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Genesi dell’underground. Storia di R.Crumb
Dalla repressione degli anni ’50 alla controcultura psichedelica, passando per la rivoluzione del fumetto underground: la vita e l’opera di Robert Crumb sono… L'articolo Genesi dell’underground. Storia di R.Crumb sembra essere il primo su L'INDISCRETO.
Tra storia e fumetto: guerra sporca, eroi e poeti
Per millenni e millenni gli esseri umani si sono raccontati storie l’uno con l’altro. Incontrarsi e raccontarsi erano sinonimi, e queste storie erano loro stesse vive, mutavano, crescevano e si riproducevano, generandone altre. Questi racconti nel tempo si sono sedimentati, generando un inconscio speciale, collettivo, dove noi stessi e i personaggi che li abitavano ci siamo trasformati, nel bene e nel male. È solo negli ultimi istanti della nostra vita che questo processo si è accelerato in modo prima inimmaginabile, creando e bruciando intere mitologie sull’altare di Internet nell’arco di poche ore. Questo però non impedisce, se si riesce a resistere all’impetuosa corrente del tempo, di fermarsi e ancora dare spazio a delle storie davanti al fuoco, dove si racconta di eroi e di poeti. COMACCHIO E GARIBALDI Questa primavera è sbocciata una di quelle occasioni. Il comune di Comacchio, in occasione dell’80° Anniversario della Liberazione, ha reso disponibile un’edizione speciale de Un pallido sole primaverile, breve graphic novel pubblicata da Hugo Pratt nel 1992 in cui, attraverso una sua libera reinterpretazione di ciò che accadde negli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale nella Valle di Comacchio, vengono raccontati i luoghi, le persone, gli amori.  Questa riedizione, voluta dal Sindaco e dal Comune di Comacchio, oltre alle tavole di Hugo Pratt contiene un saggio di Thomas Harder sulle figure storiche di due personaggi indirettamente abbozzati nel fumetto: Anders Lassen e Thomas Peck Hunter. L’opera di Pratt, pur non raccontando direttamente la storia del maggiore danese (Anders Lassen), si muove negli stessi luoghi e nello stesso periodo in cui il marinaio trovò la morte. È uno straordinario racconto per immagini basato su fatti realmente accaduti nell’aprile 1945, a pochi giorni dalla vittoria, nelle valli di Comacchio, nei luoghi che videro la fuga, un centinaio di anni prima, di Giuseppe Garibaldi e della sua compagna Anita. Il protagonista del fumetto è William (Bill) Fogg, un ufficiale inglese con parenti in Romagna, di formazione socialista e con studi effettuati in Italia, che arriva alla laguna di Comacchio dall’Inghilterra per partecipare insieme ai partigiani italiani a una delle ultime azioni di guerra contro i tedeschi. Anders Frederik Emil Victor Schau Lassen, marinaio danese in forza ai reparti speciali inglesi, rappresenta una delle figure più straordinarie e tragiche delle forze speciali britanniche durante la Seconda Guerra Mondiale. Nato il 22 settembre 1920, è stato l’unico destinatario non-Commonwealth della Victoria Cross durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua storia inizia in Danimarca, dove nasce benestante, figlio di proprietari terrieri, e si sviluppa attraverso una serie di operazioni sempre più audaci che lo porteranno dall’Africa occidentale alle isole greche, fino alle valli di Comacchio. Mentre prestava servizio nella marina mercantile danese, Lassen si ritrovò a dover decidere se consegnare la nave ai nazisti oppure ribellarsi. Fuggì, e arrivò nel Regno Unito poco dopo l’inizio della guerra. Si unì ai commando britannici nel 1940, prestando servizio con il Commando n. 62 (noto anche con il nome di Small Scale Raiding Force). La sua prima operazione di rilievo fu quella che lo rese leggendario: l’Operazione Postmaster. L’AFRICA E IAN FLEMING Questa fu condotta da unità britanniche (circa una quarantina di uomini) nel gennaio 1942 in Guinea Equatoriale, nel quadro della battaglia dell’Atlantico della Seconda guerra mondiale. L’azione segreta avvenne nel capoluogo Santa Isabel sull’isola di Fernando Po, all’epoca territorio spagnolo, e quindi formalmente neutrale. Nel porto dell’isola erano presenti tre navi: la Duchessa d’Aosta, un mercantile italiano da 8 500 tonnellate, il Likomba, un grosso rimorchiatore tedesco, e la Bibundi, una chiatta con motore diesel. La Duchessa d’Aosta possedeva una radio funzionante, perciò era considerata una minaccia, dato che poteva fornire ai tedeschi dettagli immediati sulle manovre navali degli Alleati. Uno del commando, l’unico marinaio di professione, il soldato Anders Lassen, fu il primo a salire a bordo della Duchessa d’Aosta. L’operazione fu un successo senza precedenti: le tre navi furono catturate in circa trenta minuti senza perdere nemmeno un uomo. Questa operazione, rimasta a lungo segreta, è tornata di recente alla ribalta grazie al cinema. Il ministero della guerra sporca (The Ministry of Ungentlemanly Warfare) è un film del 2024 diretto da Guy Ritchie. La pellicola è l’adattamento cinematografico del libro Il ministero della guerra sporca. Le unità militari segrete di Churchill dietro le file naziste di Damien Lewis. Il film, disponibile su Prime Video, ripercorre le vicende dell’esercito privato voluto da Churchill