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Materiali convegno | Le guerre degli uomini. Conflitti contemporanei, patriarcato, lavoro vivo – di Cristina Morini
Una recensione al libro di S-Connessioni precarie, Nella Terza guerra mondiale. Un lessico politico per il presente, DeriveApprodi, Bologna 2025, pp.116, euro 15,00 * * * * * Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio 2022, la guerra ha conquistato il tempo presente, diventando cardine della politica, dell’economia e del diritto. [...]
Afghani deportati in Iran: non dimentichiamoli
Una delle associazioni afghane più accreditate nelle attività di soccorso umanitario, che CISDA sostiene da più di 20 anni, si è attivata per portare aiuto ai migranti afghani deportati forzatamente dall’Iran ed espulsi senza alcun giusto processo o considerazione umanitaria (vedi il nostro appello). Pubblichiamo una sintesi del Report della Missione Sanitaria Mobile che, per motivi di sicurezza, non può essere divulgato integralmente. Il report evidenzia che la situazione al confine del Paese permane critica per il caldo estremo, la mancanza di acqua e riparo e l’assenza di servizi sanitari di base, che creano alti rischi di epidemie di malattie infettive, malnutrizione e decessi. Molti deportati erano originariamente fuggiti dall’Afghanistan a causa del crollo del precedente governo, del timore della persecuzione dei Talebani o di gravi difficoltà economiche. Ora sono stati costretti a tornare senza nulla, spesso solo un cambio di vestiti e con il morale a pezzi. Ripristinare dignità e speranza Il Team Sanitario Mobile attivato era composto da 2 medici (un uomo e una donna), 2 infermieri (un uomo e una donna), un’ostetrica, un consulente nutrizionale e ha fornito servizi per 10 giorni a Islam Qala, e ha raggiunto 1.810 persone: 685 donne (≈%37,9), 675 bambini (≈%37,3) e 450 uomini (≈%24,9). I servizi hanno incluso visite generali, trattamento di malattie comuni (diarrea, infezioni respiratorie, colpo di calore, problemi della pelle, ipertensione), consulenza per le donne (igiene mestruale, pianificazione familiare, anemia), visite pediatriche e sensibilizzazione nutrizionale. 17 pazienti (≈%0,9) sono state indirizzate all’Ospedale Pubblico di Herat. I generi di supporto sono stati così distribuiti: • 298 donne hanno ricevuto kit igienici. • 356 donne e bambini hanno ricevuto abiti (prodotti dai corsi di sartoria). • 100 famiglie hanno ricevuto pacchi alimentari. Questo intervento non solo ha ridotto malattie e sofferenze, ma ha anche contribuito a ripristinare dignità e speranza per le famiglie in crisi. Le voci della sofferenza: alcune testimonianze Shabnam – Una madre sull’orlo della disperazione Shabnam, una madre di 25 anni, teneva in braccio il suo bambino febbricitante sotto il sole cocente. Ha detto: “Per due notti abbiamo dormito al confine. Niente medicine, niente dottori. Pensavo di perdere mio figlio.” Dopo aver ricevuto le cure, la febbre del bambino si è abbassata nel giro di poche ore. Con le lacrime agli occhi, Shabnam ha sussurrato: “Non dimenticherò mai che avete salvato la vita del mio bambino. Oggi, per la prima volta, sento di nuovo la speranza.” Freshta – Una donna che lotta per la vita Freshta, 30 anni, è entrata barcollando nella tenda, debole e pallida. Aveva avuto un aborto spontaneo e sanguinava copiosamente. Tremando ha detto: “Pensavo che nessuno mi avrebbe aiutato qui. In Iran mi è stata negata l’assistenza ospedaliera. Temevo di morire.” La nostra ostetrica le ha immediatamente prestato le cure d’urgenza, ha stabilizzato le sue condizioni e l’ha indirizzata all’ospedale. Tenendo la mano dell’ostetrica, Freshta ha gridato: “Mi hai salvato. Mi hai trattato come un essere umano, non come un peso.”  Milad – Un bambino che voleva tornare a giocare Milad, di dieci anni, è entrato con il braccio fasciato in modo rozzo. Suo padre ha spiegato: “È caduto da un camion mentre tornava. Si è rotto il braccio, ma non avevamo soldi per un medico. Ha pianto tutta la notte per il dolore.” La nostra équipe ha stabilizzato il braccio di Milad e lo ha indirizzato a ulteriori cure. Mentre se ne andava, Milad ha sorriso e ha chiesto: “Ora non fa più così male. Pensi che possa tornare a giocare a calcio?” Quel piccolo sorriso è stata la più grande ricompensa per la nostra squadra. Non dimentichiamoli Le condizioni dei rifugiati deportati rimangono disastrose. I rifugiati sono entrati in Afghanistan con paura e spirito distrutto. Molti hanno riferito che i loro familiari sono stati arrestati dai Talebani subito dopo l’arrivo e che i loro corpi sono stati successivamente restituiti privi di vita. Alcune famiglie non hanno informazioni sui loro cari. Un tragico incidente stradale ha causato inoltre quasi 100 vittime accrescendo ulteriormente dolore e shock. Famiglie rimaste senza casa, senza reddito, costrette a lasciare l’Iran con nient’altro che un singolo cambio di vestiti. L’associazione conclude: “In mezzo a queste enormi difficoltà, con il supporto dei nostri fedeli partner – Frontline Women, CISDA e i sostenitori giapponesi – siamo riusciti ad alleviare in parte la sofferenza di molte persone e famiglie. Questo è stato incoraggiante e significativo per il team di assistenza. Speriamo di mobilitare un maggiore supporto nel prossimo inverno e di garantire che queste famiglie non vengano dimenticate”. CISDA ringrazia tutti coloro che hanno inviato e vogliono inviare fondi per sostenere le attività delle Associazioni in favore della popolazione afghana. COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE ETS (C.I.S.D.A) BANCA POPOLARE ETICA – Filiale di Milano IBAN: IT74Y0501801600000011136660 CISDA - Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
Ci sarà la pace in Ucraina? Chi ha vinto? Chi ha perso?
