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La risposta giusta – di Effimera
La giornata di manifestazioni che ha attraversato Milano il 6 settembre 2025, in risposta allo sgombero del centro sociale Leoncavallo, è stata un avvenimento di grande valore che ha spezzato, almeno per un attimo, la narrazione negativa che ci circonda da ogni lato con i suoi corollari di impotenza e di paura. A nostro [...]
Se Israele blocca la Sumud, noi blocchiamo l’Europa – di Effimera
I portuali di Genova hanno capito tutto. E noi dovremmo seguirli, senza pensarci due volte, cogliendo lo spirito del tempo. I centri sociali del Nord Est hanno boicottato la Mostra del Cinema di Venezia, chiedendo l’esclusione dal programma di due star sioniste conclamate: il Lido è stato preso d’assalto da più di diecimila attivisti. [...]
Taranto, laboratorio di speculazione e rinvii infiniti – di Franco Oriolo
A Taranto nulla accade per caso. La vicenda della continuità produttiva di Acciaierie d’Italia (ex Ilva) è l’ennesima truffa orchestrata con cinismo: dietro le parole di “transizione” e “rilancio” si nasconde sempre lo stesso gioco sporco, che cambia interlocutori ma non sostanza. Le promesse di risanamento e lavoro sono vuote menzogne, consumate e gettate [...]
29, 30, 31 Agosto – Dai monti ai piani: partigian*
L’11 Agosto ’44 al suono della Martinella inizia l’avanzata delle brigate partigiane per la Liberazione totale della città dalle truppe nazifasciste Il 31 Agosto l’intero territorio comunale viene liberato e i giorni successivi anche Sesto, Campi e l’intera Piana vedono la cacciata dei nazifascisti Csa next-Emerson, Cantiere Sociale Cienfuegos di Campi Bisenzio e Circolo Arci di Quinto Basso insieme per continuare una memoria collettiva e dal basso dell’operato di quelle donne e uomini che hanno combattuto il nazifascismo Perchè la storia della Liberazione dalle nostri parti è storia di gente comune, di rabbia e di amore. È la storia di chi che non ha atteso gli Alleati e si è alzato da solo contro il regime fascista. E’ la storia e la memoria sono ingranaggi collettivi ———————————————————————————————————————————————- Programma Venerdì 29 Agosto al Csa Next-Emerson ore 19.00 – “Archivi storici: una cassetta degli attrezzi per una memoria collettiva” ne parliamo con Anpi Oltrarno, Biblioteca Franco Serantini – Pisa, Collettivo Articolo 21 – Sesto Fno ore 20.30 – Cena Resistente ore 22.00 – Concerto con ” I suonatori de la leggera” Sabato 30 Agosto al Circolo Arci La Costituzione di Quinto Basso ore 19.00 – Presentazione libro sulla Resistenza fiorentina (dettagli a presto) ore 20.30 – Cena Resistente ore 22.00 – Concerto (dettagli a presto) Domenica 31 Agosto al Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos di Campi Bisenzio ore 10.00 inizio torneo di calcetto antirazzista ore 13.00 Pranzo resistente ore 17.00 Conclusione torneo e premiazioni Pranzo e cene dei tre giorni benefit
Appello delle donne ezide al governo italiano: «Riconoscere il genocidio di Shengal»
Il 3 agosto prossimo la comunità ezida ricorderà il genocidio del 2014, quando nel distretto di Shengal (Iraq), proprio in quella data, i miliziani dello Stato Islamico (Deash) fecero irruzione nelle abitazioni e nelle vite delle e degli ezidi seminando violenza e terrore. Le avvisaglie di quanto stava per accadere c’erano e il genocidio si sarebbe potuto impedire, ma qualcosa si mosse alle spalle di questo popolo, condannandolo a un massacro. Uomini, ragazzi e donne anziane furono uccisi dai jihadisti dello Stato Islamico mentre le donne più giovani insieme ai bambini e alle bambine furono rapite. Ancora oggi, le fosse comuni continuano a restituire i resti delle uccisioni di massa. Le donne e i bambini scappati dalla prigionia invece hanno raccontato storie raccapriccianti: donne, ragazze e bambine violentate in continuazione e vendute come schiave; bambini obbligati a convertirsi all’islam e a imbracciare le armi per uccidere tutti gli infedeli, a cominciare delle e dagli