Affrontare la tormenta
PRENDENDO SPUNTO DALL’ARTICOLO DI RAÚL ZIBECHI, CREATE DUE, TRE, MOLTE ARCHE,
CHE UNISCANO RESISTENZA, PROTEZIONE COLLETTIVA DALLA TORMENTA E CREAZIONE DI UN
MONDO NON CAPITALISTA, ALDO ZANCHETTA RAGIONA SUL VIOLENTO CAOS GLOBALE, SUL
DOMINIO DELLO SVILUPPO CHE CONTINUA A CONDIZIONARE ANCHE PARTITI E MOVIMENTI
PROGRESSISTI E SUL BISOGNO DI CAPOVOLGERE IL NOSTRO MODO DI PENSARE PER
RICONOSCERE ALTRI MONDI GIÀ ESISTENTI CAPACI DI PROTEGGERE LA COMPLESSITÀ DEL
SISTEMA UMANO E LE SUE CONNESSIONI CON L’AMBIENTE MATERIALE E IMMATERIALE
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La tormenta: così gli indigeni maya zapatisti del Chiapas definiscono l’attuale
caotica situazione mondiale. Essa cresce di intensità ed ogni giorno “è più
grande di sempre”, usando un’espressione sgrammaticata creata per la
“narrazione” del risaldamento climatico in corso. Difficile farne una
descrizione complessiva abbastanza veritiera perché si presenta in modi diversi
nei vari punti della “selva”, e contraddittorie sono le “narrazioni” che ne
fanno i vari osservatori. Molti, i cosiddetti “esperti”, si affannano a
elaborare previsioni sulla sua evoluzione, che si dimostrano puntualmente errate
nel momento in cui si passa dal “futuro” al “presente”. Inoltre queste
“narrazioni” hanno, per molti di loro, finalità precise: aumentare le paure e il
disorientamento per perseguire meglio, nel caos che ne consegue, i propri
interessi, fra loro in genere conflittuali. Quello che segue è un tentativo di
intelligibilità azzardato, frammentato e mutevole, dato l’accelerarsi e
accavallarsi frenetico degli avvenimenti. Lo condivido cercando dialogo e
correzioni.
Costruire due, tre, molte arche
«Per questo ci tocca proteggerci come possiamo, sulla base delle nostre risorse,
prima di tutto attraverso i lavori collettivi, la minga, il tequio1, che
permettono allo stesso tempo di creare nuove realtà e difenderle. Ma la cosa più
importante è la certezza che non ci si può aspettare nulla da governi o Stati.
Seguendo il consiglio di Che Guevara quando il popolo vietnamita resistette
all’invasione e alla guerra degli Stati Uniti “creare due, tre, molti Vietnam”),
credo che si tratti di costruire arche, molte arche, che uniscano resistenza,
protezione collettiva dalla tormenta e creazione di un mondo non capitalista.
Non è una ricetta, né una linea da seguire. È semplicemente una verifica di ciò
che la gente sta facendo».
Questo è un brano di un articolo di Raúl Zibechi apparso su Comune il 27 giugno,
significativo perché l’idea dell’arca, come dirò dopo, negli stessi giorni era
venuta anche a me come metafora da usare in un incontro programmato fra persone
amiche con le quali da un anno sto lavorando per costruire un’arca.2
Alle soglie di una nuova era
Un’era, quella “moderna”, sta chiudendosi con il fallimento dell’utopico
perseguimento dell’organizzazione della società umana secondo un modello
capitalista ritenuto l’unico corretto nella sua ultima formulazione neoliberista
e globalista, (ricordate il libro di Francis Fukuyama La fine della storia e
l’ultimo uomo?). A questo fallimento sta facendo seguito l’intensificarsi della
tormenta con un susseguirsi di violenze che superano ogni precedente
immaginazione, mentre un’altra era sta aprendosi in una situazione appunto
metaforica di tormenta.
Nell’articolo citato, Zibechi ha scritto: «Il mondo che conoscevamo sta
giungendo al termine. Prima che un altro mondo possa nascere, vivremo un caos
sistemico che durerà decenni. Solo l’organizzazione collettiva può illuminare
quel futuro».
