
Perché abbiamo definito storica la sentenza della Cassazione?
ReCommon - Friday, July 25, 2025Ce lo spiega Matteo Ceruti, avvocato della Giusta Causa
Matteo Ceruti è l’avvocato di ReCommon per la “Giusta Causa”. Può vantare un’esperienza ormai trentennale, in particolare in materia di diritto ambientale. Nel corso del tempo ha seguito importanti cause ambientali come quelle relative al petrolchimico di Porto Marghera, alla centrale Enel di Porto Tolle, all’estrazione di gas in Alto Adriatico e all’impianto a carbone delle Tirreno Power di Vado Ligure. Fin da subito ha accolto la sfida di portare avanti una causa climatica in Italia, in particolare contro la più importante multinazionale fossile del nostro Paese, ENI. Abbiamo avuto modo di incontrarlo a Roma dopo la fondamentale ordinanza della Corte di Cassazione proprio sulla Giusta Causa.
Perché questo passaggio presso la Corte di Cassazione è così importante?
L’aver superato il vaglio del difetto di giurisdizione fa sì che la Giusta Causa sia la più importante causa in materia climatica avviata in Italia. Siamo stati ambiziosi, abbiamo proposto un regolamento per difetto di giurisdizione interrogando le Sezioni Unite della Cassazione affinché dirimessero la questione se in materia di cause climatiche strategiche in Italia c’è un giudice. La nostra causa è analoga a quella promossa dalle Klima Seniorinnen in Svizzera, a cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato ragione nell’aprile del 2024, stabilendo che alla giurisdizione spetta un sindacato sulle decisioni politiche. In quel caso un gruppo di donne anziane aveva intentato una causa contro la Svizzera, sostenendo che la mancata adozione di misure efficaci per il clima viola i loro diritti fondamentali, come il diritto alla vita e alla salute, sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare all’articolo 8. La Cassazione si è inserita in questo filone importante della giurisprudenza europea internazionale, che comprende anche il caso Urgenda presso la Corte Suprema olandese del 2020 e quello del Tribunale Costituzionale tedesco del 2021. Ribadisco, è di fondamentale importanza che ora anche la Cassazione italiana sancisca un controllo giurisdizionale in materia di clima.

Quindi se la Cassazione avesse dato torto a Greenpeace Italia e ReCommon ci sarebbe stata una sorta di anomalia tutta italiana.
Sì e di sicuro ci sarebbe stato davvero poco spazio per la giustizia climatica in Italia. Saremmo stati la nota stonata rispetto al panorama giurisprudenziale europeo, soprattutto in relazione alla sentenza della CEDU.
Sulla scorta della tua esperienza professionale, proviamo a fare un bilancio dell’evoluzione del diritto ambientale in Italia negli ultimi decenni?
Indiscutibilmente sono stati compiuti dei progressi rilevanti in termini di normativa ambientale, vedi la legge sugli eco reati del 2015, che ha introdotto la fattispecie del disastro ambientale e dell’inquinamento ambientale. Altri passi avanti si devono al recepimento di normative europee, per esempio in materia di valutazioni di impatto ambientale. La nuova frontiera del diritto ambientale è proprio quella del contenzioso climatico, materia su cui la normativa italiana è immobile, perché manca una legge sul clima, cosa che rappresenta una lacuna enorme del nostro sistema giuridico. La sentenza della Cassazione può essere uno stimolo nei confronti del legislatore, spero.
Passando invece ai casi di inquinamento ambientale, tu hai seguito il processo sui PFAS in Veneto, anche quella una grande vittoria.
La vicenda dei PFAS è uno dei più grandi inquinamenti idrici della storia. L’area contaminata vede la presenza di 350mila residenti perché la contaminazione da parte della fabbrica della Miteni ha contaminato la seconda falda idrica più grande d’Europa, che si trova nella provincia di Vicenza ma interessa anche le province di Verona e Padova. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha dichiarato i PFAS sicuramente cancerogeni e purtroppo una grande quantità di persone è stata contaminata nel corso degli anni. La sostanza è presente nel sangue, ma poi si diffonde in altri organi. Insieme ad alcuni miei colleghi, siamo stati incaricati da circa 150 residenti, che fanno capo al gruppo delle “Mamme No PFAS”, di procedere con la costituzione di parte civile. Dopo 4 anni e circa 140 udienze, il processo di primo grado si è concluso con la condanna di 14 manager e amministratori della Miteni e delle società controllanti, tra cui la giapponese Mitsubishi. Le condanne sono pesanti perché i reati contestati sono davvero rilevanti: avvelenamento delle acque destinate a consumo umano e disastro ambientale.