Norman Douglas / L’inglese nel suo dominioNorman Douglas andava in giro per trattorie, aveva un metodo raffinato e
rigoroso, Arbasino ci ricorda quanta poca simpatia avesse per i critici d’arte e
gli sciamani della cultura. Nella luce mediterranea più decisa lascia perdere la
folla labirintica dei personaggi che nella sua epoca affollavano Capri. Siamo
lontani dal pagano Fersen e dalla villa Malaparte quando Godard girò Le Mépris,
(Il disprezzo), tratto dal romanzo di Moravia, dove la Bardot, nuda, impera e
tritura gli sguardi hollywoodiani. Lo sguardo antiquario di Douglas, in questo
aureo libretto estratto da scritti del primo Novecento in cui la sagacia
esplorativa spiega i suoi metodi, scopre e rivela falsità mitologiche in favore
dei reperti antichi. Mostra come l’isola possa essere interpellata scovando i
frammenti rimasti dai cambiamenti geologici e, soprattutto, le frane causate dal
dissodare e sradicare da parte dell’uomo. I profili di tutta l’area sono mutati
considerando, altresì, gli spazi vulcanici del golfo di Napoli.
L’eredità dell’isola trova nel viaggiatore Douglas la precisione grazie alla
quale i vari culti vengono scoperchiati nella loro quasi certa componente
storica. L’isola è troppo varia e frammentata per lasciare che filosofi e poeti
si abbeverino soltanto agli “imbrogli dei capresi”. E poi c’è Tiberio, nel suo
dominio privato fatto di ville e grotte riarredate, a cui l’inquilino Norman
dedica gran parte del suo tempo. Soggiorni che hanno il sapore di una vita
intera. Le storie favolose, qui, vengono sconvolte da frane, terremoti, uomini
che dissotterrano e ricoprono per intenti usuali, sicché creature come le Sirene
e pietre sorte da colorifici naturali si frantumano in mille rivoli. Fra questi
reperti scorrazza il nostro antiquario, dimostrando come la seduzione sia
cattiva parente della storia archeologica. Si perdono le tracce di opere e idee
di valore, Douglas ne è certo, sa che in giro per il mondo ci sono marmi brutti
e certamente piccoli frammenti di mosaico. Ma la poderosa e elementare bellezza
di Capri ha tempi più lunghi delle leggende moderne. In fondo, dalla Grecia alla
romanità è tutta questione di passaggio.
Giovanni Balducci, “praziano” (copyright Manganelli) meticoloso quale è, oltre
al felice lavoro di traduzione, ci guida alla somma delle antichità capresi su
cui Douglas argomenta mettendo in risalto le svariate caleidoscopie che l’isola
presentava in quei decenni, e che oggi risulta difficoltoso rintracciare. Ma non
è detto, potrebbe essere necessario attrezzarsi al viaggio fendendo le masse
turistiche. Compito arduo, più che modellare i propri interessi sulle sviolinate
coloristiche delle grotte. Praz riconosceva in Douglas “uno scrittore di vaglia”
per le finezze stilistiche e umoristiche: la sete di conoscenza l’avrà inviso a
qualcuno, fra gli abitanti del territorio, ma la storia è storia, il Grand Tour
sarà finito ma Balducci anche qui invita a non sentire peregrina l’idea di
avventurarsi nelle labirintiche scoperte riunite in queste “annotazioni
antiquarie”. Tali sono, copia conforme di ciò che l’isola offriva allo studioso
– un inventario di policrome dimensioni.
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