Vivere tra le rovine di Gaza City

Assopace Palestina - Monday, October 6, 2025

di Huda Skaik

Drop Site News, 6 ottobre 2025.    

“Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla proposta di Trump, noi qui viviamo quella che sembra la cancellazione stessa di Gaza”.

Il quartiere Al-Rimal a Gaza City il 4 ottobre 2025. (Crediti fotografici: Khamis Al-Rifi.)

Gaza City è una città fantasma. L’oscurità, il fumo e le ombre la avvolgono, illuminata solo dal bagliore rosso delle esplosioni. La città ricorda le scene dei film apocalittici: storie della fine del mondo, di catastrofi umane, di guerre globali. Le case sono deserte, le strade vuote e la morte ci circonda da ogni parte.

Ogni mattina, nuovi volantini cadono dal cielo come neve, ordinandoci di lasciare Gaza City e dirigerci a sud. La maggior parte dei residenti ignora i volantini. Alcuni bambini li raccolgono, non per leggerli, ma per bruciarli come combustibile per cucinare, per bollire quel poco di riso o lenticchie che hanno. L’ironia è insopportabile: gli stessi fogli che ora ci impongono di andarcene mantengono vivi i nostri piccoli fuochi.

Sopravvivere è ogni giorno più difficile, più pesante. Le attività di base sono diventate lotte insormontabili. I prezzi continuano a salire e non c’è quasi nulla da comprare. Le ondate di sfollati che un tempo riempivano le strade si sono ridotte a un rivolo.

Per andare a prendere l’acqua bisogna percorrere lunghe distanze trasportando pesanti taniche, rischiando lungo il tragitto i colpi dei carri armati e i proiettili dei quadricotteri. La legna per cucinare è proibitiva, dato che 1 kg costa circa 2 dollari, sufficienti solo per scaldare un bollitore di tè.

È molto difficile trovare cibo di buona qualità che è estremamente scarso perché i valichi sono chiusi e i commercianti non possono più portare merci dal sud, dato che la principale strada costiera è ora chiusa.

I pochi venditori si riuniscono in zone come l’incrocio di Al-Saraya nel quartiere di Al-Rimal, a ovest di Gaza City. I pochi prodotti disponibili nelle bancarelle del mercato sono sia inaccessibili che malsani: per lo più alimenti zuccherati come Nutella, biscotti, formaggio, patatine e noodles che non forniscono al corpo proteine sufficienti.

I prodotti in scatola sono ancora più scarsi e costosi. Solo 250 grammi di caffè costano ora 38 dollari nel nord, mentre la stessa quantità costa 16 dollari nel sud. Gli alimenti che costituiscono la base della nostra alimentazione, come verdura, frutta, uova, pollo e carne, non sono più disponibili da molto tempo.

Incrocio Al-Saraya nel quartiere Al-Rimal della città di Gaza. 4 ottobre 2025. (Crediti fotografici: Khamis Al-Rifi.)

I prodotti per la pulizia sono estremamente rari, in particolare i fazzoletti di carta e gli assorbenti igienici. È quasi impossibile procurarsi medicinali, lasciando i malati e gli anziani in una situazione di impotenza. La maggior parte degli operatori sanitari ha lasciato Gaza City con le proprie famiglie ed è difficile ricevere cure mediche. L’ospedale Al-Shifa funziona a malapena.

Sono rimasti pochi giornalisti. La copertura mediatica da Gaza City si è ridotta perché molti reporter sono fuggiti e quelli che sono rimasti operano con una sorta di coraggio razionato: si muovono solo quando è necessario e corrono rischi misurati in base alle risorse sempre più scarse.

Dal mese scorso, l’occupazione israeliana ha intensificato i suoi attacchi notturni per spaventare la popolazione e spianare la strada alle sue truppe. Ci bombardano per proteggere i loro soldati e commettono massacri. Ogni sera ci sono bombardamenti e attacchi incessanti, anche con droni, aerei da combattimento, raid aerei, fuoco di artiglieria, elicotteri ed esplosioni di robot telecomandati e carichi di esplosivo, con l’esercito israeliano che fa saltare in aria interi quartieri mentre avanza. I robot radono al suolo interi isolati, una tattica utilizzata per la prima volta durante questa operazione di terra a Gaza City. Non sono lontani. La sopravvivenza è diventata nient’altro che una scommessa quotidiana. Ci aspettiamo che la morte possa arrivare in qualsiasi momento e che ogni minuto possa essere l’ultimo.

Gli attacchi si intensificano ogni giorno. Sento i proiettili dell’artiglieria che colpiscono i quartieri occidentali e orientali, i droni che ronzano sopra la mia testa, i bombardamenti a tappeto e gli attacchi aerei, i proiettili degli elicotteri Apache e dei quadricotteri, e i carri armati che avanzano. E sento le esplosioni dei robot telecomandati. L’occupazione continua a emettere avvisi di sfollamento agli edifici residenziali che poi prende di mira, seminando il panico e lasciando le persone senza casa.

Di notte, la città è immersa in una profonda oscurità: un paesaggio vuoto e spettrale illuminato solo da fiamme altissime. Regna il silenzio, tranne che per i rumori del genocidio mentre cercano di cancellare noi e la nostra città. In queste ore è impossibile riposare o dormire. Ogni esplosione porta con sé un’altra domanda: il nostro edificio sarà il prossimo? I carri armati circonderanno il nostro quartiere? Il prossimo proiettile distruggerà la nostra casa? Ci sveglieremo intrappolati? Saremo costretti ad abbandonare tutto e ad andarcene?

