Dallo sciopero di tutt3 allo sciopero per tutt3
Nelle ultime settimane, il dibattito pubblico è stato dominato dallo sciopero,
inteso come un evento dai molteplici significati. Lo sciopero è stato:
spauracchio del Governo, occasione di convergenza per le lotte, ma anche
affermazione di “potere” e autonomia per le organizzazioni sindacali.
Per quanto mi riguarda, lo sciopero mi coinvolge profondamente per tre motivi
che ne definiscono la centralità nel mio percorso di vita:
1. Biografico: essendo figlio di un sindacalista, questa parola è sempre
risuonata in casa, e lo sciopero, nella mia fantasia di bambino, era il
supremo strumento di difesa contro i “cattivi” (i padroni).
2. Militante: ricordo chiaramente che uno dei primi dibattiti a cui mi
approcciai nel 2008, durante il movimento dell’Onda, riguardava la
possibilità di generalizzare lo sciopero, chiedendo già allora una
convocazione unitaria alla Cgil e ai sindacati di base.
3. Professionale: come giuslavorista che si posiziona esclusivamente dalla
parte delle lavoratrici e dei lavoratori (e che si occupa, tra l’altro, del
settore legale e contenzioso delle Clap – Camere del Lavoro Autonomo e
Precario), l’irruzione dello sciopero come momento costituente di un diritto
“partigiano” (ossia contrapposto agli interessi di un’altra parte) è un
ossessivo campo di studio e ricerca.
> Da sempre, dunque, cerco di trovare un punto di incontro con la potenza dello
> sciopero. Punto di incontro che si è concretizzato nelle giornate di lotta del
> 22 settembre e, soprattutto, del 3 ottobre 2025.
Per centinaia di migliaia di persone, lo sciopero, oltre a essere generale e
generalizzato, è stato il primo tentativo riuscito di sciopero sociale e
intersezionale — nella definizione data da Angela Davis, in cui a intersecarsi
sono le lotte e non le identità. Ciò è avvenuto mediante la pratica concreta (e
non la semplice evocazione) della convergenza, come momento di incontro e, allo
stesso tempo di moltiplicazione e sintesi di pratiche e parole d’ordine.
Le giornate di settembre e ottobre sono state a tutti gli effetti una “irruzione
improvvisa in un momento imprevisto” (per fare proprie le parole di Bensaid) in
grado di rompere la ciclicità e la liturgia degli scioperi generali degli ultimi
tempi. Lo hanno strappato via dal ruolo di mera testimonianza in cui spesso era
ricaduto negli ultimi anni, affermandone invece la propria originaria potenza.
Hanno re-introdotto nel dibattito pubblico la legittimità dello sciopero
“politico” (avversato per anni da politici, addetti ai lavori e settori della
magistratura, che ancora oggi puntano a limitarne la forza propulsiva e
trasformativa), in cui l’azione non si limita ad agire solo sul piano
dell’economico, ma diventa leva di trasformazione sociale, nonché formidabile
arma collettiva in grado di assicurare l’emancipazione delle subalterne e dei
subalterni, mettendo in discussione il rapporto sociale di sfruttamento che
ordina le nostre vite.
LA POTENZA DELLO SCIOPERO IN GRADO DI DISARTICOLARE LA LEGGE
La forza dirompente di queste mobilitazioni è nata dalla combinazione di
rivendicazioni di portata globale e nazionale:
* L’opposizione al genocidio e la richiesta di liberazione di Gaza.
* La pratica della violazione dell’illegittimo blocco navale imposto dallo
stato di Israele (attraverso l’azione della Global Sumud Flottilla) e il
blocco dei flussi e delle stazioni.
* Le lotte contro il cosiddetto regime di guerra imposto nel nostro Paese, che
si manifesta mediante la militarizzazione della società, il controllo sui
corpi, la guerra in ottica familista e patriarcale alle soggettività
transfemministe lgbtqia+, nella gestione delle risorse per la riconversione
bellica, e dallo spostamento delle risorse pubbliche sulle politiche di
riarmo a scapito di salari da fame, assenza di welfare e un processo di
impoverimento generale della società.
Tutte queste ragioni hanno dato vita alla eccezionale piazza del 22 settembre,
promossa da alcune organizzazioni sindacali. In quell’occasione, la grande
assente è stata la Cgil, la quale, costretta a rimediare a tale
sottovalutazione, ha proclamato anch’essa il successivo sciopero generale del 3
ottobre.