Questo è accaduto nei precedenti cambiamenti di era che conosciamo, ogni volta
in maniera più drammatica e lunga. Questa volta però la situazione presenta un
aspetto nuovo particolarmente drammatico: non solo la transizione da un modello
di civiltà ad un altro, ma la possibile fine dello stesso genere umano.
Umanità a rischio di estinzione
Questa ipotesi venne analizzata da Ivan Illich nel VII capitolo del libro
Descolarizzare la società, intitolato Rinascita dell’uomo epimeteico. Egli non
fu il primo a porsi tale problema, che era già stato sollevato in tempi passati,
ma solo all’interno di una ristretta cerchia di pensatori e nella prospettiva di
una catastrofe cosmica, subita e non causata dall’uomo. La novità introdotta da
Illich fu l’idea che questa fine potesse essere auto-generata e che fosse
necessario sottoporre il problema al dibattito pubblico perché si cercasse un
rimedio per evitarla.
Non dovrebbe essere questo il problema oggi più grave, da affrontare
prioritariamente?
Estinzione tout court, o veloce, dovuta al «pulsante di Hiroshima» premuto da un
militare, oppure lenta, causata da «istituzioni non militari» che, senza
pulsanti da premere, «creano bisogni più rapidamente che soddisfazioni e nel
tentativo di appagare i bisogni che esse stesse suscitano, consumano la Terra»3,
rendendola inabitabile al genere umano. Ma possibile anche per trasformazione:
«Gli stregoni rimpiazzano le levatrici e promettono di trasformare l’uomo in
qualche altra cosa: programmato geneticamente, purificato farmacologicamente e
capace di restare malato molto più a lungo. L’ideale contemporaneo è un mondo
totalmente asettico, dove ogni contatto fra gli uomini, o tra gli uomini e il
loro ambiente, sia frutto di previsioni e manipolazioni».4
Quest’ultima è una fotografia esatta del modello a cui attualmente si sta
lavorando, scattata con un anticipo di cinquant’anni.
Lo sviluppo, storia di una credenza occidentale5
Questa estinzione avverrà se una forza antropologica propria degli esseri umani,
la speranza, non verrà risvegliata come forza sociale capace di far passare le
persone dallo stato di attesa passiva a cui sono state abituate dal mito dello
“sviluppo” a una assunzione nelle proprie mani di una responsabilità attiva.
Il mito dello “sviluppo” era stato lanciato in orbita nel punto IV del “discorso
al caminetto” fatto dal presidente statunitense Truman nel dicembre 1949 in
occasione della sua rielezione. Sviluppo che, grazie alla forza trainante del
progresso tecnologico, avrebbe generato una disponibilità crescente di beni
materiali atti a soddisfare i “bisogni”, sia quelli primari (cibo, abitazione.
salute …) che quelli indotti (questi ultimi illimitati e in parte convertiti in
“diritti”).6 Questo è il clima mentale in cui viviamo più o meno tutti, sia gli
affezionati a questo sistema sia, in misura ridotta e inconscia, gli stessi suoi
critici, perché questo è l’ethos, lo stato d’animo del tempo in cui stiamo
vivendo.7 «L’uomo ha conquistato il potere frustrante di chiedere qualunque cosa
perché non riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da
un’istituzione».8
Le cose, come oggi sappiamo, non sono andate esattamente così: lo “sviluppo” ha
creato una serie di danni “collaterali” tutt’altro che trascurabili e purtroppo
crescenti, che preannunziano un futuro oscuro del quale – incredibile dictu! –
ha dato una prospezione, estrapolata al 2071, Klaus Schwab,9 membro fra i più
autorevoli dell’élite mondiale, presente in forze al World Government Summit
(WGS),10 tenutosi a Doha, nel Qatar, dal 13 al 15 febbraio 2023, con lo slogan
«Shaping Future Governments» (Plasmare i governi futuri): «Le proiezioni
prevedono un futuro distopico di cambiamenti climatici catastrofici, migrazioni
di massa, licenziamenti di massa dovuti all’automazione, conseguenti disordini
sociali e la fusione di esseri umani e tecnologia».11 Come fotografo del futuro
anche Schwab non è male, bisogna riconoscerlo. Ma il suo obiettivo era quello di
convincere del fatto che i problemi collaterali dovuti al progresso tecnologico
potevano e dovevano essere curati con un’ulteriore dose dello stesso progresso,
come giù aveva intuito e denunciato Illich in un brano che riporteremo più
avanti.
