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La Guardia costiera greca alla sbarra, mentre si continua a morire a sud di Creta
1. Sono tempi di censura sistematica delle notizie riguardanti naufragi di migranti nel Mediterraneo, frutto delle politiche di esternalizzazione delle frontiere e della sistematica omissione di soccorso delle guardie costiere dei paesi europei più vicini alle coste libiche e tunisine. Sono state nascoste all’opinione pubblica italiana, peraltro ormai assuefatta alle ricorrenti stragi sulle rotte migratorie dal nord-africa, le ultime vittime sulla rotta libica occidentalee sulla rotta greca, dalla Cirenaica verso l’isola di Gavdos, a sud di Creta, morti e dispersi che affogano ormai anche nell’indifferenza generale.In una zona nella quale operano anche untà navali ed assetti aerei di Frontex ma che sembra sempre più distante dall’Europa e dalle sue leggi, che impongono il soccorso in mare, e la salvaguardia della vita umana, con priorità rispetto alle esigenze di bloccare l’immigrazione “illegale”. I governi e Frontex, direttamente responsabili delle politiche di contrasto che si traducono in abbandono in mare, se non in intercettazioni violente delegate alle Guardie costiere libiche e tunisina, sembrano coperti da un velo di omertà e di totale impunità. In Italia non si è riusciti neppure a sanzionare i responsabili della Strage dei bambini dell’11 ottobre 2013, dopo dodici anni di processi sul caso di nave Libra, della nostra marina militare, intervenuta con ritardo, nell’inerzia delle autorità maltesi, dopo ripetuti appelli di soccorso. In Grecia, secondo quanto si apprende dalla BBC, sembra ad una svolta il processo per il naufragio dell’Adriana, la strage di Pylos, che nel 2023 costò la vita di centinaia di persone, uno dei naufragi più gravi verificatisi nel Mediterraneo, nel quale aveva giocato un ruolo determinante anche FRONTEX, l’Agenzia dell’Unione europea per il controllo delle frontiere esterne, uscita indenne da una indagine condotta dal Mediatore europeo, e conclusa lo scorso anno senza alcuna condanna. Il 14 giugno 2023, l’Adriana, un’imbarcazione in partenza dalla Libia diretta in Italia con centinaia di migranti a bordo, affondava all’interno della zona di ricerca e soccorso (SAR) greca nel Mar Mediterraneo. Quando ormai era molto vicina alla zona SAR italiana. Secondo quanto rilevato dal Forensic Architecture, sembrerebbe che “la Guardia costiera greca (HCG) abbia compiuto una serie di tentativi per distorcere e manipolare le prove relative all’incidente e mettere a tacere le testimonianze”. Alle imbarcazioni commerciali vicine, inizialmente chiamate dall’HCG per fornire assistenza, è stato successivamente ordinato di allontanarsi dopo l’arrivo di una motovedetta greca sulla scena. Allo stesso modo, le ripetute offerte di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, sono state ignorate e nessuna delle numerose telecamere a bordo della motovedetta greca, né il suo sistema di tracciamento AIS, sono stati attivati quella notte come richiesto. Secondo quanto riferito dai sopravvissuti, “quando il motore della loro imbarcazione si è spento, l’imbarcazione dell’HCG si è avvicinata, toccando la prua con la poppa. Un uomo mascherato è salito sulla loro imbarcazione e ha legato una cima alla ringhiera, in posizione decentrata, sulla destra. Hanno poi tentato di trainare l’imbarcazione dei migranti due volte. Entrambi i tentativi sono durati, secondo i migranti intervistati, tra pochi secondi e qualche minuto. La prima volta, la cima si è spezzata. La seconda volta, usando la stessa cima, l’HCG si è allontanata ancora più velocemente, facendo oscillare l’imbarcazione dei migranti verso destra, poi verso sinistra, poi di nuovo verso destra, per poi capovolgersi infine a destra (dritta)”.   