Tag - Genocidio a Gaza

Salpati verso Gaza
Dopo molte difficoltà, le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla stanno partendo per dirigersi verso la Striscia di Gaza, dove proveranno a forzare il blocco delle IDF all’ingresso di aiuti umanitari. Sabato le prime imbarcazioni della flotta sono partite dalla Sicilia e dalla Tunisia, e oggi ne partiranno altre dalla Grecia — per poi incontrarsi in mare con quelle partite nei giorni scorsi da Barcellona la settimana prossima. Il gruppo ha annunciato la partenza con un post, scrivendo che “il mondo si sta sollevando” contro il genocidio a Gaza. “Continueremo a mobilitarci finché la Palestina non sarà libera.” La partenza è stata molto faticosa, tra condizioni meteorologiche impossibili prima, e ben due attacchi drone, negati dalle autorità, in Tunisia. Nonostante gli attacchi e i ritardi, tutte le navi sono state pronte al viaggio, e hanno ricevuto ispezioni di esperti per verificarne l’effettiva capacità di navigabilità. Le imbarcazioni sono in regola con la manutenzione e sono state tenute sotto controlli rigorosi, e il personale a bordo ha intenzione di portare la missione a termine, sottolinea il membro del comitato della GSF Ghassan Al-Hanshiri. Si tratterà di una missione difficilissima: le operazioni analoghe dei mesi scorsi sono state respinte, e le persone a bordo arrestate, ma si trattava di operazioni condotte con navi che viaggiavano solitarie — questa volta in mare ci saranno 44 imbarcazioni. (Anadolu / Instagram / the New Arab)
Il mondo intero dalla parte della Palestina
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione di New York, una risoluzione in sostegno di una “soluzione pacifica alla questione palestinese” e per l’“implementazione di una soluzione dei due stati.” Il documento è stato approvato con una maggioranza schiacciante, con 142 voti a favore, 10 contrari e 12 astenuti. I paesi contrari sono quelli che potete immaginare: Israele, Stati Uniti, e alcuni dei loro alleati più stretti: Argentina, Ungheria, Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Paraguay e Tonga. L’ambasciatore francese Jérôme Bonnafont ha sottolineato che la Dichiarazione di New York “descrive un percorso specifico per realizzare la soluzione dei due Stati,” che parte dal cessate il fuoco immediato a Gaza e la formazione di uno stato palestinese che sia sostenibile e sovrano. Il documento chiede il disarmo di Hamas e che il gruppo sia escluso dal governo di Gaza, la normalizzazione dei rapporti tra Israele e i paesi arabi, e una serie di garanzie per la sicurezza. L’ambasciatore israeliano Danny Danon ha risposto duramente al voto, dicendo che si trattava di “teatro” invece che di “diplomazia.” “Questa dichiarazione unilaterale non sarà ricordata come un passo verso la pace, ma solo come un altro gesto vuoto che indebolisce la credibilità di questa assemblea.” Danon ha accusato l’Assemblea generale di “cercare di imporre con la forza ciò che non è possibile ottenere al tavolo delle trattative.” All’apertura del segmento, il segretario generale ONU Guterres ha dichiarato che “la questione centrale per la pace in Medio Oriente è l’implementazione della soluzione dei due stati, dove due stati democratici, sovrani e indipendenti — Israele e Palestina — vivono fianco a fianco in pace e sicurezza.” (Nazioni Unite / X / JNS / UN News)
La colonizzazione della Cisgiordania è legge
