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Dallo sciopero di tutt3 allo sciopero per tutt3
Nelle ultime settimane, il dibattito pubblico è stato dominato dallo sciopero, inteso come un evento dai molteplici significati. Lo sciopero è stato: spauracchio del Governo, occasione di convergenza per le lotte, ma anche affermazione di “potere” e autonomia per le organizzazioni sindacali. Per quanto mi riguarda, lo sciopero mi coinvolge profondamente per tre motivi che ne definiscono la centralità nel mio percorso di vita: 1. Biografico: essendo figlio di un sindacalista, questa parola è sempre risuonata in casa, e lo sciopero, nella mia fantasia di bambino, era il supremo strumento di difesa contro i “cattivi” (i padroni). 2. Militante: ricordo chiaramente che uno dei primi dibattiti a cui mi approcciai nel 2008, durante il movimento dell’Onda, riguardava la possibilità di generalizzare lo sciopero, chiedendo già allora una convocazione unitaria alla Cgil e ai sindacati di base. 3. Professionale: come giuslavorista che si posiziona esclusivamente dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori (e che si occupa, tra l’altro, del settore legale e contenzioso delle Clap – Camere del Lavoro Autonomo e Precario), l’irruzione dello sciopero come momento costituente di un diritto “partigiano” (ossia contrapposto agli interessi di un’altra parte) è un ossessivo campo di studio e ricerca. > Da sempre, dunque, cerco di trovare un punto di incontro con la potenza dello > sciopero. Punto di incontro che si è concretizzato nelle giornate di lotta del > 22 settembre e, soprattutto, del 3 ottobre 2025. Per centinaia di migliaia di persone, lo sciopero, oltre a essere generale e generalizzato, è stato il primo tentativo riuscito di sciopero sociale e intersezionale — nella definizione data da Angela Davis, in cui a intersecarsi sono le lotte e non le identità. Ciò è avvenuto mediante la pratica concreta (e non la semplice evocazione) della convergenza, come momento di incontro e, allo stesso tempo di moltiplicazione e sintesi di pratiche e parole d’ordine. Le giornate di settembre e ottobre sono state a tutti gli effetti una “irruzione improvvisa in un momento imprevisto” (per fare proprie le parole di Bensaid) in grado di rompere la ciclicità e la liturgia degli scioperi generali degli ultimi tempi. Lo hanno strappato via dal ruolo di mera testimonianza in cui spesso era ricaduto negli ultimi anni, affermandone invece la propria originaria potenza. Hanno re-introdotto nel dibattito pubblico la legittimità dello sciopero “politico” (avversato per anni da politici, addetti ai lavori e settori della magistratura, che ancora oggi puntano a limitarne la forza propulsiva e trasformativa), in cui l’azione non si limita ad agire solo sul piano dell’economico, ma diventa leva di trasformazione sociale, nonché formidabile arma collettiva in grado di assicurare l’emancipazione delle subalterne e dei subalterni, mettendo in discussione il rapporto sociale di sfruttamento che ordina le nostre vite. LA POTENZA DELLO SCIOPERO IN GRADO DI DISARTICOLARE LA LEGGE La forza dirompente di queste mobilitazioni è nata dalla combinazione di rivendicazioni di portata globale e nazionale: * L’opposizione al genocidio e la richiesta di liberazione di Gaza. * La pratica della violazione dell’illegittimo blocco navale imposto dallo stato di Israele (attraverso l’azione della Global Sumud Flottilla) e il blocco dei flussi e delle stazioni. * Le lotte contro il cosiddetto regime di guerra imposto nel nostro Paese, che si manifesta mediante la militarizzazione della società, il controllo sui corpi, la guerra in ottica familista e patriarcale alle soggettività transfemministe lgbtqia+, nella gestione delle risorse per la riconversione bellica, e dallo spostamento delle risorse pubbliche sulle politiche di riarmo a scapito di salari da fame, assenza di welfare e un processo di impoverimento generale della società. Tutte queste ragioni hanno dato vita alla eccezionale piazza del 22 settembre, promossa da alcune organizzazioni