Questo summit vide anche quello che secondo alcuni fu uno “scontro” e secondo
altri uno “scambio” fra Schwab e un altro esponente autorevole dell’élite, Elon
Musk, il quale, secondo il resoconto pubblicato sul sito Money.it, avrebbe detto
che «troppa unità potrebbe far crollare l’intero sistema. “So che questo si
chiama Vertice del governo mondiale, ma penso che dovremmo essere un po’
preoccupati nell’andare troppo nella direzione di un unico governo mondiale…
Questo perché un unico governo mondiale potrebbe comportare un “collasso della
civiltà”. Se, infatti, si avesse una “singola civiltà”, il ‘crollo’ di
quest’ultima coinvolgerebbe l’intero sistema e nulla ne resterebbe al di
fuori».12
Un discorso certamente sensato, inatteso dato il personaggio, che secondo i
maligni lo avrebbe fatto a proprio vantaggio per rallentare l’avanzamento di
alcuni progetti sponsorizzati anche da altri e rispetto ai quali i suoi erano in
ritardo. E infatti è stato subito dimenticato.
Il progresso tecnologico
Una delle attese oggi più consistenti generata dalla credenza nel progresso
tecnologico che promette di colmare i difetti collaterali da esso generati,
secondo i suoi fautori è rappresentata dalla AI, l’Artificial Intelligence. Il
processo della sua crescita e affermazione è in corso con velocità inaspettata,
generando a un tempo speranze e timori che stanno dando luogo a un dibattito
intenso.
Uno dei punti di arrivo agognati dai suoi fan è l’uomo transumano, dalla vita
prolungata anche fino a duecento anni, ma addirittura eterna nella sua versione
cyber. In effetti oggi la vita nelle parti più “progredite” del mondo è
prolungata a scapito di chi vive nelle altre parti (e a quale prezzo!).13
Personalmente non faccio parte di questi fan e nemmeno li comprendo. Trovo
significativo quanto riportato recentemente da Pierluigi Fagan in uno dei suoi
frequenti brevi e densi scritti, intitolato L’erosione della mente: il prezzo
biologico e culturale della delega cognitiva:
«La nostra mente è la funzione dell’organo detto cervello, il quale è la
centrale del sistema nervoso ramificato. Il cervello è fatto di molte cellule
non interconnesse che ancora non abbiamo del tutto capito quali funzioni
presiedono e di un sistema fortemente interconnesso di cellule che si scambiano
impulsi chimici ed elettrici. Il tipo e grado di interconnessione cerebrale fa
un cervello più abile in alcuni compiti piuttosto che altri. In linea generale,
meno interconnessioni, più limitata l’attività mentale, più limitato il
comportamento del soggetto e le sue capacità. Il MIT ha fatto un esperimento sul
funzionamento cerebro-mentale di tre gruppi diversi. Si trattava di scrivere un
breve componimento a soggetto. Un gruppo doveva usare solo le proprie capacità
mentali, il secondo poteva usare Internet e Google, il terzo si affidava ai
sistemi automatici di scrittura. Monitorati nello svolgimento dell’esperimento,
quelli del secondo gruppo hanno mostrato una connettività cerebrale inferiore di
circa il 40% rispetto al primo. Il terzo del 55%. Storicamente, sappiamo che
poiché la biologia si fonda sul principio dell’uso e riuso di certe strutture e
funzioni, meno le si usa meno saranno efficienti ed infine scompariranno. In
pratica, tutto il nostro progresso nel sollevarci dalle fatiche funzionali del
dover far qualcosa, modifica la nostra stessa complessione biologica».14
Vorrei qui riportare una frase che è scolpita come punto di riferimento nella
mia ancorché ormai fragile memoria:
«Forse, prima di lasciare alla scienza moderna l’ultima parola sull’evoluzione
dell’homo sapiens abbiamo bisogno di ascoltare altre culture e di sperimentare
alcuni degli altri modi di ‘essere’ umani».15
Sulla diversità di questi mondi già esistenti e non statici, ma in continua
propria evoluzione, è particolarmente rilevante (lo è stato almeno per me) uno