Andiamo con ordine. Dopo gli incontri in Alaska e a Washington ci sarà la pace in Ucraina, una vera pace, intendo? No. Si stanno facendo trattative per la spartizione dell’Ucraina, la sua fine come Stato unitario, binazionale, neutrale, ponte tra Occidente e Oriente. Si pensa non alla pace, ma al congelamento armato della guerra, come da decenni si protrae la fine delle ostilità tra le due Coree, senza nessuna pace e riconciliazione. Una vasta area super militarizzata e invalicabile chiude oggi le due Coree e domani, nei piani dei signori della guerra, spaccherà l’Ucraina, forse per sempre o per i prossimi decenni. Le trattative in corso non vanno nella direzione del disarmo e di una vera distensione: il riarmo europeo continuerà per garantire con la forza la fine delle ostilità, anzi il loro congelamento a tempo indeterminato. Per avere la pace si dovrebbe procedere a trattative vere, promosse dall’ONU, unica istituzione sovranazionale legittimata a trovare e promuovere soluzioni sulla base del diritto internazionale e del pieno rispetto dei diritti umani sia come singoli individui, sia come comunità, popoli, nazioni, Stati. Si dovrebbe partire dal sanare una ferita tuttora aperta e cioè dal riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina, di uno Stato sovrano da cui andrebbero ritirate le truppe straniere, compresi addestratori e mercenari. Una volta data la possibilità ai profughi di rientrare, possono anche essere ridiscussi i confini sulla base del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Attraverso nuovi referendum, tenuti sotto il controllo delle Nazioni Unite, saranno i popoli di quelle regioni a stabilire il destino del  Donbass e della Crimea su due opzioni fondamentali: regioni autonome parte di un’Ucraina federalista o della Federazione Russa. Sarebbe un nuovo grave precedente, uno sfregio del diritto internazionale accettare che i confini siano modificati non per volontà delle popolazioni dei territori interessati, sulla base del principio di autodeterminazione, ma da accordi tra Trump e Putin e per di più sulla base di una conquista militare. Dopodiché vale per l’Ucraina ciò che dovrebbe valere per ogni Stato del mondo, Palestina in primis: pieno rispetto dei diritti umani individuali, civili, sociali, politici e nazionali. Nel concreto uno Stato autenticamente democratico, laico sulle questioni religiose, pienamente binazionale, nel pieno rispetto della lingua e cultura ucraina e della lingua e cultura russa, che qui in realtà non indicano due popoli separati, perché binazionali sono gran parte delle famiglie e quindi delle persone.  Do per scontato il pieno rispetto e riconoscimento delle minoranze nazionali presenti su questo complesso e articolato Paese: rom, bielorussi, ungheresi, polacchi, rumeni, tatari di Crimea, greci, armeni… Un tempo erano presenti sia una vasta comunità tedesca, che ha lasciato il Paese, sia gli ebrei, in gran parte sterminati dai nazisti e dai nazionalisti suprematisti ucraini, attivi soprattutto nella parte occidentale, quella che mai fece parte dell’Impero Russo. Essi furono, e sono tuttora, i seguaci di Stepan Bandera, per loro un eroe nazionale, che aspirava a un’Ucraina etnicamente pura.  Odiavano a tal punto i russi che non si fecero scrupoli ad allearsi con i nazisti tedeschi, anche se questi ritenevano tutti i popoli slavi, e pertanto pure i suprematisti ucraini, gente inferiore da sottomettere. Tutt’altro che nazista, la maggior parte della popolazione dell’Ucraina fece la propria parte nella guerra antinazista, sia come partigiani sia nelle file dell’Armata Rossa. Tutti o quasi qui parlano e capiscono il russo, soprattutto nelle città, tanti sono di madrelingua (o padrelingua) russa o sono perfettamente binazionali, perché di famiglie “miste” da più di una generazione. Infine molti sono di famiglie originarie dei territori della Russia vera e propria, la cosiddetta “grande Russia”, venuti a lavorare nel distretto minerario e industriale del Donbass, oppure a ripopolare, nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento, moltissimi villaggi