sindacali. In quell’occasione, la grande assente è stata la Cgil, la quale, costretta a rimediare a tale sottovalutazione, ha proclamato anch’essa il successivo sciopero generale del 3 ottobre. Questo ha permesso di realizzare il primo sciopero unitario e convergente della storia repubblicana su temi così ampi. Espressioni del sindacalismo conflittuale e di base (Clap, Adl Cobas, Cobas, Sial Cobas) e, ovviamente, Usb hanno proclamato e/o aderito allo sciopero generale unitamente alla Cgil, sfidando anche i veti della Commissione di garanzia. > Si è fatto in modo che questo strumento, sebbene prerogativa delle > organizzazioni sindacali, diventasse davvero esercizio concreto di un diritto > a lottare da parte di lavoratrici e lavoratori, studentesse, studenti, > migranti, di tutte le oppresse e gli oppressi. In quanto scioperi politici, quelli del 22 settembre e 3 ottobre sono stati anche momenti di lotta in grado di disarticolare la cogenza della legge e porre le basi per la (ri)affermazione di diritti. La loro efficacia è risieduta anche nella capacità di bloccare o rendere impraticabile l’attuazione di leggi regressive, come la Legge 146 del 1990 che limita lo sciopero generale nei servizi essenziali, inibendo altresì il potere di precettazione solo minacciato da Salvini, nonché la liberticida Legge “Sicurezza”. Insomma, gli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre hanno determinato una cesura, un prima e dopo da cui da più parti e in più occasioni si è detto di “non voler tornare indietro”. SFUGGIRE ALLA RESTAURAZIONE Tuttavia, il dibattito e lo scontro che si è realizzato subito dopo il 3 ottobre è noto e sta rischiando di cancellare la potenza espressa dalle mobilitazioni contro il Genocidio a Gaza e il regime di guerra in corso. Oggi, infatti, ci troviamo con due date di sciopero generale proclamate: 1. 28 novembre: proclamato dapprima da Cub e Usb contro la Legge di Bilancio, con un piglio “avanguardistico” che ha agito, in maniera dissonante, al di fuori dei meccanismi di organizzazione che hanno permesso la riuscita degli scioperi unitari. Altre realtà sociali (tra cui le stesse Clap, Cobas, Adl Cobas, Sgb, Sial Cobas), singole e singoli, hanno scelto responsabilmente e lucidamente di confluire e costruire il 28 novembre, per mantenere aperto il processo di mobilitazione, cosi come richiesto a gran voce da quel complesso mondo di realtà associative, spazi sociali, singole e singole che si sono ritrovate sotto il nome di “equipaggi di terra”. 2. 12 dicembre: Nonostante gli appelli a confluire e “ripetere il 3 ottobre”, la Cgil ha deciso di convocare uno sciopero generale contro la Legge di Bilancio in questa data, presumibilmente a legge già approvata. > I motivi di tale divaricazione sono vari e, visti dalla prospettiva del > conflitto sociale aperto nel mese di settembre, e tutt’ora attuali, davvero > poco validi e ragionevoli. Indubbiamente, ha ragione il prof. Antonio Di Stasi quando sostiene che molti quadri delle organizzazioni sindacali di base e la Cgil si portano dietro una ferita storica risalente sia alla nascita del sindacalismo di base come scissione “a sinistra”, sia a quanto accaduto nel movimento del ’77 con la cacciata di Lama. Una ferita evidentemente non ancora rimarginata e tramandata. Da questo punto di vista forse aiuterebbe tutte e tutti noi, e soprattutto la possibilità di sviluppo delle lotte in questo paese, liberarci di un pezzo di memoria che evidentemente agisce come un fardello e impedisce l’azione e il cambiamento. Ma c’è dell’altro: il rapporto controverso tra organizzazione sindacale e sciopero. * Le organizzazioni sindacali (dalle più grandi alle più piccole) sono meccanismi complessi, rivolti per costituzione al loro interno (iscritte e iscritti), e la loro azione e rappresentanza riguarda soprattutto quest’ultimi. Di ciò bisogna tener conto quando si valutano le loro scelte. È innegabile che ogni organizzazioni sindacali risponda a una propria legittima autonomia, basata su logiche interne, identità specifiche e percorsi