
L’ombra del gas sulla Sardegna
ReCommon - Thursday, June 19, 2025di Paola Matova – ReCommon
Con una sentenza definitiva emessa lo scorso maggio, il Consiglio di Stato ha messo la parola fine al ricorso della Regione Sardegna contro il cosiddetto “DPCM Draghi” del 2022. Ovvero il decreto del Presidente del Consiglio, in sé un atto amministrativo, che aveva come scopo quello di individuare le infrastrutture necessarie per la sicurezza energetica e per il superamento del carbone sull’isola. La Regione Sardegna aveva presentato un ricorso contro il decreto, lamentando l’assenza di un vero confronto con il territorio e chiedendo maggiori garanzie su perequazione tariffaria e centralità nelle scelte energetiche.
Tuttavia, I giudici hanno stabilito che non serve alcun accordo con le Regioni per decidere opere di questo tipo, persino quando impattano direttamente sul territorio e sulle comunità locali. Un pronunciamento atteso oramai da tempo, che sblocca formalmente l’iter per un nuovo DPCM, ma che di fatto conferma una linea politica ed energetica che ha ben poco a che vedere con la decarbonizzazione.
La nuova bozza in circolazione non mostra alcun cambio di rotta: sparisce solo una delle tre navi rigassificatrici previste (quella di Portovesme), mentre restano intatti gli altri impianti: una FSRU a Porto Torres, un’altra a Oristano e la cosiddetta “mini dorsale”, una rete di metanodotti che collegherebbe Oristano con il Sulcis. A gestire tutto sarà Snam, con pieni poteri su progettazione, realizzazione e gestione delle opere.
Durante l’assemblea degli azionisti a maggio Snam ha dichiarato apertamente di non essere promotrice della metanizzazione in Sardegna, ma semplice esecutrice su richiesta di governo, Regione e industrie. Una presa di distanza che suona tanto come una clausola di non responsabilità. Un atteggiamento che appare ancora più problematico se si considera che l’azienda trae profitti garantiti grazie al meccanismo del “ricavo remunerato” sugli investimenti nelle infrastrutture, che gli assicura guadagni anche se l’infrastruttura dovesse rivelarsi inutile.

Il tassello mancante per ricostruire la fotografia attuale è Fiume Santo. Al centro del piano gas nel nord Sardegna c’è la centrale di Fiume Santo a Porto Torres, impianto a carbone oggi attivo solo al 50% della propria capacità, di proprietà di EP Produzione, società del gruppo EPH controllato dall’oligarca ceco Daniel Křetínský. Già nel 2021 EP aveva proposto la riconversione a gas della centrale, poi messa in stand-by con lo scoppio della crisi energetica e costi elevatissimi del gas. Oggi il progetto è tornato in pista ed è stata riaperta la valutazione d’impatto ambientale. Qui emerge la grande contraddizione: si parla di rigassificatori e gasdotti prima ancora di sapere se e quando la centrale verrà riconvertita. Se Fiume Santo non diventerà una centrale a gas, l’intera infrastruttura a nord dell’isola rischia di restare un’opera vuota e doppiamente insensata.
Le motivazioni avanzate per giustificare la costruzione di queste infrastrutture, ovvero la sicurezza energetica, l’indipendenza dal gas estero e il rilancio dell’industria sarda, non reggono. La centrale di Fiume Santo, per esempio, non è nemmeno considerata strategica dal piano europeo RepowerEU per la sicurezza energetica, mentre l’Italia dispone già di una sovrabbondante capacità installata a gas e continua paradossalmente a investirci nonostante la domanda nazionale sia in costante calo.
Il ricavo remunerato è il guadagno che un operatore come Snam ottiene dalle sue attività regolamentate, come il trasporto, lo stoccaggio e la rigassificazione del gas. Questo ricavo viene stabilito dall’autorità di regolazione, che in Italia è denominata ARERA, e serve a coprire i costi operativi degli investimenti e a garantire rendimento. Non a caso, Snam ha chiaramente ammesso di non aver mai prodotto una propria stima sulla domanda di gas in Sardegna. Si è limitata a citare vecchi e oramai obsoleti studi della società di consulenza RSE, che già nel 2022 prediligevano l’elettrificazione dell’isola piuttosto che il gas. Snam si defila, ma in ogni caso incassa e nessuno ci sa dire a cosa servirà quel gas.
In questo contesto, approvare oggi nuove infrastrutture fossili in Sardegna significa incatenare l’isola a una dipendenza strutturale dal gas, proprio mentre il mercato globale, guidato anche da dinamiche geopolitiche come la politica energetica degli Stati Uniti guidata dal presidente Trump, si fa sempre più instabile. Altro che indipendenza e autonomia, si rischia di consegnare la Sardegna a una vulnerabilità energetica ancora maggiore, basata su importazioni di GNL la cui filiera è inquinante costosa e incerta. I costi non saranno solo economici, ma anche sociali e ambientali.