ezidi, ossia dai membri della loro stessa comunità. Un genocidio in piena regola che le e gli ezidi definiscono anche come “genocidio culturale”. Lo Stato Islamico, infatti, con la sua brutalità ha mirato a cancellare il culto ezida, che venera Melek Ta’us, ossia l’Angelo Pavone, che nell’islam rappresenta Iblis, cioé il Diavolo. Ma questo popolo è tutt’altro che adoratore del Diavolo, al punto da non riconoscere l’esistenza di Satana, nella convinzione che la fonte del male si trovi solo nei cuori umani. > Lo Stato Islamico però non si è diretto verso questo popolo con l’intento di > sterminarlo per ragioni esclusivamente religiose, poiché l’attacco che ha > sferrato era dettato anche da necessità più strategiche. Nel 2014 aveva già occupato parti della Siria e dell’Iraq e il distretto di Shengal, all’epoca sotto il controllo militare dei peshmerga del KDP (Partito Democratico del Kurdistan), partito alla guida del governo del Kurdistan iracheno, era il tassello mancante per comporre il puzzle della costruzione del Califfato. L’integrazione del distretto ai territori già conquistati significava creare una continuità territoriale che permetteva di raggiungere in tempi brevi le due più grandi città del Califfato, la capitale Raqqa, in Siria, e Mosul, in Iraq, cancellando in questo modo anche i confini disegnati dalle potenze coloniali.  Tra Daesh e il KDP era stato raggiunto un accordo con il quale il primo aveva garantito di non ostacolare l’avanzata del secondo nella ricca regione petrolifera di Kirkuk, in quel momento nelle mani del governo centrale di Baghdad, in cambio del lasciapassare su Shengal. Come la storia ci racconta, l’accordo siglato è stato rispettato da entrambe le parti e la forza devastatrice dello Stato Islamico ha travolto la comunità ezida. La paura però che la storia non venga trascritta fedelmente e che la memoria possa perdersi con il trascorrere del tempo ha spinto le sopravvissute e i sopravvissuti ezidi a impegnarsi perché questo non avvenga. Ma sono soprattutto le sopravvissute a essersi caricate sulle spalle questo lavoro e lo fanno anche attraverso le proprie organizzazioni delle donne. Le donne della comunità ezida che si riconoscono nell’Amministrazione Autonoma di Shengal, forma di autogoverno basata sui principi del confederalismo democratico espressi dal leader curdo del PKK, Abdhulla Öcalan, hanno costituito due organizzazioni femminili, il TAJE nel 2016 e l’Êzîdî Woman Support League nel 2019 (tre delle sette fondatrici di quest’ultima erano state rapite da Daesh), che operano nella società civile per supportare le ezide liberate dalla schiavitù imposta dallo Stato Islamico e per rintracciare quelle ancora nelle sue mani e liberarle, per tramandare le tradizioni ezide alle nuove generazioni e garantire loro un’istruzione adeguata ma anche per parlare del genocidio e comprenderne le cause e i suoi effetti. Le donne sono certe che la loro comunità dovrà affrontare nuove sfide insidiose e vogliono farla trovare preparata affinché sia scongiurata la sua estinzione.  > Il lavoro sociale e politico che portano avanti disegna il nuovo ruolo che > hanno nella contemporanea società ezida, che continua a fare i conti con il > lascito del genocidio. In questa società la donna ezida è una figura indispensabile e copre tutti gli spazi politici rivestiti anche dagli uomini, con la messa in pratica della doppia carica (co-presidente, co-sindaco/a, ecc.) all’interno delle amministrazioni e delle organizzazioni della società civile. L’istruzione delle bambine e delle ragazze, sacrificata per molto tempo, oggi è al centro dello sforzo collettivo della comunità che guarda a loro con occhi diversi, investendo sulla loro formazione perché possano partecipare con gli strumenti della cultura alla elaborazione e realizzazione del confederalismo democratico. Sulla scia di questo paradigma politico, le donne ezide dovranno lottare duramente contro ogni forma di patriarcato per costruire una società democratica, libera