Perché abbiamo definito storica la sentenza della Cassazione?
CE LO SPIEGA MATTEO CERUTI, AVVOCATO DELLA GIUSTA CAUSA
Matteo Ceruti è l’avvocato di ReCommon per la “Giusta Causa”. Può vantare
un’esperienza ormai trentennale, in particolare in materia di diritto
ambientale. Nel corso del tempo ha seguito importanti cause ambientali come
quelle relative al petrolchimico di Porto Marghera, alla centrale Enel di Porto
Tolle, all’estrazione di gas in Alto Adriatico e all’impianto a carbone delle
Tirreno Power di Vado Ligure. Fin da subito ha accolto la sfida di portare
avanti una causa climatica in Italia, in particolare contro la più importante
multinazionale fossile del nostro Paese, ENI. Abbiamo avuto modo di incontrarlo
a Roma dopo la fondamentale ordinanza della Corte di Cassazione proprio sulla
Giusta Causa.
Perché questo passaggio presso la Corte di Cassazione è così importante?
L’aver superato il vaglio del difetto di giurisdizione fa sì che la Giusta Causa
sia la più importante causa in materia climatica avviata in Italia. Siamo stati
ambiziosi, abbiamo proposto un regolamento per difetto di giurisdizione
interrogando le Sezioni Unite della Cassazione affinché dirimessero la questione
se in materia di cause climatiche strategiche in Italia c’è un giudice. La
nostra causa è analoga a quella promossa dalle Klima Seniorinnen in Svizzera, a
cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato ragione nell’aprile del 2024,
stabilendo che alla giurisdizione spetta un sindacato sulle decisioni politiche.
In quel caso un gruppo di donne anziane aveva intentato una causa contro la
Svizzera, sostenendo che la mancata adozione di misure efficaci per il clima
viola i loro diritti fondamentali, come il diritto alla vita e alla salute,
sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare
all’articolo 8. La Cassazione si è inserita in questo filone importante della
giurisprudenza europea internazionale, che comprende anche il
caso Urgenda presso la Corte Suprema olandese del 2020 e quello del Tribunale
Costituzionale tedesco del 2021. Ribadisco, è di fondamentale importanza che ora
anche la Cassazione italiana sancisca un controllo giurisdizionale in materia di
clima.
L’avvocato Matteo Ceruti. Foto ©Carlo Dojmi di Delupis/ReCommon
Quindi se la Cassazione avesse dato torto a Greenpeace Italia e ReCommon ci
sarebbe stata una sorta di anomalia tutta italiana.
Sì e di sicuro ci sarebbe stato davvero poco spazio per la giustizia climatica
in Italia. Saremmo stati la nota stonata rispetto al panorama giurisprudenziale
europeo, soprattutto in relazione alla sentenza della CEDU.
Sulla scorta della tua esperienza professionale, proviamo a fare un bilancio
dell’evoluzione del diritto ambientale in Italia negli ultimi decenni?
Indiscutibilmente sono stati compiuti dei progressi rilevanti in termini di
normativa ambientale, vedi la legge sugli eco reati del 2015, che ha introdotto
la fattispecie del disastro ambientale e dell’inquinamento ambientale. Altri
passi avanti si devono al recepimento di normative europee, per esempio in
materia di valutazioni di impatto ambientale. La nuova frontiera del diritto
ambientale è proprio quella del contenzioso climatico, materia su cui la
normativa italiana è immobile, perché manca una legge sul clima, cosa che
rappresenta una lacuna enorme del nostro sistema giuridico. La sentenza della
Cassazione può essere uno stimolo nei confronti del legislatore, spero.
Passando invece ai casi di inquinamento ambientale, tu hai seguito il processo
sui PFAS in Veneto, anche quella una grande vittoria.
La vicenda dei PFAS è uno dei più grandi inquinamenti idrici della storia.
L’area contaminata vede la presenza di 350mila residenti perché la
contaminazione da parte della fabbrica della Miteni ha contaminato la seconda
falda idrica più grande d’Europa, che si trova nella provincia di Vicenza ma
interessa anche le province di Verona e Padova. L’Agenzia internazionale per la
ricerca sul cancro ha dichiarato i PFAS sicuramente cancerogeni e purtroppo una
grande quantità di persone è stata contaminata nel corso degli anni. La sostanza
è presente nel sangue, ma poi si diffonde in altri organi. Insieme ad alcuni
miei colleghi, siamo stati incaricati da circa 150 residenti, che fanno capo al
gruppo delle “Mamme No PFAS”, di procedere con la costituzione di parte civile.
Dopo 4 anni e circa 140 udienze, il processo di primo grado si è concluso con la
condanna di 14 manager e amministratori della Miteni e delle società
controllanti, tra cui la giapponese Mitsubishi. Le condanne sono pesanti perché
i reati contestati sono davvero rilevanti: avvelenamento delle acque destinate a
consumo umano e disastro ambientale.