2. Anche nel caso dell’ultimo naufragioverificatosi pochi giorni fa a sud di Creta, alcuni testimoni racontanoche l’imbarcazione si è capovolta durante le operazioni di soccorso, attivate anche in questo caso con un ritardo ingiustificato. Le persone che hanno perso la vita nell’affondamento dell’imbarcazione avrebbero potuto raggiungere in sicurezza il porto a Creta se i soccorsi fossero stati inviati in tempo e se si fossero svolti con modalità diverse. Secondo quanto riporta adesso la BBC, per la strage di Pylos, quattro alti funzionari della guardia costiera greca, tra cui l’attuale comandante, dovranno affrontare un procedimento penale per omicidio colposo in relazione al disastro del 2023, in cui si ritiene siano annegate circa 650 persone. Rispetto alla prime richieste della procura l’indagine si è già ristretta. Tra le accuse proposte dalla corte d’appello figurano omicidio colposo per negligenza in acque internazionali ma all’interno della zona di soccorso della Grecia, negligenza rispetto all’obbligo legale di soccorrere persone che ha causato la morte e ripetuta esposizione per omissione di altre persone al pericolo. Il problema che si ripresenta ad ogni naufragio, oltre alla cronica inadempienza delle autorità marittime, ed in particolare di quelle maltesi, che neppure hanno sottoscritto gli ultimi emendamenti alle Convenzioni SAR e SOLAS, è però costituito dal fatto che, se si tratta di imbarcazioni destinate al trasporto di migranti, gli Stati costieri negano fino all’ultimo che ricorra una situazione di “pericolo grave” (distress). Ed anche nei rapporti tra Stati affrontano il caso come se si trattasse di un “evento migrantorio illegale” (law enforcement) e non di un caso di ricerca e salvataggio (SAR), che le autorità statali rifiutano di dichiarare.   3. Come osservava ECRE, “a un mese dal naufragio di Pylos il governo devia, i media indagano e Frontex contempla”. Anche da parte del governo italiano, il silenzio più totale, allora come oggi. Se non ci fossero in diverse parti del mondo igiornalisti di inchiesta, che non si rassegnano al silenzio imposto dai governi, di questa ennesima strage non se ne parlerebbe più, come delle altre che si continuano a verificare nel Mediterraneo centrale. Anche in questo caso si è verificato l’ennesimo rimpallo delle resposabilità tra Frontex e gli Stati costieri. Secondo quanto dichiarato dalla parlamentare tedesca Clara Bünger, “all’avvistamento di una barca così sovraffollata, Frontex avrebbe dovuto emettere immediatamente un segnale di soccorso mayday; ancor di più se Frontex sapesse che già martedì mattina (13 giugno) a bordo c’erano due bambini morti». Frontex opera tuttavia sotto il coordinamento delle autorità nazionali, e dei centri interforze istituiti presso i ministeri dell’interno, ed il Diritto internazionale del mare impone a qualunque Stato sia avvertito di una situazione di pericolo in mare un intervento immediato, anche al di fuori della zona SAR di propria competenza, almeno fino a quando il caso non venga preso in carico da autorità competenti che possano garantire un porto sicuro di sbarco. E tra le autorità nazionali responsabili di zone di ricerca e salvataggio (SAR) confinanti, esiste un preciso dovere di coordinamento, finalizzato non certo ad attività illegali di respingimento collettivo, ma alla salvaguardia della vita umana in mare. Dovere di coordinamento e di assistenza che vale anche per le autorità italiane avvertite degli eventi di soccorso in acque internazionali.   4. In una dichiarazione congiunta, l’Agenzia per i rifugiati UNHCR e l’Agenzia per le migrazioni OIM, hanno affermato che il dovere di soccorrere senza indugio le persone in pericolo in mare è una regola “fondamentale” del diritto marittimo internazionale, aggiungendo che l’attuale approccio alle traversate del Mar Mediterraneo – una delle rotte migratorie più pericolose e mortali del mondo – e’ “impraticabile”. Le indagini in Grecia sono state molto sollecite nella individuazione di presunti scafisti, ma da parte del governo non sembra che ci sia alcuna intenzione di sanzionare le responsabilità di quelle autorità marittime che, con tutta probabilità, hanno causato il ribaltamento del peschereccio Adriana, in difficoltà da ore, con un maldestro tentativo di rimorchio verso le acque rientranti nella zona SAR maltese, dove come in numerose altre occasioni, si potevano attendere i soccorsi coordinati dall’Italia. Del resto ormai la Guardia costiera greca opera abitualmente respingimenti