Ogni notte, resto sveglia sul mio materasso e sul mio tavolino, cercando di studiare per gli esami finali e di consegnare gli elaborati 1. Ma mi ritrovo solo a contare i secondi tra il rombo delle esplosioni e il crepitio dei colpi dei carri armati. Il terreno trema mentre le forze israeliane avanzano verso il mio quartiere di Al-Rimal e mi chiedo se stanotte sarà la notte in cui ci raggiungeranno. La preoccupazione è costante, mi opprime il petto come un peso che non riesco a sollevare. Ogni notte sembra più lunga e più buia della precedente. Per chi è ancora a Gaza City, le notti sono così: infinite e piene di paura.

Al-Rashid Street, la principale strada costiera che collega il nord e il sud di Gaza, è stata chiusa mercoledì 1° ottobre. L’esercito israeliano ha vietato qualsiasi spostamento da sud a nord. Gli spostamenti da nord a sud, per sfollamento, sono ancora consentiti, ma senza alcuna garanzia di sicurezza.

Al-Rashid Street il 4 ottobre 2025. (Foto: Khamis Al-Rifi.)

Venerdì, i carri armati e le truppe israeliane avanzavano verso il quartiere di Tel al-Hawa, nella parte occidentale di Gaza City. Quella notte, gli attacchi sono stati incessanti e violenti. Innumerevoli e pesanti raid aerei hanno colpito diverse zone della città di Gaza. Pensavamo che avrebbero invaso entro la mattina.

Dopo aver presentato un piano in 20 punti per il cessate il fuoco a Gaza, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fissato a domenica il termine ultimo per la risposta di Hamas. Venerdì mattina ci siamo svegliati con la notizia che Hamas aveva segnalato un accordo condizionato su alcune parti del piano, insistendo però su garanzie e ulteriori negoziati sui punti chiave.

In risposta, Trump ha esortato pubblicamente Israele a “smettere immediatamente di bombardare Gaza” per rendere più sicuro il rilascio degli ostaggi: un raro momento di pressione diretta [anche se per il momento ignorato da Netanyahu, NdT] degli Stati Uniti sulle operazioni militari israeliane. Anche l’esercito israeliano ha annunciato che avrebbe iniziato i “preparativi per la prima fase” del piano di Trump.

Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla proposta di Trump, noi qui viviamo quella che sembra la cancellazione stessa di Gaza. Ciò che sta accadendo sul campo è completamente diverso. I carri armati sono ancora in città e non si sono mai ritirati. Il drone quadricottero sorvola la zona di Kanz nel quartiere di Al-Rimal, nel centro di Gaza City e anche nelle zone occidentali della città. Sabato c’è stato anche un pesante bombardamento di artiglieria intorno alla zona dell’università nella parte occidentale della città di Gaza, e mentre scrivo i bombardamenti continuano.

L’esercito israeliano sostiene che le sue forze siano passate a operazioni difensive. Ma sabato ha commesso un brutale massacro contro la famiglia Abdel Aal, con almeno 18 martiri, la maggior parte dei quali bambini, uccisi in un attacco aereo sulla loro casa nel quartiere di Al-Tuffah, nella parte orientale di Gaza City. Più di 30 persone sono rimaste ferite, anche in questo caso per lo più bambini. Ci sono più di 20 persone ancora sepolte sotto le macerie. Un massacro orribile, e in quella zona non c’è quasi nessuna diponibilità di assistenza medica e le squadre di protezione civile non hanno alcuna possibilità di soccorso.

Anche se all’estero si parla sempre più spesso di un cessate il fuoco, qui a Gaza City viviamo in uno strano limbo, sospesi tra la speranza e l’annientamento. Se il piano di Trump diventerà uno strumento per costringere Israele a porre fine in modo reale, verificabile e immediato agli attacchi, a liberare i prigionieri di entrambe le parti e a consentire l’accesso agli aiuti umanitari, allora ci sarà una piccola possibilità di iniziare il lavoro quasi impossibile della ricostruzione. Se il piano fallirà, Gaza sarà completamente distrutta e la popolazione sarà massacrata.

I palestinesi a Gaza sono cautamente ottimisti riguardo alla proposta di cessate il fuoco, ma c’è ancora un profondo senso di preoccupazione. La popolazione del nord nutre qualche speranza di non essere più sfollata verso sud. Verranno salvate delle vite. Gli sfollati a sud sognano di tornare alle loro case a Gaza City e in altre località del nord. Sperano che si ripetano le scene di gioia, sollievo e takbir [ringraziamento ad Allah, NdT] di gennaio, quando centinaia di migliaia di persone sono tornate al nord.

La prospettiva di un cessate il fuoco non è una questione politica, ma di sopravvivenza. Si tratta di sapere se le famiglie vivranno per vedere un altro giorno. L’unica domanda che attraversa la mente di tutti qui è: questo genocidio in corso finirà finalmente questa volta, o i bombardamenti riprenderanno poco dopo la sua cessazione? Perché se questa occasione viene persa, Gaza potrebbe non sopravvivere.

Huda Skaik è una studentessa di letteratura inglese e scrittrice di Gaza. Ha un forte interesse per il giornalismo e la scrittura. È membro della WANN e collabora con The Intercept, MEE, The New Arab, The Nation, EI e WRMEA.      

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Traduzione a cura di AssopacePalestina

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