per combattere i nazisti, con Anders Lassen interpretato dall’attore Alan Ritchson, mentre Gus March-Phillips da Henry Cavill. Il film, pur basato sulla storia vera dell’Operazione Postmaster, romanza in modo eccessivo i personaggi e gli eventi, ma ha il merito di aver riportato l’attenzione su questi eroi dimenticati. Un dettaglio interessante è che Ian Fleming, all’epoca in quota ai servizi segreti inglesi, fu uno degli organizzatori del team che diede vita all’operazione. Gus March-Phillips, comandante degli incursori, prima della guerra aveva pubblicato tre romanzi, rappresentava in un certo senso, il prototipo dell’ufficiale-intellettuale britannico, ed è stato storicamente una figura centrale nella creazione dei gruppi speciali e del controspionaggio. Probabilmente quest’ultimo fu per Fleming una delle fonti di ispirazione per confluirono nel personaggio di James Bond. Dopo il successo dell’Operazione Postmaster, Lassen ricevette la Military Cross per il suo ruolo nell’operazione, ma – come vedremo – la sua guerra era appena iniziata. Nel febbraio 1943, Anders Lassen fu inviato in Egitto per unirsi a una forza anfibia recentemente costituita, lo Special Boat Squadron. CRETA E PATRICK LEIGH FERMOR La destinazione successiva fu Creta, dove Lassen partecipò a una delle operazioni più significative: l’operazione Albumen, condotta tra il 22 giugno e il 12 luglio 1943. Gli inglesi escogitarono un piano complesso che prevedeva un evento inscenato in cui un individuo deceduto portava una valigetta piena di documenti falsificati che sarebbero caduti nelle mani tedesche. L’obiettivo era ingannare il nemico facendogli credere che il principale sbarco alleato sarebbe avvenuto a Creta o in Sardegna, distogliendo la loro attenzione dalla Sicilia, dove era programmato lo sbarco reale per il 10 luglio 1943. Anders Lassen, accompagnato da 13 compagni, sbarcò a Tripiti sulla costa meridionale di Creta. La squadra si divise poi in tre gruppi, ciascuno con il compito di attaccare tre aeroporti militari tedeschi chiave: Tympaki, Kastelli Pediadas e Heraklion. Furono azioni molto rischiose, ma ebbero successo e Lassen riuscì ad allontanarsi da Creta dopo aver distrutto diversi aerei nazisti. È in questo contesto cretese che probabilmente avvenne un incontro che merita di essere sottolineato: Lassen potrebbe aver incontrato il grande scrittore viaggiatore Patrick Leigh Fermor.  Fermor era a Creta come agente SOE già dal 1942, noto ai cretesi come “Michalis”, mentre Lassen partecipò all’operazione Albumen proprio a Creta nel luglio 1943. Gli inglesi formarono un gran numero di cellule isolate sparse per le montagne, con buone comunicazioni tra loro, e considerando il piccolo mondo delle forze speciali britanniche nel Mediterraneo orientale, sarebbe sorprendente se i due non si fossero mai incontrati, anche solo di passaggio. Inoltre, sembra che almeno due partigiani greci, Kimon Zografakis e Giannis Androulaki, abbiano collaborato con entrambi seppur in operazioni differenti. Sebbene non esistano documenti che attestino un incontro diretto tra i due, la rete delle operazioni SOE a Creta era sufficientemente ristretta da rendere probabile almeno un contatto indiretto. Lassen, da un punto di vista militare era indisciplinato e ribelle, riluttante verso la gerarchia, ma alla prova dei fatti, sul campo, estremamente efficace, Patrick Leigh Fermor invece rappresentava l’altra faccia delle operazioni speciali britanniche: l’intellettuale-avventuriero che aveva fatto del viaggio e della conoscenza delle culture locali la sua missione di vita. Nato a Londra l’11 febbraio 1915, Fermor aveva intrapreso a diciotto anni un leggendario viaggio a piedi attraverso l’Europa, dai Paesi Bassi a Istanbul, partendo l’8 dicembre 1933, poco dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler in Germania, portando con sé solo pochi abiti, The Oxford Book of English Verse, e un volume contenente le Odi di Orazio. La guerra lo trovò quindi perfettamente preparato per operazioni dietro le linee nemiche. Fermor, che parlava greco e tedesco perfettamente, ebbe un ruolo importante dietro le linee della battaglia di Creta, durante la Seconda guerra mondiale. Fu infatti il comandante dell’operazione che portò alla cattura del generale tedesco Heinrich Kreipe. La notte del 26 aprile del 1944, rapirono, travestiti da polizia militare della Wehrmacht, il generale tedesco Heinrich Kreipe. Ne seguì una rocambolesca fuga. L’operazione Kreipe fu un capolavoro di audacia e pianificazione. Il maggiore Patrick L. Fermor e il capitano W. Stanley Moss aspettarono l’auto di Kreipe prima della sua residenza, in un finto posto di blocco. Quando arrivò, chiesero all’autista di fermarsi e di mostrare i documenti. Non appena la macchina si fermò, Fermor aprì la portiera dal lato di Kreipe, lo minacciò con la pistola e lo rinchiuse, legato e imbavagliato, nel bagagliaio della vettura. L’episodio più celebre dell’operazione avvenne quando Kreipe, condotto dal commando fino sul monte Ida, colpito dallo spettacolo dell’alba sulla montagna innevata, recitò ad alta voce la prima strofa dell’ode di Orazio che inizia con Vides ut alta stet nive candidum / Soracte, a cui Fermor rispose citando le restanti strofe. Questa straordinaria avventura è stata tradotta sia in letteratura sia al cinema, prima di tutto nel diario di Moss, I’ll Met by Moonlight (Trad. It.  