collettivi con traino dei barconi da allontanare dalle acque di competenza greca, e non esita a sparare davanti alle imbarcazioni cariche di migranti. Se sembrano sempre più evidenti, almeno dalle indagini internazionali, le responsabilità della Guardia costiera greca, e del governo che poche settimane dopo la strage è uscito vincitore dalle elezioni politiche, non si può trascurare il ruolo delle autorità italiane, per l’intera giornata del 13 giugno, che, una volta trasmesso ai greci l’allarme, non hanno neppure tentato di collaborare nelle attività di ricerca e salvataggio dell’Adriana in evidente situazione di grave pericolo (distress) sin dal momento del primo avvistamento ben quindici ore prima del ribaltamento avvenuto attorno alle 23 del 13 giugno. Quindici ore in cui gli Stati responsabili delle zone SAR nel mare Ionio più vicine a quella greca (Italia e Malta), nella quale si è verificato il naufragio, avrebbero potuto inviare mezzi di soccorso, anche in considerazione dell’elevatissimo numero di persone imbarcate a bordo dell’Adriana, che certo non potevano essere salvate con un trasbordo su una singola motovedetta. Una operazione di soccorso che per la zona nella quale si doveva svolgere, e per il numero delle persone in pericolo, non poteva che richiedere la partecipazione di autorità marittime di diversi Stati. Le immagini diffuse di recente dal Guardian dimostrano quali fossero le condizioni di instabilità dell’Adriana già ore prima del suo ribaltamento. Non basta dunque guardare esclusivamente alle responsabilità delle autorità greche. Come ha denunciato AlarmPhone, “se nessun paese si assume il comando del salvataggio, la responsabilità resta di tutti. “Il dovere di salvare permane”. Di certo il procedimento penale che si svolgerà in Grecia a carico dei quattro esponenti della Giardia costiera (HCG) non potrà accertare responsabilità di altri enti nazionali, o di Frontex. LEGGI SOTTO LA VERSIONE PER ADIF Fulvio Vassallo Paleologo
Aumentano nel mondo gli sfollamenti forzati
Alla fine del 2024, si stima che 123,2 milioni di persone in tutto il mondo siano state costrette a sfollare a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani ed eventi che hanno gravemente turbato l’ordine pubblico. Si tratta di un aumento di 7 milioni di persone, pari al 6%, rispetto alla fine del 2023. Sebbene gli spostamenti forzati siano quasi raddoppiati a livello globale nell’ultimo decennio, il tasso di crescita ha subito un rallentamento nella seconda metà del 2024. Entro la fine di aprile 2025, l’UNHCR stima che il numero globale di persone costrette alla fuga sia probabilmente diminuito leggermente, dell’1%, attestandosi a 122,1 milioni, il primo calo in oltre un decennio. Lo rivela il rapporto annuale Global trends 2024, elaborato dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr). Se questa tendenza continuerà o si invertirà per il resto del 2025 dipenderà in larga misura dalla possibilità di raggiungere la pace o almeno la cessazione dei combattimenti, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e in Ucraina; se la situazione nel Sudan del Sud non peggiorerà ulteriormente; se le condizioni per il rimpatrio miglioreranno, in particolare in Afghanistan e Siria; e quanto grave sarà l’impatto degli attuali tagli ai finanziamenti sulla capacità di affrontare le situazioni di sfollamento forzato in tutto il mondo e di creare condizioni favorevoli per un rimpatrio sicuro e dignitoso. Le soluzioni per rifugiati e sfollati interni sono aumentate nel corso del 2024, con il numero di rifugiati che ha raggiunto il livello più alto degli ultimi vent’anni (1,6 milioni). Tuttavia, alla base di queste tendenze positive per ciascuna soluzione, vi sono preoccupazioni circa i rischi intrinseci per la protezione delle persone costrette alla fuga e la sostenibilità a lungo termine di queste soluzioni. Nell’ultimo anno, il 92% degli 1,6 milioni di rifugiati rimpatriati ha avuto come destinazione solo quattro Paesi: Afghanistan, Siria, Sud Sudan e Ucraina. Molti rifugiati afghani, siriani e sud sudanesi sono tornati in condizioni avverse e sono arrivati in situazioni di estrema fragilità. In