Indulto in Bolivia: alleggerite le carceri, mancano piani di reinserimento
Qalauma, centro di reinserimento sociale per giovani di età compresa fra i 18 e
i 28 anni, La Paz, Bolivia. Sono seduta nel mio ufficio, sto sistemando delle
interviste fatte ai ragazzi che lavorano all’interno dei laboratori produttivi,
quando mi sento chiamare: «Lice, Lice» – è C., che in modo irruento entra nello
stanzino. Lo guardo sorpresa: di solito è molto pacato, riservato, tranquillo.
Mi fissa con un timido sorriso sul volto. Ricambio lo sguardo con fare
interrogativo. Mi dice che è passata: la legge sull’indulto è stata approvata,
presto uscirà dal centro penitenziario. Gli chiedo come si senta e mi risponde
che non lo sa, che dopo quattro anni da encerrado (recluso), sarà difficile
riprendere la sua vita fuori. Vorrebbe continuare a studiare sociologia, ma sa
che dovrà anche lavorare per mantenersi e per non gravare sulla famiglia. Nella
sua voce si sente tutta l’emozione per la notizia, ma anche una punta di
preoccupazione, quasi a dire: «E ora?».
Obrajes, centro di orientazione femminile, La Paz, Bolivia. Mi trovo nella corte
interna del centro penitenziario, in attesa delle due ragazze con cui devo
svolgere alcune attività. Mi piomba davanti una donna con i suoi capelli biondo
platino (strana visione e strano colore in questo paese – penso fra me e me), mi
chiede se ho con me il cellulare e se posso cercare un’informazione per lei.
Tiro fuori cautamente il mio telefono e le chiedo cosa io debba digitare su
google. Mi risponde: «qualcosa sull’indulto, qua girano voci che sia stato
approvato il decreto, voglio verificarlo, voglio saperlo con certezza». Leggiamo
la notizia insieme: è vero. Il suo volto si illumina, mi ringrazia
calorosamente, come se questa legge l’avessi approvata io. Mi saluta dicendomi:
«devo correre a dirlo alle mie amiche, presto potremo uscire da questo posto».
> A ottobre in Bolivia è stata approvata la legge sull’indulto, un provvedimento
> che assolve totalmente o parzialmente la pena delle persone private di
> libertà, il cui caso rispetti e segua determinati requisiti giuridici ed
> umanitari.
«Abbiano approvato questa legge di indulto, un decreto presidenzialer che
entrerè in vigore, notivo per cui è imopostante socializzare uk sui contenuti,
Ka si sta imolementando proiprio poer lottare contro il sovraffollamento delle
carceri e perché ci soni moilti privati della libertà che ancora aspettano la
revisione dei loro processi».
Così si è espressa Olivia Guachalla (MAS – IPSP), presidentessa della Comisión
de Constitución, Legislación y Sistema Electoral in Bolivia. La deputata ha
chiarito che la legge è stata approvata per rispondere alla grave crisi di
sovraffollamento dei centri penitenziari del paese. Questa crisi è data anche, e
forse soprattutto, dal fatto che in Bolivia molte persone vengono detenute in
maniera preventiva, ma non è presente un sistema giuridico rapido ed efficace
che permetta poi di snellire le pratiche in tempi brevi. Così donne, uomini e
giovani di età superiore a 18 anni si ritrovano spesso a passare anni e anni nei
centri penitenziari senza avere una sentenza definitiva e certa. A oggi, le
persone detenute in maniera preventiva superano il 67%, stando a quanto detto
dalla deputata del MAS, Betty Yañìquez. È anche per questo motivo che le
condizioni all’interno delle carceri sono pessime: non solo non ci sono posti
letti e coperte a sufficienza, ma nemmeno bagni e docce che rispettino
condizioni igieniche umane e che soddisfino i bisogni di ciascuna persona che ci
vive.
