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Incontro Trump-Xi Jinping: guerra commerciale congelata, per ora…
Si è concluso da poche ore il tanto atteso confronto tra il presidente USA Donald Trump e quello cinese Xi Jinping. Il tycoon parla di un accordo in arrivo, ed effettivamente qualche apertura si è vista da ambo le parti (a partire dai dazi e dalle terre rare). Ma non […] L'articolo Incontro Trump-Xi Jinping: guerra commerciale congelata, per ora… su Contropiano.
Accordo USA-Giappone su investimenti e terre rare, in pressing su Pechino
Il 28 ottobre il presidente statunitense Donald Trump ha fatto tappa a Tokyo. Era uno dei momenti più attesi dei suoi cinque giorni di viaggio in Asia, anche per l’incontro con Sanae Takaichi, primo capo di governo nipponico donna… ultraconservatrice, ammiratrice di Margaret Thatcher e promotrice del rilancio militare del […] L'articolo Accordo USA-Giappone su investimenti e terre rare, in pressing su Pechino su Contropiano.
La UE lancia RESourceEU per rispondere alla Cina sulle terre rare
Dal palco del Forum 2025 Berlin Global Dialogue la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha lanciato il nuovo ed ennesimo piano per dare alla UE maggiore autonomia e allo stesso tempo fornirgli gli strumenti per continuare la guerra commerciale alla Cina che, a conti fatti, Bruxelles sta […] L'articolo La UE lancia RESourceEU per rispondere alla Cina sulle terre rare su Contropiano.
Accordo USA-Australia sulle terre rare… e sull’AUKUS
Lunedì 20 ottobre il presidente statunitense Donald Trump e il primo ministro australiano Anthony Albanese hanno chiuso un accordo di grande portata per ciò che riguarda l’approvvigionamento di terre rare. Una risposta al riaccendersi della guerra commerciale con la Cina, ma anche un’intesa che coinvolge la dimensione militare e le […] L'articolo Accordo USA-Australia sulle terre rare… e sull’AUKUS su Contropiano.
Chip, ora è la Cina a ricattare gli Usa
Mentre siamo distratti dai continui annunci di nuovi AI tools che introducono perlopiù miglioramenti incrementali, le aziende di AI assoldano ex capi di Stato (ma assicurano che non li useranno per fare lobbying sui governi, ci mancherebbe…), e la partita dei chip – molto meno glamour delle risposte dei chatbot […] L'articolo Chip, ora è la Cina a ricattare gli Usa su Contropiano.
È già finita la tregua commerciale: da novembre altri dazi USA al 100% contro la Cina
La notizia dell’accordo con cui le operazioni di TikTok negli Stati Uniti sarebbero passate a una cordata stelle-e-strisce aveva fatto credere a qualcuno che, dopo l’ondata di dazi e controdazi che ha segnato la politica economica mondiale dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, si fosse raggiunta finalmente un po’ di […] L'articolo È già finita la tregua commerciale: da novembre altri dazi USA al 100% contro la Cina su Contropiano.
Come la Cina ha conquistato l’auto elettrica
Immagine in evidenza di myenergi da Unsplash Negli ultimi anni, l’auto elettrica è diventata uno dei simboli più discussi della transizione ecologica. Spinta o respinta dai governi, sostenuta o affossata dall’industria, osannata o temuta dall’opinione pubblica, la mobilità a batteria è un tema che divide. Da una parte viene raccontata come un passaggio inevitabile verso un futuro libero dai combustibili fossili, dall’altra viene bollata come una tecnologia immatura o addirittura come un cavallo di Troia per interessi cinesi e imposizioni “ecologiste”. Entrambe le narrazioni tendono a semplificare – e a polarizzare – un fenomeno complesso e in evoluzione. Proviamo allora a gettare lo sguardo oltre le trincee dell’ideologia e a offrire una lettura il più “atea” possibile della questione, soprattutto per quanto riguarda le sue implicazioni geopolitiche. Per cominciare, vanno chiarite due cose. La prima è che la diffusione dell’auto elettrica non è uniforme. Da un lato gli electric vehicles (EV) rappresentano ancora una quota trascurabile (il 4%, pari a 58 milioni di veicoli) del parco macchine mondiale. Dall’altro hanno rappresentato circa il 20% delle nuove immatricolazioni nel 2024. Il dato è caratterizzato da forti concentrazioni geografiche, ma è in crescita del 25% rispetto all’anno precedente. Stiamo quindi parlando di un prodotto che, a livello di mercato planetario, si sta muovendo da una nicchia molto piccola a un segmento significativo. Basti pensare che nel 2024 le vendite sono aumentate di 3,5 milioni di unità rispetto al 2023, più di quanto si fosse venduto in tutto il 2020. La Cina domina il mercato, sia dal lato della domanda che dell’offerta, con quasi il 75% del venduto globale (11 milioni di EV). In Europa, invece, si registra ogni anno