e in armonia con l’ambiente. Ma non solo. Le donne ezide non si devono limitare alla partecipazione politica e sociale ma sono chiamate a difendere la propria comunità, la propria terra e la propria cultura attraverso la resistenza armata. Infatti, mentre lo Stato Islamico faceva razzia nei villaggi e nelle città ezide conquistate, circa 350mila ezidi cercavano di mettersi in salvo scappando sulla Montagna di Shengal per evitare la condanna jihadista. Questo lungo fiume di persone affaticate e disperate era stato protetto dal HPG, l’ala armata del PKK, che era prontamente intervenuto in soccorso, nell’attesa che le cancellerie del mondo decidessero se e come aiutare quella popolazione in pericolo.  Al HPG ben presto si erano aggiunte le YPG, le unità di resistenza curde del Rojava, ma la stessa comunità ezida non era restata inerte. Tra coloro che si erano uniti alla battaglia per riconquistare la propria terra c’erano anche le donne, le quali nella primavera del 2015 avevano dato vita alle YJŞ, ossia le unità di resistenza delle donne ezide. > Le YJŞ insieme alle YBŞ, le unità di resistenza degli uomini ezidi, hanno il > compito di difendere il territorio di Shengal e l’Amministrazione Autonoma. Daesh non poteva immaginare che con il suo progetto genocida avrebbe contribuito a liberare intelligenze, energie e forze che appartengono alle donne ezide. Proprio loro che, nel disegno che aveva in mente lo Stato Islamico, avrebbero dovuto rappresentare il simbolo, insieme ai bambini ezidi trasformati in soldati, del disfacimento della cultura e della società ezida attraverso l’umiliazione della conversione forzata all’islam e degli stupri, hanno saputo interrogarsi davanti alla tragedia e a dare risposte concrete. No, Daesh non poteva immaginare che la risposta al suo progetto genocida sarebbe stato l’inizio di un cammino che porta alla liberazione della donna dalle grinfie del patriarcato. Nonostante ci sia una legge irachena, la Yazidi (Female) Survivors’ Law entrata in vigore nel 2021, che riconosce il genocidio degli ezidi e di altre minoranze da parte di Daesh e il 3 agosto venga indicata come data di commemorazione nazionale, a 11 anni dal genocidio la comunità ezida non si sente ancora fuori pericolo perché vive sotto la pressione degli interessi che il governo centrale di Baghdad e il KDP hanno sull’area, ma è soprattutto la Turchia che la preoccupa, con i ripetuti attacchi effettuati con i droni che prendono di mira i membri dell’Amministrazione Autonoma uccidendoli in quanto reputati affiliati del PKK.  Questa situazione pericolosa genera instabilità, aggravata anche dalla carenza di molti servizi e infrastrutture, diretta conseguenza della distruzione provocata da Daesh, e scoraggia il rientro delle tante famiglie ezide che ancora vivono nei campi profughi del Kurdistan iracheno. Con l’avvicinarsi del 3 agosto, il TAJE ha scritto al Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, e a 14 Paesi, tra cui l’Italia, per chiedere che il genocidio venga riconosciuto. In Italia la richiesta per il riconoscimento pende davanti al Governo già da cinque mesi, ossia da quando la deputata Laura Boldrini, presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, su domanda dell’Associazione Verso il Kurdistan odv, l’ha formalizzata nella seduta parlamentare del 21 febbraio.  > Il Governo italiano non si è ancora espresso è il TAJE lo esorta a farlo. Il > testo che segue è la lettera inviata dal TAJE: «Sono trascorsi undici anni dal 74° genocidio, ma le ferite non sono ancora guarite e la tragedia non è ancora stata superata. Circa 2.900 ezidi, per lo più donne e bambini, sono ancora tenuti prigionieri dai mercenari dell’IS. Il destino di centinaia di loro rimane sconosciuto. Decine di fosse comuni sono ancora in attesa di riesumazione e continuano a essere scoperte nuove fosse comuni. In 11 anni, 14 paesi hanno riconosciuto l’attentato del 3 agosto come genocidio. Come Movimento per la Libertà delle Donne Ezide, abbiamo preparato