Questo ha permesso di realizzare il primo sciopero unitario e convergente della
storia repubblicana su temi così ampi. Espressioni del sindacalismo conflittuale
e di base (Clap, Adl Cobas, Cobas, Sial Cobas) e, ovviamente, Usb hanno
proclamato e/o aderito allo sciopero generale unitamente alla Cgil, sfidando
anche i veti della Commissione di garanzia.
> Si è fatto in modo che questo strumento, sebbene prerogativa delle
> organizzazioni sindacali, diventasse davvero esercizio concreto di un diritto
> a lottare da parte di lavoratrici e lavoratori, studentesse, studenti,
> migranti, di tutte le oppresse e gli oppressi.
In quanto scioperi politici, quelli del 22 settembre e 3 ottobre sono stati
anche momenti di lotta in grado di disarticolare la cogenza della legge e porre
le basi per la (ri)affermazione di diritti. La loro efficacia è risieduta anche
nella capacità di bloccare o rendere impraticabile l’attuazione di leggi
regressive, come la Legge 146 del 1990 che limita lo sciopero generale nei
servizi essenziali, inibendo altresì il potere di precettazione solo minacciato
da Salvini, nonché la liberticida Legge “Sicurezza”.
Insomma, gli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre hanno determinato una
cesura, un prima e dopo da cui da più parti e in più occasioni si è detto di
“non voler tornare indietro”.
SFUGGIRE ALLA RESTAURAZIONE
Tuttavia, il dibattito e lo scontro che si è realizzato subito dopo il 3 ottobre
è noto e sta rischiando di cancellare la potenza espressa dalle mobilitazioni
contro il Genocidio a Gaza e il regime di guerra in corso.
Oggi, infatti, ci troviamo con due date di sciopero generale proclamate:
1. 28 novembre: proclamato dapprima da Cub e Usb contro la Legge di Bilancio,
con un piglio “avanguardistico” che ha agito, in maniera dissonante, al di
fuori dei meccanismi di organizzazione che hanno permesso la riuscita degli
scioperi unitari. Altre realtà sociali (tra cui le stesse Clap, Cobas, Adl
Cobas, Sgb, Sial Cobas), singole e singoli, hanno scelto responsabilmente e
lucidamente di confluire e costruire il 28 novembre, per mantenere aperto il
processo di mobilitazione, cosi come richiesto a gran voce da quel complesso
mondo di realtà associative, spazi sociali, singole e singole che si sono
ritrovate sotto il nome di “equipaggi di terra”.
2. 12 dicembre: Nonostante gli appelli a confluire e “ripetere il 3 ottobre”,
la Cgil ha deciso di convocare uno sciopero generale contro la Legge di
Bilancio in questa data, presumibilmente a legge già approvata.
> I motivi di tale divaricazione sono vari e, visti dalla prospettiva del
> conflitto sociale aperto nel mese di settembre, e tutt’ora attuali, davvero
> poco validi e ragionevoli.
Indubbiamente, ha ragione il prof. Antonio Di Stasi quando sostiene che molti
quadri delle organizzazioni sindacali di base e la Cgil si portano dietro una
ferita storica risalente sia alla nascita del sindacalismo di base come
scissione “a sinistra”, sia a quanto accaduto nel movimento del ’77 con la
cacciata di Lama. Una ferita evidentemente non ancora rimarginata e tramandata.
Da questo punto di vista forse aiuterebbe tutte e tutti noi, e soprattutto la
possibilità di sviluppo delle lotte in questo paese, liberarci di un pezzo di
memoria che evidentemente agisce come un fardello e impedisce l’azione e il
cambiamento.
Ma c’è dell’altro: il rapporto controverso tra organizzazione sindacale e
sciopero.
* Le organizzazioni sindacali (dalle più grandi alle più piccole) sono
meccanismi complessi, rivolti per costituzione al loro interno (iscritte e
iscritti), e la loro azione e rappresentanza riguarda soprattutto
quest’ultimi. Di ciò bisogna tener conto quando si valutano le loro scelte. È
innegabile che ogni organizzazioni sindacali risponda a una propria legittima
autonomia, basata su logiche interne, identità specifiche e percorsi
decisionali.