Brutti incontri al chiaro di luna, Adelphi), pubblicato nel 1950, mentre pochi anni dopo il libro è stato poi adattato in un film con lo stesso titolo (in italiano Colpo di mano a Creta) diretto e prodotto da Michael Powell e Emeric Pressburger. Il film fu interpretato da uno splendido Dirk Bogarde nei panni di Patrick Leigh Fermor, mentre David Oxley era Stanley Moss. Anders Lassen invece, dopo la sua fuga da Creta continuava la sua guerra mortale attraverso il Mediterraneo. Dopo la capitolazione italiana l’8 settembre 1943, le forze britanniche – con l’SBS come elemento di supporto importante – tentarono invano di stabilire il controllo sull’Egeo prima che i tedeschi potessero impossessarsi delle isole, subentrando all’esercito italiano. Il tentativo fallì, ma fino a quando i tedeschi iniziarono finalmente a ritirarsi dalla Grecia nell’autunno del 1944, l’SBS continuò a svolgere un ruolo importante nella guerriglia combattuta dagli inglesi. Lassen si distinse come leader di queste operazioni, che impegnarono considerevoli forze tedesche che altrimenti avrebbero potuto essere impiegate sul fronte orientale o per opporsi agli sbarchi in Normandia. Lassen fu decorato con la Military Cross per le sue azioni a Creta, Santorini e Symi nel 1943. Fu uno dei soli ventiquattro ufficiali a ricevere la MC tre volte durante la Seconda Guerra Mondiale, ma il destino di Lassen si stava già delineando verso il suo epilogo nelle acque italiane, dove la guerra stava volgendo al termine COMACCHIO E PRATT Il maggiore Anders Lassen (a destra) nel 1945, mentre discute dell’imminente raid sul Lago di Comacchio. La fine arrivò nelle valli di Comacchio, negli stessi luoghi che avrebbero ispirato Hugo Pratt mezzo secolo dopo. Accadde nella notte tra l’otto e il nove di aprile, quando il maggiore Anders Lassen dello Special Boat Section, una sottounità dello Special Air Service, aggregato alla 2ª Brigata Commando, guidò un audace assalto contro una serie di postazioni tedesche. A Lassen in particolare fu ordinato di guidare una pattuglia per razziare la sponda nord della laguna. I suoi compiti erano causare il maggior numero di vittime e confusione possibile, dare l’impressione di un grande sbarco e catturare prigionieri. Si trattava, come a Creta, di una operazione per sviare il nemico, far credere che una determinata zona fosse sotto attacco così da indure i tedeschi a ridurre l’attenzione in altri territori. Sotto il fuoco nemico, mosse i suoi uomini in avanti silenziando personalmente tre posizioni nemiche che ospitavano sei mitragliatrici tedesche. Lassen e i suoi uomini furono avvistati da forze molto superiori, e, nonostante fosse ferito più volte, continuò a guidare e ispirare i suoi uomini, prima di soccombere a una raffica di mitragliatrice che lo ferì mortalmente. Poiché la vita dei suoi uomini sarebbe stata messa in pericolo durante la ritirata, rifiutò di essere evacuato dall’area. Per questo ultimo atto di eroismo ricevette la Victoria Cross postuma. La storia di Lassen, dalla Costa d’Oro africana alle valli emiliane, attraverso le isole greche e le operazioni più segrete della guerra, rappresenta l’epitome del coraggio e della dedizione. È una storia che ha affascinato anche Hugo Pratt, il maestro del fumetto d’avventura che proprio in quegli stessi luoghi ha ambientato una delle sue opere. Il 2025 segna un anno particolare per la memoria di Hugo Pratt: il 20 agosto si ricordava il trentennale dalla sua scomparsa ed è stato ricordato con iniziative che hanno dato il via al cosiddetto “triennio prattiano”, un periodo di celebrazioni che si concluderà nel 2027 con il centenario della nascita dell’autore, avvenuta il 15 giugno 1927. Le mostre dedicate al maestro di Corto Maltese si moltiplicano in questi mesi, e sorgono in moltissime città italiane e no: Siena, Roma, Bologna, Milano, Cagliari, Genova, Parigi, Ginevra. L’arte di Pratt continua a esercitare un fascino particolare sul pubblico, proprio perché capace di coniugare avventura, storia e una profonda riflessione sulla condizione umana. La sua capacità di trasformare eventi storici reali in narrazioni universali, come dimostrato in Un pallido sole primaverile, conferma ancora una volta la grandezza di un autore che ha saputo fare del fumetto una forma d’arte elevata. La nuova edizione dell’opera dedicata agli eventi di Comacchio rappresenta quindi non solo un omaggio a quegli eroi dimenticati, ma anche una testimonianza della capacità dell’arte di mantenere viva la memoria storica, trasformandola in qualcosa di eterno e universale. D’altronde, non è difficile riconoscere in un marinaio danese, sradicato e giramondo, i tratti di un altro marinaio, che probabilmente scompare anche lui combattendo la stessa guerra, in Spagna. Lassen conclude eroicamente la sua vita a Comacchio, poco a nord della natia Rimini e poco a sud della adottiva Venezia, davanti a quell’adriatico che riempie le finestre di una casa a Malamocco. L'articolo Tra storia e fumetto: guerra sporca, eroi e poeti proviene da Pulp Magazine.