In conseguenza a tutto ciò e dopo mesi di trattative, proteste all’interno dei
recinti penitenziari e discussioni politiche, il 22 settembre 2025 il
presidente Luis Arce ha promulgato il Decreto Supremo No 5460, che ha come
obiettivo quello di concedere l’indulto alle persone private di libertà che
rispettino alcuni criteri prestabiliti. Affinché la norma si applichi, però,
doveva essere approvata definitivamente dall’Assemblea Legislativa. Per questo
motivo giovedì 16 ottobre, nel pomeriggio, si sono riuniti senatori e deputati
del paese per discutere, fra le varie tematiche, quella della “Concessione di
indulto” e definirne i termini e l’esecuzione. Il risultato della riunione è
stato favorevole e la risoluzione è stata approvata da due terzi dei
partecipanti all’assemblea. Sono stati chiarificati i parametri che
consentiranno alle persone di beneficiare o meno dell’indulto. Fra essi: avere
una condanna di 10 o meno anni, di 12 anni e averne compiuta un terzo, di 15
anni e averne scontata almeno la metà.
Sono escluse, invece, tutte quelle persone sentenziate per genocidio,
terrorismo, assassinio, femminicidio, traffico di armi e/o persone, delitti
finanziari e corruzione, delitti le cui vittime siano persone minori di età. Non
potranno accedere all’indulto neanche le persone che siano reticenti nei loro
crimini.
> Nelle prossime settimane si prevede, quindi, un grande alleggerimento della
> popolazione carceraria. Si stima che i centri penitenziari si svuoteranno. A
> La Paz, per esempio, si pensa che circa la metà delle persone private di
> libertà usciranno dalle carceri perché rispettano i criteri prestabiliti. C’è
> grande fermento per la notizia.
Ciò che il decreto legge non prevede però sono programmi post-penitenziari,
piani di reinserimento sociale, familiare e lavorativo per le persone che,
magari dopo anni, usciranno dal sistema carcerario. Non ci sono, infatti, in
Bolivia, progetti che mirino all’accompagnamento delle persone private di
libertà nel momento della loro fuoriuscita. Non c’è sensibilizzazione su come
molte delle persone all’interno delle carceri intraprendano percorsi attraverso
laboratori creativi, ricreativi e produttivi, grazie ai quali imparano a
conoscere se stesse e nuovi lavori. Non c’è l’intenzione di guidare queste
persone in un mondo che cambia molto rapidamente e dal quale sono state
emarginate, escluse, ignorate. Si pensi, per esempio, che in Bolivia il 19
ottobre si sono tenute le elezioni presidenziali e i giovani di Qalauma non
hanno potuto votare perché nessuno li ha presi in considerazione e si è
mobilitato affinché essi potessero accedere a questo diritto. Sono persone
dimenticate.
Il decreto mira quindi ad alleggerire i centri penitenziari, a fare giustizia e
chiarezza nei confronti di persone private di libertà in maniera frettolosa,
senza che ci fossero prove concrete o evidenti, ad aggirare in un qualche modo
la corruzione che dilaga in questo paese, in cui vige la “legge del denaro”. Non
menziona, però, altre necessità che dovrebbero essere chiamate in causa
parallelamente: il bisogno che l’esterno includa umanamente all’interno della
comunità tutti coloro che potranno beneficiare dell’indulto, che vi siano
opportunità e orizzonti lavorativi, sociali ed educativi favorevoli per queste
persone, che vi sia l’intento di combattere le critiche sterili delle persone
che non sanno, di contrastare l’ignoranza e l’indifferenza e che vi sia la
voglia di riconoscere che le persone sbagliano, ma devono essere coinvolte in
seconde opportunità. Non tiene in conto, infine, della necessità che vi sia una
giustizia sociale ed umana, ancora prima di quella legale.
Allora la domanda che sorge spontanea è: la società civile boliviana è pronta ad
accogliere e reinserire queste persone all’interno del tessuto urbano? Si è
lavorato per questo? Si riusciranno a lasciare da parte giudizi e
discriminazioni? Si riuscirà a trattare queste persone in quanto tali o verranno
lette e presentate solamente in base al loro delitto, alla loro pena o agli anni
trascorsi in un centro penitenziario?
E, quindi, ritorniamo all’iniziale interrogativo di C., 22 enne, nel centro
penitenziario di Qalauma da 4 anni: «E ora?».
Foto nell’articolo a cura dell’autrice
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