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“L’idrogeno non è una soluzione, ma l’ennesimo piacere alle multinazionali come Snam”. Il nuovo rapporto di ReCommon critica con forza la strategia sull’idrogeno del governo italiano
Roma, 30 luglio 2025 – ReCommon lancia oggi la pubblicazione “La strategia sull’idrogeno è solo un favore a Snam?”, redatta con il supporto tecnico e analitico degli esponenti del mondo accademico Leonardo Setti e Federico De Robbio. Il rapporto dimostra come i due obiettivi della strategia sull’idrogeno dell’attuale governo, la decarbonizzazione e la sicurezza energetica, non possano essere raggiunti ma che le linee guida molto generiche del governo vadano quasi a esclusivo beneficio di Snam, una delle società capofila mondiali della costruzione e gestione delle reti di trasporto del gas. Per la multinazionale italiana l’idrogeno diventa un “utile strumento” per allungare la vita di vecchie infrastrutture per il gas e posare nuove tubazioni, così da alimentare il suo business as usual. Download La strategia sull'idrogeno è solo un favore a Snam? REPORT PDF | 994.19 KB scarica il report La Strategia Idrogeno ipotizza vari contesti futuri di diffusione dell’idrogeno nell’economia, con proiezioni fino al 2050, che cambiano in base a due variabili principali: la domanda nazionale e la composizione del mix dell’idrogeno disponibile sul mercato, tra produzione interna e importazioni. La prima può semplicemente essere più elevata o meno elevata. Il secondo è l’elemento dirimente per comprendere appieno la valenza della strategia governativa, perché basato su precise scelte politiche, tenendo sempre a mente che l’idrogeno può essere più o meno pulito, perché prodotto da rinnovabili (verde), gas (blu) o cattura e stoccaggio della CO2 (grigio). La “diffusione” è indicatore del rapporto tra domanda e offerta: ossia per “diffondersi” l’idrogeno ha bisogno di essere sia prodotto che domandato. Dalla ricerca emerge che qualora la produzione di idrogeno si dovesse concentrare nel nostro Paese, il solo impiego delle rinnovabili non basterebbe, come dimostrano le cifre. Per ottenere idrogeno verde puntando su fonti come idroelettrico, biomasse o geotermico, complessivamente 44,5 TWh di produzione annuale, si impiegherebbe infatti più energia di quanta se ne vorrebbe ottenere. Se invece per realizzare idrogeno verde si destinassero tutti gli oltre 58 TWh di energia da fotovoltaico ed eolico registrati in un anno in Italia, si produrrebbero solo 1,1 milioni di tonnellate di idrogeno verde in forma gassosa, o 0,9 milioni di tonnellate di idrogeno verde in forma liquida. Una quantità davvero bassa, che permetterebbe di coprire poco più della soglia minima di produzione interna dello scenario a penetrazione alta (0,7 milioni di tonnellate l’anno), utilizzando però l’intera capacità eolica e da fotovoltaico attualmente installata in Italia. Per dare sostenibilità a questo scenario, l’Italia dovrebbe raddoppiare dall’oggi al domani la sua capacità di produzione energetica da fonti rinnovabili e destinarla in toto alla produzione di idrogeno. Un’ipotesi irrealizzabile. È per questo che si ipotizza l’uso della cattura e dello stoccaggio della CO₂ per aumentare la produzione di idrogeno, che però non sarebbe più “verde” ma derivato dalla filiera fossile, aumentando quindi la dipendenza da petrolio e gas. Ma se l’idrogeno prodotto in Italia fosse grigio (da filiera fossile) invece che verde, le emissioni climalteranti potrebbero addirittura aumentare. Nel caso dello scenario “Base”, nell’ipotesi di una produzione di idrogeno principalmente grigio, le emissioni di CO₂ potrebbero aumentare di 26 milioni di tonnellate, ovvero +6,7% rispetto alle emissioni italiane attuali. Nello scenario ad “Alta” penetrazione di idrogeno, le emissioni di CO₂ equivalente potrebbero salire di ben 52 milioni di tonnellate, ovvero +13,3% rispetto alle emissioni italiane attuali. Passando allo scenario improntato sull’import, una delle assunzioni della strategia italiana è che produrre idrogeno nel