Lenz fumetto: quando le lenzuola raccontano la comunità
A Ome il Festival del Fumetto da Marciapiede diventa un rito collettivo tra memoria, arte e partecipazione – 30/31 Agosto 2025 Ome (BS) — In un’Italia che spesso dimentica le sue piazze, il piccolo comune bresciano di Ome fa l’opposto: la piazza la riempie. Di storie, di volti, di segni. E di lenzuola. No, non è un bucato fuori stagione: sono lenzuola matrimoniali trasformate in tavole da fumetto, stese tra i palazzi e le vie del paese per raccontare vite, sogni, fragilità e desideri. Si chiama LENZ FUMETTO, è il tema e cuore pulsante del Festival del Fumetto da Marciapiede (FFM), e giunge quest’anno alla sua quinta edizione. Ma non è solo una mostra a cielo aperto: è un esperimento sociale, un atto di memoria collettiva e restituzione affettiva che coinvolge l’intera comunità, dai più anziani ai più giovani, dagli artisti affermati agli studenti, dalle famiglie alle cooperative sociali. È un festival che, come pochi, sa intrecciare arte, territorio e persone. Le lenzuola come archivi dell’anima A ideare il progetto è stato il Comune di Ome con una visione ben precisa: restituire valore e voce ai racconti di vita delle persone del posto. Con l’aiuto della storica Debora Masserdotti, sono state raccolte testimonianze orali autentiche, trasformate in fumetti grazie alla direzione artistica di Pietro Arrigoni e al talento di tredici illustratori. Le storie, cucite sulla memoria di sette cittadini di Ome, sono diventate segni su stoffa: lenzuola di dote matrimoniale su cui si intrecciano parole e immagini. Proprio quelle lenzuola che un tempo accoglievano l’intimità di una coppia, oggi diventano veicolo di narrazione sociale, appese in pubblico come bandiere della memoria. “Come Clelia Marchi, che scrisse la sua autobiografia su un lenzuolo matrimoniale, anche noi vogliamo trasformare il tessuto in pagina, in voce visiva”, spiega il direttore artistico Pietro Arrigoni. La comunità come opera d’arte Il Festival si fonda su un’idea semplice e radicale: la comunità è un’opera d’arte vivente. Per questo le lenzuola non stanno nei musei, ma dialogano con l’aria, il sole, la vita di paese. E per questo ogni storia è esposta nel luogo dove è nata: una contrada, una piazza, un vicolo. “In questa edizione rendiamo omaggio a sette straordinarie persone del nostro paese che hanno avuto la generosità e il coraggio di raccontarci le loro vite. Storie intense, autentiche, radicate nella nostra terra e nel nostro tempo”, spiega il sindaco di Ome Alberto Vanoglio. Il progetto è parte di un più ampio Archivio della Memoria Orale di Ome, nato nel 2023 con l’obiettivo di salvare dall’oblio le storie locali, integrando la storia documentale con quella vissuta, emotiva, e a volte contraddittoria, ma sempre vera. Quando il fumetto incontra il sociale LENZ FUMETTO che si terrà sabato 30 agosto e domenica 31 agosto, non è solo testimonianza: è anche relazione, educazione e inclusione. Durante il festival, adulti e bambini sono invitati a disegnare sulle federe, simboli di sogno e protezione, trasformandole in spazi creativi dove elaborare paure, desideri, affetti. In questo senso va letto anche il progetto FED FUMETTO – Attraverso il sonno, che affronta il delicato tema dell’addormentamento nei bambini, offrendo strumenti ai genitori e ai piccoli per dare forma alle emozioni notturne. E ancora, l’anteprima del fumetto “Un giorno questo DENTE ti sarà utile”, realizzato con la cooperativa sociale Il Cardo di Edolo, dà spazio a voci fragili e straordinarie, come quella di Michele Baccanelli, giovane con disabilità che scrive per la rivista Zeus! da quando aveva 12 anni. “Ogni edizione del festival si interroga su cosa voglia dire includere: non basta esporre, bisogna dare spazio e ascolto alle differenze“, afferma Pietro Arrigoni, direttore artistico del festival. Tra vino, gioco e letteratura: il territorio si racconta Il Festival è anche celebrazione del territorio in tutte le sue sfumature. Come quella della Cantina Le Panische, condotta da donne, che produce vino biologico e racconta Ome attraverso le stagioni e le vigne. O la mostra ChiNere, dove il fumetto femminile si fonde con la degustazione dei vini della Cantina Marchisa, in un’esperienza sensoriale e culturale. Anche la letteratura entra in scena: con la Scuola Internazionale di Comics di Brescia, gli studenti hanno trasformato un capitolo del romanzo I giorni di vetro di Nicoletta Verna in un lenzuolo narrativo. Un ponte fra carta stampata e illustrazione, fra romanzo e immaginazione. A completare il quadro, laboratori per bambini, incontri con fumettisti, letture sonorizzate per i più piccoli e due serate di giochi da tavolo con il gruppo sociale Giocatori Malmostosi — perché il gioco è anche un linguaggio culturale, capace di unire, educare e costruire legami. Il tempo dell’oralità, il tempo della festa Il momento forse più potente sarà la grande tavolata popolare della domenica: tavoli da osteria, tovaglie a quadretti, posate portate da casa. È il ritorno