decisionali. * Invece, lo sciopero, la cui convocazione spetta alle organizzazioni sindacali, è in verità di tutte e tutti quelli che vogliono aderire, a prescindere dall’iscrizione. Dunque, la proclamazione ha ragioni “interne”, legate alle piattaforme varate in seno all’organizzazione, e da questo punto di vista potremmo dire che lo sciopero è di tutt3, ma non è detto che sia per tutt3. > Tuttavia, le ultime settimane lo hanno indicato chiaramente: lo sciopero in > grado di invertire la rotta e togliere certezze agli attori politici ed > economici di questo paese è lo sciopero “per tutt3”. Affinché lo sciopero sia per tutt3, è necessario fare come si è fatto il 3 ottobre: mettere lo sciopero a disposizione, convergere su un’unica data, e agire come moltiplicatori della “potenza” richiesta da molt3 attivist3, sindacalist3, realtà associative e singoli. Far dialogare le ragioni “interne” con quelle esterne è possibile. È possibile che sulla stessa data convergano organizzazioni sindacali differenti con parole d’ordine e pratiche diverse. Serve individuare un minimo comune denominatore fatto di rivendicazioni unificanti, pratiche e linguaggi funzionali allo sviluppo della mobilitazione, misurandosi con una presa di parola che va ben oltre i luoghi di discussione dell’organizzazione, relazionandosi con quelle soggettività che agli scioperi contribuiscono a dare corpo, gambe e anche parola. Nulla vietava, ad esempio, che le piattaforme rivendicative venissero poste in discussione in tavoli di confronto, non solo intersindacali, ma anche in processi ampi coinvolgendo associazioni, realtà sociali, singole e singole al fine di trovare delle questioni unificanti su cui rilanciare la mobilitazione. Continuare a opporsi al genocidio a Gaza, chiedere l’interruzione degli accordi commerciali con lo Stato di Israele interrompere l’esportazione di armi, rivendicare un utilizzo della spesa pubblica per potenziare la sanità, l’istruzione, il welfare a fronte dell’aumento del Pil del 5% per il programma di riarmo, aumentare i salari, rivendicare una tassa patrimoniale, poteva essere quel programma minimo su cui dare sostanza ad una mobilitazione che al momento rischia di arenarsi. Se ciò non è accaduto, è perché le ragioni interne e di natura soggettiva sono prevalse. Si è optato per la costruzione di scioperi di organizzazione e programmatici, scioperi che potremmo definire “ordinari” e in continuità con quelli che ci sono stati prima del 22 settembre 2025. Scioperi che invece di tenere aperti e alimentare spazi di conflitto, si limitano ad affermare se stessi. È forse superfluo (ma non inutile) dirsi come questa scelta, sebbene legittima e utile per il rafforzamento del ruolo dell’organizzazione sindacale, rischia pericolosamente di cancellare l’innovazione, la dirompenza e soprattutto l’efficacia degli scioperi moltitudinari del 22 settembre e 3 ottobre 2025. IL FUTURO NON È SCRITTO… Tuttavia, una strada è stata tracciata e il finale rimane “aperto”. Sappiamo bene che i processi sono meccanismi complessi, fatti di avanzamenti, errori, deviazioni e interruzioni, siamo destinate e destinati a fallire, fallire meglio. Nonostante questa battuta d’arresto, è necessario continuare a lavorare sui meccanismi di convergenza che hanno portato a fare dello sciopero generale, sociale e convergente lo strumento di organizzazione e di lotta in grado di riaprire una stagione di conflitto in questo Paese. Affinché ciò accada è necessario continuare a far si che lo sciopero continui a essere per tutt3. Su questo aspetto, tutte le organizzazioni sindacali che si sono messe a disposizione nelle settimane passate hanno una responsabilità, da cui non possono sfuggire, nei confronti di quelle centinaia di migliaia di persone che hanno attraversato le piazze del 22 settembre e 3 ottobre. Perciò, il 28 novembre, sebbene rischi di essere depotenziato dalle dinamiche sino ad ora descritte, rimane comunque un banco di prova importantissimo per continuare a navigare in acque alte e non arenarsi su logiche che rischiano di chiudere quello che potrebbe essere il prologo di una importante stagione di lotta. La copertina è di Gabriele Campanale SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Dallo sciopero di tutt3 allo sciopero per tutt3 proviene da DINAMOpress.