Netanyahu ha firmato l’accordo per avviare il piano di espansione “E1” in Cisgiordania, che, una volta portato a termine, renderà effettivamente impossibile la costruzione di uno stato palestinese — il piano prevede l’effettiva annessione del 60% dei territori della Cisgiordania, tagliando il territorio in due, e separandolo in modo irreversibile da Gerusalemme Est. In visita alla colonia Ma’ale Adumim, dove dovrebbero essere costruite migliaia di nuove abitazioni, il Primo ministro israeliano ha dichiarato che “manterremo la promessa che non ci sarà nessuno stato palestinese;” perché “questo posto ci appartiene.” Netanyahu ha promesso che il suo governo “raddoppierà la popolazione di questa città,” perché bisogna “difendere la nostra tradizione, la nostra terra e la nostra sicurezza.” La critica sollevata dai sostenitori della soluzione dei due stati, ovvero che l’espansione del progetto “E1” avrebbe danneggiato in modo gravissimo la fattibilità di uno stato palestinese è stata giosamente abbracciata dalla politica israeliana, che ormai ammette apertamente che sia così, e che l’obiettivo fosse questo fin dall’inizio. Alla cerimonia per la firma, il ministro delle Finanze Smotrich ha dichiarato che “presto tutti noi ti ringrazieremo, e celebreremo insieme l'applicazione della sovranità” israeliana “su tutta la Giudea e la Samaria.” ‘Giudea e Samaria’ è un’espressione biblica usata dai fondamentalisti sionisti per riferirsi alla Cisgiordania. Smotrich è tra i ministri del governo che sostengono che in risposta ai piani di riconoscere lo stato di Palestina da parte di alcuni stati occidentali sia necessario rispondere con l’annessione formale di parti, o di tutta, la Cisgiordania. (the Times of Israel)
L’OMS non lascerà Gaza
Il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha annunciato che l’organizzazione e i suoi partner attivi nella Striscia di Gaza non lasceranno Gaza città. Tedros scrive che “questa catastrofe è causata dall'uomo e la responsabilità ricade su tutti noi.” Nella dichiarazione allegata, l’OMS scrive che “anche se gli ultimi ordini di evacuazione non hanno ancora incluso gli ospedali, incidenti precedenti mostrano quanto rapidamente diventano non funzionanti quando i combattimenti bloccano l’accesso per i pazienti, impediscono alle ambulanze di raggiungerli, e interrompono i rifornimenti all’OMS e ai suoi partner.” “Alla comunità internazionale: bisogna agire. Chiedete un cessate il fuoco immediato. Chiedete che la legge umanitaria internazionale sia rispettata, compresa la liberazione degli ostaggi e di chi è imprigionato in detenzione arbitraria.” “Questa catastrofe è artificiale, e la responsabilità ricade su tutti noi.” (X) La presa di posizione di Tedros arriva sull’onda di una dichiarazione della squadra dell’OCHA che si occupa dei territori palestinesi, che denuncia come non ci sia “nessuna opzione sicura o praticabile” per i residenti di Gaza città — non ci sono posti sicuri dove scappare per cercare di sopravvivere. La squadra dell’ufficio Affari umanitari dell’ONU racconta che in seguito alla distruzione di alcuni degli edifici più alti della città di Gaza tantissime famiglie si sono trovate costrette ad accamparsi in strada, all’aperto, senza sapere dove andare. (OCHA)
La guerra di Israele contro la diplomazia
L’esercito israeliano ha colpito la capitale del Qatar, Doha, con una serie di attacchi missilistici lanciati, secondo le autorità di Tel Aviv, contro alcuni dei leader di Hamas presenti nel paese. Gli attacchi, su diversi quartieri della città, sono avvenuti alle 15 ora locale. Poco dopo, le IDF hanno rivendicato l’attacco: è la prima volta che i militari israeliani attaccano il Qatar — il paese è attivamente coinvolto nella trattativa per il cessate il fuoco a Gaza, e suoi funzionari hanno fatto regolarmente visita in Israele negli scorsi mesi per cercare di mettere fine all’aggressione israeliana. L’attacco è arrivato mentre i funzionari di Hamas stavano discutendo dell’ultima proposta avanzata dagli Stati Uniti — il gruppo ha indicato che nessuno