alla festa collettiva, quella che unisce, quella che fa comunità. Qui l’oralità torna protagonista. Le anziane del paese, le stesse che hanno regalato le loro storie, siedono accanto ai giovani fumettisti, tra una fetta di torta salata e una battuta. La memoria si fa presente, il presente si fa racconto. Un festival necessario LENZ FUMETTO è un festival necessario. Non solo perché celebra la nona arte — il fumetto — in forme nuove e inedite. Ma perché ricuce strappi, restituisce voce, genera appartenenza. Dimostra che la cultura, quando è radicata nel territorio e nei suoi abitanti, può diventare strumento di rinascita e relazione. A Ome, le lenzuola non coprono: scoprono. E lo fanno con l’umiltà del gesto domestico e la forza del segno artistico. Perché raccontare è un atto d’amore. E farlo insieme, un atto politico.  Ome (BS) | 30–31 agosto 2025 Per maggiori informazioni sul programma del festival si consiglia la visita al sito ufficiale: https://sites.google.com/view/festivalfumettomarciapiede/home Simona Duci
Alejandro Jodorowsky, Moebius / Cronache picaresche del prossimo messia
Smontare la razionalità occidentale pezzo per pezzo, costruendo un culto visivo dove religione, desiderio e delirio si fondono senza pudore: con una coppia come Jodorowsky e Moebius non ci si può aspettare nulla di meno e la riedizione di La pazza del Sacro Cuore segna un’esplosione della nona arte che sfida ogni ortodossia, narrativa e morale. Edizioni BD raccoglie in un volume unico i tre capitoli che compongono questa avventura onirica e fuor di sesto, senza dubbio una delle opere più sorprendenti del sodalizio tra i due artisti, già consacrato con la celebrata collaborazione su L’Incal, Gli occhi del gatto e Artigli d’angelo. Inizialmente pubblicato in Francia tra il 1992 e il 1998, questo fumetto segna un allontanamento dai generi per cui erano già celebri – in primis la fantascienza – per avventurarsi in una commedia grottesca e surreale ambientata nella contemporaneità. La vicenda ha per protagonista Alain Mangel, eminente professore di filosofia razionalista alla Sorbona, che alla soglia dei sessant’anni vede la sua vita andare in pezzi e si imbatte nell’estasi mistica della giovane Elisabeth. Combattuto fra desiderio fisico e repressione dei propri istinti, Alain si trova in perenne squilibrio tra un convinto razionalismo occidentale e il forte richiamo del proprio inconscio, che trova antropomorfizzazione nel suo doppelgänger più giovane, visibile solo al confuso professore. Da qui Elisabeth trascina Mangel in un’avventura picaresca verso la venuta di un Messia e la fondazione di una nuova Chiesa, mentre il protagonista (alter ego di Jodorowsky) compie una ricerca della propria identità confrontandosi costantemente con un profondo nichilismo. A metà strada fra road-movie spirituale e commedia degli equivoci, puntellato di situazioni sempre più strampalate e folli, la trilogia segna un nuovo incontro creativo fra il regista e drammaturgo cileno e il fumettista francese, per una collaborazione in cui l’equilibrio tra queste due forti personalità segna prepotentemente l’opera. Da una parte Jodorowsky attinge alla sua autobiografia per scrivere una sceneggiatura dai tratti originalissimi, dall’altra Moebius sposta l’asse del proprio stile spaziando fra riferimenti orientali e occidentali. Nei primi capitoli, ambientati a Parigi, predominano i toni da commedia realistica, mentre un tratto chiaro e pulito ammorbidisce la rappresentazione di scene piccanti e situazioni assurde. Man mano che la narrazione procede e gli eventi si fanno più deliranti, il disegno di Giraud si fa più rapido e istintivo, trasferendo su carta l’esplosione di caos e irrazionalità che coinvolge i personaggi. Cuore pulsante dell’opera è però la dissacrante riflessione sul fanatismo religioso e sul bisogno umano di “credere”. La Pazza del Sacro Cuore mescola senza paura elementi del simbolismo biblico con un’ironia profana e pungente, ma anche con un linguaggio che viaggia fra il forbito e il volgare. La vicenda richiama esplicitamente l’iconografia cristiana (Giovanni Battista, la Vergine, il Messia), stravolgendola in chiave grottesca e sollevando interrogativi sulla tensione fra istituzione e rivelazione. Il desiderio viene declinato sia come pulsione sessuale sia come ricerca di completezza interiore e la componente erotica, spinta fino al limite del pornografico e del grottesco, diventa diretta contrapposizione all’ossessione della ragione che affligge il protagonista. La Pazza del Sacro Cuore è una riflessione sull’ipocrisia del mondo intellettuale, sulla decadenza di certa cultura “alta” e sulla necessità di trovare una dimensione di equilibrio. Una cavalcata folle fra streghe mistiche e viaggi psichedelici, foreste vergini e grigie metropoli, trafficanti colombiani e politici francesi, il tutto per poi capire che la vita deve essere una lunga festa, possibilmente in famiglia.   L'articolo Alejandro Jodorowsky, Moebius / Cronache picaresche del prossimo messia proviene da Pulp Magazine.
