuna assistenza che non sia quella fornita dalle associazioni di solidarietà”. I numeri parlano chiaro: al 4 agosto 2025 sono almeno 173 uomini singoli, 2 donne sole e 4 nuclei familiari con bambini senza alcun supporto da parte delle autorità. Le associazioni denunciano un’“assenza di una programmazione strutturata per gestire un fenomeno contenuto e prevedibile”, sottolineando che la situazione di Trieste si configura ormai come “una crisi umanitaria per il quarto anno di fila” che “richiede un intervento immediato da parte delle Autorità finora inadempienti”. Nel comunicato diffuso alla stampa si ricorda inoltre il pronunciamento recente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha sancito come “uno stato membro non può sottrarsi ai propri obblighi invocando l’esaurimento temporaneo delle capacità di alloggio normalmente disponibili”, ribadendo il dovere di garantire l’accoglienza anche in presenza di arrivi ingenti. Le organizzazioni coinvolte chiedono pertanto “che venga realizzata, anche attraverso un rinnovato dialogo con le associazioni, una programmazione adeguata che consenta di prevenire il verificarsi di tali gravi crisi”, avvertendo che “in assenza di interventi si riservano ogni azione legale necessaria a ripristinare il rispetto delle vigenti normative e tutelare i diritti fondamentali dei richiedenti asilo”. La situazione di Trieste torna quindi al centro del dibattito nazionale sull’accoglienza, mostrando ancora una volta le criticità di un sistema che non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali e la dignità delle persone che cercano protezione in Italia. 1. Consulta la direttiva ↩︎
Accoglienza al collasso: tra isolamento, revoche e opacità istituzionale
Il report di Action Aid pubblicato a marzo 2025 1 ci racconta i differenti aspetti che il sistema d’accoglienza ha vissuto nell’ultimo anno, disegnando una cornice sistemica e chiara della cognizione corrente che tutto l’apparato presenta. Formato da circa 50 pagine, il rapporto tocca diversi argomenti cruciali, dalle gare d’appalto alle condizioni che si vivono dentro i centri d’accoglienza alle politiche migratorie che i nostri governi implementano sulle differenti questioni. L’INVOLUZIONE DEL SISTEMA D’ACCOGLIENZA Il decreto-legge 20/2023, notoriamente conosciuto come decreto Cutro, ha profondamente cambiato il modello di accoglienza, riducendo i servizi di supporto come assistenza legale, psicologica e corsi di lingua. Questo ha comportato un aumento delle spese per affitti e logistica, ma ha anche deteriorato le condizioni di vita nei centri. Oggi, le risorse sono concentrate sulla gestione degli spazi piuttosto che sull’integrazione delle persone ospitate. I centri sono diventati più grandi, sovraffollati e isolati, limitando le opportunità di inclusione e lavoro. Strettamente interconnesso al decreto Cutro troviamo il capitolato 2024 voluto dal governo Meloni, firmato dal ministro dall’interno Piantedosi. Il capitolato ha il compito di indicare i servizi previsti per ciascuna tipologia di centro e i costi associati. Tra le varie criticità che il rapporto sottolinea, quelle principali sono: * Non c’è monitoraggio né valutazione: l’ultima relazione annuale del Viminale sull’accoglienza riguarda il funzionamento del sistema nel 2021 * Oltre la retorica sui “35 euro”, il nuovo capitolato aumenta i costi complessivi. A crescere però sono soprattutto i costi per il funzionamento delle strutture (affitto, trasporti, cibo). Ridotte drasticamente le spese per i professionisti e i relativi servizi alla persona * Vengono azzerati i servizi di informazione e orientamento legale, orientamento al territorio, assistenza psicologica e corsi di lingua italiana * Nel 2023 nascono i “centri temporanei”, che forniscono solo vitto, alloggio e assistenza sanitaria minima. Non sono previsti servizi sociali. Inoltre l’ accesso alle informazioni circa questi tipi di centri risulta molto scarno LA GEOGRAFIA DELL’ACCOGLIENZA Secondo i dati forniti dal ministero dell’interno, a dicembre 2023 il sistema di accoglienza poteva ospitare poco più di 143mila persone, di cui 97.718 nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), 5.010 nei centri di prima accoglienza (3,5% – Cpa e Hotspot) e 40.311 nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Dati alla mano, l’obiettivo di garantire un’accoglienza diffusa in piccole strutture, con un impatto limitato sulle comunità ospitanti e una maggiore capacità di integrazione