Ucraina, nonostante la guerra sia entrata nel suo quarto anno, molti rifugiati vulnerabili hanno scelto di tornare in parte a causa delle difficoltà di accesso ai diritti e ai servizi nei Paesi ospitanti. In Afghanistan, i rimpatriati sono arrivati in un Paese afflitto da povertà dilagante, disoccupazione alle stelle, servizi pubblici gravemente inadeguati e diffusa insicurezza alimentare. Lo scorso anno si è registrato anche il numero più alto di rifugiati reinsediati in Paesi terzi da oltre 40 anni (188.800). Inoltre, nel 2024, quasi 88.900 rifugiati hanno ottenuto la cittadinanza del Paese ospitante o la residenza permanente. Oltre 8,2 milioni di sfollati interni sono tornati nelle loro aree di origine nel 2024, il secondo numero più alto mai registrato. Tuttavia, in assenza di pace e stabilità nel loro Paese, molti sfollati interni rimangono intrappolati in cicli di rimpatri seguiti da nuovi spostamenti, e i conflitti si stanno protraendo sempre di più. Molti di questi rimpatri potrebbero quindi non essere sostenibili.  Per quanto riguarda la Siria, la guerra ha causato una delle più grandi crisi di sfollamento forzato al mondo: alla fine del 2024 un quarto della popolazione era sfollata, inclusi 6,1 milioni di rifugiati e richiedenti asilo siriani e 7,4 milioni di sfollati interni. La caduta del governo di Assad, l’8 dicembre, ha riacceso la speranza di un ritorno, ma la situazione resta instabile, con il rischio costante di ulteriori nuovi espatri. A metà maggio, si stima che oltre 500.000 siriani siano rientrati in Siria dalla caduta del governo di Assad. Si stima che anche 1,2 milioni di sfollati interni siano tornati nelle loro aree di origine. La sostenibilità di questi ritorni dipenderà da molti fattori, tra cui l’evoluzione complessiva della situazione della sicurezza in Siria, nonché la disponibilità di alloggi, servizi pubblici, infrastrutture e la rivitalizzazione dell’economia. Tuttavia, si stima che entro la fine del 2025 potrebbero rientrare fino a 1,5 milioni di siriani provenienti dall’estero e 2 milioni di sfollati interni. L’UNHCR continua a esortare gli Stati a non rimpatriare forzatamente i siriani. Molte famiglie al loro ritorno trovano le loro case danneggiate o distrutte e affrontano ostacoli significativi nella ricostruzione delle loro vite. In questo momento cruciale, è fondamentale sostenere la ripresa della Siria. La popolazione globale di rifugiati è invece diminuita dell’1%, raggiungendo i 42,7 milioni nel corso dell’anno. Questa cifra include 36,8 milioni di rifugiati sotto il mandato dell’UNHCR, tra cui 4 milioni di persone in una situazione simile a quella dei rifugiati e 5,9 milioni di altre persone bisognose di protezione internazionale, nonché 5,9 milioni di rifugiati palestinesi sotto il mandato dell’UNRWA. Tuttavia, rispetto a dieci anni fa, il numero totale di rifugiati sotto il mandato dell’UNHCR è più che raddoppiato, raggiungendo i 36,8 milioni entro la fine del 2024. L’UNHCR parla di un sistema umanitario al limite della sopportazione: “Senza finanziamenti adeguati, non ci saranno sufficienti aiuti alimentari e un alloggio di base per gli sfollati. I servizi di protezione, compresi gli spazi sicuri per donne e ragazze rifugiate a rischio di violenza, saranno probabilmente interrotti. Le comunità che hanno generosamente ospitato le persone sfollate per anni rimarranno senza il supporto di cui hanno bisogno. E, forse la cosa più critica, le speranze di ritorno non si materializzeranno o il ritorno non sarà dignitoso e non sarà accompagnato da un aumento dei servizi adeguati nei Paesi di origine. Di conseguenza, le persone che tornano potrebbero non avere altra scelta che ripartire. Per ridurre il numero di persone costrette a spostarsi, è necessario compiere progressi significativi sulle cause profonde: conflitti, disprezzo per i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario, altre forme di violenza e persecuzione. Nel frattempo, è più che mai essenziale reperire risorse per far fronte alle urgenti necessità umanitarie, per sostenere i Paesi ospitanti, per proteggere le persone dai rischi di pericolosi spostamenti e per aiutare i rifugiati e le altre persone costrette a sfollare a trovare soluzioni durature. Le conseguenze dell’inazione ricadranno su coloro che meno se lo potranno permettere”. Qui per scaricare il Rapporto: https://www.unhcr.org/global-trends-report-2024. Giovanni Caprio
