Indagare l’amicizia

Comune-info - Saturday, April 26, 2025

Il modello economico nel quale siamo immersi ci ha portato a capitalizzare tutte le relazioni. Facebook lo ha capito molto bene quando vent’anni fa ha chiamato “amici” il numero dei contatti che abbiamo in rete. Tuttavia, secondo Marina Garcés – di cui in Spagna è appena uscito il libro La passione degli estranei, dedicato all’amicizia -, oggi sta succedendo qualcosa di più profondo: consideriamo l’amicizia come una riserva di resistenza di fronte al mondo, un luogo nel quale ci proteggiamo da ciò che ci spaventa negli altri ambiti della vita. In altre epoche questo luogo speciale, di protezione e di speranza, lo proiettavamo soprattutto verso l’ambito politico. Esplorare l’amicizia, qualcosa di cui è al tempo stesso molto facile e molto difficile parlare, le sue trasformazioni, l’influenza del codice patriarcale, chiedersi perché è l’unica relazione sociale non regolamentata, è forse un modo per pensare ai mondi nuovi che desideriamo

Foto di Ferdinando Kaiser

L’amicizia è la relazione umana più difficile da spiegare. A differenza delle altre relazioni come il matrimonio o quelle che abbiamo nella sfera lavorativa, non è regolamentata né istituzionalizzata. Queste peculiarità hanno fatto in modo che la abbiamo riempita di stereotipi, e quindi svuotata: non è raro ascoltare come (l’amicizia) sia eterna, pura, perfetta, e così via con una lunga sequenza di attributi positivi. Tuttavia, come sostiene la filosofa Marina Garcés, l’amicizia non è cosi in assoluto, in quanto “è parte di tutte le emozioni incontrate, di tutte le invidie e le fragilità che attraversano le altre relazioni”. Da questa dissonanza tra la realtà e l’ideale etico che riguarda l’amicizia parte il suo nuovo libro La passione degli estranei (Galaxia Gutenberg), un saggio nel quale analizza ciò che si nasconde dietro tutto ciò e il ruolo che giocano realmente gli amici nelle nostre vite.

Chi è un amico?

Sicuramente questa è una domanda che lasciamo aperta in ogni incontro che possa determinare o meno la possibilità di trovare un amico, ed alla quale si può rispondere solo creando insieme questa amicizia. Il fatto è che non ha ricette, leggi, contratti o un modo predefinito per realizzarsi, per cui solo quando abbiamo degli amici si può rispondere. Anche se fosse così, c’è molta riflessione riguardo l’amicizia che può restituirci altre considerazioni. Ad esempio che un amico è un tipo di vincolo chi si stabilisce gli uni con gli altri senza alcuna finalità o utilità aggiunta.

Se non ha un’utilità definita, perché è così importante nelle nostre vite?

Questo è uno dei paradossi dal quale parte il mio libro: la contraddizione tra un vincolo che non ha una finalità esterna, ma al quale allo stesso tempo gli abbiamo riconosciuto un valore quasi supremo. Riteniamo che l’amicizia sia la migliore delle relazioni possibili. Per questo mi domando se, avendo l’opportunità di avere una vita funzionale senza amici, per quale motivo li abbiamo, cosa aggiungono o permettono queste relazioni peculiari.

Nel libro spiega che una delle funzioni dell’amicizia è spezzare le nostre vite segnate. In questo momento nel quale cerchiamo di relazionarci con le persone che ci fanno stare bene e apprezzati, che succede con l’amicizia?

Il modello economico nel quale siamo immersi ci ha portato a capitalizzare tutte le relazioni e l’amicizia sarebbe solo una in più da aggiungere, Facebook lo ha capito molto bene quando ha chiamato “amici” il numero dei contatti in questa rete. Però credo che stia succedendo qualcosa di più profondo: l’amicizia non è solo un insieme di relazioni possibili, ma la stiamo considerando come una riserva di resistenza di fronte al mondo, una specie di spa emozionale, un luogo nel quale ci proteggiamo da ciò che ci spaventa negli altri ambiti della vita.

Ed è così?

La mia domanda è se l’amicizia è solo questo. Certamente ci sono aspetti nelle relazioni di amicizia che riguardano l’appoggio reciproco, stare con le persone che ci lasciano esprimere ciò che siamo, etc. Ma se fosse solo questo, ci sarebbero relazioni meno difficili da mantenere. Ha a che fare con i nostri cambiamenti, le nostre scoperte e l’entrare in contatto con mondi che non sono uguali al nostro. L’amicizia è connessa eticamente e politicamente al modo con il quale vogliamo vivere con gli altri. E con gli altri mi riferisco a quelli che non sono come noi. Di sicuro cercheremo con loro di trovare un modo di capire le cose che non sono scritte, ma che bisogna affrontare.

Lei contesta anche il giudizio unanime di purezza o eternità che associamo all’amicizia.

