
La Torre che crolla: simbolo e strumento di una strategia di smantellamento totale a Gaza
InfoPal - Wednesday, September 17, 2025
InfoPal. Di Falastin Dawoud. L’immagine della torre che si sbriciola in una nuvola di polvere è diventata l’icona visiva del genocidio a Gaza. Tuttavia, per comprenderne il significato profondo, è necessario guardare oltre il singolo evento esplosivo e decodificare questo atto come il sintomo di una patologia distruttiva molto più ampia e sistemica. La demolizione degli edifici alti non è un fine, ma un mezzo all’interno di una strategia integrata che combina la logica militare con un progetto di guerra psicologica, il cui effetto punta verso lo smantellamento dei fondamenti stessi che permettono a una società di esistere e riprodursi. Questa strategia opera su due piani simultanei e sinergici: uno orizzontale e uno verticale, e la sua evoluzione è documentata da una cronologia di distruzioni emblematiche.
Le Torri abbattute (2006-2024).
La tattica di colpire gli edifici alti non è nuova, ma si è intensificata e sistematizzata nel tempo, raggiungendo l’apice nell’attuale offensiva.
- 2008-2009 (Operazione Piombo Fuso): in questa offensiva si gettarono le basi per la strategia successiva. L’edificio del Parlamento palestinese fu ridotto in macerie, un atto dal chiarissimo valore simbolico piuttosto che strettamente militare. Allo stesso modo, il ministero degli Interni e altri grattacieli governativi furono presi di mira, segnalando l’intenzione di cancellare le istituzioni visibili dell’autorità palestinese a Gaza.
- 2014 (Operazione Margine Protettivo): La strategia si fece più audace. Per la prima volta, interi condomini residenziali divennero obiettivi primari. Israele giustificò questi attacchi affermando che Hamas utilizzava appartamenti civili per nascondere tunnel d’ingresso, posti di comando o depositi d’armi. Il bombardamento della Torre Al-Zuhur, un complesso di 13 piani, divenne un esempio lampante di questa nuova norma, scatenando condanne per la sua natura di distruzione collettiva.
- Maggio 2021 (Operazione Guardiano delle Mura): questa operazione segnò un salto di qualità nella guerra psicologica e mediatica. Il 15 maggio 202, l’aviazione israeliana distrusse la Torre Al-Jalaa, un edificio di 12 piani che ospitava gli uffici di Al Jazeera e The Associated Press (AP). Nonostante le giustificazioni israeliane sulla presenza di asset militari di Hamas, l’attacco fu universalmente interpretato come un messaggio diretto e intimidatorio alla stampa internazionale, un avvertimento sulla copertura dei massacri e un monito sul prezzo da pagare per chiunque, incluso un media globale, operi nella Striscia.
- 2023-2024 (Operazione Spade di ferro): l’attuale offensiva ha portato questa strategia a una scala industriale e apocalittica. La distruzione non è più puntuale ma totalizzante. Interi isolati del centro della città di Gaza sono stati rasi al suolo. Simbolicamente, è stato colpito e gravemente danneggiato uno degli edifici più iconici della città: la torre di 14 piani del Centro palestinese per i Lavoratori dei Media (Press House), un luogo concepito come un sicuro rifugio per i giornalisti. La Great Omari Mosque, la più antica e storica della Striscia, è stata gravemente danneggiata, colpendo al cuore il patrimonio culturale e identitario palestinese. Questi attacchi confermano una strategia che non distingue più tra simboli del presente (i media) e del passato (la storia), ma che mira all’intero spettro dell’esistenza civile.
Il Piano orizzontale: la cancellazione della vita civile.
Parallelamente al crollo delle torri, procede una distruzione meticolosa e capillare dell’ecosistema civile su un piano orizzontale. Questo livello include la metodica demolizione delle infrastrutture critiche—acquedotti, condotte fognarie, reti elettriche—che non costituiscono obiettivi militari in senso tradizionale, ma sono i sistemi organici che sostengono la vita biologica di una comunità. Privare deliberatamente una popolazione di acqua potabile, elettricità e servizi igienico-sanitari non è un danno collaterale: è un atto che trasforma la sopravvivenza in una lotta quotidiana, degradando la condizione umana e rendendo l’ambiente fisico ostile alla vita stessa.
A questo si aggiunge l’annientamento delle istituzioni del futuro e della memoria: università, scuole, biblioteche e archivi vengono ridotti in macerie. Questo non colpisce solo il presente, ma cancella deliberatamente il potenziale intellettuale e la continuità culturale di una nazione, amputandone il passato e negandole un domani. Il sistematico smantellamento del sistema sanitario, attraverso l’assedio e il bombardamento degli ospedali, completa questo quadro. Esso attacca il diritto alla cura in un momento di massimo bisogno, amplificando strategicamente il trauma e la crisi umanitaria, trasformando i luoghi di salvezza in trappole mortali.
Il Piano verticale: la Guerra psicologica del Simbolo.
È in questo contesto di obliterazione orizzontale che la distruzione della Torre assume il suo pieno, diabolico significato. L’atto di abbattere un grattacielo è fondamentalmente differente dal bombardare una casa. È un’azione progettata per la massima risonanza visiva e psicologica. La torre non è solo un edificio; è un simbolo di modernità, sviluppo e identità urbana. La sua demolizione non è solo la neutralizzazione di un presunto obiettivo militare, ma un atto di de-monumentalizzazione. Comunica un messaggio inequivocabile: “Non esiste nulla di vostro, nemmeno ciò che è più alto, imponente e moderno, che sia al sicuro dalla nostra potenza”. È un’affermazione di dominio totale sullo spazio fisico e psicologico.
La tattica del preavviso—il knock on the roof—trasforma questo atto di distruzione in una forma sofisticata di tortura psicologica. Costringe gli abitanti a diventare partecipanti forzati dell’annientamento della propria vita, a fuggire lasciandosi dietro ogni certezza materiale e affettiva, per poi assistere impotenti alla cancellazione della propria storia. Questo processo non solo distrugge i beni, ma infligge un trauma profondo, generando un senso di impotenza che corrode dall’interno la resilienza individuale e collettiva.
La combinazione di questi due piani—l’assedio orizzontale che strangola la vita biologica e gli attacchi verticali che demoliscono i simboli e il morale—crea una realtà in cui l’intero ambiente diventa un’arma. Il rombo incessante dei droni e i continui bombardamenti costruiscono un paesaggio sonoro permanente di minaccia, normalizzando il trauma e impedendo qualsiasi senso di tregua. L’occupazione militare della città di Gaza, con i rastrellamenti casa per casa e le evacuazioni forzate, segna il passaggio da un bombardamento a distanza a una rioccupazione del territorio, finalizzata allo smantellamento fisico di qualsiasi struttura di resistenza o di vita comunitaria.
L’effetto cumulativo e voluto di questa strategia integrata è rendere Gaza irriconoscibile e irrecuperabile. Non si tratta più di una punizione collettiva o di una campagna militare eccessiva, ma di un processo che assume le caratteristiche della pulizia etnica attraverso l’inabitabilità. Il messaggio finale, reso chiaro dalla distruzione di tutto ciò che rende una vita degna di essere vissuta, è che non c’è più futuro per i palestinesi a Gaza. L’obiettivo ultimo appare essere la frantumazione definitiva della loro resilienza per costringere un esodo massiccio o imporre un controllo di sicurezza permanente su un territorio svuotato e totalmente assoggettato. In questo quadro, il crollo della torre non è che la firma drammatica su un documento di distruzione la cui portata storica e umanitaria è di una gravità senza precedenti.