La Palestina è ora la coscienza del mondo. Nessun accordo potrà cambiare questa realtà.

Associazionie amicizia italo-palestinese - Sunday, October 5, 2025

Mascherata da abile mossa politica, la proposta di Trump e Netanyahu non è altro che un tentativo di imporre la resa.

di Soumaya Ghannoushi   

 

Middle East Eye, 02.10.2025

Quello che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha presentato questa settimana a Washington non era un piano di pace, ma una sua parodia; un accordo proclamato come una svolta, ma negoziato tra un facilitatore americano e un perpetratore israeliano, mentre le persone il cui destino è in gioco sono state cancellate dalla scena.

Trump sedeva raggiante accanto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ringraziandolo per aver “accettato” un piano che lui stesso aveva scritto, mentre i palestinesi erano del tutto assenti. Niente Hamas, niente Autorità Palestinese, nemmeno una presenza simbolica per dare un minimo di credibilità alla farsa.

Si continua con la stessa logica coloniale che ha dato vita agli Accordi di Abramo: stringere accordi sulla Palestina senza i palestinesi. Celebrare la “pace” ignorando l'occupazione, il blocco e la pulizia etnica. Ripetere a pappagallo il linguaggio della riconciliazione escludendo sistematicamente le uniche persone che hanno il diritto di parlare per sé stesse.

Questo accordo non è un negoziato, è un'imposizione. È una resa mascherata da abilità politica.

Netanyahu ha già assassinato o tentato di uccidere negoziatori in passato, dal leader di Hamas Ismail Haniyeh a quelli presi di mira a Doha mentre erano seduti a discutere la bozza di accordo di Trump. La sua politica è sempre stata chiara: eliminare i negoziatori, eliminare i negoziati e poi affiancarsi a Washington per annunciare un piano elaborato dai partner del genocidio.

Per dare dignità a questo spettacolo, è stata convocata una schiera di leader arabi e musulmani, non per difendere i palestinesi, ma per esercitare pressioni su di loro. Il loro ruolo è quello di fungere da copertura per Trump e Netanyahu; il loro compito non è quello di proteggere la Palestina, ma di spingerla alla sottomissione.

Lo stesso Netanyahu ha esclamato stupito: «Chi avrebbe mai potuto crederci?» - che i regimi musulmani avrebbero fornito una foglia di fico per il diktat di Israele.

 

L'onda dell'opinione pubblica

Al di là della messinscena, il piano è inconsistente. C'è un unico punto concreto: il ritorno degli ostaggi. Tutto il resto è fumo. Nessuna garanzia di ritiro, nessun impegno vincolante, solo vaghe promesse, mentre le truppe israeliane rimangono trincerate.

Ciò che Trump ha offerto a Netanyahu non è stato un compromesso, ma una vittoria: proprio quella vittoria che non è riuscito a ottenere con la forza, dopo due anni di bombe e massacri.

Israele non è riuscito a schiacciare Gaza. Non è riuscito a riportare a casa i suoi ostaggi con la guerra. Non è riuscito a spezzare la volontà palestinese. L'accordo di Trump è un tentativo di trasformare la sconfitta in trionfo, di ottenere con la diplomazia ciò che non è stato possibile ottenere sul campo di battaglia.

Ma Israele non è trionfante, è isolato. Alle Nazioni Unite, Netanyahu è salito sul podio mentre 77 delegazioni abbandonavano la sala, lasciandolo a declamare davanti a sedie vuote. I sondaggi in Europa e negli Stati Uniti mostrano che l'opinione pubblica si sta decisamente schierando contro Israele, con le giovani generazioni in prima linea in questo cambiamento. L'ondata di solidarietà globale con la Palestina sta crescendo, e nulla terrorizza Washington e Tel Aviv più di questo.

Questo è il vero obiettivo dell'accordo: fermare quell'ondata. Soffocare lo slancio dei boicottaggi, delle proteste e di una crescente coscienza globale. Sostituire l'agenzia palestinese con una tutela imposta, un “Consiglio di pace” presieduto da Trump e supervisionato da Tony Blair, un uomo le cui illusioni coloniali e il cui passato sanguinario in Iraq lo squalificherebbero dall'amministrare un parco giochi, figuriamoci il futuro di Gaza.

Questa non è pace. È la "Fondazione per l'Umiliazione di Gaza" scritta a grandi lettere, lo stesso meccanismo di controllo esterno, travestito con gergo umanitario. E i governanti musulmani che siedono accanto a Netanyahu - dagli emiratini che parlottavano con lui mentre il mondo voltava le spalle all'ONU, a quelli che ora sfilano dietro il podio di Trump - non sono partner di pace. Sono complici della resa.

Come ha affermato l'ex delegato egiziano all'ONU Motaz Khalil, questo non è altro che un “piano di resa”. Zittisce i palestinesi, li priva di rappresentanza e consegna a Netanyahu la vittoria assoluta che aveva promesso e non era riuscito a ottenere.

La storia non sarà clemente con questo momento. Un piano di cessate il fuoco che esclude gli occupati non è un piano di pace. È un diktat coloniale, il linguaggio del mandato e della tutela riportato in auge nel XXI secolo. È la stessa presunzione che ha promesso la terra palestinese in loro assenza, senza il loro consenso, nella Dichiarazione Balfour del 1917. Mandati, protettorati, amministrazioni fiduciarie: tutti gli eufemismi dell'impero vengono riciclati per negare ai palestinesi la loro voce.

Trump e Netanyahu possono redigere tutti i piani che vogliono, ma fuori dalle loro sale conferenze il mondo sta cambiando. Milioni di persone marciano, i boicottaggi si intensificano, l'opinione pubblica si schiera. La marea sta cambiando e nessun accordo sulla carta potrà fermarla. La Palestina è diventata la coscienza del mondo e questo non può essere negoziato.


Soumaya Ghannoushi è una scrittrice britannica di origini tunisine ed esperta di politica mediorientale. I suoi articoli giornalistici sono stati pubblicati su The Guardian, The Independent, Corriere della Sera, aljazeera.net e Al Quds. Una selezione dei suoi scritti è disponibile su: soumayaghannoushi.com e su Twitter @SMGhannoushi.

 

Traduzione a cura dell'Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus, Firenze