
Cittadino pakistano assolto per tenuità del fatto dal reato di uccisione di animali: ignaro della normativa e mosso da motivi religiosi
Progetto Melting Pot Europa - Monday, August 18, 2025Nel 2019 a Montefalco, comune in provincia di Perugia, tre cittadini pakistani chiesero ad un cittadino italiano (proprietario di un gregge di pecore che deteneva per uso familiare) se avesse un agnello, appresentando che avevano bisogno di carne per una cena da tenere la sera stessa. L’allevatore rispose affermativamente. Quindi, i tre chiesero di poter effettuare sul posto la macellazione, precisando che avrebbero ucciso direttamente loro l’animale, stante motivi religiosi (si tratta della cd. macellazione rituale islamica o macellazione halâl). Quindi, si sono inginocchiati in preghiera ed hanno proceduto all’uccisione.
Mentre erano intenti a scuoiare l’ovino, si sono avvicinati due Carabinieri forestali (in servizio di pattuglia), attirati dal fatto che era in corso una macellazione clandestina. Questi rinvenivano la carcassa e procedevano con foto e relazione di servizio. Sul posto interviene anche il veterinario dirigente dell’USL di Foligno, il quale relaziona che l’animale era stato abbattuto senza preventivo stordimento e dissanguato in stato di coscienza, così contravvenendo al Regolamento Ue 1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento (il relativo art. 4 co 1 prevede: “Gli animali sono abbattuti esclusivamente previo stordimento, conformemente ai metodi e alle relative prescrizioni di applicazione di cui all’allegato I. La perdita di coscienza e di sensibilità è mantenuta fino alla morte dell’animale”). Quindi, la macellazione veniva interrotta.
I Carabinieri identificavano i soggetti coinvolti nella macellazione, tra cui il cittadino pakistano cui si riferisce la sentenza in commento. A questi fu successivamente contestato il reato di cui all’art. 544 bis c.p. (“Uccisione di animali”) che recita: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”.
All’udienza del 14.3.2025, la difesa dell’imputato chiedeva procedersi nelle forme del rito abbreviato condizionato alla produzione documentale consistente nei documenti attestanti la domanda di protezione internazionale. In particolare, l’imputato, all’epoca dei fatti, era un richiedente asilo in accoglienza presso un CAS di Foligno. Era giunto in Italia pochi giorni prima rispetto al fatto di reato, dopo aver lasciato il Pakistan ed aver percorso la rotta balcanica. Proveniva da un contesto povero e rurale, dove è ordinario sgozzare un animale per poi cibarsene. Secondo la difesa, egli versava in una condizione di ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5 c.p. come interpretato da Corte cost., sent. 364/1988).
Il Giudice accoglieva l’istanza di rito abbreviato e assolveva l’imputato ritenendo sussistente la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. (“Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”).
Tale norma prevede: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.
Secondo il Giudice, la fattispecie in esame è di particolare tenuità, in quanto “si tratta di caso isolato posto in essere da soggetto originario del Pakistan, incensurato e presente in Italia da pochi giorni prima dell’evento – quindi verosimilmente ignaro della normativa in materia di macellazione degli animali”, nonché “mosso da motivi religiosi”.
Il Giudice ha dato rilevanza anche alle motivazioni religiose che sottostavano alla condotta materiale.
La vicenda processuale, quindi, è parte della più ampia tematica della macellazione rituale islamica.
Al riguardo, è innanzitutto da precisare che la Sura VI (“Il bestiame”), al verso 118 recita: “Mangiate di quello sul quale è stato menzionato il Nome di Allah, se credete nei Suoi segni”. Analogamente, il successivo verso 121 recita: “Non mangiate ciò su cui non sia stato pronunciato il Nome di Allah: sarebbe certamente perversità. I diavoli ispirano ai loro amici la polemica con voi. Se li seguiste sareste associatori”.
I due versi si riferiscono alla questione della carne “halâl” (ossia “lecita”), secondo cui l’animale deve rimanere cosciente durante la recisione della trachea e delle arterie fino alla morte per completo dissanguamento. Inoltre, si deve anche rivolgere la testa dell’animale in direzione della Mecca. Si tratta di una pratica religiosa che richiama la libertà di manifestazione della propria fede religiosa ai sensi dell’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali UE, secondo cui la libertà di religione include anche le pratiche ed i riti. Sono altresì da richiamare l’art. 18 Cost.; l’art. 9 Conv. EDU del 1950; l’art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966.
Nel tentativo di trovare un equilibrio tra tale libertà ed il benessere degli animali, già il Trattato di Lisbona del 2007, all’art. 13 riporta di “esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale”. Il citato Regolamento UE 1099/2009, all’art. 4 co 4 stabilisce che le disposizioni sui metodi di stordimento (cfr co 1 riportato sopra) “non si applicano agli animali sottoposti a particolari metodi di macellazione prescritti da riti religiosi, a condizione che la macellazione abbia luogo in un macello”.
Già prima di tale regolamento, l’Italia aveva recepito (con legge 439/1978) la direttiva 1974/577/CEE che introduceva l’obbligo dello stordimento, ma riconosceva la possibilità di “speciali metodi di macellazione, in osservanza di riti religiosi”, autorizzati dal Ministro della Sanità. Seguiva un decreto del 1980 recante “Autorizzazione alla macellazione degli animali secondo i riti religiosi ebraico ed islamico”.
Inoltre, con d.lgs 333/1998 era stata recepita la direttiva 1993/119/CE sulla protezioni degli animali durante la macellazione: vi era una deroga allo stordimento in caso di macellazioni rituali, sempreché fossero avvenute in macelli autorizzati.
Attualmente, la questione è disciplinata dal citato regolamento 1099/2009. E si tratta di una questione che vede da un lato le istanze dei movimenti animalisti (che vorrebbero far prevalere il diritto degli animali) e da altro lato le istanze delle comunità ebraiche e musulmane che richiedono il rispetto della libertà di culto. Si registra anche un intervento del Comitato Nazionale di Bioetica nel 2003.
Nel difficile contemperamento tra le due dette istanze, oggi nell’Italia meta di flussi migratori, si inserisce una terza istanza: quella di coloro che, a causa della brevità del soggiorno e della marginalizzazione, non sono ancora adeguatamente informati sulle norme italiane, del tutto assenti nei Paesi da cui provengono.
Tribunale di Spoleto, sentenza n. 270 del 6 maggio 2025Per approfondire:
Maria Chiara Locchi. “Il difficile bilanciamento tra libertà religiosa alimentare e benessere degli animali nelle società multiculturali europee: il caso della macellazione rituale halal”, in Sabrina Lanni (a cura di), “La tutela del consumatore nella prospettiva halal tra sfide e opportunità del mercato europeo”, Milano 2025
Si ringrazia l’Avv. Francesco Di Pietro per la segnalazione e il commento.