Genocidio dei palestinesi: intervengono gli stati schierati con il Gruppo dell’Aja
LE DELEGAZIONI MINISTERIALI DI UNA 30INA DI NAZIONI RADUNATE A BOGOTÀ NELLE GIORNATE DEL 15 E DEL 16 LUGLIO PIANIFICANO LE AZIONI CON CUI ESIGERE IL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE. All’iniziativa, promossa dal Gruppo dell’Aja che aggrega Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesya, Namibia, Senegal e Sud Africa, hanno aderito una 30ina di stati: Algeria, Botswana, Brasile, Cile, Iraq, Irlanda, Libano, Norvegia, Oman, Portogallo, Slovenia, Spagna,… tra cui il Qatar, che con l’Egitto è impegnato anche come mediatore delle trattative per la tregua a Gaza. Nella convocazione è precisato che la riunione è stata indetta “in risposta alle continue e crescenti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele nei territori palestinesi occupati, tra cui il crimine di genocidio”, che la discussione focalizzerà sugli > obblighi giuridici degli Stati, come definiti dal parere consultivo della > Corte internazionale di giustizia (CIG) del luglio 2024, di impedire tutte le > azioni “che contribuiscono al mantenimento della situazione illegale creata da > Israele nei Territori palestinesi occupati” e di sostenere la piena > realizzazione del diritto inalienabile del popolo palestinese > all’autodeterminazione e che verranno deliberate “misure concrete per far rispettare il diritto internazionale” e una serie di azioni con la cui realizzazione ogni stato contribuirà, singolarmente e coalizzato con gli altri, a “porre fine al genocidio e garantire giustizia e responsabilità”. Al meeting partecipano * il Commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East – Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi), Philippe Lazzarini, che l’11 luglio ha denunciato “800 persone affamate uccise, colpite da colpi d’arma da fuoco mentre cercavano di procurarsi il poco cibo a Gaza” e che “Le accuse secondo cui gli aiuti sarebbero stati dirottati verso Hamas non sono mai state sollevate durante gli incontri ufficiali, non sono mai state provate né comprovate. Un sistema funzionante [per portare soccorsi ai palestinesi assediati monitorato e realizzato dall’ONU – NdR] è stato sostituito da una truffa mortale per costringere le persone a sfollare e aggravare la punizione collettiva dei palestinesi di Gaza”; * la Relatrice Speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, che il 3 luglio scorso all’incontro sulla “Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati” svolto nel programma della 59ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani ha presentato il rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”. UNA COALIZIONE DI NAZIONI SCHIERATE CONTRO LE INGIUSTIZIE Il Gruppo dell’Aja è un blocco globale di stati impegnati in “misure legali e diplomatiche coordinate” per sostenere il diritto internazionale e la solidarietà con il popolo palestinese – https://thehaguegroup.org/home/ Lo schieramento aggrega le nazioni che il 31 gennaio 2025 nella città in cui hanno sede la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale si sono aggregate per, ciascuna singolarmente e insieme congiuntamente, 1. Rispettare la risoluzione A/RES/Es-10/24 delle Nazioni Unite e, nel caso degli Stati Parte, sostenere le richieste della Corte penale internazionale e ottemperare ai nostri obblighi ai sensi dello Statuto di Roma, compresi i mandati emessi il 21 novembre 2024; e attuare le misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia, emesse il 26 gennaio, il 28 marzo e il 24 maggio 2024. 2. Impedire la fornitura o il trasferimento di armi, munizioni e materiale correlato a Israele, in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che tali armi e articoli correlati possano essere utilizzati per commettere o facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e del divieto di genocidio, in conformità con i nostri obblighi internazionali e con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 e con la risoluzione A/RES/Es-10/24 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. 