
Le uccisioni di Jenin sono l’ultimo esempio della politica israeliana dello “sparare per uccidere”. Video
Assopace Palestina - Friday, November 28, 2025Al Jazeera, 28 novembre 2025.
L’uccisione di due uomini disarmati mette in luce l’atteggiamento israeliano nei confronti di incidenti simili che non attirano l’attenzione dell’opinione pubblica interna.
Questa immagine tratta da un filmato della Palestine TV del 28 novembre 2025, girato il giorno prima, mostra due palestinesi che alzano le mani in segno di resa davanti alle forze israeliane, pochi istanti prima di essere uccisi dai soldati durante un’operazione militare nella città di Jenin, nella Cisgiordania occupata da Israele [AFP]L’uccisione di due palestinesi disarmati mentre si arrendevano ai soldati israeliani nella città di Jenin, nella Cisgiordania occupata, è l’ultimo esempio di una pratica che, sebbene scioccante, non è eccezionale.
I due uomini, identificati come Al-Muntasir Billah Abdullah e Youssef Asasa, avevano le braccia alzate e le camicie sollevate per mostrare che non avevano armi. Dopo che le forze israeliane hanno ordinato loro di tornare indietro verso l’edificio da cui erano usciti, hanno strisciato indietro. Sono stati poi uccisi a bruciapelo.
Ripreso dalle telecamere, l’incidente di giovedì ha suscitato indignazione a livello internazionale e la promessa di un’indagine da parte dell’esercito israeliano. Ma per Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza Nazionale israeliano di estrema destra, le forze israeliane “hanno agito esattamente come ci si aspettava da loro: i terroristi devono morire”.
Questo perché Israele ha da tempo una politica di “sparare per uccidere” quando si tratta di palestinesi, anche se disarmati. E anche se la ripresa delle uccisioni di Jenin ha reso il caso particolarmente eclatante, esso segue un modello di comportamento di lunga data.
“La mentalità che ha portato a questo esiste da molto tempo”, ha detto Tirza Leibowitz, vicedirettrice di Physicians for Human Rights Israel. “È il risultato di anni di separazione, sottomissione e occupazione. Nel corso degli anni, la società israeliana si è semplicemente abituata a questo”.
Il video mostra i soldati israeliani che sparano ai palestinesi che si arrendono a Jenin.
Storia di violenza
Leibowitz ha citato l’uccisione, nel gennaio 2024, della piccola Hind Rajab, di sei anni, a Gaza, che ha trascorso le sue ultime ore implorando aiuto al telefono con gli operatori umanitari, mentre era seduta in un’auto con i membri della sua famiglia già uccisi da un attacco israeliano. Rajab, insieme alla squadra di ambulanze palestinesi inviata per salvarla, è stata poi trovata morta.
Un altro incidente a Gaza, che riecheggia gli omicidi di Jenin in quanto ripreso dalle telecamere, è stato l’omicidio nel marzo 2024 di due uomini disarmati, nonostante uno di loro avesse ripetutamente cercato di segnalare la sua resa.
Nel 2018, c’è stato il famigerato caso di Mohammed Habali, un uomo con disabilità mentale che è stato ucciso con un colpo alla nuca mentre si allontanava dai soldati israeliani a Tulkarem. E nel 2020, Eyad al-Halaq, un palestinese affetto da autismo, stava andando alla sua scuola speciale quando è stato ucciso dalla polizia israeliana nella Gerusalemme Est occupata.
Questa pratica è stata mortale anche per gli israeliani. Nel dicembre 2023, tre prigionieri israeliani erano fuggiti a Gaza. Mentre tentavano di arrendersi – uno di loro con in mano una bandiera bianca – sono stati uccisi dai soldati israeliani.
Israele annuncia spesso indagini su tali incidenti, ma nella maggior parte dei casi – in particolare quando sono coinvolti palestinesi – i responsabili degli omicidi vengono lasciati liberi. Le uccisioni sono spesso giustificate come una risposta necessaria per persone ritenute una minaccia.
Dopo anni di incidenti simili e poche ripercussioni, i critici sostengono che non sia sorprendente vedere continuare le uccisioni.
“Avvengono nell’impunità”, ha affermato Leibowitz. “I tribunali nazionali eludono la questione, sostenendo che si tratta di un problema di sicurezza e che quindi non possono intervenire. Ciò crea l’onere per la comunità internazionale di porre un freno all’impunità [di Israele]”.
