Letture giacobine

Jacobin Italia - Saturday, August 2, 2025
Articolo di Redazione Jacobin Italia

L’estate è quasi al suo culmine e, imitando un po’ la rivista sorella statunitense, abbiamo pensato di raccogliere alcuni suggerimenti di lettura per le vacanze (per chi riesce a farle). Abbiamo chiesto di indicare libri senza alcuna schematizzazione, ognuno e ognuna hanno indicato quel che è sembrato loro più interessante. Si va così dai Italo Calvino ai gialli di Grazia Varesani, dalla working class literature della Gkn alla riflessione su cosa è stato il Pci e così via. Buona lettura e buone vacanze. 

Luca Casarotti

Propongo tre testi: Valentina Pisanty, Antisemita; Umberto Eco, Il costume di casa; Italo Calvino, Una pietra sopra. Ci sono diversi percorsi di lettura possibili, credo non solo nella mente di questo lettore empirico, seguendo i quali l’elenchino qui sopra si compone come da sé e chiede di essere proseguito. Lo spazio m’impone d’indicarne uno soltanto. Questi libri costituiscono insieme un manuale operativo di scrittura saggistica. Materia del manuale è il nesso di politica e cultura nella storia occidentale del secondo Novecento. Il metodo insegnato consiste in ciò: che lo stile (voce media, potendo essere sia buono sia cattivo stile) è lo strumento con cui l’intellettuale partecipa al dibattito pubblico; e che lo stile risulta dalla solidità dei concetti espressi e dalla padronanza della lingua usata per esprimerli.

Lorenzo Zamponi

Vivere nell’Italia di Giorgia Meloni impone di leggere sul fascismo, sui suoi oppositori e su come sia possibile resistere. Parto citando una graphic novel ripubblicata un paio d’anni da Tunué: I solchi del destino, in cui Paco Roca ricostruisce in forma romanzata ma documentata le peripezie degli esuli repubblicani spagnoli dopo la sconfitta della guerra civile, e in particolare l’epopea della Nueve, compagnia dell’esercito di De Gaulle composta in maggioranza da repubblicani spagnoli e prima unità militare alleata a entrare a Parigi il 20 agosto del 1944. Un’epica dell’antifascismo nella sua dimensione internazionale, di riconquista di una patria perduta e di un futuro da ricostruire, senza trascurare dolori e sconfitte.

Sulle difficili resistenze del presente, suggerisco Iperpolitica. Politicizzazione senza politica, di Anton Jäger, tradotto l’anno scorso da Nero: un saggio denso quanto agile sulla politica del XXI secolo come magma individualizzato che mangia ogni ambito della vita umana, senza però farsi mai strumento collettivo in grado di cambiare davvero l’esistente.

Infine, a chiudere un anno di libri, articoli e film su Berlinguer, mi permetto di segnalare a chi, colpevolmente, non l’ha ancora letto, Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci di Lucio Magri: una lettura di parte, critica e appassionata, della via italiana al socialismo. Probabilmente la cosa migliore mai scritta sul tema.

Antonio Montefusco

Un breve libro, ma a due voci e con una copertina feroce. È Milena Agus, Luciana Castellina, Guardati dalla mia fame,

Nel marzo 1946, ad Andria in Puglia, è previso il comizio del mitico Giuseppe di Vittorio, caso unico di bracciante diventato segretario della Cgil. Uno sparo, però, irrompe sulla folla. È uno sparo che tenta di mettere fine a quella che doveva essere la celebrazione di una tregua nella lotta che divide i braccianti e agrari. La battaglia contro il latifondo è uno dei punti più esacerbati della contraddizione di classe nell’Italia uscita dalla guerra. I contadini entrano nel palazzo dei ricchi proprietari terrieri del paese, dove vivono le sorelle Porro, che vengono trucidate. Milena Agus – una delle più acute e perturbanti scrittrici italiane – ci racconta la storia dal loro punto di vista, quella di donne ricche e inconsapevoli, prese in una quotidianità indifferente e a tratti ascetica. Luciana Castellina – fondatrice del Manifesto e protagonista della storia comunista – ci spiega il contesto in cui nasce questa storia apparentemente minima, che i giornali quasi non registrarono. Il titolo viene da una citazione del poeta palestinese Darwish: «Guardati dalla mia fame e dalla mia ira». La domanda che rimane aperta ci interroga ancora: «Nella catastrofe, se si vuole che il mondo stia in piedi, bisogna avere la forza di rivoltarlo come un guanto. Sì o no?»

Sembra una vicenda lontana, così siderale rispetto alla Puglia delle Spa e dei lettini sulla spiaggia. È difficile trovarne una che interroga più in profondità sul tema della violenza, sulle guerre di dominio, sulla lotta di classe, oggi, nell’Italia di Meloni, nel mondo di Trump e Netanyahu.

