The Social Hub: alla ricerca dello studentato perduto
Passeggiando per Sanlo e immaginando come viverci…
DIECI PIANI SOPRA IL QUARTIERE
Da tempo, passando per la tangenziale all’altezza dello svincolo per il Pigneto,
si può notare questo edificio grigio e bianco, alto, stagliarsi a occhio nudo
sulla sopraelevata, in maniera forte e forse un po’ asettica, dal momento che
poco si amalgama con i colori e con le strutture che lo circondano. I più
curiosi, attratti dalla nuova struttura, possono appropinquarsi per fare una
passeggiata e andare a vedere cosa sia veramente il “The Social Hub” e se possa,
come inizialmente descrivevano i progetti, rispondere alle esigenze della
popolazione non solo di quartiere, ma in generale delle giovani persone e delle
e degli studenti in cerca di alloggi a prezzi accessibili, in una città come
Roma a tratti proibitiva sul tema.
Il palazzo infatti, dai primi render, si presentava come studentato orientato a
essere uno spazio, nella capitale, che potesse fronteggiare quell’esigenza
diffusa in tutta Italia di emergenza posti letto-alloggi per studenti fuori
sede: a oggi i posti sono infatti circa 50mila in tutta la penisola, numero che
copre in verità solo il 20% della domanda generale.
L’accesso dalla storica ex-Dogana è sicuramente piacevole, nonostante il caldo
torrido del periodo: a primo impatto, il verde, curato e brillante, è il primo
dettaglio che colpisce, pieno di piante, belle, sicuramente, delle quali
tuttavia sarebbe interessante conoscere la provenienza e origine.
Sono autoctone o destinate a essere sostituite ben presto da altre perché
tropicali? Chissà.
> Insieme, un altro elemento però colpisce entrando: il vuoto dello spazio.
> Poche, tre di numero, sono le persone che si trovano sedute ai tavoli esterni,
> nel lussureggiante giardino, forse per il caldo? – ma regna un silenzio
> dilagante, poco in stile studentato.
Si percepisce solo lo scroscio dell’acqua, che incessantemente irriga il tappeto
d’erba di fronte agli archi della ferrovia. Si può quindi proseguire la
passeggiata e, venendo dal caldo torrido all’esterno, una volta dentro, di certo
si apprezza il fresco all’interno (condizionatori a palla che sparano aria a
21°), quando si aprono le porte automatiche di un vetro scintillante, che
lasciano intravedere le persone che popolano lo spazio, sedute ai loro tavoli di
coworking.
La luce naturale del caldo torrido e quella artificiale dei neon si confondono,
ma l’elemento che regna è il disorientamento. Dove ci si trova? In quale parte
del mondo, in quale delle sedi di questo brand sparse per l’Europa? Nessun
elemento caratterizzante, nessun particolare che possa ricondurre al luogo
fisico in cui effettivamente si è, la città di Roma. Che gran potere la
globalizzazione!
A ogni modo c’è una parvenza di condivisione, infatti è possibile girare
liberamente negli spazi, per vederli e studiarli, ma pur sempre con un
obiettivo, capire se interessatə a diventare un potenziale cliente. Come ben
presto ci si può accorgere, gironzolando per gli spazi, che per chi è senza
tessera non è possibile aprire (ad esempio quelle della palestra) né utilizzare
il banale ascensore. Ma è scontato, proprio perché appunto non si è clienti!
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Di Milos Skakal
LA DICOTOMIA TRA L’ABITARE E IL SOGGIORNARE
Ciò che infatti si avverte, inevitabilmente forse, è che queste persone non sono
qui in quanto tali, ma piuttosto incarnano l’essenza del cliente e non
dell’abitante, di chi vuole vivere effettivamente uno spazio, conoscere una
città vivendoci per un tempo prolungato.
Il Social Hub infatti nasce come luogo di soggiorno temporaneo e prolungato, per
residenze brevi, come soggiorni di hotel, o medio lunghe in cui poter
alloggiare. Da studente o per un soggiorno medio, puoi infatti scegliere la tua
“Executive Queen” – una stanza di 20 m² con bagno, letto, scrivania e cucina in
comune – per il “modico” prezzo di 1.550 euro al mese. Se invece si vuole
pernottare in modalità hotel, è possibile passare qui tre notti al prezzo di 400
euro circa.
In fase di prenotazione online inoltre, inserendo i tuoi dati, sei chiamatə a
selezionare anche il tuo genere, senza la possibilità di non esporti o non
dichiarare sul tema. Questo elemento dovrebbe far riflettere: se il target sono
le giovani persone, di certo questa tematica dovrebbe essere considerata con più
attenzione da chi si occupa del marketing dell’azienda.
Percorrendo i corridoi, viene da chiedersi se queste persone scelgano
effettivamente di popolare uno spazio asettico, impersonale, uno spazio
qualunque, forse per sentirsi a loro agio in un luogo che vogliono sentire come
una non-casa, o se proprio non siano toccate dal tema. Forse si trovano qui solo
per caso, (come se un posto valesse l’altro), non tanto incuriosite dal progetto
che in sé dovrebbe rappresentare questo spazio o dal conoscere la città, il
luogo nel quale vivranno per un periodo. Piuttosto forse, appaiono tremendamente
attente a muoversi in uno spazio cool, figo e alla moda, circondatə da persone
altrettanto esclusive e simili a loro, senza accorgersi di trovarsi in realtà in
un luogo spersonalizzato, elitario e totalmente decontestualizzato rispetto al
quartiere in cui si trovano.