una leggera crescita delle nuove immatricolazioni (1,8% in più nel 2024), ma questa è altamente dipendente da incentivi statali e dalle strategie industriali nazionali. Nel 2025 si prevede che le vendite europee supereranno i 4 milioni di unità, con una quota di mercato del 25%, ma anche in questo caso si registrano grandi differenze tra paesi, in particolare tra Europa del Nord e del Sud. Negli Stati Uniti il settore è stato finora trainato da Tesla e da sussidi pubblici introdotti da Biden (e appena tagliati da Trump), ma la penetrazione resta limitata al di fuori delle aree urbane. In tutto il 2024 sono state vendute solo 1,6 milioni di auto elettriche, per una quota di mercato del 10% e con un rallentamento della crescita rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda i paesi emergenti, in America Latina e in Africa le vendite di EV sono aumentate nel 2024 rispettivamente del 100% e del 120%. In Brasile il mercato è dominato dalle importazioni cinesi (oltre l’85% nel 2024), mentre negli altri paesi della regione e in Africa le percentuali sono leggermente inferiori ma comunque preponderanti. Questi dati sono utili a inquadrare un fatto: l’impronta dell’investimento nei veicoli elettrici non è uguale in tutte le zone economiche, così come diseguale è lo sviluppo del mercato e dell’industria. In particolare, è evidente come la Cina si trovi in una fase molto più avanzata rispetto al resto del mondo. Questo non si traduce solo in una leadership produttiva o commerciale, ma in un’esposizione più profonda e strutturale al destino della mobilità elettrica.  A differenza di altre economie, dove l’auto elettrica rappresenta ancora una scelta sperimentale, in Cina è ormai una componente sistemica del mercato e della strategia industriale del Paese. Ne derivano, inevitabilmente, una grande forza industriale, ma anche una vulnerabilità più elevata in caso di contraccolpi globali e, proprio per questo motivo, un maggiore impegno (geo)politico da parte dello Stato cinese nello sviluppo e nella difesa del settore. La seconda cosa da chiarire è che, dal punto di vista della produzione, le differenze tra un’auto tradizionale e un’auto elettrica sono così numerose e profonde che è come se si trattasse di due prodotti completamente diversi. Per certi versi si può dire che, più che di un processo di transizione industriale, lo sviluppo della mobilità elettrica andrebbe inquadrato come la nascita di una nuova industria. È importante evidenziare questo punto, poiché è una delle ragioni per cui la transizione elettrica dell’auto sta comportando cambiamenti così profondi delle geografie delle risorse e della geopolitica delle filiere. Il passaggio dall’auto a motore a combustione interna (ICE) al veicolo elettrico non comporta soltanto un cambiamento nelle modalità di alimentazione, ma implica una rivoluzione tecnologica che investe l’intera filiera produttiva. Le competenze richieste per progettare, costruire e mantenere un’auto elettrica – a cominciare dal suo componente più cruciale, la batteria – sono radicalmente diverse rispetto a quelle necessarie per i veicoli tradizionali: servono ingegneri specializzati in elettronica di potenza, software, gestione termica e chimica dei materiali, piuttosto che esperti di meccanica e di fluidodinamica dei motori termici. Questo ha implicazioni politiche nella misura in cui paesi come la Cina investono da quasi due decenni nella formazione di figure professionali e di ricercatori specializzati in questi ambiti, mentre Europa e USA hanno preferito continuare a puntare su competenze più tradizionali, col risultato che oggi le loro industrie non solo faticano a reperire le figure necessarie alla transizione, ma rischiano di dover operare ampi (e socialmente costosi) tagli del personale. Può non sembrarlo, ma anche questo è un tema geopolitico, in quanto ha direttamente a che fare con la resilienza dei corpi sociali dei paesi.  Un tema ancor più spinoso è quello delle materie prime critiche per la produzione di batterie. A causa della transizione energetica (non solo quella dell’automotive), negli ultimi anni litio, cobalto, nichel, grafite e terre rare ( di cui abbiamo appena scritto su Guerredirete.it, ndr) hanno assunto un’importanza strategica simile a quella del petrolio o dell’acciaio. L’approvvigionamento, la raffinazione e la lavorazione di questi materiali sono oggi al centro di una corsa globale, in cui le geografie della potenza economica si stanno rapidamente riorganizzando. Anche in questo caso la Cina si è mossa con grande anticipo. A partire dai primi 2000, Pechino ha investito nello sviluppo di una filiera completa e integrata della mobilità elettrica, dalla proprietà delle miniere