studio scientifico dell’etnopsichiatra Piero Coppo16, da uno scritto del quale
cito un lungo periodo relativo a questa diversità:
«Altre storie, quelle di altri popoli, hanno sviluppato altre prerogative, altre
potenze. Le etnografie illustrano modalità di esserci nel mondo a noi aliene,
che tengono conto molto più della complessità del sistema umano e delle sue
connessioni con l’ambiente materiale e immateriale in cui evolve di quanto non
faccia il modello che abbiamo ereditato e da cui, a partire dall’Ottocento e dal
Novecento, si sono costituite le discipline della psiche insieme al loro
oggetto, il soggetto psicologico. Volendo intenderci con altri, dobbiamo quindi
trovare un minimo comun denominatore che sia genericamente umano, per concepire
psiche. Possiamo, per esempio, pensarla come quella parte della sfera
immateriale, invisibile e sovraindividuale alla quale i singoli che vi sono
immersi hanno accesso, che li nutre e che loro nutrono. Questa dimensione e i
suoi contenuti si particolarizzano progressivamente localizzandosi nello spazio
e nel tempo, fino a costituire quel particolare aggregato di cultura e psiche
condiviso da uno specifico gruppo, che contribuisce a differenziarlo dai gruppi
vicini, agglomerato che poi si incarna ulteriormente individualizzandosi in una
particolare forma, nel singolo».17
Krisis
Parlando di questo periodo di “transizione”, tipico come si è visto di ogni
passaggio d’era, e dei problemi appena descritti, Illich ne aveva dato questa
descrizione:
«Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri
e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le
libertà. Come i malati, i paesi diventano casi critici. “Crisi”, la parola greca
che in tutte le lingue moderne ha voluto dire ‘scelta’ o ‘punto di svolta’, ora
sta a significare: Guidatore, dacci dentro! Evoca cioè una minaccia sinistra, ma
contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica
gestionale. Le cure intensive per i moribondi, la tutela burocratica per le
vittime della discriminazione, la fissazione nucleare per i divoratori di
energia sono, a questo riguardo, risposte tipiche. Così intesa, la crisi torna
sempre a vantaggio degli amministratori e dei commissari, e specialmente di quei
recuperatori che si mantengono con i sottoprodotti della crescita di ieri: gli
educatori che campano sull’alienazione della società, i medici che prosperano
grazie ai tipi di lavoro e di tempo libero che hanno distrutto la salute, i
politici che ingrassano sulla distribuzione di un’assistenza finanziata in primo
luogo dagli stessi assistiti. La crisi intesa come necessità di accelerare non
solo mette più potenza a disposizione del conducente, e fa stringere ancora di
più la cintura di sicurezza dei passeggeri; ma giustifica anche la rapina dello
spazio, del tempo e delle risorse, a beneficio delle ruote motorizzate e a
detrimento delle persone che vorrebbero servirsi delle proprie gambe. Ma ‘crisi’
non ha necessariamente questo significato. Non comporta necessariamente una
corsa precipitosa verso l’escalation del controllo. Può invece indicare l’attimo
della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende
conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in
maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte
alla quale si trova oggi il mondo intero».18
Si tratta di una descrizione che a chi scrive sembra realistica e opportuna dopo
quanto già detto a proposito della sollecitazione a fare della speranza una
forza sociale attiva di contrasto al “progresso”, parola della quale oggi
conosciamo meglio il significato.
Arche, ponti ma anche loro costruttori
A questo punto, dopo aver scritto varie cose che si presentano a prima vista
frammentate e scollegate, faccio una pausa di riflessione e verifica delle
dimenticanze, iniziando con la ricapitolazione veloce di quanto scritto.