un dossier completo sul genocidio del 3 agosto 2014. Vi presentiamo un dossier contenente documenti e informazioni che dimostrano che ciò che il popolo ezida di Shengal ha subito è stato un genocidio. Vi esortiamo ad adempiere al vostro dovere e alla vostra responsabilità umanitaria e a riconoscere ufficialmente il massacro come genocidio. Come donne ezide, ci siamo organizzate nel 2015 con il nome di Consiglio delle Donne Ezide per impedire il massacro delle donne e della nostra comunità in seguito al genocidio del 2014. Abbiamo fondato la nostra organizzazione in risposta al genocidio che ha colpito le donne ezide e la comunità ezida. Abbiamo ampliato i nostri sforzi per dare potere alle donne e consentire loro di proteggersi da attacchi e genocidi. Nel 2016, abbiamo fondato il Movimento per la Libertà delle Donne Ezide” (TAJÊ) attraverso un congresso da noi organizzato. Come donne ezide di Shengal, continuiamo il nostro lavoro». L’immagine di copertina è di Carla Gagliardini SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Appello delle donne ezide al governo italiano: «Riconoscere il genocidio di Shengal» proviene da DINAMOpress.
Le Brigate al-Qassam lanciano attacchi contro le IOF a Khan Younis
Gaza-almayadeen.net. Le Brigate al-Qassam, ala militare di Hamas, hanno annunciato giovedì una serie di operazioni coordinate contro le forze di occupazione nel sud della Striscia di Gaza, in particolare a Khan Younis. Gli attacchi arrivano nel contesto di continui scontri e di persistenti incursioni terrestri israeliane nell’enclave assediata. Secondo una dichiarazione del gruppo della Resistenza, diversi colpi di mortaio sono stati lanciati contro un raggruppamento di soldati israeliani e veicoli militari a est dell’area di al-Qarara, a nord-est di Khan Younis. Il bombardamento avrebbe provocato vittime tra le forze di occupazione. In un’altra operazione, i combattenti di al-Qassam hanno fatto esplodere tre bombe artigianali all’interno di un hangar per veicoli militari israeliani situato a sud della zona di Batn al-Sameen. Secondo il gruppo, l’esplosione ha causato morti e feriti tra i soldati israeliani. Sempre nella giornata di giovedì, le Brigate al-Qassam hanno teso un’imboscata a tre veicoli blindati israeliani per il trasporto truppe in un’operazione ben coordinata a est di Khan Younis. Il gruppo ha descritto l’azione come “complessa” e finalizzata a ostacolare l’avanzata delle colonne militari israeliane nell’area. Questi sviluppi fanno parte di una più ampia campagna di operazioni delle Brigate al-Qassam a Khan Younis, dove la Resistenza continua a mantenere una presenza attiva nonostante intensi bombardamenti aerei e attacchi via terra. Le operazioni più recenti sottolineano la resilienza continua delle fazioni della Resistenza palestinese, nonostante gli sforzi dell’occupazione per consolidare il controllo nel sud di Gaza. Nonostante i bombardamenti prolungati e i tentativi di penetrare le posizioni difensive, i combattenti sono riusciti a colpire le forze israeliane. Mercoledì, le Brigate al-Qassam hanno annunciato che, lunedì sera, i loro combattenti avevano fatto esplodere un ordigno contro le forze israeliane nella Striscia di Gaza meridionale. In un comunicato, al-Qassam ha riferito che i suoi combattenti hanno fatto esplodere tre bombe contro un convoglio di veicoli militari israeliani nella zona meridionale di al-Batin as-Sameen, a sud di Khan Younis, provocando morti e feriti tra i soldati israeliani. Sabato 26 luglio, le Brigate al-Qassam hanno annunciato di aver eseguito un’imboscata complessa contro tre mezzi blindati israeliani per il trasporto truppe a est di Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale. Nel loro comunicato, le Brigate hanno affermato che i combattenti hanno fatto esplodere con successo due di questi veicoli utilizzando ordigni esplosivi improvvisati piazzati in anticipo nelle cabine, distruggendo entrambi i mezzi e uccidendone gli occupanti. Traduzione per InfoPal di F.F.