all’estero (in Africa, America Latina e Australia), fino alla raffinazione dei minerali, alla produzione di celle per batterie, e infine alla progettazione e vendita di veicoli completi. Aziende cinesi specializzate in batterie per EV, come CATL, e produttori di veicoli elettrici come BYD e NIO non solo dominano il mercato domestico, ma stanno progressivamente espandendo la loro presenza internazionale, soprattutto in Europa. A oggi, la Cina raffina oltre il 60% del litio globale, il 70% del cobalto, e quasi il 90% delle terre rare, numeri che ne fanno un attore insostituibile in tutte le fasi della catena del valore dei componenti decisivi di un’auto elettrica, ovvero quelli elettronici, magnetici e chimici usati all’interno di software, sensori, motori e batterie. Questa concentrazione rappresenta un punto di vulnerabilità per le case automobilistiche non cinesi, che rischiano interruzioni di fornitura critiche. Non è quindi un caso che – già prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca – proprio il tema della “terre rare” sia finito al centro delle trattative sul commercio tra Cina e Stati Uniti. Proprio le trattative tra blocchi economici in risposta alla minaccia dei dazi di Trump ci ricordano che, come molti altri settori strategici, negli ultimi anni anche quello dell’automotive ha assistito a un prepotente ritorno degli Stati nella regolazione della vita economica e industriale. L’avvento della mobilità elettrica sta riportando al centro del dibattito concetti come “sovranità tecnologica” e “politica industriale”, costringendo governi e istituzioni a confrontarsi con il fatto che la competizione globale non si gioca più solo sul mercato, ma sulla capacità di presidiare le filiere produttive. Si tratta di una materia in continua evoluzione, complessa e altamente tecnica, che spesso i governi faticano a comprendere appieno. In molti casi, mancano sia le informazioni aggiornate che le competenze per analizzarla con la precisione e la profondità necessaria. La geopolitica della mobilità EV si muove infatti lungo coordinate altamente mobili, in cui innovazione tecnologica, instabilità internazionale e politiche pubbliche interagiscono in modo non lineare. Per questo, la vera posta in gioco non è solo industriale, ma cognitiva e culturale: la capacità di capire per tempo quale traiettoria tecnologica emergerà come dominante (che, retrospettivamente, è la ragione dell’attuale vantaggio cinese). Uno scenario cruciale per il futuro riguarda, per esempio, l’evoluzione delle batterie. Se le tecnologie allo stato solido, oggi in fase avanzata di sviluppo presso aziende come Toyota, QuantumScape e CATL, dovessero arrivare alla maturità industriale nei prossimi 5 anni, si assisterebbe a una vera discontinuità tecnologica: densità energetica superiore, tempi di ricarica più brevi, minore infiammabilità e, soprattutto, una diminuzione della dipendenza da materie prime come litio e cobalto. Questo ridurrebbe l’influenza dei paesi oggi dominanti in queste risorse, ma potrebbe farne emergere altri (tra cui Giappone e Corea del Sud, tra i più avanzati nello sviluppo di batterie allo stato solido), a dimostrazione di quanto la partita dell’EV, e la sua traiettoria evolutiva, sia tutt’altro che chiusa o definita, come invece la raccontano tanto gli entusiasti quanto i detrattori.  L’autore di questo articolo ha pubblicato da poco proprio un libro sul tema automotive: Velocissima). L'articolo Come la Cina ha conquistato l’auto elettrica proviene da Guerre di Rete.
Il Pentagono investe direttamente in terre rare, altro passo nella guerra alla Cina
Mentre la guerra dei dazi continua, gli Stati Uniti fanno i conti con la necessità di garantirsi l’approvvigionamento delle famose ‘terre rare’, quelle materie prime strategiche per le moderne filiere dell’elettronica, dell’informatica, e dunque anche dei comparti bellici. Il Dipartimento statunitense della Difesa ha deciso di investire direttamente nel settore. […] L'articolo Il Pentagono investe direttamente in terre rare, altro passo nella guerra alla Cina su Contropiano.
Chi controlla le terre rare controlla il mondo
Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese. Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio. Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici, protesi intelligenti e molto altro ancora. Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà, fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per svolgere funzioni diverse). Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio, neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche. Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le posseggono. Leggi l'approfondito articolo di Del Monte