La distopia rovesciata delle politiche migratorie
Con Semuren (Castelvecchi, 2024), Francesco Vietti ribalta il baricentro delle
migrazioni globali. Nel romanzo l’Italia è dilaniata da una guerra civile e
devastata dalla crisi climatica; la Cina diventa l’approdo di imponenti flussi
migratori.
È un’opera narrativa intensa, sorretta da una trama che si snoda con ritmo e
tensione crescente, e al tempo stesso uno strumento di riflessione sulle
politiche migratorie contemporanee e sul funzionamento materiale e simbolico dei
confini. Al centro della storia ci sono due personaggi: Francesco, un italiano
in fuga, e Shen Fu, un giornalista cinese incaricato di documentare il collasso
dell’Europa. Le loro traiettorie, inizialmente distanti e asimmetriche, si
incrociano in un finale sorprendente che restituisce densità umana e ambivalenza
politica all’intera narrazione.
> Elemento cardine dell’opera è la frontiera, colta nella sua duplice
> dimensione: da un lato, le politiche di contenimento sempre più sofisticate e
> repressive; dall’altro, i molteplici tentativi di attraversamento che
> testimoniano una persistente capacità d’azione.
Vietti esaspera – senza mai renderle inverosimili – le tecnologie e le pratiche
già in campo nel nostro presente, ottenendo un effetto straniante e perturbante:
ciò che oggi appare come tendenza diventa, nel suo futuro, struttura dominante.
Il paesaggio che ne risulta non è però segnato solo da muri, sorveglianza e
guardie di confine. Semuren è anche racconto di possibilità. La capacità di
agire – individuale e collettiva – si manifesta in forme impreviste, nonostante
un contesto politico radicalmente ostile. Il quadro geopolitico immaginato da
Vietti riflette e rilancia alcune delle trasformazioni in corso: l’erosione
dell’egemonia statunitense, l’emergere di nuovi attori globali – in primis la
Cina – e un salto di scala nelle dinamiche autoritarie.
I confini che Semuren mette in scena sono radicalmente aggressivi, ma non
insormontabili. Resta sempre un certo grado di porosità. Questa ambivalenza
attraversa anche uno dei luoghi centrali nel romanzo: la città murata di Kowloon
in Cina, immenso ghetto abitato da migranti. Vietti la descrive con attenzione
minuziosa, restituendo un ambiente caotico e verticale, soffocante e denso di
vita. In questo spazio informale si condensano disperazione, relazioni inedite,
audaci economie sotterranee. Come per i confini, anche qui l’oppressione non è
assoluta: emergono pratiche di convivenza, forme di socialità, controcondotte.
La città murata è specchio della complessa dialettica tra esclusione e
inclusione, mai definitiva.
> Opera inquieta e coinvolgente, Semuren ci mostra un futuro che è in dialogo
> serrato con il nostro presente. Alcuni degli scenari immaginati – come i
> centri per migranti in Albania – si sono concretizzati mentre il libro era
> ancora in lavorazione. Non si tratta di un mero esercizio di distopia, ma di
> una proiezione plausibile delle attuali linee di tendenza.
Anche nella sua conclusione, il romanzo non concede illusioni facili. Il governo
della mobilità è uno dei dispositivi portanti attraverso cui prende forma il
mondo e il suo volto è feroce. E tuttavia, Semuren non è un’opera rassegnata:
nella trama e nella costruzione dell’universo narrativo, Vietti lascia spazio
all’imprevisto e all’azione. Le politiche di radicale esclusione accelerano, ma
la possibilità di contestarle resta aperta. Ed è in questo margine, fragile ma
ostinato, che che c’è spazio per immaginare un esito radicalmente differente.
Immagine di copertina di CEphoto, Uwe Aranas, wikicommons
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