Da che parte stare nella guerra?
Gli slogan del Nuovo Mondo gli tornarono in mente
con una chiarezza senza precedenti:
La guerra è pace
La libertà è schiavitù
L’ignoranza è forza.
Bothayna Al – Essa, La biblioteca del censore di libri, astoria, Milano 2025, p.
145.
Ricevo da una amica della nonviolenza, come una boccata d’aria libera, questo
straordinario brano di Arundhati Roy: “Il sistema collasserà se ci rifiutiamo di
comprare quello che vogliono vendere, le loro idee, la loro versione della
storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità.
Ricordatevi di questo: noi siamo molti e loro sono in pochi. Hanno bisogno di
noi più di quanto ne abbiamo noi di loro. Un altro mondo non solo è possibile,
ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare”[1]. Accompagnato dal
suo commento: “Era il 2002, tuttavia …”.
Quel “tuttavia”, a distanza di vent’anni dalle parole di Arundhati Roy, è
certamente da intendere in senso avversativo alla direzione che il mondo ha
preso dal 2022 a oggi, dall’Ucraina, a Gaza, alla guerra Israele/Stati Uniti –
Iran, alle tante guerre nascoste, alle nuove guerre che verranno perché non
sapremo, non avremo saputo prevenirle come auspicava Virginia Woolf ne Le tre
ghinee. Tuttavia, cioè non di meno, ciò nonostante, malgrado ciò, comunque,
nonostante gli ostacoli siano molti e ci paiono insormontabili, continuiamo a
credere che un altro mondo è possibile e a cercare “una maglia rotta nella rete
/ che ci stringe” (Eugenio Montale).
Considerando che scrivo all’inizio di luglio 2025, sono passati circa 3 anni e
125 giorni dall’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022,
durante i quali per 175 volte ci siamo riuniti come amiche e amici della
nonviolenza insieme ad AGITE (Coordinamento di cittadini, associazioni, enti e
istituzioni locali contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi) per
dire NO a tutte le guerre. Riprendendo Arundhati Roy, la “nozione di
inevitabilità” che si/ci è imposta e a cui reagiamo è che nelle guerre bisogna
scegliere da che parte stare. E che la parte scelta sia sempre quella dalla
parte giusta della Storia.
Così ragiona l’uomo di governo e così ragiona il “giornalista indipendente”. Un
esempio di come ragiona l’uomo di governo ci viene offerto da Paolo Gentiloni,
ex membro della Camera dei Deputati, ex Presidente del Consiglio dei Ministri
della Repubblica Italiana dal 2016 al 2028, ex Commissario Europeo per gli
affari economici e monetari della Commissione von der Leyen dal 2019 al 2024.
Per l’autorevole statista, essere dalla parte dell’Ucraina “è il modo migliore
per dire che l’Europa conta ed è baluardo di libertà”. Infatti, “sarà la guerra
ucraina a decidere il destino di noi europei. Forse anche più delle percentuali
della spesa militare sul Pil tra dieci anni”[2].
Un esempio di come ragiona il “giornalista indipendente” ci viene offerto da
Mattia Feltri che oppone alle “logore ambizioni” delle Nazioni Unite le
rinnovate e rafforzate ambizioni di coloro che se vogliono la pace preparano la
guerra e che quando le guerre scoppiano sanno da che parte stare. Dopo avere
irriso lo stupore del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres,
una delle più brillanti firme del giornalismo italiano scrive: “Ci si difende
col fuoco. […] La guerra in questione è stata avviata dalla Russia, ossia da uno
dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu – e sottolineo
sicurezza – e l’ha avviata entrando coi carrarmati in un Paese sovrano. Non
solo: da tre anni e mezzo la Russia dissemina l’Ucraina di mine antiuomo e, ora
che l’Ucraina prova a restituire la stessa moneta, diventa un pericoloso
arretramento? L’arretramento – un po’ comico e un po’ drammatico – è quello
dell’Onu e del suo segretario davanti alle loro logore ambizioni”[3].
A questa “versione della storia” si oppongono le amiche e gli amici della
nonviolenza che nelle guerre stanno contro la guerra e si oppongono alla regola
della stessa moneta. Sono i tenaci e le tenaci di cui parla Hermann Hesse nel
libro Il coraggio di ogni giorno: “Chi è tenace obbedisce infatti a un’altra
legge, una legge particolare, assolutamente sacra, la legge che ha in sé stesso,
il tenere a sé stesso. Contro le infamie della vita le armi migliori sono la
forza d’animo, la tenacia e la pazienza. La forza d’animo irrobustisce, la
tenacia diverte e la pazienza dà pace[4].
Come scriveva il grande scrittore, l’obiezione di coscienza alla guerra è “il
sintomo più prezioso dei tempi” e l’espressione di “un moto serio” per la
pace[5]. È sbagliato ottenere ciò che si desidera attraverso la violenza e,
piuttosto che usare ingiustizia, è meglio subire un’ingiustizia: “La violenza è
il male, e la nonviolenza è l’unica via per coloro che si sono destati. Non sarà
mai la via di tutti, ma di coloro che vorrebbero fare la storia universale”[6].
A giudicare dallo stato attuale del mondo, dopo il primo quarto del secondo
millennio, sembra che, tra tutte le attività umane, la guerra continui a essere
la più facile da apprendere e da praticare, la più ricorrente e praticata. Pare
che tanto i potenti e le potenti della terra quanto i popoli non imparino
assolutamente nulla dalle guerre, siano esse vinte o perse.
Mentre si afferma una cultura regressiva che esalta il primato della forza
naturale sulla forza culturale, mentre viene marginalizzata la diplomazia e il
diritto internazionale viene sconfessato, mentre la guerra non viene neanche più
giustificata come male necessario, oggi “l’obiezione di coscienza può iniziare
da qui: non condividere nulla di ciò che svilisce o vanifica il dialogo, non
sostenere chi lo dileggia o lo rinnega, magari con un semplice sorriso di
sufficienza, non irridere le istituzioni, soprattutto quelle internazionali.
Oggi più che mai. È tempo di scegliere: forza umana o disumana, dominio o
dialogo”[7].
[1] A. Roy, Guerra è pace, Guanda, Parma 2002; Tea, Milano 2003.
[2] P. Gentiloni, Da che parte stare in questa guerra, “la Repubblica”, martedì
1 luglio 2025, p. 27.
[3] M. Feltri, Le logore ambizioni, “La Stampa”, 1 luglio 2025, p. 1.
[4] H. Hesse, Il coraggio di ogni giorno, Milano, Mondadori, 1985, pp. 68 e 75.
[5] Ibidem, p. 46.
[6] Ibidem, p. 86. Traggo i riferimenti a Hermann Hesse dalla premessa al mio
Preferirei di No. Fuori la guerra dalla storia, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 2025.
[7] F. Vaccari, Il conflitto o la parola, “Avvenire”, venerdì 4 luglio 2025, p.
15.
Pietro Polito