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Di Milos Skakal
L’esperienza dell’essere e del trovarsi in questo spazio risulta infatti come un
soggiorno, una cosa di passaggio piuttosto che un abitare un luogo, condividere
uno spazio e insieme comunicare e incontrarsi in un contesto comune. Tutto
questo avvalorato dal fatto che è possibile soggiornare anche in modalità
“hotel”, elemento che porta a inquadrare queste persone effettivamente come dei
turistə, dei visitatorə.
Sono clienti, persone passeggere che vivono e probabilmente vivranno la città in
un determinato mood e sotto determinati aspetti che non sono sempre reali,
poiché proiettati e relegati in un contesto particolare, ristretto, elitario,
quello che si muove già nei corridoi e nei piani di questo edificio e che di
fatto non coincide con la realtà sociale generale e diffusa. Alla luce dei
prezzi infatti, lo spazio non può rivolgersi ai più, alle e ai giovani in cerca
di luoghi in cui vivere e insieme incontrare e conoscere persone nuove ed
eterogenee, scambiare esperienze e progetti.
Questa cosa necessariamente lascia disorientatə: se infatti prima di entrare ci
si aspetta di essere accolti in uno spazio comune, condiviso e di condivisione,
piuttosto sembra di essere in un hotel molto bello, luminoso e curato, dove le
persone possono anche lavorare in spazi comuni, ma non si avverte l’aria di uno
studentato, in cui condividere con le persone intorno a sé pensieri o banalmente
la propria esperienza romana. Non si avverte il Social Hub come luogo che
risponda alle esigenze di una categoria di persone che sceglie di viverlo in
un’ottica di condivisione abitativa, di motivi economici, piuttosto la
sensazione è che venga scelto poiché possa identificare con un certo status, in
quanto alla moda e che faccia rientrare in un’élite determinata in cui
riconoscersi in quanto tali.
Di Milos Skakal
UN CASO UNICO?
Il Social Hub però non è un caso isolato, piuttosto è l’ulteriore esempio di una
modalità dilagante che, sotto il nome di rigenerazione urbana, privatizza spazi,
edifici dapprima destinati a un uso pubblico e sociale, che oggi diventano a uso
e consumo di privati i quali, naturalmente, fanno il loro interesse, orientati
verso un obiettivo economico ristretto e particolare.
Questo fenomeno e queste sensazioni, tuttavia, non lasceranno di certo così
sorprese le persone più attente, in quanto inquadrabile in un disegno ben
delineato. Il PNRR ha infatti stanziato un totale di 960 milioni di euro per la
realizzazione di nuovi alloggi per studenti universitariə, con l’obiettivo di
creare 60.000 nuovi posti letto entro giugno 2026, portando il totale nazionale
a oltre i 100.000 posti letto disponibili, raddoppiandone quindi il numero. È
interessante però analizzare come, dell’importo totale, 300 milioni siano stati
riservati a bandi pubblici, mentre i restanti 660 milioni siano stati invece
destinati a operatori privati, che hanno provveduto, essenzialmente, alla
realizzazione di strutture che accogliessero studentə e lavoratorə in cerca di
coworking, senza però badare a prezzi e necessità contingenti né al contesto dei
quartiere in cui tali strutture si andavano a inserire.
Quanto questo approccio sia utile e aiuti a livello pratico persone che cercano
alloggi o posti letto, andrebbe analizzato in maniera più capillare,
soffermandosi sul pensare che se circa il 75–95 % dei posti letto finanziati è
gestito da operatori privati (compresi fondazioni o soggetti religiosi), questo
avviene a caro prezzo, che molto spesso la maggior parte delle persone fatica o
più semplicemente non riesce a sostenere. Ad aggravare questa situazione
inoltre, contribuisce l’assenza di quei vincoli normativi che in passato
obbligavano i privati a riservare una quota minima (es. 20 %) di posti letto per
studentə in stato di necessità, mentre oggi abbiamo solo una raccomandasione non
vincolante in tal senso.
> Luoghi con queste caratteristiche sono aziende, non tanto luoghi abitativi di
> condivisione, di networking e di coworking: questo necessariamente si
> ripercuote nel modo di vivere lo spazio, tanto che ogni persona che si
> incontra, è spesso isolata, focalizzata nel proprio tempo e spazio e non
> inserita in un contesto comune né sociale, né tantomeno interessata a farlo.
Per l’ennesima volta, con il caso del Social Hub, l’amministrazione ha scelto di
delegare e lasciare al privato uno spazio che avrebbe potuto rispondere alle
esigenze sociodemografiche del quartiere, e in generale generazionali, offrendo
un luogo ricreativo e d’incontro, che potesse offrire servizi al quartiere e al
territorio in maniera spontanea e diffusa, un luogo che sarebbe potuto rimanere
pubblico e come tale si sarebbe potuto vivere, in un contesto reale e più ampio,
rispondente alle esigenze dei più e non di una determinata cerchia ristretta. Ma
soprattutto senza bisogno di essere clienti di un luogo, identificati attraverso
una tessera, ma piuttosto dove essere accolti in quanto individui con bisogni
umani e relazionali di condivisione e non di asetticità, impersonalità e
individualismo.
L’autrice dell’articolo ha frequentato il Corso di giornalismo sociale 2025
organizzato da Dinamopress
L’immagine di copertina è di Milos Skakal
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