degli ospiti, è stato gradualmente abbandonato. Si è dato invece spazio a grandi strutture di accoglienza collettiva, con interventi normativi che inoltre favoriscono la commistione della prima accoglienza con il trattenimento di chi fa ingresso sul territorio italiano. Inoltre, questo avviene in un contesto in cui nel corso dell’anno è stato fatto un uso consistente dell’istituto che permette la revoca dell’accoglienza 2, nonostante le molte pronunce dei tribunali 3 a tutela di persone estromesse dal sistema e la gradualità̀ della sanzione introdotta dal decreto 20/2023. Infatti, se nel 2022 le revoche sono state 30.500 circa e nei primi 9 mesi del 2024 poco più di 27.600, nel 2023 il dato registrato è quasi doppio, circa 50.900 revoche. Si tratta di una disposizione la cui attuazione è stata spesso considerata discriminatoria e in conflitto con principi costituzionali e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come stabilito ad esempio dal Tar della Liguria. Al 31 dicembre 2023 gli ospiti dei centri di accoglienza rappresentavano lo 0,23% della popolazione residente in Italia. La regione in cui si registra la presenza più elevata, rispetto alla popolazione residente, è il Molise (0,58%), mentre la Valle d’Aosta presenta l’incidenza più bassa (0,11%). Analizzando la capacità del sistema però è proprio nelle regioni del sud e delle isole che si hanno più posti disponibili (49.587 ovvero il 34,7%) e, in particolare, nel Sai. Infatti, se nelle altre aree del paese la quota di posti nel sistema ordinario si attesta tra il 17,3% e il 23,2% del totale, nel mezzogiorno questo dato arriva al 43,4%. Non stupisce dunque se tra le prime 10 province per quota di posti nel Sai solo una non si trova in regioni del mezzogiorno. Si tratta di Bologna che, oltre ad avere più posti nel Sai (56,28%) che nel Cas, è anche il territorio che offre più posti nel sistema ordinario in termini assoluti (2.137). Al secondo posto Catania con 1.842 posti nel Sai, che rappresentano il 91,3% dell’accoglienza sul territorio. Ma se dal punto di vista della distribuzione di posti tra Cas e Sai sono le regioni del mezzogiorno a rappresentare un esempio positivo, lo stesso non si può dire quando si parla di grandi centri di accoglienza straordinaria. La capienza media dei Cas, infatti, risulta di appena 10,7 posti nelle regioni del nord est, salendo a 14,6 nel nord ovest e a 16,6 al centro. Nelle regioni del mezzogiorno invece supera i 36 posti per centro. UN SISTEMA CHE NON TUTELA. L’ACCOGLIENZA DELLE PERSONE VULNERABILI Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati (Msna) la normativa prevede strutture governative di prima accoglienza e strutture di secondo livello che coincidono in via prioritaria con il sistema Sai. In presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di Msna, i prefetti possono attivare strutture di accoglienza temporanee esclusivamente dedicate ai minori (ovvero i Cas minori, di cui all’articolo 19 del d.Lgs. 142/2015). In precedenza, in caso di indisponibilità di posti nel sistema pubblico, il minore era temporaneamente accolto dal comune in cui si trovava (fatta salva la possibilità̀ di trasferirlo in altro comune in considerazione del suo superiore interesse). Adesso, con il decreto 133/2023 e la circolare del ministero dell’interno n. 94 del 17 gennaio 2024 si è stabilita l’inversione del criterio: in assenza di posti Sai, prima di sollecitare l’ente locale, si deve verificare la possibile collocazione in Cas minori. Un’altra strada perseguita, specialmente per i minori che arrivano in Italia come ultra sedicenni, è quella di inserirli in centri d’accoglienza per adulti. Questo, sottolinea il ministero del lavoro, segnala una grave discrepanza tra il trattamento nei centri di prima accoglienza rispetto ai Cas per adulti. Nel primo caso è previsto per i Msna un tempo massimo di permanenza di 45 giorni, trascorsi i quali devono essere collocati nel Sai. Nei Cas adulti però questo tempo si triplicherebbe. Un periodo decisamente troppo lungo anche considerando coloro che nel frattempo compiono i 18 anni, i quali vedono cessata l’accoglienza, perdendo persino la possibilità̀ di fruire della maggiore tutela che invece è garantita a chi, nella stessa identica situazione, ha trovato accoglienza nel Sai. Tutto questo avviene in un contesto in cui le presenze complessive in centri destinati ai Msna passano da circa 2.500 nel 2018 a oltre 6.800 nel 2023. Questa crescita è avvenuta