dei propri funzionari più in vista è stato ucciso, ma tra nell’attacco è stato ucciso il figlio Khalil al-Hayya, uno dei membri del comitato temporaneo del gruppo, e 3 guardie del corpo. Separatamente, il Qatar ha confermato che nell’attacco è stato ucciso anche un proprio funzionario, e che diversi membri della sicurezza locale erano stati feriti. In totale, secondo dichiarazioni di Hamas, sono state uccise almeno 6 persone, per cui c’è almeno un’altra persona uccisa non ancora riportata dalle notizie. (Associated Press / X / BBC News) Hanna Alshaikh, la coordinatrice per la Palestina dell’Arab Center di Washington, ha pubblicato una nota durissima per condannare l’attacco, scrivendo: “L’obiettivo dichiarato dell’attacco di Israele al Qatar oggi era l’assassinio della squadra di negoziazione del cessate il fuoco di Hamas, ma l’obiettivo non dichiarato era l’annientamento della diplomazia stessa.” “Per essere precisi, il messaggio è che nessuna potenza mondiale, nemmeno gli Stati Uniti, può costringere Israele a ridurre la tensione.” “Mentre i precedenti attacchi di Israele nella regione hanno suscitato solo critiche limitate, questo attacco contro un importante alleato degli Stati Uniti, seppur non appartenente alla NATO, è diverso. Il Qatar è riconosciuto per la propria leadership nella risoluzione dei conflitti internazionali. L’attacco è un monito urgente a prendere sul serio le provocazioni di Israele e a riconoscere che Israele nutre un totale disprezzo per la cooperazione internazionale, il processo di pace, e la diplomazia.” (Arab Center)
La verità sul massacro dell’ospedale Nasser e la distruzione dei grattacieli di Gaza
Un’inchiesta di Associated Press svela le falsità diffuse dall’esercito israeliano per giustificare il massacro dell’ospedale Nasser, in cui sono state uccise 22 persone, tra cui 5 giornalisti, in un attacco double tap. La versione ufficiale delle IDF era che l’attacco sarebbe stato giustificato dalla presenza di “una telecamera di sicurezza di Hamas” — una tesi sostenuta dai militari sulla base di osservazioni di un appassionato di OSINT di estrema destra, tale Rafael Hayun. Come è emerso nelle ore immediatamente successive, in realtà quella telecamera era operata da un giornalista di Reuters. Lo aveva ammesso in seguito anche Hayun stesso, sostenendo che la telecamera veniva nascosta con un telo bianco, che in realtà non era utilizzato per nascondere la telecamera — che tant’è appunto era visibile — ma per evitare che si surriscaldasse. AP ora mette in dubbio le azioni dei militari israeliani, a partire ovviamente dalla decisione di fare un attacco double tap, ma anche riguardo all’uso di proiettili ad alto potenziale esplosivo di carri armati, invece di altre armi più precise. Le IDF non hanno presentato prove in sostegno della propria versione dei fatti. (Associated Press / X) La notizia è di nuovo di stretta attualità: ieri le IDF hanno iniziato ad abbattere i palazzi più alti della città di Gaza, anche vicino ai campi di sfollati, e la tesi è di nuovo simile. La teoria, pubblicata dal portavoce in lingua araba delle IDF Avichay Adraee, è che sui palazzi più alti possono essere presenti “telecamere, sale di sorveglianza, postazioni di cecchini, centri di comando e controllo.” Questo vuol dire che le IDF si arrogano il diritto di poter abbattere qualsiasi palazzo ed edificio, perché su di loro potrebbero essere apposte telecamere — e ovviamente, potrebbero essere nei pressi di "infrastrutture sotterranee” di Hamas. Adraee lo dice espressamente nella propria comunicazione: “Nei prossimi giorni, le IDF condurranno attacchi mirati contro infrastrutture terroristiche che rappresentano una minaccia diretta per le sue forze.” (Axios / X) > התחלנו pic.twitter.com/PVrtcVXddr > > — ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) September 5, 2025