[2025-10-03] CLAP and GO! 2025 | Festival del lavoro vivo, VIII edizione – 3 ottobre 2025 @ Casale Garibaldi autogestito
CLAP AND GO! 2025 | FESTIVAL DEL LAVORO VIVO, VIII EDIZIONE – 3 OTTOBRE 2025 Casale Garibaldi autogestito - Via Romolo Balzani, 87, Roma (venerdì, 3 ottobre 18:00) CLAP and GO! 2025 | Festival del lavoro vivo, VIII edizione Dal 3 al 5 ottobre torna il Festival delle CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario: tre giorni di incontri, dibattiti, musica, cibo, convivialità presso Casale Garibaldi, Acrobax ed Esc Atelier Autogestito. Venerdì 3 ottobre – Casale Garibaldi H 18:00 – Dibattito “Le ragioni della convergenza: lotte e sciopero nella Capitale del lavoro culturale precario.” Con Vogliamo tutt’altro, Assemblee Precarie delle università di Roma, Coordinamento precari AFAM, Cobas lavoro privato Durante e dopo il dibattito, ricco aperitivo a cura della cucina di Casale Garibaldi.
Clap: insegnamenti del nuovo contratto Sviluppo Lavoro Italia
Lunedì 23 giugno le Clap – Camere del lavoro autonomo e precario – hanno sottoscritto con l’azienda Sviluppo Lavoro Italia spa, già Anpal servizi, il nuovo contratto collettivo aziendale del lavoro, rinnovato dopo 14 anni. Per le Clap è un risultato di straordinaria importanza, sia per i contenuti più che avanzati del rinnovo (dal punto di vista economico e normativo) che per il processo di partecipazione e protagonismo democratico dei 13 mesi di negoziato. Un risultato, di cui il sindacato ha dato notizia in un comunicato stampa pubblicato il giorno della conclusione dell’accordo, che arriva al termine di un percorso sindacale iniziato anni prima dove le Clap sono state protagoniste in battaglie importanti, come la stabilizzazione di oltre 600 precarie e precari avvenuta nel 2021. Per conoscere meglio il percorso di mobilitazione terminato con la sigla del contratto, Dinamopress ha intervistato Marco Filippetti, Biagio Quattrocchi, Maurizia Russo Spena e Cristian Sica, che hanno portato avanti il negoziato con l’azienda a nome di Clap e di centinaia di lavoratrici e lavoratori iscritte al sindacato. Dopo oltre 14 anni dalla scadenza della parte normativa, il rinnovo del CCAL di Sviluppo Lavoro Italia rappresenta un passaggio storico. Quali sono stati, secondo voi, i fattori decisivi che hanno permesso di raggiungere questo risultato, in un contesto nazionale in cui i rinnovi contrattuali spesso procedono a rilento e segnano avanzamenti minimi? La sottoscrizione del CCAL 2024-2026 del 23 giugno arriva dopo un anno di trattative e a distanza di oltre 14 anni dalla scadenza della parte normativa del contratto. Un’attesa enorme per le circa 900 lavoratrici e lavoratori, che ha significato svalorizzazione del lavoro, opacità nei percorsi di carriera, sotto inquadramenti, mancanza di tutele. Siamo arrivate e arrivati a questo importante risultato solo grazie a un rilevante e paziente accumulo di forza e capacità negoziale. Nel 2021 è avvenuto il riconoscimento delle CLAP. Da allora abbiamo avuto pieno accesso ai diritti sindacali del Titolo III dello Statuto dei lavoratori. Un traguardo raggiunto grazie all’impegno di lavoratrici e lavoratori che, con tenacia e generosità, hanno scelto di mettersi in gioco, resistendo anche nei momenti più difficili. Come durante la lotta per le stabilizzazioni, quando la nostra organizzazione non era ancora ammessa ai tavoli negoziali, ma di fatto esercitava una pressione significativa che ha condizionato la dinamica delle trattative. La rottura del monopolio confederale della rappresentanza – che fino ad allora era stato assoluto all’interno dell’Agenzia – ha rappresentato un passaggio straordinario nelle relazioni industriali, rendendo visibile la forma neocorporativa praticata dalle RSA confederali, che di fatto indeboliva l’indipendenza della