Vicenza: «Difendiamo i boschi contro una idea falsa di sviluppo»
L’8 luglio una grande mobilitazione ecologista ha impedito l’accesso a un’area boschiva che si vuole abbattere per fare spazio alla TAV tra Padova e Verona. Abbiamo intervistato attivist3 della rete “Boschi che resistono” per comprendere le origini e le prospettive della loro lotta. Potete raccontare cosa è il bosco di Ca’ Alte e come è nata l’azione della rete “Boschi che resistono” a Vicenza? È una area boschiva di 14mila metri quadrati nel cuore della città di Vicenza. Vogliono abbatterla per fare spazio a un’area di cantiere del progetto TAV. Inoltre è prevista la costruzione di una strada, un viadotto che scavalcherà la ferrovia. Siamo entrat3 in questo bosco e in un’altra area boschiva a 200 metri di distanza un anno fa, nel maggio 2024 per scongiurare l’abbattimento, che abbiamo fatto ritardare fino a oggi. In un anno si sono avvicinati molti gruppi a questa realtà, anche gruppi che hanno compreso la lezione di Luzerath in Germania e praticano forme di resistenza e disobbedienza civile che consistono nel presidiare l’area attrezzata con casette sugli alberi che ci aiuteranno a difendere questa meraviglia che una città inquinata come Vicenza non si può permettere di perdere. Il bosco di Ca’ Alte grazie allo studio svolto da agronomi forestali di fama nazionale è stato dichiarato un valore ecosistemico da preservare. I boschi sono riserve di carbonio che catturano la CO2 in atmosfera, ci aiutano a respirare perché producono ossigeno, abbattono le polveri sottili perché le assorbono, oltre a trattenere la pioggia nel caso di eventi piovosi, e in una città a rischio idrogeologico elevato ha notevole importanza. Inoltre hanno un ruolo nella diminuzione delle temperature vista la tendenza mondiale all’innalzamento. I boschi maturi come quello di Ca’ Alte, sviluppati nel corso di decenni, vanno assolutamente tutelati. Ci dicono che una volta finite le opere – si stima una decina di anni – ripristineranno l’area e pianteranno “piantine” di 1 o 2 anni di vita cresciute in serre in nord Europa, ma che sono molto fragili e muoiono facilmente. Inoltre la loro capacità di influire negli effetti di mitigazione sopra descritti non è comparabile a boschi che hanno decine di anni. Questo bosco è un avamposto di resistenza a questa assurda opera che è il TAV dentro la città. Cerchiamo di difendere questi meravigliosi esseri viventi, cioè questi boschi che resistono a una idea di sviluppo tanto falsa quanto folle. Mobilitazione a difesa del bosco dell’8 luglio 2025 L’8 luglio avete subito un forte tentativo di sgombero da parte delle forze dell’ordine, cosa è successo e quale è ora la situazione nel Bosco di Ca’ Alte? È stata una giornata molto intensa per l’assemblea dei Boschi e per la città di Vicenza, abbiamo coinvolto circa 250 persone per impedire lo sgombero. Dalle 5 del mattino eravamo pront3, le forze dell’ordine sono arrivate molto presto per convincerci ad abbandonare l’area e permettere ai lavori di Iricav – il general contractor per la TAV – di proseguire. Molte di noi erano sedute fuori dal cancello, persone di età differenti. Erano incatenati tra di loro e sono stati portati via a forza. Poi hanno iniziato a tirare giù il cancello e le barricate costruite. Alcune signore dell’assemblea dei boschi erano sopra alla barricata e sono state portate giù con il macchinario dei pompieri. In seguito alla seconda barricata si è resistito agli idranti con gli scudi. Nessun albero è stato abbattuto e questo era il nostro obiettivo. In questi giorni hanno iniziato a mettere colate di cemento all’ingresso. Stiamo dormendo nei boschi da un po’ per controllare cosa fanno ogni giorno operai e forze dell’ordine. Continueremo a vivere i boschi e a lottare contro il progetto TAV. Pensiamo che sia un progetto obsoleto che distrugge l’ambiente, la città e la