Richard Blake / Quando la fantascienza è meraviglia ed esplorazione
Anno 4040. Adley, una ragazza con poteri extrasensoriali, intraprende la ricerca dei suoi genitori scomparsi, una coppia di cartografi che si sono persi anni prima in un’altra dimensione. Questa è la grande scoperta dell’umanità futura, il Ponte, un portale che conduce a una realtà parallela estremamente complessa e cangiante in cui orientarsi è estremamente difficile e perdersi è quasi inevitabile. La funzione di Adley sarà di fungere da bussola a Staden, un’intelligenza artificiale estremamente evoluta nel corpo di un androide che attraversa il Ponte per trovare la coppia di cartografi. Sul suo cammino incontrerà pericolosissime AI datesi alla violenza a differenza di altre che, molto più riflessive, sembrano abitare la dimensione parallela con tutt’altri intenti. Non passerà molto, tuttavia, prima che la stessa Adley decida di attraversare il ponte in prima persona. Richard Blake è un artista eclettico con titoli accademici conseguiti in ambito internazionale. Pittore, scrittore e storyboard artist, Blake è un artista di vasta cultura e ciò si vede perfettamente in un debutto fumettistico – non a caso notato e proposto a Image Comics da una personalità del calibro di Jonathan Hickman – che non può venire se non da chi ha letto tantissimo, sia fumetti che letteratura tradizionale, facendo delle proprie letture l’ossatura della propria creazione. Ma Hexagon Bridge – Orizzonti Obliqui non è soltanto un debutto ricco di citazioni e referenti di livello, si tratta anche di un’opera incredibilmente matura, specie se si considera che è un’opera prima. Sì, perché a citare Borges e Calvino è capace anche un esordiente che ha fatto i compiti, ma prendere gli stilemi del fumetto francese, dalla cura nel dettaglio al ritmo, più ponderato e meno frenetico rispetto ai comics ma non per questo meno scorrevole, prendere l’immaginario di “Metal Hurlant” e tradurli in un fumetto in tutto e per tutto americano amalgamando ciò che è stato preso dalle fonti in modo che non si senta il peso del citazionismo creando un pastiche in cui non si vedono le saldature beh, tutto questo richiede una padronanza fuori dal normale di un mezzo espressivo mai approcciato prima. Hexagon Bridge – Orizzonti Obliqui è sci-fi high concept, un fumetto ad alta densità concettuale, una di quelle opere costruite con un immaginario sì sfrenato ma disciplinato al tempo stesso. C’è molto nell’opera di Richard Blake. Intelligenze artificiali, dimensioni parallele, una riflessione sullo spazio e sull’esplorazione che non è solo teorica ma va a costituire l’ossatura stessa della storia, così come l’utilizzo delle IA che non è didascalico ma estremamente pratico: le domande non vengono sbattute in faccia al lettore con un cartello luminoso ma si fanno carne, diventano personaggi che agiscono e danno vita alla trama. Pare scontato ma non lo è affatto e lo testimoniano le troppe opere in cui l’interiorità dei personaggi soffre di un’ipertrofia che comprime tutti gli altri aspetti niente affatto ancillari di una narrazione che, se poco curati, trasformano una storia in un pastone,  magari digeribile ma privo d’interesse. Di quelli che ti fan sentire colto perché lo capisci ma non ti stanno realmente sfidando in termini di pensiero.  Ecco, possiamo dire che Blake ridimensiona parecchio il ruolo dei personaggi all’interno di un costrutto fatto di world building, trama e di componente visuale che, nella fattispecie, è incredibile. Se, infatti, i personaggi sono approfonditi quanto basta, caratterizzati in modo funzionale e in equilibrio con gli altri elementi, l’impatto visivo delle tavole è meraviglioso. Alla ricchezza dei dettagli si aggiunge un sense of wonder che la costruzione vertiginosa di una dimensione sfumata, tendente all’infinito, in grado di disorientare il lettore che si perde in un ambiente alieno e inesplorato ma selvaggiamente bello nel suo essere così strano. Hexagon Bridge – Orizzonti Obliqui è un’opera completa, che fa pensare ma suscita anche emozioni pur non fossilizzandosi sul parlare a tutti i costi di esse, una storia di fantascienza che ne riprende l’intento originario di meraviglia ed esplorazione. L'articolo Richard Blake / Quando la fantascienza è meraviglia ed esplorazione proviene da Pulp Magazine.
