L’educazione all’ombra del potere

EuroNomade - Friday, September 19, 2025

di JUDITH REVEL*.

Ogni epoca ha le sue tensioni e le sue fragilità. Per renderne visibile il tracciato sotterraneo, spesso occorre un rivelatore. Tra i sottili indicatori dello spirito del tempo, il rapporto con l’educazione – e più generalmente con tutta la serie di figure e temi che la questione immediatamente evoca: l’infanzia, la pedagogia, l’autorità, la disciplina, i valori, il metodo, il livello, la valutazione, le classifiche – è senza dubbio uno dei più efficaci.

Oggi, nel mondo incerto in cui viviamo, è proprio sulla questione dell’educazione che sembrano cristallizzarsi molte delle angosce che costituiscono il nostro quotidiano. Da un lato, il fantasma di bambini sempre più distanti, indifferenti o forse solo diversi, essenzializzati in base alla loro data di nascita (“Millennials”, “Gen Z”…), percepiti a seconda dei casi come immaturi, demotivati, apatici, egoisti, psicologicamente fragili, violenti; dall’altro, adulti tanto più tesi quanto ossessionati dalla genitorialità perfetta, e che investono sui propri figli come se si trattasse di far fruttare fin dalla prima infanzia il capitale che ogni bambino rappresenta. Lezioni private, corsi di lingua, tutor privati, accompagnamento personalizzato, coaching, calcolo del potenziale intellettuale: oggi esiste un intero mercato che accompagna questa strana ricerca della performance genitoriale, condizione primaria della performance infantile a cui è assolutamente necessario aspirare. E poi ci sono i luoghi – e le persone – dediti professionalmente all’insegnamento.

Il sistema educativo, al contrario di tutto questo, è costantemente ridotto a tre ossessioni negative: la scuola fallisce in tutte le sue missioni e costa troppo; il livello sta calando; l’autorità non esiste più. Se è necessario ricordarlo, è perché questo fenomeno, che si accentua di anno in anno, dice in realtà due cose. La prima è che il nostro mondo è in crisi e che non lo comprendiamo più. Esigiamo quindi dai nostri figli che siano ciò che crediamo, noi, di non essere abbastanza (o ciò che ci viene chiesto sempre di più): competitivi, agguerriti, concorrenziali, in nome di un individualismo che fa dell’affermazione economica personale il mantra di ogni vita riuscita.

La seconda è che ci stiamo allontanando molto rapidamente da tutto quello che la riflessione sull’educazione aveva portato con sé, in particolare in due momenti fondamentali della storia della nostra cultura occidentale: da un lato, la tematizzazione della paideia nel pensiero greco (e le riprese umanistiche che ne avrebbe ricevuto molto più tardi) e, dall’altro, la riflessione moderna sui legami intimi tra educazione ed emancipazione.

Due semplici esempi, tra i tanti possibili, separati da quasi venticinque secoli: Le leggi di Platone e Il maestro ignorante di Jacques Rancière. Se lo scopo di ogni legislazione è la virtù nella sua interezza, ci ricorda Platone, allora l’apprendimento della temperanza ne è la condizione fondamentale. Il libro VII delle Leggi ne descrive in dettaglio i principi. Ma ciò che Platone chiama la realizzazione di “tutta la bellezza e tutta l’eccellenza possibili” (788c) non è concepito a partire dall’obbligo della performance.

È pensata invece a partire dall’idea, così estranea al nostro mondo e agli attuali discorsi nostalgici di una certa autorità perduta, dell’armonia, cioè della misura e del ritmo, sia per il corpo che per l’anima. Gli esercizi ginnici, come quelli ispirati dalle Muse, diventano quindi contemporaneamente mezzi e fini politici, perché si tratta di imparare “ad odiare ciò che bisogna odiare e ad amare ciò che bisogna amare” (653c). Ora, il ritmo e l’armonia sono direttamente – e non solo metaforicamente – le condizioni di possibilità non solo della crescita dell’individuo, ma dell’insieme corale che egli costituirà con gli altri: un coro che non richiede uniformità ma l’armonizzazione e la complementarità delle differenze. Impariamo quindi da Platone: l’educazione è, fin dalla più tenera età, formazione del cittadino; ma, proprio perché si tratta della polis, non può essere ridotta a una prospettiva individualista.

Si tratta di contribuire alla città giusta, al bene comune. Costruire se stessi significa costruirsi con gli altri: la paideia diventa qui Bildung, il modo di soggettivazione non attribuisce ruoli né impone uniformità, ma lascia per così dire “aperta” la possibilità di scambi, la forma delle relazioni e l’incrocio delle voci.

All’inizio del XIX secolo, Joseph Jacotot, al quale Rancière dedicherà il bellissimo Le maître ignorant (Il maestro ignorante), stabilisce precisamente un metodo educativo che rifiuti per principio l’assegnazione dei ruoli, a cominciare da quelli dell’insegnante (colui che sa) e dell’allievo (colui che apprende). Il progetto universale di emancipazione delle intelligenze del “metodo Jacotot”, costruito interamente contro il mito pedagogico secondo cui è sempre necessario un maestro che sappia, cerca invece di mettere in pratica un assioma radicale di uguaglianza nel rapporto di insegnamento. Relazione: anche in questo caso occorre essere più di uno per crescere, ma questo incrocio di voci non significa necessariamente una loro gerarchizzazione. Elogio del comune che si costituisce insieme.

Nel 1975 Foucault pubblica Sorvegliare e punire. Una frase farà molto discutere. Scrive Foucault: “L’Illuminismo, che ha scoperto le libertà, ha anche inventato le discipline”. Il paradosso, che è alla base della nascita della prigione così come la conosciamo ancora oggi, è anche – almeno secondo l’ipotesi di Foucault – alla base della reinvenzione moderna di altre istituzioni. Tra queste, insieme all’ospedale, alla caserma, alla fabbrica: la scuola.

La scuola: luogo di affermazione del progetto emancipatorio dell’Illuminismo, ma anche luogo di imposizione delle discipline, quello strano falso amico concettuale a cui Foucault dà una definizione molto precisa, e più che mai attuale: “un metodo che permette il controllo minuzioso delle operazioni del corpo, che assicura il costante assoggettamento delle sue forze e impone loro un rapporto di docilità-utilità”. Le discipline creano l’individuo produttore.
Chiediamoci dunque: cosa abbiamo fatto dell’altro volto dell’Illuminismo, quando lo abbiamo dimenticato a favore del culto delle prestazioni produttive?

*Questo testo è un’anticipazione dell’intervento che Judith Revel terrà a Sassuolo sabato 20 settembre nell’ambito de Festival Filosofia dedicata quest’anno al concetto di “Paideia”. È stato pubblicato sul manifesto il 18 settembre 2025

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