All’inizio è riportata la citazione tratta dell’articolo di Zibechi sulla
necessità di costruire arche per scampare alla tormenta. Arche, per restare
nella metafora, predisposte per una navigazione lunga e avventurosa, condotte da
timonieri esperti nel resistere al canto lusingatorio delle astute sirene
governative. Traducendo in termini reali, queste sirene sono esperte nelle arti
della cooptazione, nel creare caos e diffondere narrazioni ingannevoli,
travestire la rapina in beneficenza, fingere ravvedimenti e, in caso estremo,
usare violenza a man salva.19
Metafore, sia la tormenta che le arche.
La metafora è una figura retorica efficace e utile in casi come questo perché
parla all’immaginazione, cioè al “senti-pensare”20, più che alla pura
razionalità, cosa questa che può talora sconfinare nell’astrazione o in una pura
registrazione di conoscenza in una zona dormiente della memoria, senza generare
un’azione conseguente. Sono tanti i motivi razionali che la preannunciavano,
questa tormenta, e che avrebbero dovuto spingerci a operare per evitare il suo
formarsi. Ma non abbiamo fatto niente di concreto per evitarla.
Costruire arche e ponti, quindi, capaci di resistere alla tormenta. Perché
questo avvenga, è necessaria una conoscenza specifica che certamente la «gente
comune» non ha appreso nelle scuole del “sistema”, destinate a formare gestori
acritici e zelanti di esso. Per questo, avverte Zibechi, occorre non aspettarsi
aiuti dall’alto ma darsi da fare qua in basso, dove ci troviamo, aiutandoci
reciprocamente e organizzandoci.
“Organizzare la speranza”, che è una forza sociale, aveva detto un altro esperto
lottatore antisistema, Gustavo Esteva, che il sistema lo conosceva bene avendone
salito le scale fin quasi alla stanza del comando, pensando che così avrebbe
potuto cambiare il suo mondo, quello messicano, prima di rendersi conto che così
non sarebbe stato e decidere di de-professionalizzarsi e di schierarsi con la
«gente comune», appunto. La sua visione politica, una volta uscito dalle stanze
del potere, era divenuta chiara: il «mondo nuovo» lo avrebbero costruito coloro
che dal sistema avevano ricevuto bastonate ed erano stati incatenati a una vita
di miserie: i popoli indigeni, gli emigranti, le donne che avevano preso
coscienza dell’esistenza del patriarcato, i senza lavoro, e con loro alcuni
altri, mossi da antichi ideali. E aveva preso atto che le forze rivoluzionarie
organizzate in cui si era creduto erano cambiate, perché avevano perduto la
fiducia in se stesse, erano scese a patti con le élites del sistema. Queste, in
sintesi, le sue conclusioni: le sinistre organizzate nei partiti, come pure i
movimenti sociali, ormai hanno cambiato natura, e quindi obiettivi e strategie.
Non è più possibile contare su di loro per un reale cambiamento radicale del
sistema. E neppure si può contare sulle élites, che da tempo si sono ritagliate
il proprio angolino nel sistema. Quelle che si vogliono ancora “progressiste” si
sono messe l’anima in pace con l’assunzione della scappatoia del «riformismo»,
ma mantenendo un linguaggio di sinistra dissociato dalla pratica.
Dopo aver parlato di tormenta e di suoi responsabili, di costruire arche e ponti
per resisterle, dobbiamo parlare anche dei loro costruttori. Sarà fatto.
Aldo Zanchetta, dall’’arca del “tiglio di Gragnano”
(Aldo Zanchetta ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla
paura)
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Note
1 Minga, tequio: termini indigeni per definire i lavori comunitari collettivi.
2 https://comune-info.net/create-due-tre-molte-arche/
> Create due, tre, molte arche
3 Illich I., Descolarizzare la società, Mondadori, Milano, 2019 [1971],p. 172.
4 Ibidem, p. 173.
5 Gilbert Rist, Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale, Bollati
Boringhieri editore, Torino, 1997.
