La coscienza collettiva dei movimenti dal basso oltre la memoria selettiva dall’altoAvendo partecipato l’altro ieri – presso l’Istituto Gramsci di Palermo – alla
presentazione del libro di Donatella della Porta “Guerra all’antisemitismo? Il
panico morale come strumento di repressione politica”, di cui ci ha parlato
Daniela Musumeci nel suo articolo, ritengo opportuno tornare su alcune questioni
poste sia dal volume che dalla discussione scaturita dall’incontro con
l’autrice.
La ricerca condotta dalla sociologa della Normale di Pisa dimostra che in
Germania, come anche in altri Paesi occidentali, i cosiddetti imprenditori del
panico morale, categoria introdotta in sociologia agli inizi degli anni ‘70,
hanno messo in atto già da anni, con l’ausilio degli apparati burocratici e dei
media, azioni repressive nei confronti di tutti coloro che criticano la politica
colonialista di Israele, usando lo stigma dell’antisemitismo. A farne le spese
sono stati e sono in primo luogo intellettuali e artisti, tra questi anche ebrei
dissenzienti, a cui viene negata la possibilità di esprimere le proprie idee in
convegni o manifestazioni con strumenti indiretti, come la minaccia di
sospendere i finanziamenti agli enti organizzatori, o diretti come negare il
visto di ingresso nel Paese dove si svolge l’evento.
Queste forme di repressione si fondano su una prospettiva rovesciata che ha
ridefinito il concetto di antisemitismo, mirando a farvi rientrare qualunque
critica nei confronti dello Stato di Israele, ed è il frutto del senso di colpa
vissuto dalla Germania per le responsabilità connaturate con la tragedia
dell’Olocausto; non va dimenticato, peraltro, che anche altri Paesi europei
condividono le pesanti responsabilità che hanno condotto alla Shoah, motivo per
cui questa sorta di ridefinizione semantica dell’antisemitismo ha un’ampia
diffusione in Europa e non solo.
Da un dato momento storico in poi, che possiamo individuare negli eventi che
dopo la caduta del muro di Berlino hanno portato all’unificazione della
Germania, la colpa originaria è stata fatta ricadere sui nuovi capri espiatori
del terzo millennio, i migranti, che, essendo prevalentemente arabi e musulmani,
vengono tacciati dal mainstream imposto dall’alto di essere i portatori del
nuovo antisemitismo. Ecco, quindi, il dato caratteristico di questa prospettiva
rovesciata: i colpevoli diventano innocenti e gli innocenti colpevoli, secondo
un leitmotiv cavalcato dall’internazionale di destra che oggi governa o avanza
in gran parte dei Paesi occidentali e che trova purtroppo anche sponda in
formazioni della sinistra storica, come Spd e Verdi in Germania, e che si
rafforza ulteriormente con il fermo ed ininterrotto sostegno degli USA alle
politiche aggressive di Israele, condiviso sia dai presidenti repubblicani che
da quelli democratici (Biden prima ancora di Trump, tanto per citarne uno).
La memoria selettiva imposta dall’alto, così come ci ricorda della Porta, rende
impossibile la realizzazione di una memoria che faccia risaltare gli elementi
universalistici che andrebbero attribuiti a un evento tragico come l’Olocausto
(“Se questo è un uomo” di Levi ci riconduce proprio a quel carattere); esso
viene, invece, inquadrato come un evento unico e distinto dalle altre forme di
razzismo che hanno caratterizzato le politiche coloniali dei Paesi occidentali
e, soprattutto, non può mai essere associato alle azioni compiute da Israele. È
di tutta evidenza l’incapacità civile di riconoscere il razzismo che c’è dietro
questa impostazione, e anche la sinistra in Germania è parte di questa
assimilazione: le azioni di boicottaggio portate avanti dal movimento Bds, anche
se non sono illegali, vengono stigmatizzate come antisemite.