contrattazione e la capacità di rappresentare le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori. Non a caso i primi ostacoli alla nostra agibilità sindacale sono arrivati proprio dalle RSA confederali, che hanno cercato in ogni modo di impedire il nostro formale riconoscimento. In questi anni abbiamo sempre creduto che costruire un’organizzazione sindacale indipendente non significasse semplicemente aggiungere un’ulteriore sigla al panorama esistente. Anche se magari più radicale, maggiormente capace di evitare derive identitarie o di scivolare su un terreno inefficace e marginale. Sperimentare la strada del sindacalismo indipendente ha significato per noi dar vita a un modello di partecipazione realmente inclusivo, con una chiara vocazione maggioritaria, capace di rilanciare una nuova stagione di sindacalizzazione. Anche la critica, spesso severa, che abbiamo rivolto apertamente alle organizzazioni confederali, non è equivalsa in una chiusura ideologica, nella ricerca di una presunta purezza. Abbiamo spesso cercato alleanze tattiche, il più delle volte ricevendo chiusure da parte degli altri, che si sentivano minacciati dalla nostra presenza.    Pensiamo che l’importante traguardo del rinnovo del contratto non sarebbe stato possibile senza la lunga e inedita vertenza per le stabilizzazioni, che ha modificato la composizione dei dipendenti e gli assetti dell’Agenzia. Le prime battaglie per la stabilizzazione dei circa 600 precari sono iniziate già nel 2015, per poi arrivare al punto più alto a cavallo tra il 2019 e il 2021, quando sono stati necessari oltre 10 scioperi, 15 presidi, un’occupazione della sede centrale di Roma e numerose altre azioni comunicative sui social. Un lungo ciclo che ha di fatto costruito e consolidato una trama di relazioni. Successivamente, nel 2023, abbiamo ottenuto un importante Accordo sul Lavoro Agile e, poi, più di recente il pre-accordo sulla parte economica del CCAL. In tutto questo tempo abbiamo dimostrato capacità propositiva, trasparenza e condivisione nei processi decisionali. La libertà di organizzazione sindacale, il pluralismo, la democrazia nei luoghi di lavoro e la capacità di costruire mobilitazione e consenso dal basso si sono rivelati fattori decisivi. A questi elementi si sono aggiunti una disponibilità all’ascolto attivo e un’attitudine empatica, aspetti fondamentali che ci hanno permesso di cogliere in profondità le dinamiche di sofferenza sul lavoro. Sofferenze psichiche spesso legate a demansionamenti, percorsi di carriera incerti, mancanza di riconoscimento e a diverse altre forme di fragilità. All’interno del multilivello che ha contraddistinto la nostra azione sindacale, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla comunicazione come forma di conflitto: sia nella battaglia contro la precarietà, sia nelle fasi più delicate e decisive dei negoziati più recenti sul contratto. In questo senso, le nuove forme di comunicazione e di immaginario politico sperimentate a partire dai primi anni Duemila, anche grazie all’esperienza di San Precario, hanno rappresentato per noi una straordinaria cassetta degli attrezzi. Questo approccio ci ha permesso di costruire molteplici alleanze, dentro e fuori i luoghi di lavoro, perché siamo convinti che non si vince mai da soli. Se i risultati raggiunti oggi sono stati possibili, oltre alla determinazione delle lavoratrici e dei lavoratori, alla solidarietà di chi ha partecipato alle mobilitazioni, alle altre vertenze incontrate lungo il cammino, alla complicità con i giornalisti spesso precari, è stato necessario il contributo generoso di parlamentari delle forze di opposizione che hanno sostenuto le nostre rivendicazioni. Grazie al loro supporto, è stato possibile ottenere la legge 128/2019 che ha consentito la nostra stabilizzazione, aprendo la strada a un precedente importante nelle società in house. Oggi più che mai, sono questi elementi molteplici che rafforzano la contrattazione collettiva e contrastano la crisi di rappresentanza in atto. Le conquiste raggiunte con il rinnovo del contratto – sul piano economico e normativo – sono ancora più evidenti se si considerano i recenti dati Istat che segnalano che alla fine di marzo 2025, mentre nel settore privato la quota di contratti collettivi nazionali in vigore era del 66% circa, nella pubblica amministrazione, invece, l’incidenza era pari a zero, poiché i contratti rinnovati si riferiscono al triennio 2022-2024 e risultano già scaduti. In questo senso pensiamo che la contrattazione collettiva è uno strumento essenziale e insostituibile per affermare diritti, soprattutto in un contesto economico e sociale segnato da un regime di guerra globale. Possiamo affermare con convinzione di aver vinto questa sfida. Oggi le CLAP sono tra le organizzazioni sindacali più rappresentative in Sviluppo Lavoro Italia. Grazie alla nostra azione, il contratto è diventato l’architrave dei diritti, garanzia di tutele e strumento fondamentale di democrazia sindacale. La partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori è stata al centro del vostro percorso. Come avete costruito e mantenuto questa partecipazione durante i 13 mesi di negoziato e in che modo ha influito sulle scelte contenutistiche dell’accordo? Più in generale, come si è sviluppata e consolidata la presenza di CLAP all’interno di Sviluppo Lavoro Italia? Fin dall’inizio della vertenza sul rinnovo del contratto abbiamo sperimentato un laboratorio di scrittura corale della nostra piattaforma fatto di gruppi di lavoro tematici, che ha rinsaldato il senso di appartenenza, restituendo alle lavoratrici e ai lavoratori la percezione concreta di essere non solamente destinatari di maggiori e nuovi diritti, tutele, incrementi salariali, ma attori messi nelle condizioni di operare delle scelte, orientate da domande necessarie, quali «cosa faccio, come sto, cosa desidero per me e per gli altri». Nel corso di questi 13 mesi abbiamo dato vita a diverse agorà sul contratto per discutere collettivamente lo stato della trattativa. È stato fondamentale anche utilizzare in maniera continuativa chat, strumenti di videoconferenza e indirizzari condivisi per discutere in tempo reale gli avanzamenti o i blocchi nel negoziato. Questa pratica si è resa possibile anche perché sin dall’inizio della nostra esperienza sindacale nell’Agenzia abbiamo provato a mettere al centro la vita delle persone, valorizzarla come elemento fortemente politico (il senso del lavoro, le relazioni, il benessere, il rapporto tra i generi e con l’ambiente). Tutto ciò ci ha messo nelle condizioni di ribaltare l’idea stessa della rappresentanza e della funzione del sindacato, così come è stata interiorizzata negli anni dalle lavoratrici e dai lavoratori nella pubblica amministrazione e nel sistema para-pubblico delle società in house. Strutture spesso burocratizzate, dominate dagli interessi mutevoli maturati nei vari cicli politici, dove è stata incentivata la logica del “compromesso” individuale piuttosto che la tutela degli interessi collettivi. La nostra azione di diffusione e distribuzione del “potere” della parola e dell’azione non è stata semplice e lineare, e a oggi neppure possiamo considerarlo un risultato definitivo. Offrire spazi di riconoscimento ed espressione delle condizioni lavorative, qualificandole anche attraverso meccanismi di autoriflessione e di autoformazione (seminari, workshop, gruppi di discussione, inchieste dal basso), ha prodotto un duplice effetto: rompere il privilegio e l’automatismo della delega e, al tempo stesso, ingaggiare l’intera comunità professionale, lacerata anche sul piano etico dalla stratificazione diseguale delle condizioni e dalla rottura del legame solidaristico, dentro un processo di crescita collettivo.  