salute. Siamo persone lavoratrici, pensionate, che studiano, alcune hanno preso le ferie per difendere il bosco. Tutto questo è un simbolo della nostra determinazione e crea molta gioia nello stare assieme, perché si sta creando una forte collettività. Immagine di “Boschi che resistono” Nell’opposizione alla distruzione di questo bosco contestate l’inutilità dell’opera TAV ma proponete anche alternative. Ci puoi spiegare perché ritenete quel tracciato ferroviario inutile e quali potrebbero essere altre opzioni? Chiediamo l’opzione zero, che significa l’ammodernamento della linea con le tecnologie più recenti ed efficienti, che permettono di aumentare la capacità della linea senza dover devastare la città. La valutazione della opzione zero è prevista dalla norma, e Rfi non l’ha fatto. L’Europa, quando parla di TAV, precisa di costruire linee nuove dove questo è possibile, ma dove ci sono dei vincoli territoriali/tipografici anche dovuti ai nuclei urbani prescrive l’ammodernamento e non linee nuove. Infatti nella vicina regione Friuli Venezia Giulia, per tutta la tratta di 140 km, da Venezia a Trieste, è stata adottata l’opzione zero. Questo dimostra che dove c’è la volontà politica, l’opzione zero è possibile. Noi lo chiediamo per i 10 km del tratto di Vicenza. La soluzione eviterebbe anche la costruzione dell’impattante salto de montone, un cavalcaferrovia alto 7 metri, in una zona rurale la cui vocazione è rimanere verde. L’opzione zero eviterebbe le opere complementari e compensative che di fatto sono tutte opere di cemento e asfalto, si eviterebbero 30 km di nuove strade a fronte di 10 km di ferrovie. Possiamo parlare di un progetto ferroviario con questi numeri? Le Conseguenze dei cambiamenti climatici che stiamo vivendo ci dovrebbero indurre a ragionare su altri tipi di infrastrutture, opere verdi che mettano in sicurezza il territorio, che riducano le emissioni di CO2, che rendano le città più vivibili aumentando il verde non il cemento. Come continuerà durante l’estate la vostra lotta a Vicenza? Per il momento l’idea è continuare a proporre eventi culturali, sociali per far vivere i boschi a quante più persone possibili, di Vicenza ma non solo. È importante che la città sia consapevole di quello che vogliono dire questi boschi per chi vive in questi luoghi. Il presidio permanente continuerà al bosco di Ca’ Alte, quello più a rischio dove stanno facendo i lavori all’entrata. Continueremo a presidiare e continueremo a vivere i boschi e a resistere assieme a loro. Vedremo se le istituzioni nel frattempo si renderanno conto di quanto grave sia quello che sta accadendo. Immagini di copertina e nell’articolo di “Boschi che resistono” SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Vicenza: «Difendiamo i boschi contro una idea falsa di sviluppo» proviene da DINAMOpress.
Media israeliani: Hamas riorganizza il comando e lancia attacchi utilizzando nuove informazioni a Gaza
Presstv. Un rapporto dei media israeliani indica che il movimento di resistenza palestinese Hamas ha riorganizzato la sua struttura di comando e sta eseguendo attacchi mortali basati su nuove informazioni, nonostante le continue pressioni israeliane e un’incessante campagna militare durata mesi nella regione assediata. Oggi ne sono stati uccisi tre durante scontri con la resistenza nel nord della Striscia di Gaza. L’israeliano Walla News, citando fonti, ha riferito che Izz al-Din al-Haddad, comandante dell’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, sta attivamente raccogliendo informazioni precise sui movimenti delle truppe israeliane su più fronti a Gaza. “Queste informazioni hanno permesso al gruppo palestinese di condurre attacchi coordinati, tra cui il fuoco di cecchini, attacchi con missili anticarro e l’impiego di esplosivi in varie forme, dal fuoco di armi leggere ai bombardamenti di mortaio”. Il rapporto ha inoltre