Nord Africa, in particolare in Tunisia e Algeria, potrebbe risultare conveniente in quanto il costo di realizzazione in questi paesi sarebbe molto più basso che in Italia. Un’altra precondizione riguarda i vantaggi futuri, sempre in termini di riduzioni dei costi, che dovrebbero derivare dall’innovazione tecnologica degli elettrolizzatori. Peccato che la strategia non approfondisca nessuno di questi aspetti, né si preoccupi di fornire dati di riferimento, lasciandoci in questo limbo di fiducia cieca per le strutture di potere esistenti, il mercato e l’innovazione tecnologica. E senza contare i diversi costi nascosti che la strategia tralascia. Per esempio quelli del trasporto di idrogeno su lunga distanza, che necessita di tre volte l’energia necessaria a trasportare gas. Nello specifico, servirebbero almeno 20TWh di potenza rinnovabile dedicata solamente per il trasporto e la distribuzione dell’idrogeno importato dal Nord Africa. L’ipotesi di importare 0,7 milioni di tonnellate di idrogeno verde, come previsto nello scenario di “diffusione base” della strategia, significherebbe usare 20TWh per ricavare l’equivalente di 19TWh di energia elettrica utile. Un paradosso di inefficienza, ancora di più se parliamo di energia rinnovabile che potrebbe essere utilizzata direttamente sia in Italia che in Tunisia e Algeria, garantendo maggiori benefici alla popolazione residente e al tessuto produttivo locale. Eppure l’ipotesi di importare l’idrogeno verde dalla Tunisia è tra quelle con maggiore sostegno politico, proprio perché strettamente collegata alla costruzione del SouthH2Corridor, progetto cardine sia del Piano Mattei che della EU Global Gateway, il gran plan infrastrutturale della Commissione europea, oltre che del piano decennale di sviluppo delle infrastrutture di Snam. «La strategia italiana sull’idrogeno va in due possibili direzioni, entrambe sbagliate» ha dichiarato Elena Gerebizza, autrice del rapporto. «In un caso punta forte su una falsa soluzione fallimentare e dispendiosa come il CCS, nell’altro ‘abbraccia’ la continuazione di un modello coloniale in chiave green che avrebbe ripercussioni negative in particolare per la Tunisia. Comunque vada, a beneficiare delle vaghe e immaginifiche linee guida del governo è la Snam, multinazionale che sta contribuendo a perpetuare un sistema fossile con tutte le ingiustizie sociali, ecologiche e climatiche che lo hanno fino ad oggi caratterizzato, facendosi scudo dietro narrazioni sulla sostenibilità radicate in soluzioni insostenibili e fallimentari come l’idrogeno» ha concluso Gerebizza.
Fiamme Nascoste
Coral South FLNG, la mega-infrastruttura di ENI al largo delle coste mozambicane, fa male al clima. Dall’analisi dei dati pubblici e delle immagini satellitari esaminati dall’associazione e dai suoi consulenti, si può evincere infatti che l’impianto per l’estrazione e liquefazione di gas del cane a sei zampe è stato protagonista di numerosi fenomeni di flaring dall’inizio della sua attività nel 2022, non adeguatamente riportati dall’azienda petrolifera. Download FIAMME NASCOSTE REPORT PDF | 3.11 MB scarica il report
Le emissioni invisibili di ENI in Basilicata
ENI ha una parte non trascurabile del suo business nel nostro Paese. In particolare in Basilicata, dove è impegnata a sfruttare da una trentina d’anni il più grande giacimento su terra ferma dell’Europa Occidentale. Le licenze concesse a ENI autorizzano l’estrazione di 104mila barili di petrolio al giorno – sebbene negli ultimi anni la produzione non superi le 40mila unità. Il fulcro delle attività è l’impianto di lavorazione del petrolio estratto in quasi 30 pozzi, il Centro Olio in Val d’Agri (COVA) Download Le emissioni invisibili di ENI in Basilicata REPORT PDF | 1.31 MB scarica il report Nel 2021, ReCommon ha reso pubblico uno studio condotto dall’organizzazione indipendente Source International in cui emergeva che le concentrazioni dei composti organici volatili totali (COVT) intorno al Centro Olio  erano molto alte, oltre i 250 μg/m³ come media giornaliera, valori che possono