
Per capire il mondo occorre andare sui propri incerti confini
Comune-info - Sunday, November 9, 2025
Polo civico Esquilino, Roma, 8 novembre 2025: prima presentazione del libro “Gridare, fare, pensare mondi nuovi” pubblicato da Eleuthera, con testi di Marco Calabria Marco non era un mio amico di lunga data. Non so quando ci siamo conosciuti la prima volta, ma è come se lo fossimo da sempre. Non per mio merito, sono piuttosto timido e taciturno, ma Marco era un diluvio, bastava accennare a un argomento qualsiasi, che poi lui prendeva il sopravvento senza mai smettere. Era facile diventare suo amico. Eppure a fronte di tanto entusiasmo per la vita, la passione per la politica, a volte mi sembrava di scorgere nei suoi occhi una sorta di tristezza, non so se chiamarla tristezza, forse nostalgia. Talvolta mi sono chiesto se la mia impressione fosse giusta e, se lo fosse, quale nostalgia rimpiangesse. Non saprei rispondere.
Una volta ci siamo visti in una nostra casa vicino Roma, c’era suo figlio Martín, hanno dormito da noi. Si capiva che amava Martín. Ho visto quella sofferenza di chi è chiamato a dividersi tra l’amore del figlio e la vita politica che lo portava lontano da lui o, almeno, a non stare con lui quanto avrebbe desiderato.
Mi parlava dei suoi viaggi politici, delle persone che aveva conosciuto e di quelle famose che aveva incontrato e io che avevo una vita piuttosto modesta, tra casa e università, fantasticavo lontani paesi che non ho mai visto e avventure che non ho mai avuto.
Ho letto il libro Gridare, fare, pensare mondi nuovi e i suoi scritti e ci ho ritrovato quella febbre, quella passione che avevo intuito quando ci siamo conosciuti.
Quando mia moglie e io proponemmo a lui e alla redazione di Comune di fare un’indagine sui centri sociali nella capitale, parlando di comunità e di fratellanze, lui era solito fare una battuta: “Chi pulisce i cessi?”, come a dire che la vita in comunità era comunque cosa difficile.
Mi è facile pensare che quella sua febbre politica sia anche responsabile, so di dire una cosa sciocca, della sua morte prematura, come una febbre causata da una grande sofferenza per i tempi che viviamo. Perché credo che ci siano persone che sulle proprie e deboli spalle si caricano dei mali e delle sofferenze di tutto il mondo; loro soffrono più di ogni altro che pure condivide le stesse idee.
Ma forse sto sottovalutando, con questo mio cianciare, il grande impegno politico di Marco sempre nelle retrovie come accade a persone che autenticamente sentono la passione e non la esibiscono.
Non ci sono più modelli di riferimento per creare quella società di cui parlava Marco. Spetta a ognuno di noi cercarla perché nessuna generazione possiede il monopolio della verità e chi vuole provare a capire il mondo deve imparare ad andare sui propri incerti confini, come faceva Marco. Le ragioni storiche della sinistra torneranno allora di nuovo utili, ma solo dopo averle attraversate e lasciate per un attimo alle spalle.
Ho sempre avuto molta stima (sebbene poco coraggio per imitarli) per coloro che vivono esattamente come pensano: San Francesco, ad esempio, Marco, ma anche tante (perché sono tante) persone che conosciamo: non ricche, radicali, spesso solitarie, che non arretrano mai e fanno della loro sconfitta una vittoria. Non sono una categoria, si dirà, nemmeno una classe ma chissà se da queste retrovie non possa nascere il nuovo: un nuovo linguaggio, una nuova solidarietà, una nuova fratellanza o sorellanza.
Un discorso pre-politico il mio, ma forse anch’esso necessario per un cambiamento.
In onore della sua scomparsa, con mia moglie Claudia, scrivemmo una poesia:
Caro Marco, sei stato sempre uno sconfitto, ma proprio per questo sempre vincitore.
Il mondo reale (quella cappa di conformismo complice) ti ha appena sfiorato, lo allontanavi col tuo sorriso contagioso.
Volevi la Luna e non il dito,guardavi le nubi, nell’azzurro del cielo.
Stare insieme era la tua vita,senza soldi era la tua borsa.
Se c’è un “Che” nel nostro paese,quello sei tu, sempre in cerca di nuove speranze.
L’albero che ci hai regalato – San Bartolomeo si chiama –, ci ricorda la tua passione e svetta sereno verso il cielo.
[Claudia Mineide ed Enzo Scandurra]
Questa invece una sua poesia “Contro la morte” scritta nel lontano 1978:
Siate incapaci di accettare la realtà! Vi prego.Sembra incredibile persino a mema anche adesso, dilaniato,non morirò.
Non morirò, perché sono vita,sangue, piedi e pensiero; vita.Alle cinque e quaranta del mattino, in cucina,disperatamente, convulsamente vivo.Contro i mulini del vento disumanoe le paure di volare e di utopia.E ancora nuoto tra le rapidesolo per un motivo:vi amo.
[M.C., Torino, 10 settembre 1978]
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