sottolineato che Hamas ha nominato con successo nuovi comandanti sul campo e sta mantenendo una catena di comando funzionale che dirige le operazioni di guerriglia dalla città di Gaza e dai campi centrali verso le zone-chiave di battaglia. Ciò avviene mentre sono emerse critiche senza precedenti contro le politiche guerrafondaie del primo ministro Benjamin Netanyahu. L’editorialista israeliano Nadav Eyal, in un’opinione fortemente espressa su Yedioth Ahronoth, ha descritto la guerra a Gaza come una trappola mortale, caratterizzata da pesanti perdite e da un incessante consumo di risorse. Nonostante le ripetute rassicurazioni di Washington sul suo “sincero sostegno”, Eyal ha lasciato intendere che permangono seri dubbi sulla strategia complessiva di Israele a Gaza. L’analista ha anche messo in dubbio l’utilità dell’ultimo incontro di Netanyahu con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, mentre altre cinque famiglie israeliane piangevano i loro figli uccisi a Gaza. Slogan come “disarmare Hamas” o “impedirgli di governare” mancano di reale sostanza, ha sostenuto, e perseguirli richiederebbe una “piena occupazione militare” del territorio assediato – una mossa che ha descritto come una spinta a Israele in un “pantano vietnamita” senza via d’uscita. Eyal ha descritto senza mezzi termini uno scenario del genere – un’occupazione militare totale – che porterebbe a un’infinita stanchezza e a un continuo spargimento di sangue. Ha anche contestato la narrazione del governo, affermando senza mezzi termini: “Hamas non è stata sconfitta”. Citando dati militari, Eyal ha rivelato che 38 soldati israeliani sono stati uccisi da marzo, il che suggerisce che le capacità di combattimento di Hamas rimangono sostanzialmente intatte. Ha inoltre sottolineato le recenti imboscate mortali – tra cui l’attacco di Beit Hanoun – avvenute in aree precedentemente dichiarate “sicure”. Il maggiore generale di riserva israeliano Yitzhak Brik aveva precedentemente dichiarato al quotidiano in lingua ebraica Maariv che Hamas aveva riacquistato la sua forza prebellica, contraddicendo i resoconti dell’esercito israeliano sui progressi nel territorio palestinese assediato. Brik ha definito “cupa” la realtà sul campo per i soldati israeliani. Ha inoltre sottolineato che Hamas conta ora circa 40.000 combattenti della resistenza, una forza simile a quella che aveva prima dell’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza. Hamas ha recentemente dichiarato che “la resistenza sta conducendo una guerra di logoramento in risposta al genocidio israeliano incessante contro i civili, sorprendendo quotidianamente il nemico con rinnovate tattiche sul campo”. Negli ultimi giorni, i combattenti della resistenza palestinese hanno ucciso e ferito decine di membri delle forze di occupazione israeliane in una serie di imboscate, nel contesto dell’escalation dell’aggressione del regime al territorio assediato. Gli osservatori affermano che le operazioni dimostrano che il gruppo di resistenza rimane forte e tenace, a più di 20 mesi dall’inizio dell’offensiva aerea e terrestre israeliana a Gaza. Rami Abu Zubaydah, analista militare palestinese, ha affermato che le ultime operazioni di resistenza contro le forze d’invasione israeliane a Gaza dimostrano che Hamas sta “passando da una fase difensiva a una modalità di attacco tattico”. Hamas ha inoltre sottolineato che la “vittoria assoluta” di cui parla Netanyahu non è altro che un’illusione per trarre in inganno il suo pubblico. Gli osservatori sostengono che Israele non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi nella sua brutale guerra nella Striscia di Gaza. Secondo il ministero della Salute di Gaza, dall’inizio della campagna militare israelo-americana nell’ottobre 2023 sono stati uccisi più di 57.700 palestinesi, per lo più donne e bambini. Oltre 137.600 persone sono rimaste ferite.