In un’epoca in cui spesso si assiste alla smaterializzazione della contrattazione collettiva e al ricorso a premi una tantum o welfare aziendale, voi avete puntato su aumenti nei minimi tabellari e su una clausola di garanzia per i salari reali. Perché questa scelta? Che tipo di modello contrattuale volete costruire? Da vent’anni assistiamo a un doppio fenomeno. La caduta dei salari reali si è intrecciata con un cambiamento della struttura della retribuzione. Ciò è avvenuto anche nelle grandi aziende e nei settori più protetti dalla contrattazione. Sono oramai tanti gli studi internazionali che certificano la crisi salariale italiana. Ci limitiamo a citare l’ultimo rapporto dell’ILO che dimostra come negli ultimi 17 anni i salari reali italiani hanno accumulato la contrazione più alta nell’ambito del G20, con una perdita di circa il 9%. Anche nelle grandi aziende, dove magari la riduzione reale dei redditi da lavoro è stata inferiore, si è assistito progressivamente a uno spostamento di quote di reddito dai salari verso le componenti accessorie della retribuzione, come il welfare aziendale o forme di fringe benefit. Ciò oltre a favorire quel generale fenomeno di impoverimento del “ceto medio”, ha fortemente contribuito a indebolire l’universalità del nostro welfare pubblico. Senza tralasciare che in un sistema basato sulle regole della previdenza contributiva, questi cambiamenti hanno condannato i lavoratori a un futuro di basse pensioni. C’è da dire che tutto ciò è soprattutto ascrivibile agli effetti della finanziarizzazione dell’economia globale, che ha imposto concretamente dentro i contratti collettivi una subordinazione della dinamica delle retribuzioni alle regole della finanza, proprio incentivando l’accesso alle piattaforme che erogano i servizi di welfare aziendale, con il ricorso alle assicurazioni sanitarie private in un contesto di crisi della sanità pubblica, fino ad arrivare allo sviluppo della previdenza complementare. È altrettanto vero, però, che questo lungo processo, se in qualche caso è stato subito dalle organizzazioni sindacali confederali, nella gran parte dei casi è stato avallato, sostenuto in varie forme, fino ad accettare il proprio coinvolgimento sin dentro la gestione degli enti bilaterali e dei fondi privati. In questo difficilissimo quadro abbiamo provato a invertire la rotta, almeno nel piccolo della nostra agenzia. Non solo abbiamo lottato per strappare un aumento complessivo delle retribuzioni del 14,6% nei livelli di inquadramento più bassi, ma siamo riusciti a conseguire che la gran parte degli aumenti si registrasse proprio nei minimi contrattuali, per altro con un aumento generalizzato – uguale per tutte e tutti – pari al 13,4%. Accanto a questo, siamo riusciti a ottenere una clausola contrattuale che dovrebbe maggiormente proteggere i salari reali in caso di una nuova crisi inflattiva, che non è affatto da escludere nell’attuale congiuntura di guerra. Come vi proponete di monitorare l’attuazione nei prossimi mesi? Per quanto riguarda l’aspetto economico del contratto, sarà fondamentale monitorare l’attuazione della clausola di salvaguardia dei salari in caso di una nuova crisi inflattiva. Sul piano normativo, sarà altrettanto importante vigilare sull’effettiva applicazione dei significativi risultati ottenuti. Per farlo, intendiamo continuare a organizzare assemblee e mantenere attivi i canali di comunicazione nati durante la scrittura della piattaforma, coinvolgendo i gruppi tematici che presidiano specifici ambiti. Questo ci permetterà di raccogliere feedback diretti sull’attuazione del contratto. Parallelamente, sarà necessario un confronto costante con la delegazione trattante aziendale, attraverso richieste periodiche di dati, report, incontri di verifica e risoluzione condivisa di eventuali criticità. Questo approccio potrà anche contribuire, nel tempo, a integrare e rafforzare diritti e tutele. Le principali novità introdotte nella parte normativa che andranno monitorate in modo puntuale riguardano la riforma complessiva del sistema professionale e dello sviluppo di carriera. Una delle innovazioni più significative è l’introduzione, per la prima volta, di un sistema di progressione a “doppio binario”, coerente con quanto richiesto nella piattaforma delle CLAP, che ha posto con forza il tema della necessità di una crescita verso l’alto degli inquadramenti. Questo sistema prevede una progressione orizzontale