Zuzu / Anatomia di una sparizione
La prima cosa che colpisce leggendo un fumetto di Zuzu sono i nasi. Grandi, sporgenti, sbilenchi: non caricaturali, non grotteschi, ma dichiarazioni di esistenza. Sono lì a dire che ogni volto ha diritto alla sua forma, anche se non corrisponde ad alcun canone. Nel mondo di Zuzu i corpi sono imperfetti, diversi, autentici come si conferma in Ragazzo. Ambientato a Salerno nel 2013 – quando i social non erano ancora pervasivi come oggi – Ragazzo ruota attorno a una scomparsa: Andrea, adolescente “strano”, esce di casa senza cellulare né documenti e non torna. Ma questo non è un giallo. È un racconto di risonanze emotive: cosa provoca la sua assenza in chi resta? Cosa significa scomparire o restare quando si è ragazzi, amici, figli o genitori? Attorno ad Andrea si muovono Alice, che forse è l’ultima ad averlo visto, e Francesco, adolescente spaesato e fragile, attraversato da un dolore sordo, da un’identità incerta, da un desiderio che sa dove andare – verso Alice che ama tantissimo – ma non sa come andare. È lui a tentare il gesto più radicale: non solo sparire, ma provare a morire. I due ragazzi del titolo sono uno che manca per quasi tutta la storia e uno che vorrebbe mancare per sempre. Del primo sappiamo poco: che era generoso, gentile, che aveva un rapporto speciale con sua madre. Del secondo sappiamo tutto: il corpo che non risponde, l’ansia, la fatica di stare al mondo, l’amore per Alice che si trasforma in impotenza. In questa ambivalenza si gioca il titolo Ragazzo: è singolare, ma evoca una pluralità. Due assenze, due dolori, due modi di dire “non ce la faccio”. Ma anche due modi di rimanere. Zuzu, che in Giorni felici aveva saputo raccontare con profondità la protagonista durante le sue crisi di coppia e di senso, qui sposta lo sguardo sui maschi. Racconta la vulnerabilità dei ragazzi, l’incertezza, la paura di non essere all’altezza che però non diventa misoginia. La sessualità, presente e forte in tutte le sue opere, non è mai pruriginosa né pornografica: è parte della vita, qualcosa che si impara, che si sperimenta, che può fare paura o male, ma che è sempre legata al desiderio di essere visti, toccati, amati. Questo vale anche per i personaggi adulti. Alle due figure di ragazzo corrispondono infatti due madri, anche loro complesse e tridimensionali. Rita, la madre di Andrea, lo ha cresciuto da sola. È una donna che ama, che ha amato: ha avuto una relazione con il padre di Francesco, e questo dettaglio – che potrebbe sembrare accessorio – diventa invece una chiave narrativa sottile e potente. Anche la madre di Francesco ha una sua storia affettiva: vive una relazione omosessuale che la sorprende. Nessuna delle due è soltanto “madre”. Sono donne con desideri, corpi, relazioni. E, nei momenti più bui, sono proprio i genitori – anche quelli feriti, contraddittori – a sapere stare accanto ai ragazzi. Zuzu racconta con grande empatia questa forma imperfetta ma vitale di prossimità adulta. Ragazzo è dunque un romanzo del “noi”. Se i primi libri erano centrati sull’io, qui Zuzu allarga lo sguardo: racconta le generazioni, la trasmissione del dolore, la possibilità dell’ascolto. Ogni personaggio, anche il più marginale, come l’uomo sulla panchina ha diritto a esserci. Ogni voce è un pezzo di quel noi fragile e intermittente che chiamiamo comunità. Dal punto di vista grafico, Zuzu continua a reinventarsi. Dopo il bianco e nero di Cheese e i pastelli e matite di Giorni felici, in Ragazzo usa pennarelli volutamente scoloriti, infantili, imperfetti. Il colore incompleto diventa metafora della vita che non si sa dire tutta. Anche l’uso dello spazio è libero: tavole fitte alternate a vuoti, silenzi, dettagli che restano sospesi. Il ritmo è quello delle emozioni, dei respiri, degli inciampi. Zuzu ha dichiarato in un’intervista che ci ha messo due anni per terminare questo fumetto, e noi lo leggiamo in mezz’ora. Ma Ragazzo ci prende, ci aggancia, ci invita a tornare indietro. La prima lettura è spesso in continuità con i libri precedenti: mettiamo le opere in relazione, seguiamo l’evoluzione grafica, riconosciamo la voce. Poi rileggiamo Ragazzo per la storia. E quel bisogno di ritornarci dice molto: vuol dire che il lavoro grafico e narrativo sono profondamente intrecciati, che ciò che può sembrare una sospensione o una mancanza di trama si compensa nel modo in cui Zuzu colora, struttura, riempie le sue storie. E ci fa restare. Ma ciò che rende unica l’opera di Zuzu è la sua etica dello sguardo. Non c’è mai giudizio, mai una semplificazione, mai la tentazione di trovare colpe. C’è dolore che si trasmette, desiderio che cambia forma, e una profonda compassione. Non nel senso pietistico, ma in quello più autentico: la capacità di sentire con, di restare accanto, anche nel disordine, anche nella vergogna, anche quando non ci sono risposte.   L'articolo Zuzu / Anatomia di una sparizione proviene da Pulp Magazine.