“L’unica differenza tra questi [precedenti incidenti] e l’incidente più recente è che questa volta è stato ripreso dalle telecamere”, ha detto Leibowitz. “I gruppi israeliani per i diritti umani, come Yesh Din e B’Tselem, hanno documentato e seguito incidenti come questi per oltre un decennio, con scarsa o nessuna risposta da parte dei media o dell’opinione pubblica”.
“A nessuno importa”
L’uccisione di Abdullah e Asasa a Jenin difficilmente causerà uno scandalo in Israele. Le accuse di tortura, stupro e imposizione deliberata della fame hanno già perseguitato Israele durante la sua guerra genocida a Gaza, senza che l’opinione pubblica israeliana abbia reagito in modo significativo.
“A nessuno importa. Nessuno è disposto a commentare”, ha affermato Aida Touma-Suleiman, membro palestinese del parlamento israeliano.
“Due settimane fa, negli stessi giorni in cui l’ONU stava esaminando i casi di tortura commessi da Israele, ho cercato di presentare un disegno di legge che criminalizzasse la tortura”, ha detto. “Sono stata attaccata ferocemente da un ministro del governo che ha detto che stavo cercando di legare le mani allo Stato di Israele nel trattare con i ‘terroristi’”.
“In sostanza, stava dicendo che Israele usa la tortura e deve continuare a farlo”, ha aggiunto.
Tortura
Le accuse di totale disprezzo per la vita dei palestinesi vanno oltre le esecuzioni a Jenin.
Un rapporto presentato al comitato delle Nazioni Unite, redatto da diversi gruppi israeliani per i diritti umani, includeva prove di palestinesi sottoposti a cure mediche mentre erano ammanettati e bendati. Altri casi descrivevano palestinesi deliberatamente affamati e costretti a indossare pannolini invece di poter accedere ai servizi igienici.
Tutte le accuse sono state negate da Israele.
Secondo il gruppo per i diritti umani Yesh Din, tra il 2018 e il 2022 l’esercito israeliano ha ricevuto 862 denunce relative a presunti reati commessi dai soldati contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata. A queste si aggiungono l’appropriazione di terreni, gli sfollamenti e gli attacchi da parte dei gruppi di coloni.
Gli investigatori hanno avviato 258 indagini penali – circa il 30% delle accuse – ma solo 13 hanno portato a incriminazioni, che hanno coinvolto 29 soldati.
Solo un caso riguardava l’uccisione di un palestinese. Ciò significa che circa l’1,5% delle denunce ha portato a un procedimento penale, e tali denunce coprivano solo una parte degli incidenti segnalati dai palestinesi.
Per i casi mortali, il tasso era ancora più basso: un’incriminazione su 219 decessi segnalati all’esercito, ovvero circa lo 0,4%.
Da allora, Israele ha ucciso quasi 70.000 persone a Gaza, oltre ad aver sfollato centinaia di migliaia di palestinesi.
Venerdì scorso, il Comitato delle Nazioni Unite Contro la Tortura ha espresso la sua preoccupazione per le segnalazioni che indicano una “politica statale di tortura di fatto e maltrattamenti organizzati e diffusi [nei confronti dei palestinesi] durante il periodo di riferimento, una politica che si è gravemente intensificata dal 7 ottobre 2023”.
La maggior parte degli israeliani può passare mesi o addirittura anni vedendo i palestinesi solo attraverso la copertura televisiva volta a suscitare paura e risentimento, ha sottolineato Shai Parnes, direttore delle relazioni pubbliche del gruppo per i diritti umani B’Tselem. Egli ha descritto un processo di apartheid e disumanizzazione che ha subito un’accelerazione dopo gli accordi di Oslo degli anni ’90, prima di essere strumentalizzato dal governo dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele.
“Un paese non può compiere un genocidio senza che gran parte della sua società lo sostenga o sia indifferente. Ed è vero che alcune parti della società israeliana sono genocidarie, lo si può vedere nei commenti al video dei soldati a Jenin”, ha detto Parnes.
“Israele non ha mai pagato alcuna pena per questo”, ha detto. “Questi crimini possono avvenire solo nell’impunità. I legislatori e i decisori politici devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Ma questo non avviene. Chiunque faccia del male a un palestinese, che sia un soldato o un colono, lo fa nell’impunità”.
Traduzione a cura di AssopacePalestina
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