* Invece, lo sciopero, la cui convocazione spetta alle organizzazioni
sindacali, è in verità di tutte e tutti quelli che vogliono aderire, a
prescindere dall’iscrizione.
Dunque, la proclamazione ha ragioni “interne”, legate alle piattaforme varate in
seno all’organizzazione, e da questo punto di vista potremmo dire che lo
sciopero è di tutt3, ma non è detto che sia per tutt3.
> Tuttavia, le ultime settimane lo hanno indicato chiaramente: lo sciopero in
> grado di invertire la rotta e togliere certezze agli attori politici ed
> economici di questo paese è lo sciopero “per tutt3”.
Affinché lo sciopero sia per tutt3, è necessario fare come si è fatto il 3
ottobre: mettere lo sciopero a disposizione, convergere su un’unica data, e
agire come moltiplicatori della “potenza” richiesta da molt3 attivist3,
sindacalist3, realtà associative e singoli.
Far dialogare le ragioni “interne” con quelle esterne è possibile. È possibile
che sulla stessa data convergano organizzazioni sindacali differenti con parole
d’ordine e pratiche diverse. Serve individuare un minimo comune denominatore
fatto di rivendicazioni unificanti, pratiche e linguaggi funzionali allo
sviluppo della mobilitazione, misurandosi con una presa di parola che va ben
oltre i luoghi di discussione dell’organizzazione, relazionandosi con quelle
soggettività che agli scioperi contribuiscono a dare corpo, gambe e anche
parola.
Nulla vietava, ad esempio, che le piattaforme rivendicative venissero poste in
discussione in tavoli di confronto, non solo intersindacali, ma anche in
processi ampi coinvolgendo associazioni, realtà sociali, singole e singole al
fine di trovare delle questioni unificanti su cui rilanciare la mobilitazione.
Continuare a opporsi al genocidio a Gaza, chiedere l’interruzione degli accordi
commerciali con lo Stato di Israele interrompere l’esportazione di armi,
rivendicare un utilizzo della spesa pubblica per potenziare la sanità,
l’istruzione, il welfare a fronte dell’aumento del Pil del 5% per il programma
di riarmo, aumentare i salari, rivendicare una tassa patrimoniale, poteva essere
quel programma minimo su cui dare sostanza ad una mobilitazione che al momento
rischia di arenarsi.
Se ciò non è accaduto, è perché le ragioni interne e di natura soggettiva sono
prevalse. Si è optato per la costruzione di scioperi di organizzazione e
programmatici, scioperi che potremmo definire “ordinari” e in continuità con
quelli che ci sono stati prima del 22 settembre 2025. Scioperi che invece di
tenere aperti e alimentare spazi di conflitto, si limitano ad affermare se
stessi.
È forse superfluo (ma non inutile) dirsi come questa scelta, sebbene legittima e
utile per il rafforzamento del ruolo dell’organizzazione sindacale, rischia
pericolosamente di cancellare l’innovazione, la dirompenza e soprattutto
l’efficacia degli scioperi moltitudinari del 22 settembre e 3 ottobre 2025.
IL FUTURO NON È SCRITTO…
Tuttavia, una strada è stata tracciata e il finale rimane “aperto”. Sappiamo
bene che i processi sono meccanismi complessi, fatti di avanzamenti, errori,
deviazioni e interruzioni, siamo destinate e destinati a fallire, fallire
meglio. Nonostante questa battuta d’arresto, è necessario continuare a lavorare
sui meccanismi di convergenza che hanno portato a fare dello sciopero generale,
sociale e convergente lo strumento di organizzazione e di lotta in grado di
riaprire una stagione di conflitto in questo Paese.
Affinché ciò accada è necessario continuare a far si che lo sciopero continui a
essere per tutt3. Su questo aspetto, tutte le organizzazioni sindacali che si
sono messe a disposizione nelle settimane passate hanno una responsabilità, da
cui non possono sfuggire, nei confronti di quelle centinaia di migliaia di
persone che hanno attraversato le piazze del 22 settembre e 3 ottobre. Perciò,
il 28 novembre, sebbene rischi di essere depotenziato dalle dinamiche sino ad
ora descritte, rimane comunque un banco di prova importantissimo per continuare
a navigare in acque alte e non arenarsi su logiche che rischiano di chiudere
quello che potrebbe essere il prologo di una importante stagione di lotta.
La copertina è di Gabriele Campanale
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