Carlotta Caciagli

Un tema che non è un tema ma un crimine, una ferita, un girone infernale che si ripete diverso e uguale a se stesso da decenni, di cui però, fin troppo spesso, si dimentica la dimensione storica e strutturale e si finisce per parlarne in termini fuorvianti: pietistici e sensazionalistici da un lato, cinici e ipocriti dall’altro. I tre libri che consiglio non parlano di Palestina, ma parlano dalla Palestina. Non trattano un tema ma danno, si prendono e restituiscono una voce a chi sta in quell’altrove. Tre libri che in comune non hanno niente – genere letterario, stile narrativo, intento – ma che si assomigliano per l’unica cosa che conta davvero quando si scrive: l’onestà e la profondità con le quali si sceglie di raccontare una storia.

Il primo libro non ha probabilmente bisogno della mia raccomandazione: Ogni Mattina a Jenin, di Susan Abulhawa. Un racconto in prima persona di una vita e di una terra che arriva come un pugno nello stomaco una pagina dopo l’altra. Un racconto che fa sentire l’odore degli ulivi e la dignità della resistenza, proprio quando questa non potrebbe essere altro che una scelta di vita per se e un atto di responsabilità verso gli altri. Il secondo libro, ancora Feltrinelli, è Il Racconto di un muro, di Nasser Abu Srour, detenuto dal 1993 in un carcere israeliano. Un romanzo che qualcuno, sbagliando, ha definito un esempio di letteratura di prigionia. Ma Il Racconto di un Muro è molto più universale di così: è un romanzo semplicemente bellissimo, scritto in modo eccelso che commuove e coinvolge oltre misura. Terzo: Apartheid in Palestina, di Gabriel Traetta. Questo saggio fa in un linguaggio semplice l’analisi storica dei soprusi e abusi che hanno portato alla questione palestinese così come viene raccontata oggi. Un libro che ha l’enorme merito di mettere nero su bianco le responsabilità internazionali e che può diventare uno strumento utilissimo per far fronte ai temuti e odiati dibattiti pubblici. 

Nessuno di questi tre libri banalizza ragionamenti, speranze e sentimenti. Semplificano, se necessario, ma mantengono intatto uno sguardo complessivo e dettagliato insieme. E così facendo tracciano i confini: fra una letteratura che serve a chi la scrive e una a servizio di chi la legge. 

Giulio Calella

Di giorno è uno scrittore di romanzi noir, di notte è addetto alle pulizie nella metropolitana di Buenos Aires. Lui è Kike Ferrari, e presto lo pubblicheremo nella collana di letteratura working class edita da Alegre. Intanto vi consiglio di leggere l’unico suo libro finora tradotto in italiano, Da lontano sembrano mosche): una sola giornata al mare e non riuscirete mai a staccare gli occhi dalla pagina. Odio di classe allo stato puro.

A proposito di lotta di classe nel XXI secolo, è assolutamente da leggere Questo lavoro non è vita, in cui Dario Salvetti del Collettivo di fabbrica Gkn racconta a Gea Scancarello la storia, le pratiche e le parole della lotta più lunga del movimento operaio: la lotta che non possiamo permetterci di perdere.

Infine, a poche settimane dalla sua scomparsa, mi torna alla mente il libro che mi consigliò Goffredo Fofi una dozzina d’anni fa, una volta saputo che non l’avevo ancora letto: Memorie di un rivoluzionario di Victor Serge (Edizioni E/O, postfazione di Goffredo Fofi). L’autobiografia dello scrittore anarchico russo che, una volta scoppiata la rivoluzione, decise che non sarebbe stato «né contro i bolscevichi né neutrale, sarei stato con loro, ma liberamente, senza abdicare al pensiero né al senso critico». Maturò così un’originale idea di marxismo libertario, che negli anni successivi finì per scontrarsi drammaticamente con lo stalinismo. Scontro che racconta in questo libro, insieme alle centinaia di vicende e personaggi con cui entrò in contatto diretto nei primi quarant’anni del Novecento. Lasciandoci la sensazione che un’altra rivoluzione è possibile.

Marco Bertorello

Propongo quattro gialli/noir, mi sembrano letture compatibili in particolare con la calura estiva dovuta al crescente disastro ecologico. Massimo Carlotto, L’oscura immensità della morte. Sandrone Dazieri, Uccidi i ricchi. Grazia Verasani, Iris di marzo, Ayatsuji Yukito, I delitti della casa decagonale.

I libri di Verasani e Dazieri fanno parte di una serie di indagini che si sviluppano in precedenti pubblicazioni. Segnalo, dunque, i due appena usciti, ma forse sarebbe meglio seguire l’ordine di pubblicazione a partire dall’affacciarsi di questi investigatori, per comprendere meglio le loro storie, i personaggi che fanno da sfondo alle loro indagini. Nulla impedisce, comunque, di partire dall’ultimo libro per poi, incuriositi, ripartire dal primo.