L’Europa resta a guardare
L’esercito israeliano ha iniziato la mobilitazione di circa 60 mila riservisti, che dovranno prendere parte all’occupazione della città di Gaza. I riservisti riceveranno nuovo addestramento — per la durata di 3 o 4 giorni — per il combattimento in contesti urbani, così come in spazi aperti, e saranno pienamente armati. Secondo retroscena di Kan e Haaretz ci sarebbero non pochi riservisti che avrebbero intenzione di non rispondere alla chiamata dell’esercito, anche se difficilmente si tratterà di numeri che faranno la differenza nell’ambito della mobilitazione. Un riservista, rimasto anonimo, che ha parlato con AL-Monitor riporta che parte dei propri dubbi vengono proprio dalla contrarietà della leadership militare all’operazione. È una prospettiva che emerge più volte dai retroscena, soprattutto sulla stampa israeliana: un retroscena di Haaretz oggi parla di come Eyal Zamir, il capo di stato maggiore delle IDF avrebbe dovuto “battere i pugni sul tavolo” per parlare con il gabinetto di sicurezza di possibili accordi per liberare i prigionieri israeliani. Nelle dichiarazioni pubbliche — in altre parole, nella realtà dei fatti — le cose vanno un po’ diversamente: Zamir ha dichiarato che le operazioni per occupare Gaza sono già incominciate, e che l’aggressione di Gaza non si fermerà “finché non avremo sconfitto il nemico.” “Hamas non avrà nessun posto dove nascondersi. Li troveremo ovunque, che siano figure di alto livello o di basso livello” — in altre parole, qualsiasi persona — “li colpiremo tutti, sempre.” (Anadolu / AL-Monitor / Haaretz / the Times of Israel) Mentre procedono i piani per occupare la città di Gaza, continua anche l’obiettivo di smembrare la Cisgiordania: le IDF hanno “arrestato” Tayseer Abu Sneineh, il sindaco di Hebron, accusandolo di “attività terroristiche,” per il suo presunto supporto per Hamas e per il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina. Il suo è parte di una vera e propria “campagna di arresti” attraverso diverse città della Cisgiordania. L’obiettivo delle autorità israeliane è quello di smembrare le attuali amministrazioni per creare una rete di “emirati palestinesi” che riconoscano lo stato israeliano, sul modello dei bantustan presenti in Sudafrica durante l’apartheid. (the Jerusalem Post / Middle East Monitor / th Wall Street Journal / the Jerusalem Post)
Nessuno può più dire che non sia genocidio
Che quello in corso a Gaza sia un genocidio è evidente da mesi, ma ora c’è, in qualche modo, la certificazione: l’Associazione internazionale degli studiosi del genocidio ha approvato una risoluzione secondo cui le azioni del governo Netanyahu VI rispondono ai criteri legali per essere descritte come genocidio. La risoluzione è passata con una netta maggioranza — l’86% dei votanti. Il documento si apre in modo politico, riconoscendo l’attacco di Hamas di due anni fa, e scrivendo che anch’esso “costituisce crimini internazionali,” ma procede riconoscendo una lunga lista di crimini da parte delle autorità israeliane e sottolineando che l’Associazione non è la prima ad esprimersi in questo senso. Il documento si conclude chiedendo al governo israeliano di sospendere “tutti gli atti che costituiscono genocido, crimini di guerra e crimini contro l’umanità contro i palestinesi a Gaza,” e chiede agli stati firmatari di “rispettare i propri obblighi” di fronte alla Corte penale internazionale consegnando le persone per cui è stato rilasciato mandato d’arresto. Il testo conclude chiedendo “al governo israeliano e agli altri membri delle Nazioni Unite di supportare un processo di riparazioni e di transitional justice che garantirà democrazia, libertà, dignità e sicurezza per tutte le persone a Gaza.” Da quando è stata formata, nel 1994, l’Associazione ha certificato 9 episodi — storici o contemporanei — come genocidio. (Associazione internazionale degli studiosi del genocidio)