Il regime del maschio e le nuove sfide per l’antifascismo
La presa di potere di Trump è stata accompagnata dal supporto di una componente socio culturale che sembra prendere sempre più piede, contraddistinta da antifemminismo, solidarietà tra maschi e disprezzo per tutto ciò che ha a che fare con il genere: la cosiddetta “cultura bro”. Trump si è sempre presentato come uomo forte, ed è riuscito a formare una coalizione fatta da uomini, da “bros”- vezzeggiativo di fratelli in inglese – tech bros, street bros, crypto bros, sports bros, gym bros, Wall street bros e molto altro ancora. Questi hanno utilizzato tutte le piattaforme a loro disposizione per persuadere giovani uomini che Trump sarebbe stato l’uomo forte che avrebbe riportato al centro del potere la maschilità e reso gli Stati Uniti un paese di nuovo rispettabile. Gli strumenti con cui si è imposta tale narrativa sono molteplici, uno su tutti i video podcast, che sembra siano stati un vettore trainante fondamentale per la vittoria elettorale, tra questi il popolarissimo video podcast di Joe Rogan, che con la sua intervista di tre ore a Trump nell’ottobre del 2024 ha ottenuto 50 milioni di visualizzazioni su YouTube. Anche se nessuno degli Youtuber si professa ufficialmente un analista politico, in questi format le discussioni, dai toni fortemente conservatori, scorrono a ruota libera tra sport, maschilità, scherzi e scommesse tra “bros”. Trump ha vinto con ampio margine nel voto maschile. Il 54% di uomini lo ha votato, con un 6% in più rispetto al 2020 tra uomini under 30. Ha visto crescere inoltre il suo supporto nella comunità Nera ed è esploso nella comunità Latina, con un +18% a confronto del 2020. Trump ha stimolato tra i “maschi” una sorta di istinto di sopravvivenza nell’epoca contemporanea attraverso il miraggio della supremazia. Ha promosso messaggi che vanno ben oltre la facoltà di ragionamento razionale, ha parlato ai “maschi” come «qualcuno che sa davvero quali sono i tuoi bisogni». Ha così stimolato il bisogno di riprendere il controllo, di dominare in famiglia come nel mondo: elementi che hanno a che fare con le funzioni basiche espletate dal cervello rettiliano e che sono pilastri fondanti di secoli patriarcato.  E ha avuto successo. Le radici di questo fenomeno, che negli Stati Uniti si è palesato in modo così evidente ma che è esplicito in molti altri contesti internazionali, si possono ritrovare nell’avanzamento del movimento transfemminista che in tutto il mondo ha riportato al centro del dibattito politico il potere e l’abuso del maschile, e che ha provocato una reazione opposta così scomposta e ramificata. > Il problema forse più grave è che questo avanzamento simbolico-culturale del > macho – ovviamente nella forma socialmente accettabile del “bro” – crea un > humus nella società che rafforza, supporta e legittima il consenso al potere > maschile autoritario e fascista che la presidenza Usa sta imponendo dentro e > fuori i propri confini. Questo consenso sociale rende ancora più complesso contrastare quel potere, resistere e agire per vedere la sua fine. Trump inoltre è solo il modello più evidente e presente nei media mondiali. Fenomeni simili si registrano anche in altri paesi guidati dalla destra estrema come l’Argentina di Milei, o l’Ungheria di Orbán. Mercoledì 16 Luglio, ad Acrobax, all’interno del Festival Itinerante di Dinamopress discuteremo di questo fenomeno assieme ad alcune ospiti. Sarà con noi Leonardo Bianchi, giornalista indipendente esperto di cultura e società statunitense, che ha scritto a lungo sulla cultura bro e sul suo impatto. Sarà con noi anche Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, che ha approfondito l’avanzamento in Europa della fenomeno degli incel e della manosphere, e che ci aiuterà a capire il fenomeno e a collegarlo con l’egemonia del maschio per come emerge dalla politica statunitense. Saranno con noi anche due giovani collettivi antifascisti di Roma Sud, l’assemblea Antifascista di Monteverde e l’assemblea Antifascista di Portuense. Con loro potremo conoscere meglio la loro storia e capire come contrastare questi fenomeni legati all’affermazione di un autoritarismo di matrice fascista a partire dal lavoro territoriale nei quartieri e a partire dalle nostre relazioni. Seguirà aperitivo a sostegno della rivista e il concerto blues dei Fleurs du Mal. Vi aspettiamo. L’immagine di copertina è di Collettivo Marielle e Collettivo Prisma. SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il regime del maschio e le nuove sfide per l’antifascismo proviene da DINAMOpress.