In Italia, le azioni di panico morale sono meno strutturate e
istituzionalizzate, tanto è vero che prendono campo tante forme di
mobilitazione, a partire dalle università e dai movimenti di base, finalizzate
ad azioni di boicottaggio e ad esprimere piena solidarietà al popolo
palestinese. C’è voluto, tuttavia, un po’ di tempo prima che partiti e
organizzazioni della sinistra storica si esprimessero esplicitamente contro il
genocidio e avviassero azioni di mobilitazione più incisive: Donatella della
Porta ci ha ricordato l’importanza della crescente azione dal basso, portata
avanti soprattutto dal sindacalismo di base e dai movimenti più radicali (si
pensi alla mobilitazione dei portuali di Genova a sostegno della missione di
Global Sumud Flotilla), auspicando al contempo che si ricrei una concezione di
sinistra della solidarietà simile a quella attuata negli anni ‘70 con i profughi
cileni scampati al golpe sanguinario di Pinochet.
Da tutto ciò nasce la necessità di una riflessione attenta sul che fare, per
superare la difficoltà evocata da Baris, docente dell’Università di Palermo, ad
immaginare interventi concreti di contrasto a questa immane tragedia, e che
vadano oltre le azioni di boicottaggio la cui importanza è stata in ogni caso
sottolineata sia da della Porta che da Amal Khayal, attivista del CISS che ha
partecipato al dibattito in collegamento con un appassionato intervento.
Condivido quanto sostenuto da Giuseppe Lipari, Phd presso la Normale e attivista
nei movimenti giovanili, in merito ai cambiamenti determinati dalle iniziative
assunte dai movimenti dal basso che sono riuscite ad affermare una nuova
coscienza collettiva ed a modificare le modalità di azione degli altri attori
sociali della sinistra. Il sostegno diffuso a Sumud Flotilla è il segno
tangibile di come in questo caso non si sia creata una situazione di panico
morale così come era successo per altre iniziative umanitarie ferocemente
stigmatizzate dal mainstream della destra.
Il libro della professoressa della Porta è stato scritto un anno fa e da allora
ad oggi pare che qualcosa sia cambiato, e anche se la docente della Normale
rimane scettica sulla situazione in Germania: la solidarietà concreta nei
confronti del popolo palestinese è cresciuta ed assume proporzioni sempre più
vaste non solo nel mondo intellettuale ma anche in ampi strati sociali; di
fronte all’escalation portata alle estreme conseguenze da Israele con quella che
ormai appare a tutti gli effetti come la soluzione finale, le posizioni dei
governi iniziano a segnare una certa distanza, almeno nelle dichiarazioni, dopo
aver a lungo offerto un sostegno incondizionato.
A margine, mi preme sottolineare che queste forme di criminalizzazione del
dissenso attuate dagli imprenditori del panico morale ormai hanno come obiettivo
tutti i grandi temi che sono al centro del dibattito politico e sociale, dai
processi migratori ai cambiamenti climatici, dalle lotte per l’uguaglianza
sociale e politica ai movimenti contro le discriminazioni sessuali. L’omicidio
di Kirk negli USA e la conseguente reazione scomposta del mondo MAGA che
attribuisce alla sinistra la matrice della violenza, trova sponda in Italia
grazie a Meloni e a tutto il centrodestra, evocando a sproposito la stagione del
terrorismo.
Ci vuole una sinistra organizzata e strutturata che sappia mettere in atto
azioni di contrasto legale all’offensiva della destra internazionale,
responsabile di condurci sul baratro di un nuovo conflitto mondiale e delle
forme repressive nei confronti di ogni dissenso anche grazie all’utilizzo
martellante dei mass media omologati al sistema di potere. Il solidarismo
internazionalistico degli anni ‘70, che ci ha ricordato della Porta, insieme
alla capacità di ritrovare i caratteri universalistici delle lotte per
l’uguaglianza, la libertà e la giustizia sociale devono tornare ad essere la
cifra della sinistra.
L’atroce esperienza della vicenda palestinese, pur nel suo drammatico e attuale
epilogo, ci dimostra che il potere dei media di regime, delle istituzioni e
delle burocrazie non sempre riesce a condizionare le coscienze; anzi, tanto
maggiore è il livello aggressivo delle elités istituzionali nell’affermare le
proprie visioni del mondo, tanto più forte potrà essere la presa di coscienza
collettiva capace di dare vita a movimenti di lotta in tutto il mondo.
Redazione Palermo