Il Brasile rifiuta il nuovo ambasciatore israeliano e Tel Aviv dichiara Lula “persona non grata”
Brasilia-InfoPal. Si è aggravata la frattura diplomatica tra Israele e Brasile dopo che il paese latinoamericano ha rifiutato di accettare il candidato di Tel Aviv come nuovo ambasciatore, spingendo il regime occupante a declassare le relazioni diplomatiche e a dichiarare il presidente Luiz Inácio Lula da Silva “persona non grata”. Lula ha respinto lunedì la nomina di Gali Dagan, ex ambasciatore in Colombia, come nuovo inviato a Brasilia, lasciando la sede vacante. Il Times of Israel ha citato il ministero degli Esteri israeliano, che ha confermato come i rapporti con il Brasile siano ora condotti a un livello inferiore: “Dopo che il Brasile, in modo inusuale, ha evitato di rispondere alla richiesta di gradimento per l’ambasciatore Dagan, Israele ha ritirato la candidatura e i rapporti tra i due paesi sono ora condotti a un livello diplomatico più basso”. L’episodio segna un nuovo punto critico nelle relazioni tra Brasilia e Tel Aviv, già tese per via del genocidio israeliano a Gaza. Il Brasile aveva già richiamato il proprio ambasciatore da Israele lo scorso anno in segno di protesta contro l’altissimo numero di vittime civili, senza poi nominarne uno nuovo. In risposta, Israele aveva dichiarato Lula “persona non grata”, dopo che il presidente aveva paragonato il genocidio di Gaza alle azioni della Germania nazista: “Quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza non è una guerra. È un genocidio. Non è una guerra tra soldati contro soldati. È una guerra di un esercito addestrato contro donne e bambini”, aveva dichiarato Lula. Lunedì Israele ha ribadito lo status di “persona non grata” per Lula. In diplomazia, tale definizione indica che un rappresentante straniero è considerato inaccettabile e, solitamente, costretto a lasciare il paese ospitante. Il Brasile si è distinto fin dall’inizio del genocidio israeliano a Gaza, nel 2023, come sostenitore della causa palestinese. In una mossa diplomatica significativa, a luglio ha annunciato la sua intenzione di aderire al ricorso del Sudafrica contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia, coerentemente con la sua politica di lungo corso: già nel 2010, infatti, aveva riconosciuto ufficialmente la Palestina come Stato entro i confini del 1967. Nel frattempo, l’esercito israeliano continua a massacrare civili palestinesi a Gaza, colpendo l’enclave assediata con bombardamenti aerei e di artiglieria. Dal 7 ottobre 2023, la campagna genocida israeliana ha provocato almeno 62.744 morti palestinesi nella Striscia.
La guerra di Israele a Gaza è diventata la più mortale per i giornalisti nella storia recente
La guerra di Israele a Gaza è diventata la più mortale per i giornalisti nella storia recente. Il progetto Costs of War della Brown University riporta che, dall’inizio del genocidio, il 7 ottobre 2023, a Gaza sono stati uccisi più giornalisti che nella Guerra Civile Americana, nella Prima e Seconda Guerra Mondiale, nella Guerra di Corea, nella Guerra del Vietnam, nelle guerre nell’ex Jugoslavia e nella guerra in Afghanistan post-11 settembre messe insieme. Durante la Seconda Guerra Mondiale, 69 giornalisti furono uccisi e 63 giornalisti morirono nella Guerra del Vietnam. A Gaza, il bilancio delle vittime ha raggiunto quota 242, incluso il recente assassinio della troupe di Al Jazeera, tra cui Anas Al-Sharif e Mohammad Qreiqea.