automatica che interesserà circa il 54% del personale, attraverso un piano di adeguamento volto a sanare i sotto-inquadramenti accumulati negli ultimi anni. La prima parte della riclassificazione è stata avviata già il 1° luglio ed ha comportato un incremento delle retribuzioni che si aggiunge agli aumenti già previsti nella parte economica del contratto. È importante sottolineare la natura automatica di questa riclassificazione che si pone in netta controtendenza rispetto ai sistemi di progressione di carriera fortemente basati su sentieri di sviluppo individualizzati, gestiti discrezionalmente da parte dei vertici aziendali. Il “secondo binario” prevede che tra settembre e dicembre 2025, l’azienda avvii le attività istruttorie per un piano di sviluppo che coinvolgerà la parte residua del personale non interessata dalla progressione automatica. Questo piano, che avrà effetti a partire da febbraio 2026, mirerà a garantire percorsi di crescita omogenei e inclusivi. Sono state, inoltre, definite declaratorie più nitide e l’introduzione di un glossario che ne specifica il contenuto. Sono state riformate le famiglie e i profili professionali in maniera da stabilire meglio i compiti e le attività dei dipendenti. In sostanza l’obiettivo è stato quello di superare un modello di inquadramento statico e prescrittivo, favorendo invece una maggiore autonomia della prestazione. Infine, il contratto registra passi avanti anche su altri temi chiave: flessibilità degli orari per un miglior equilibrio vita-lavoro, maggiori tutele per la genitorialità condivisa, l’inclusione socio-lavorativa, il contrasto alla discriminazione e alla violenza di genere, e l’incardinamento nel contratto degli istituti che regolano il lavoro a distanza (Lavoro Agile e Telelavoro), anche in questo caso per garantire maggiore flessibilità nell’esercizio della prestazione.  Che ruolo può avere il sindacalismo indipendente oggi, in un quadro segnato da tensioni geopolitiche, contrazione salariale e crisi della rappresentanza? Dal nostro osservatorio ci sembra evidente che, quanto più si affermano il pluralismo e la democrazia sindacale – e con essi la partecipazione diretta e la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori – tanto più si ottengono risultati concreti. Auspichiamo che l’esperienza di Sviluppo Lavoro Italia possa rappresentare un esperimento riproducibile per le tante vertenze contrattuali ancora bloccate da troppo tempo. Senza il rinnovo dei contratti, i salari restano fermi, le prospettive di carriera si arrestano e le tutele necessarie per un reale equilibrio tra vita e lavoro non diventano mai diritti esigibili. Così il lavoro perde dignità. Noi abbiamo dimostrato che è possibile cambiare rotta: avanzare nei diritti e nelle tutele si può, coniugando conflitto e contrattazione. In una fase così complessa, segnata da una forte offensiva padronale e governativa, il sindacalismo indipendente potrebbe assumere un ruolo da protagonista. Ma per farlo deve rompere il monopolio della rappresentanza e diventare un punto di riferimento capace di aggregare ciò che oggi è frammentato e indebolito, dando vita a un processo radicale di rinnovata sindacalizzazione. Il problema salariale italiano e, più in generale, l’indebolimento della contrattazione collettiva è anche la conseguenza stessa del modello di relazioni industriali formatosi negli ultimi trenta anni, a partire dal biennio 1992-93. Per questo mentre dobbiamo provare con la convergenza delle lotte a rimettere in discussione complessivamente quel modello, intanto vanno usati tutti gli spazi possibili nel contesto delle regole date per favorire i salari e le tutele. Ci auguriamo che la nostra esperienza rappresenti solo l’inizio di un percorso più ampio e condiviso. Vai al comunicato stampa pubblicato da Clap a seguito della sigla del contratto L’immagine di copertina è di Clap – Camere del lavoro autonomo e precario SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Clap: insegnamenti del nuovo contratto Sviluppo Lavoro Italia proviene da DINAMOpress.