3. In ogni porto sotto la nostra giurisdizione territoriale impedire l’attracco di imbarcazioni quando sia accertato e in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che siano utilizzate per trasportare in Israele carburante e armi militari che potrebbero essere utilizzate per commettere o facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e delle sanzioni contro il genocidio in Palestina, in conformità con l’obbligo giuridico inderogabile degli Stati di cooperare per prevenire il genocidio e altre violazioni di norme imperative con tutti i mezzi legali a loro disposizione. Inizialmente vi faceva parte anche il Belize, un paese dell’America centro-settentrionale indipendente dal 1981, una ex colonia dell’impero britannico e ora uno dei quindici reami del Commonwealth di cui è sovrano il re del Regno Unito. Per compiacere gli USA, il Belize si è distaccato dalla coalizione schierata in difesa del popolo palestinese e del diritto internazionale. Lo riferisce la redazione dell’emittente radiofonica francese RFI annotando che tra gli 8 stati attualmente membri del Gruppo dell’Aja spiccano alcuni che hanno già intrapreso azioni per contrastare le atrocità commesse da Israele a Gaza dall’ottobre 2023 in poi: > il Sudafrica ha deferito la questione alla Corte Internazionale di Giustizia > per presunta violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948, a cui si > sono uniti altri Stati; navi cariche di armi dirette verso lo Stato ebraico > sono state bloccate da Namibia e Malesia. > > Nel maggio 2024, la Colombia ha interrotto le relazioni diplomatiche con Tel > Aviv. Una decisione presa “a causa del governo, del presidente genocida”, > dichiarò il presidente Gustavo Petro, che ha proclamato: «Non possiamo > accettare il ritorno di epoche di genocidio, dello sterminio di un intero > popolo sotto i nostri occhi, sotto la nostra passività. Se la Palestina muore, > muore l’umanità. Non lasceremo morire la Palestina, così come non lasceremo > morire l’umanità». «L’alternativa con cui ci dobbiamo confrontare è netta e > implacabile – ha affermato il presidente colombiano in un’intervista a The > Guardian – O difendiamo con fermezza i principi giuridici che mirano a > prevenire guerre e conflitti, o assistiamo impotenti al crollo del sistema > internazionale sotto il peso di una politica di potere incontrollata» > [Striscia di Gaza: oltre trenta Paesi riuniti a Bogotà per misure concrete > contro Israele / RFI – 13/07/2025]. Al Gruppo dell’Aja inoltre fanno parte Bolivia, Cuba, Honduras e Senegal e il Brasile, nel 2025 il ‘capo-fila’ dei paesi uniti nel BRICS che il 7 luglio scorso a Rio del Janeiro hanno condannato l’uso della fame come arma di guerra e la militarizzazione dell’assistenza umanitaria.   INTANTO, IN EUROPA E NEL MONDO… Contemporaneamente all’incontro svolto a Bogotà, a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione Europea riunito il 15 luglio discuteva “degli ultimi sviluppi in Medio Oriente, concentrandosi su Gaza, Israele e Iran”. Tra gli argomenti all’ordine del giorno c’era anche il “sostegno finanziario umanitario totale fornito come Team Europa al territorio palestinese occupato”, un contributo che nel periodo 2023-2024 è ammontato a oltre 1,56 miliardi di euro, di cui più di 1,35 miliardi dal 7 ottobre 2023. Forse i ministri europei hanno affrontato anche la questione dell’accordo di associazione con Israele e dei trasferimenti d’armi tra gli stati dell’unione e la nazione che all’interno dei propri confini assedia la popolazione di Gaza dall’ottobre 2023 e infierisce sui palestinesi in Cisgiordania e altri territori e, oltre che l’Iran nel giugno scorso, in questi giorni ha bersagliato anche il Libano e la Siria [Attacchi con droni e operazioni di terra, Libano senza pace / IL MANIFESTO – 10/7/2025 e Netanyahu, ordinato a Idf raid in Siria a difesa dei drusi / ANSA – 15/7/2025]. Successivamente, il 28 e 29 luglio prossimi, alla sede delle Nazioni