anche grazie ad un aumento delle presenze nel Sai e questa è certamente una buona notizia. Al contempo però bisogna registrare nel 2023 una crescita del 177% delle presenze in Cas per Msna rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda la condizione femminile all’interno del circuito dell’accoglienza, è solo grazie al rapporto annuale del Sai 4 che conosciamo il totale delle donne accolte nel sistema nel corso del 2023 (13.874) e grazie alle informazioni fornite dal Servizio Centrale a ActionAid e Openpolis abbiamo il dato relativo alla presenza di donne nel sistema al 31 dicembre dello stesso anno (8.683). Da queste informazioni si evince un ricambio più lento in confronto agli uomini (40.638 accolti nell’anno a fronte di 22.312 presenze al 31 dicembre). Le donne, in altri termini, restano per un periodo più lungo all’interno dei progetti di accoglienza e di accompagnamento all’autonomia. Un elemento da tenere ben presente per una programmazione efficace. I dati disponibili evidenziano inoltre una crescita particolarmente sostenuta delle presenze femminili nei centri Sai. Una tale evoluzione è il risultato degli ampliamenti della rete, prima a seguito della crisi afghana e poi di quella ucraina, che ha portato nel paese soprattutto donne (e minori). Inoltre, il decreto legge 133/2023 individua tutte le donne richiedenti asilo come “vulnerabili”, di fatto convogliando la loro accoglienza nei centri del Sai, creando le premesse per una possibile “femminilizzazione” del sistema. Il potenziale protagonismo della rete Sai nell’accoglienza delle donne migranti può certamente offrire loro percorsi di accoglienza di maggiore qualità̀. Tuttavia il rischio è che a fronte di un numero insufficiente di posti nel Sai, ritorni in campo l’accoglienza straordinaria, con i connessi problemi di doppi standard che vedrebbero alcune migranti ricevere i servizi di accoglienza previsti dalla legge attraverso il circuito Sai, mentre altre, con i medesimi titoli, potrebbero restare incastrate nel circuito dei Cas, se non addirittura in quello dell’accoglienza temporanea. Inoltre, risulta opportuno avviare un’ampia riflessione sul concetto di vulnerabilità̀. Da una parte è positivo che almeno le donne trovino accoglienza nel Sai, al contempo però affermare che tutte le donne siano “vulnerabili”, oltre a evidenziare un approccio paternalistico, significa equiparare le loro diverse situazioni con il rischio che i casi effettivamente più vulnerabili non siano poi riconosciuti come tali. CONCLUSIONI Dal 2018, il progetto “Centri d’Italia” denuncia gravi difficoltà nell’accesso ai dati sul sistema di accoglienza per migranti, dovute a un sistematico ostruzionismo da parte del Ministero dell’Interno. Nonostante sentenze favorevoli (Tar e Consiglio di Stato), mancano trasparenza e collaborazione. Le leggi che impongono la redazione e pubblicazione del Piano Nazionale Accoglienza e di una relazione annuale al Parlamento non vengono rispettate. L’ultima relazione risale al 2022 (dati del 2021). Il Viminale spesso nega o fornisce informazioni incomplete, frammentarie o non utilizzabili. Nemmeno le richieste ordinarie o le vittorie legali garantiscono l’accesso ai dati. Il ministero sostiene spesso di non disporre delle informazioni, nonostante ne abbia l’obbligo per legge. La trasparenza è sistematicamente ostacolata, in violazione del Freedom of Information Act (FOIA 5) e delle linee guida ANAC. Le richieste di accesso non vengono né accolte né riformulate, contravvenendo ai doveri di legge verso la società civile, le ONG e la stampa. Il sistema di accoglienza soffre di mancanza di visione, pianificazione e valutazione. A questo si aggiungono nuove normative (DL 145/2024) che introducono automatismi per l’accesso ai servizi, discriminando chi arriva via terra e penalizzando chi non presenta tempestivamente domanda d’asilo, anche se vulnerabile. Queste misure appaiono in contrasto con le direttive europee e rischiano di escludere le persone più fragili. In generale, il quadro complessivo evidenzia un approccio repressivo, privo di analisi e programmazione, che mina il funzionamento del sistema di accoglienza e la tutela dei diritti fondamentali. 1. Scarica il rapporto ↩︎ 2. Si veda: La revoca dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Scheda ASGI – Ottobre 2024 ↩︎ 3. Contrastare le prassi illegittime di Questura e Prefettura: giurisprudenza e formazioni, Asgi ↩︎ 4. Consulta il rapporto ↩︎ 5. Cos’è il FOIA ↩︎