ucraini spopolati a seguito della terribile carestia causata dalla folle politica staliniana di collettivizzazione forzata, eliminazione dei kulak e sequestro di ogni derrata alimentare prodotta nei villaggi per sfamare le città. Espropri condotti senza pietà fino a lasciar morire la gente di fame. Gli ucraini lo considerano il loro genocidio e lo chiamano Holodomor, uccisione per fame. Dopo l’invasione russa iniziata il 24 febbraio del 2022 (che sia stata una gravissima violazione del diritto internazionale lo dice Francesca Albanese) molti russofoni abbandonarono le regioni conquistate; alcuni di loro hanno persino smesso di parlare russo, almeno pubblicamente, anche come forma di “protesta” e di affermazione della propria identità, non etnica, ma nazionale. Tuttavia il russo è tuttora la lingua principale per tantissime persone che, almeno da questa parte della linea del fronte, sono diventate ostili a Putin, alle sue armate e spesso anche al popolo che lo ha votato e che lo sostiene. Il basamento della statua della zarina Caterina, rimossa dagli ultranazionalisti ucraini in odio alla Russia, nonostante l’importante ruolo da lei svolto nella storia di Odessa. Non posso parlare di ciò che accade di là dal fronte se non per i racconti che mi fanno i profughi. Riporto dunque quello che pensano i moltissimi profughi interni, praticamente tutti di madrelingua russa.  Vogliono un’Ucraina indipendente e sovrana, entro i confini della Repubblica Sovietica di Ucraina e dello Stato pienamente indipendente nato nel 1991 dalla disgregazione dell’Urss. Le mie riflessioni nascono anche dalle “interviste” che ho fatto per strada a tanta gente comune, soprattutto giovani e giovanissimi, quelli più disposti a raccontare il loro punto di vista, dall’incontro con le insegnanti e le psicologhe del Sindacato degli insegnanti di Odessa, affiliato alla Cgil, dalle conversazioni con l’italiano Ugo Poletti, direttore del giornale in lingua inglese Odessa Journal e con l’ex ambasciatore Enrico Calamai, con cui mi sono confrontato circa il Diritto Internazionale. Ugo Poletti ha avuto il coraggio di non lasciare Odessa, che è diventata la sua città, anche nelle fasi più cruente del conflitto, quando le armate russe tentarono di conquistarla, ma furono fermate a est della città di Mykolaïv da una strenua e inaspettata resistenza. Chi ha vinto la guerra, dunque? Nessuno. I russi erano convinti di arrivare perlomeno a Kiev accolti come liberatori e così non è stato. Gli ucraini erano fiduciosi di riprendersi, con l’aiuto militare degli Usa e dei Paesi della Nato, il Donbass e persino la Crimea, e così non è stato; anzi, hanno perso alcune porzioni dei loro territori orientali ora annessi unilateralmente alla Federazione Russa. Chi ha perso veramente, quindi? I due popoli che hanno perso centinaia di migliaia di uomini, soprattutto civili in divisa, ma anche tantissimi civili delle città a ridosso del confine, martoriate e devastate dalla guerra, a cui vanno aggiunti i civili morti in numero assai minore nelle città più lontane, colpite dai droni e dai lanci di missili. Chi ha vinto? I produttori e i trafficanti di armi e i politici guerrafondai e corrotti, che nulla hanno fatto per prevenire e fermare la guerra e trattare per una pace vera e non per la spartizione del Paese. Solo i popoli possono costruire un’umanità fraterna e solidale, fermare il genocidio del popolo palestinese e le “inutili stragi” in Ucraina, Somalia e ovunque si combatta oggi.  La pace vera può nascere soltanto dal basso, con un immenso lavoro che deve impegnare tutte e tutti noi, ma che non può perdere più un istante di tempo, perché l’orrore divora ogni giorno troppe vittime innocenti.   Mauro Carlo Zanella
Sudan. Il silenzio sul genocidio
In Sudan la guerra continua nell’indifferenza di buona parte dei movimenti contro guerre e riarmo su scala globale. Nel nostro paese, salvo piccole eccezioni, pare che a nessuno interessi il peggior genocidio di questo secolo. La guerra per il potere ed il controllo delle risorse scoppiata tra le fazioni di Al Burhan e di Hemetti, […]