David e William Genchi / Ludopatie black fantasy
David e William Genchi – lasciatemelo dire – sono due fottuti geni. Mi dispiace solo esserci arrivato con tanto ritardo. Esordire nel settore dei libri-gioco non è facile, perché si è sempre costretti a confrontarsi con i mostri sacri del genere, con una profonda tradizione underground, con una lunga serie di cavilli tecnici e con esigenze di originalità ed efficacia che rischiano di remare contro questa stessa tradizione e questi stessi cavilli. In breve, si deve scegliere tra l’ennesima riproposizione di Lupo Solitario e un salto nel buio; è questo il bivio primordiale, il meta-bivio di tutti i giochi a bivi. I fratelli Genchi, dal canto loro, hanno deciso di lanciare una testata nucleare sul problema e ripartire da un’apocalisse tanto narrativa quanto strutturale.  A cominciare dal titolo, Analwizards proietta il giocatore in un contesto provocatorio e di rottura, a metà strada tra il grottesco, il weird e lo splatter. Questo anche grazie al contesto offerto dalla casa editrice marchigiana Hollow Press, una delle realtà più felici e di successo del nostro panorama editoriale indipendente. Non è un caso che questo stesso editore sia anche dietro a uno di quei libri che non solo si prefigurano come futuri classici ma che, al contempo, hanno contribuito alla nascita di un vero e proprio genere fumettistico-letterario: Vermis (due volumi), il lorebook ideato e realizzato dal misterioso illustratore conosciuto come Plastiboo. Per questo la decisione di produrre un libro-game venduto a un prezzo concorrenziale (che purtroppo ci priva di una copertina rigida), ma dall’alto profilo qualitativo (avete idea di quanto diavolo costi stampare tutte queste pagine a colori?) la dice lunga sulla mentalità dell’editore. Ancor più perché Analwizards si propone al lettore in modo sfacciato, riversandogli addosso ettolitri di assurdità, humour nero e nichilismo incendiario. Un coraggio che deriva da una forte cornice editoriale e da un altrettanto forte fanbase. Un ovvio plauso va al sistema di gioco, così chiaro e semplice da evidenziare ancor di più l’intento estetico dei due autori: chiunque può dare inizio a una run di Analwizards, a patto di riuscire a sopportarne il contenuto. Il formato è lo stesso delle vecchie riviste anni ’80, quelle che negli Stati Uniti (ma anche in Italia) pubblicavano moduli non ufficiali per GDR, dungeoncrawler, racconti e miniserie giocabili; una fucina di intuizioni e sperimentazioni alle quali Analwizards rende tributo solo per congedarsene con più convinzione. Ok, è vero, in Analzwizards ci sono pur sempre i bivi, ma non si tratta della classica soluzione logico-strutturale – ossia di una scelta dettata dalla fruibilità. Anzi. È evidente come i fratelli Genchi si siano calati appieno in una mentalità “dungeon”, più vicina a una sensibilità estetica o musicale, che a semplici questioni di design. Se dovessimo parlare di progettazione, infatti, si potrebbe addirittura dire che l’obiettivo del gioco sia quello di disorientare e scoraggiare il lettore, più che assecondarlo. La stessa struttura narrativa induce a pensare che non si riuscirà mai a percorrere tutti i percorsi contenuti nel libro – a meno di non dedicargli la medesima attenzione che si potrebbe riservare a un cosiddetto “videogioco hardcore”. Il modello, insomma, è quello della proliferazione e della dispersione; qualcosa di estremamente simile a quel che si può trovare in un libro ergodico quale Casa di Foglie, o in un album grindcore o harsh noise. L’esperimento è riuscito in maniera esaltante, complice l’impiego del fumetto anziché del semplice testo narrativo. Decisamente esaltante il disegno, che riesce a fondere e ibridare caratteristiche e palette che riportano alla mente la seconda generazione di serie animate Cartoon Network e Nickelodeon; i classici del fumetto beat, psichedelico e underground; Hieronymus Bosch; lo splatter; il manga e l’eroguro giapponese. Una combinazione all’insegna del bizzarro, che tanto più la si frequenta tanto più convince. Altrettanto straordinaria la caratterizzazione dei personaggi, tenuta sempre in bilico tra l’esilarante e l’estremamente perturbante; impossibile non ridere, non schifarsi, non restare vagamente allibiti – in breve, non farsi coinvolgere nelle dinamiche di questo folle universo. Analwizards è, a mio parere, destinato a diventare un punto di riferimento per chiunque, in Italia, l’estremo in tutte le sue forme e sia fermamente convinto che possa avere anche una funzione ludica e felicemente perversa. Lo stesso vale per il mondo dei libri-game, che con questa pubblicazione vede rompersi diverse barriere e aprirsi un bel po’ di sentieri. A Cesare quel che di Cesare; ai Genchi, si spera, fama internazionale. L'articolo David e William Genchi / Ludopatie black fantasy proviene da Pulp Magazine.