Il libro di Carlotto, come viene detto nel retro di copertina, è un richiamo al Conte di Montecristo, alla sua brama di vendetta, aggiornato ai tempi moderni. Un uomo che vuole vendicare la tragica, e per certi versi accidentale (o folle e inspiegabile) morte di moglie e figlio durante una rapina in una gioielleria. L’occasione è la malattia inguaribile dell’assassino, il quale chiede di poter vivere i suoi ultimi giorni fuori dalla galera. Un movente, quello della vittima sopravvissuta, che innesca un meccanismo di ritorsione e morte studiato a lungo e implacabile, che trasforma la vittima in carnefice. Un libro che mette a fuoco gli imperanti temi securitari, la retorica sulle vittime e i limiti del carcere come luogo di recupero o di condanna. Un romanzo breve, intenso e crudo. Dazieri da un po’ di tempo ci ha consegnato una nuova figura di detective: l’ex vicequestore Colomba Caselli, con un passato che gli ha prodotto ferite difficili da ricucire. Nella nuova indagine si occupa, da ex poliziotta (con tutti i vantaggi e svantaggi del caso), di una serie di omicidi di super milionari a cui fanno seguito dei post con lo slogan: «Uccidi i ricchi». Una trama che sembra indicare apparentemente una specie di giustiziere sociale. Ma la Caselli è poliziotta (o meglio ex) che non si ferma alle apparenze. Interessante è poi la catalogazione della classe d’appartenenza delle vittime, definite come quelli che, a differenza che in passato, «possiedono letteralmente il mondo».

Giorgia Contini è il personaggio bolognese di Grazia Versani. Investigatrice privata che intreccia legami professionali e sentimentali con poliziotti in servizio. Le sue sono indagini non eclatanti, ma perciò più autentiche. Casi umani, nel senso proprio del termine, più a misura di un’umanità spesso sbandata. Nel suo ultimo caso la Contini viene assoldata da una madre per sorvegliare il proprio figlio adolescente che è entrato in una baby gang. Il caso si fa drammatico quando viene trovato il corpo di una giovane di cui gli appartenenti alla baby gang erano quasi tutti invaghiti. Un’occasione per investigare nei mondi giovanili della periferia di una città al contempo ricca e povera.

Infine un giallo giapponese, pubblicato lo scorso anno, dal sapore classico per gli appassionati del genere. Una sorta di edizione del Sol Levante dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Ambientato in un’isola deserta dove un gruppo di giovani facenti parte di un circolo del crime dell’Università K decidono di trascorrere una settimana in una strana abitazione composta da dieci lati. Un’isola dove l’anno precedente si erano verificati delitti rimasti irrisolti che hanno fatto da traino per l’insolita vacanza. Dopo la prima notte uno dei giovani viene trovato ucciso. Da quel momento una serie di richiami ai classici del giallo invera la storia, fino a giungere a un finale sorprendente. Un riadattamento intrigante dal sapore insolito e lontano.

Salvatore Cannavò

Due libri che guardano alla storia e al mondo intorno a noi e una gemma lasciata da Goffredo Fofi. Cambiare la vita? di Gilles Vergnon è una storia del socialismo europeo dal 1875 a oggi. Non che del socialismo europeo, dell’Internazionale socialista e delle parabole della socialdemocrazia non si sappia già tutto. Ma è utile rileggere le gesta socialdemocratiche perché il libro non fa sconti sui fallimenti e gli errori e aiuta a far capire, soprattutto a chi quella storia la conosce meno o per nulla, come la sinistra europea sia arrivata all’attuale tasso di inanità e di complicità con un sistema che in passato, sia pure a parole, diceva se non di voler abbattere almeno di trasformare. E, ad esempio, la storia tra il 1912 e il 1914 in cui l’Internazionale socialista si avviluppa su sé stessa discutendo inutilmente di uno sciopero generale europeo contro la guerra parla ancora all’attualità.

La critica radicale a tutto ciò che esiste di Andrew Feenberg è un libro che varrebbe la lettura solo per il titolo. Si tratta di una ricostruzione del pensiero e opera di Herbert Marcuse, filosofo decisivo nell’era della contestazione, uno degli esponenti più movimentisti ed eclettici della Scuola di Francoforte riproposto anche a partire dalle memorie personali dell’autore che ripercorre i vari momenti di formazione del pensiero marcusiano: dall’interpretazione giovanile di Marx, alla lettura di Heidegger, Hegel e Freud alla critica della tecnologia. Un Marcuse sempre vispo nella critica al capitalismo crisi climatica compresa. La gemma di Goffredo Fofi è invece la sua piccola enciclopedia su I grandi registi della storia del cinema. Ci sono quasi tutti e ci sono soprattutto quelli che meno vengono considerati e che invece hanno dato un contributo decisivo al cinema raccontati dal punto di vista critico e militante di Fofi che oltre a essere a rimbrottare la sinistra libertaria e marxista era un fine critico cinematografico, tra i più originali e meno conformi e che in questo libro consente di costruire una conoscenza complessiva.

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