6 Riporto volentieri il pensiero del Mahatma Gandhi sui “diritti”: «Tutti i
diritti degni di essere meritati e conservati sono quelli dati dal dovere
compiuto. Così, lo stesso diritto alla vita ci viene soltanto quando adempiamo
al dovere di cittadini del mondo. Secondo questo principio fondamentale, è
probabilmente abbastanza facile definire i doveri dell’Uomo e della Donna e
collegare ogni diritto a un dovere corrispondente che conviene compiere in
precedenza. Si potrebbe dimostrare che ogni altro diritto è solo un’usurpazione
per cui non val la pena di lottare» (risposta di Gandhi, interpellato
dall’UNESCO sull’argomento).
7 Vedi Stefano Boni, Homo comfort. Il superamento tecnologico della fatica e le
sue conseguenze, Elèuthera 2014.
8 Ivan Illich, ibidem, p. 171.
9 Klaus Schwab, creatore e all’epoca ancora presidente del World Economic Forum
di Davos (WEF).
10 WGS, Global Government Summit, una piattaforma globale di scambio di
conoscenze interno all’élite del sistema dedicata a plasmare il futuro del
governo unico mondiale, auspicato per il 2071. I partecipanti all’evento
comprendevano oltre 300 relatori e 10.000 presenze, tra cui 250 ministri di
governo e rappresentanti di 80 organizzazioni internazionali, regionali e
governative, tra cui le Nazioni Unite, il World Economic Forum (WEF),
l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale.
11
https://childrenshealthdefense.org/defender/musk-contro-schwab-al-world-government-summit-scontro-su-due-visioni-del-futuro/?%20lang=it
12
https://www.money.it/wgs-lo-scontro-tra-musk-e-schwab-al-vertice-mondialista-delle-elite-tecnocratiche
13 Per vederne alcuni aspetti che più demenziali non si può, si può leggere
l’inchiesta condotta dallo scrittore scozzese O’Connell (Essere una macchina,
Adelphi 2017), in cui si narra delle cliniche criogeniche ove malati terminali
ricchi si fanno ibernare in attesa che la scienza abbia trovato il modo di
guarirli.
14
https://www.money.it/l-erosione-della-mente-il-prezzo-biologico-e-culturale-della-delega-cognitiva
15 Scott Eastham, Visioni del mondo in collisione. La sfida dell’ingegneria
genetica, in InterCulture n. 2, 2005, Città Aperta ed., p. 30.
16 Piero Coppo, Le ragioni degli altri. Raffaello Cortina ed., Milano, 2013.
17 Ibidem, p. 164. Lo stesso Coppo fa una osservazione: «Questa constatazione
permette di uscire dalla scelta obbligata tra la fede in un solo dio-creatore e
il pensiero o il relativismo culturale acritico, offrendo l’opportunità di un
salto epistemologico importante che consente di passare in forze da una
cosmologia universale a una pluri-versa. Oggi è cioè possibile, sulla scelta
delle nuove teorie sulla complessità, sui sistemi acentrici e
sull’autorganizzazione [ … ], accedere a una prospettiva tendenzialmente
meta-culturale che permetta di sostenere, con uno sguardo dall’alto, l’esistenza
e la coesistenza nello stesso spazio e tempo di molti mondi più o meno
compatibili tra loro, sopportando la mancanza di un vertice che li riassuma in
uno solo, in un solo edificio e destino che sarebbero, d’altra parte,
inevitabilmente caotici e incoerenti» (Ibidem, pp. 191.192).
18 Ivan Illich (2005 [1978]), Disoccupazione creativa. Un nuovo equilibrio tra
le attività svincolate dalle leggi di mercato e il diritto all’impiego, trad.
it. E. Capriolo, Boroli, Milano, pp. 20-21.
19 Matthieu Amiech, L’industria del complottismo. social network, menzogne di
Stato e ricostruzione del vivente, Edizioni Malamente, Urbino 2024.
20 Il senti-pensare è la fusione di due modi di percepire e interpretare la
realtà a partire dalla riflessione e dall’emotività dando luogo a una
concomitanza di pensiero e di azione, fino alla convergenza in un unico atto di
conoscenza e di azione. Il senti-pensare è l’incontro intensamente consapevole
tra sentimento e ragione.
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L'articolo Affrontare la tormenta proviene da Comune-info.