Oggi guardiamo alle relazioni in maniera molto negativa, in forma strumentale e disillusa. Tuttavia, tendiamo a idealizzare l’amicizia come l’unico posto che è rimasto protetto. Ma questa purezza non l’abbiamo inventata adesso, esiste fin dagli inizi della tradizione occidentale di base greca e aristotelica classica. La cosa curiosa è che la stessa cosa non succede con le altre relazioni possibili. Però le amicizie non sono né pure né ideali, ma fanno parte di tutte le emozioni incontrate, di tutte le invidie e le fragilità che attraversano le altre relazioni.

Per questo le abbiamo riservato questo luogo speciale?

Perché abbiamo bisogno che qualcosa rimanga protetto. In altre epoche questo luogo speciale, di speranza, lo abbiamo proiettato verso l’ambito politico. Ma adesso viviamo in una sconfitta storica che ci ha portato a privatizzare gli ideali. Una privatizzazione che si sta indirizzando verso qualcosa che possiamo perlomeno comprendere che si trova alla nostra portata. Cioè un amico.

Prima diceva che Facebook ha capito molto bene questo cambio di paradigma quando ha chiamato “amici” i contatti nella sua rete sociale. Come ci riguarda questo nuovo significato?

L’idea che l’amicizia sia un capitale sociale è molto antica, però in altri tempi era più che altro inteso al contrario. Cioè, il privilegio era quello al quale solo pochi avevano accesso, che fosse la corte, il potere o coloro che avevano informazioni. La svolta appare quando essere ben connesso significa avere molti amici. In altri tempi questo era conosciuto come la massa, ma oggi le reti distinguono ognuno di questi amici anonimi e li trasformano in una somma potenziale. Una somma che non è neutra, ma che permette di stare in relazione con mondi che hanno un significato per ogni vita. Siano relazioni economiche, affettive, culturali, ma anche con un beneficio privato. Credo che qui stia la svolta: convertire l’accumulo quantitativo in un calcolo incerto ma con un potenziale. Qui è dove ciascuno mette in gioco sé stesso in funzione degli altri.

Il matrimonio o il lavoro sono relazioni che sono istituzionalizzate o regolate dalla legge. Ma non l’amicizia. Perché?

Questo è uno degli aspetti più interessanti e forse meno evidenti della nostra relazione con l’amicizia. Non abbiamo inventato delle cornici istituzionali definiti per lei, anche se si intreccia con molti ambiti. Non è un vincolo di appartenenza grazie ala quale esistiamo politicamente. L’amicizia non si legifera, non si istituisce, ma si regolamenta in ambito sociale. Così, attraverso il fatto che le relazioni dell’amicizia sono possibili, ogni società determina le proprie emozioni.

Non è istituzionalizzata né regolamentata dalla legge, ma non abbiamo nemmeno le parole per descriverla. Perché non abbiamo creato un termine per la rottura dell’amicizia?

Una curiosità dell’amicizia è questo che dici: neanche le rotture dell’amicizia hanno un nome. Di conseguenza, se non abbiamo le parole, è più complicato capire cosa è successo. Anche per questo c’è la mancanza di una narrativa che si riferisca unicamente a una relazione di amicizia nelle nostre tradizioni culturali. Non abbiamo una parola per dire divorziato o separato, o incluso per esprimere il celibato dell’amicizia. La domanda è perché, soprattutto quando sicuramente ognuno di noi in momenti diversi della sua vita ha potuto affrontare questa mancanza, questo non essere ben connesso con l’ambiente circostante. È interessante sapere che c’è qualcosa di inquietante nel fatto che lo attribuiamo al fallimento o all’incapacità personale di ogni individuo, anziché a una condizione collettiva.

E che succede con l’amicizia al femminile? Perché è sempre vista con sospetto?

Attualmente forse è più difficile intravederlo perché è molto cambiata, però l’ideale dell’amicizia rimane soggetto a una costruzione patriarcale. L’ideologia pura dell’amicizia rimane basato sulla credenza che l’individuo è autosufficiente e che non dipende dagli altri sotto l’aspetto fisico, emozionale o economico. Tutto questo esclude una serie di fragilità, ma i pericoli sono anche quelli che provengono dalle amicizie al femminile; sono ancora gli uomini che hanno codificato l’amicizia riguardo alle donne, per le quali non si può stabilire un codice di possesso o di dipendenza, e delle donne fra di loro. Chi sono quelle donne quando sono amiche? Questa è la domanda centrale del codice patriarcale riguardo l’amicizia.

Questa intervista di Carlos Madrid è apparsa originariamente su la marea (con il titolo Marina Garcés: “stiamo considerando l’amicizia come una sorta di spa emozionale”), spazio di comunicazione indipendente editato dalla cooperativa Más Público di Madrid, formata da lavoratori e lettori, responsabile anche della rivista mensile La Marea.

Traduzione di Massimo Zincone per Comune.

Marina Garcés insegna Filosofia per le sfide contemporanee all’Universitat Oberta de Catalunya. Tra i suoi libri Occupare la speranza (Castelvecchi), di cui è possibile leggere su Comune C’è spazio per il dolore degli altri?

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