Unite nel Palazzo di Vetro di New York si svolgerà la conferenza internazionale speciale indetta dall’ONU che, come spiega il presidente dell’Assemblea Generale, Philémon Yang, nel maggio scorso è stata indetta d’urgenza per deliberare in merito all’applicazione della soluzione detta ‘dei 2 stati’. Procrastinata a causa della guerra di Israele e USA contro l’Iran, questa conferenza affronterà la questione del conflitto arabo-palestinese riconoscendo il diritto del popolo palestinese alla propria indipendenza e potrebbe concludersi imponendo allo stato israeliano di ritirarsi dalla Striscia di Gaza e dai territori che i coloni israeliani hanno sottratto ai residenti palestinesi.   Maddalena Brunasti
Governi e imprese nel ‘mirino’ delle indagini su traffico d’armi e violazioni dei diritti umani
IL CONSIGLIO PER I DIRITTI UMANI RIUNITO GINEVRA DAL 16 GIUGNO AL 9 LUGLIO HA DECISO DI “PREPARARE UNO STUDIO SUL RUOLO DEGLI STATI E DEL SETTORE PRIVATO NEL PREVENIRE, NELL’AFFRONTAARE E NELL’ATTENUARE L’IMPATTO NEGATIVO DEI TRASFERIMENTI DI ARMI SUI DIRITTI UMANI”. Con la risoluzione A/HRC/59/L.16 sull’impatto dei trasferimenti di armi sui diritti umani il Consiglio ha disposto che l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani presenti lo studio al Consiglio nella sua 66ª sessione, convocata dall’8 settembre al 3 ottobre 2025, e prima organizzi un workshop preparatorio e aperto alla partecipazione delle parti interessate. Tra le 25 risoluzioni e una decisione deliberate dal Consiglio su varie questioni, questa per un’indagine sul ruolo di governi e imprese nel traffico d’armi in relazione alle violazioni dei diritti umani, ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità si configura come un’estensione del rapporto Albanese. Sulle sanzioni che il segretario di stato USA, Marco Rubio, ha minacciato nei confonti di Francesca Albanese, il presidente del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Jürg Lauber, ha proclamato: > Deploro la decisione del governo degli Stati Uniti di imporre sanzioni alla > signora Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla > situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. > > La signora Albanese è stata nominata dal Consiglio per i Diritti Umani delle > Nazioni Unite. I Relatori Speciali sono uno strumento essenziale del Consiglio > per l’adempimento del suo mandato di promuovere e proteggere tutti i diritti > umani nel mondo. > > Invito tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite a collaborare pienamente con > i Relatori Speciali e i titolari del mandato del Consiglio e ad astenersi da > qualsiasi atto di intimidazione o ritorsione nei loro confronti. > > [Dichiarazione dell’Ambasciatore Jürg Lauber, Presidente del Consiglio per i > diritti umani delle Nazioni Unite, sulle sanzioni imposte alla Relatrice > speciale Francesca Albanese / OHCHR – 10/7/2025] e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha dichiarato: > Esorto a revocare al più presto le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nei > confronti della relatrice speciale del Consiglio per i diritti umani delle > Nazioni Unite, Francesca Albanese, in risposta al lavoro da lei svolto > nell’ambito del suo mandato sulla situazione dei diritti umani nei territori > palestinesi occupati. > > I relatori speciali delle Nazioni Unite, insieme ad altre parti > dell’ecosistema dei diritti umani, affrontano, per loro natura, questioni > delicate e spesso divisive, che sono di interesse internazionale. > > Anche di fronte a un forte disaccordo, gli Stati membri delle Nazioni Unite > dovrebbero impegnarsi in modo concreto e costruttivo, anziché ricorrere a > misure punitive. > > Gli attacchi e le minacce contro i titolari di mandati di Procedure Speciali, > così come contro istituzioni chiave come la Corte Penale Internazionale, > devono cessare. La soluzione non è meno, ma più dibattito e dialogo sulle > reali preoccupazioni in materia di diritti umani che affrontano. > > [Commento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker > Türk sulle sanzioni statunitensi contro Francesca Albanese / OHCHR – > 10/7/2025] Maddalena Brunasti