essere paragonati a quelli del centro di Pechino e Nuova Delhi, tra le città più inquinate del pianeta. La scorsa primavera ReCommon ha dato seguito al lavoro fatto con Source, collaborando con l’associazione locale Cova Contro in un monitoraggio eseguito mediante l’uso incrociato di una termocamera di ultima generazione incrociate alle segnalazioni di cittadini residenti nell’area. Sono stati coinvolti 6 volontari nelle misurazioni e nelle riprese incluse le fasi di allestimento e trasporto dell’attrezzatura, oltre a tre famiglie della zona che hanno comunicato gli orari di maggior intensità dei miasmi. Come spiegato nel rapporto redatto da Cova Contro e ReCommon “Le emissioni invisibili di ENI in Basilicata”, la termocamera è in grado anche di quantificare il flusso di emissione in grammi/ora e la concentrazione in ppm (parti per milione)/minuto: durante la campagna di misurazione si sono riscontrate numerose anomalie, tanto che in quasi tutte le giornate di acquisizione dei dati la torcia di terra mostrava emissioni importanti di idrocarburi, notevoli per portata e costanza. I tenori di composti organici volatili registrati in alcuni casi sono stati molto alti, soprattutto per il benzene, ma degni di nota sono stati anche l’etilene ed il metano. Valori che in zona sono parzialmente misurati dalle controparti: per ARPAB, l’agenzia regionale per l’ambiente, i tenori di benzene nella zona sono nella norma (non misurando però tutti gli altri parametri rilevati con la termocamera) ma mentre la termocamera ha ripreso un dato puntuale sulla base di pochi secondi di misurazione, ARPAB raccoglie dati diluiti nel tempo. Tuttavia, in quello stesso periodo, ARPAB ha misurato dei picchi molto elevati di benzene, per i quali ad oggi l’agenzia non ha reso note delle motivazioni ufficiali, mentre ENI, secondo quanto riportato dal suo sito web, non monitora questi parametri. Nonostante non sia possibile un raffronto diretto tra i dati raccolti da questa analisi e quelli di ARPAB, potrebbero essere utili i dati dei camini SME (sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni ai camini) che ENI, però, non ha mai pubblicato. Insomma, sul monitoraggio dell’aria, pubblico e privato, e quindi della qualità della vita nel “Texas d’Italia” c’è ancora tantissimo da fare.
Antirazzismo e scuole
Il Cesp – Centro Studi per la Scuola pubblicain collaborazione con l’IC 5 – Bologna organizza: MERCOLEDÌ 8 MAGGIO 2024 ORE 17 – 19 PRESSO LA SCUOLA TESTONI-FIORAVANTI, VIA DI VINCENZO, 55 BOLOGNA presentazione di ANTIRAZZISMO E SCUOLE VOLUMI 1 E 2 a cura di Annalisa Frisina, Filomena Gaia Farina, Alessio Surian (Padova University Press, open access) saranno presenti: * Gaia Farina (doc. di sociologia visuale, Univ. di Padova) * Annalisa Frisina (doc. di sociologia, Univ. di Padova) * Wen Long Sun (ingegnere informatico) * Introduce Gianluca Gabrielli (docente Ic 5 e Cesp) La partecipazione è libera ma necessita di registrazione al link: https://docs.google.com/forms/d/1ekMym46kdU2bFS-nlqaKQqhbVPgVvn6NCLnQODzKWjo/viewform?edit_requested=true fino all’esaurimento della capienza dei posti. Come affrontare lo studio del razzismo come sistema di potere in cui la violenza è ordinaria e costantemente invisibilizzata?A più voci condividiamo alcune proposte che provano a decostruire ideologie di matrice coloniale. Il volume 1 è dedicato soprattutto alle scuole primarie, il volume 2 si rivolge principalmente a chiinsegna nelle scuole secondarie, per creare e sperimentare percorsi didattici che possano contrastare diverse forme di razzismo. I volumi sono scaricabili gratuitamente ai link:Volume 1: https://www.padovauniversitypress.it/it/publications/9788869382710 Volume 2: https://www.padovauniversitypress.it/it/publications/9788869383823 L’attività è riconosciuta come formazione in quanto organizzata da Ente Accreditato/Qualificato per la formazione del personale della scuola.IC5 Bologna – Via di Vincenzo, 55 – boic816008@istruzione.itCesp – Centro Studi per la Scuola Pubblica – via San Carlo 42 – Bo – cespbo@gmail.com